Archivi categoria: AUTONOMIA

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E’ ora di andare …

di Carlo Baiocco

I ragazzi, nonostante i loro notevoli cambiamenti, nonostante siano generalmente sempre più demotivati, smarriti, disorientati, trascurati e sofferenti e, molte volte, malgrado anche i loro assenti, lamentosi, pretenziosi, iperprotettivi, invasivi ed intrusivi genitori, sono e restano pur sempre meravigliosi e combattivi, ma la Scuola ormai, ospitata spesso in strutture penose, fatiscenti e non a norma, spinta e ridotta a pie’ sospinto in vincoli, catene e macerie da sterili, ripetitivi, pressanti mansionari impiegatizi, da prepotenti, manichee standardizzazioni ipervalutative, da tassonomie fuorvianti e demagogiche, da sigle vuote ed insensate e da normative fortemente illiberali, dissennate e mortificanti ed abitata per lo più da dirigenti saccenti, presuntuosi, incapaci, inetti, evanescenti ed autoritari ed insegnanti sudditi proni, cortigiani imbelli e del tutto indifferenti allo sfascio, è ridotta pressoché ad un deserto di sentimenti oppure, sempre più spesso, ad una barbarie di sentimenti.

Quasi tutti tacciono, chi può fugge e chi non può vorrebbe fuggire!
È ora che chi, come me, ne ha conosciuto l'”età dell’Oro” e ci si dibatte, sia pure rannicchiato in buna nicchia in cui più nessuno, per indifferenza, deferenza e timore, ha l’ardire di rompergli i gabbasisi, si faccia finalmente da parte!… da brillante, aggiornato, preparato, attivo, fattivo, appassionato protagonista ad inquieto, ribelle, oppositivo antagonista ed, infine, a rassegnata comparsa scomparsa!
Il mio pregresso “curriculum scholae” è davvero vittorioso, assai vasto ed “alto”, ma il mio cuore, ora, è davvero assai perdente e straziato!

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La scuola che vorrei

di Raimondo Giunta

L’erba voglio non cresce e non è mai cresciuta da nessuna parte e tantomeno a scuola. La scuola che volevo, però, mi ha aiutato nei tanti anni di servizio a superare le difficoltà del momento e a rendere migliore quella che abitavo.
La scuola è oggi in rotta di collisione con la vita quotidiana delle famiglie e dei giovani; gli orari, il calendario, la struttura fisica degli istituti sono espressione di un ordinamento, compatibile con altri ritmi di vita, con altre regole sociali, con altre tendenze dei rapporti umani. L’attuale struttura della scuola è lo specchio della società come era qualche decennio fa.

Alla radice del disagio scolastico, che può debordare in degrado, si trova questa crescente contraddizione tra quotidianità e scuola, bisogni riconosciuti della società e organizzazione scolastica.

La scuola italiana ancora oggi in moltissimi casi è fisicamente preordinata alla sola attività didattica delle lezioni. In molte scuole non si può fare nemmeno l’educazione fisica per mancanza di palestre; non si fa decentemente ricreazione per mancanza di cortili; sono entrati i laboratori, ma non ancora la didattica laboratoriale.  Se funzionasse bene, ma non è così, essa sarebbe funzionale solo ai compiti di istruzione, alla formazione intellettuale, ma oggi tutto questo, per quanto importante possa essere, non basta. I giovani in questo particolare momento della società hanno bisogno di qualcosa di più. Hanno bisogno di cura della persona, dell’attenzione a tutti gli aspetti non intellettuali della loro formazione(sensibilità/affettività/valori).

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Il Ministro dell’Umiliazione Nazionale

di Giovanni Fioravanti

In un celebre Fioretto riportato dai libri di lettura della mia infanzia, san Francesco spiega a frate Leone cosa sia la “perfetta letizia” alla quale la laica e pagana resilienza neppure assomiglia. La perfetta letizia è il piacere d’essere umiliato, vilipeso, una sorta di masochismo esaltato come ascesi. Non so se l’attuale ministro dell’istruzione e del merito (diciamolo tra parentesi, già il merito puzza di umiliazione per quelli che merito non hanno) sia un terziario francescano, certo è a digiuno, per stare nell’ascesi, di pedagogia, per lo meno di quella non nera.

Di fronte all’uscita, rivelatrice, del Ministro mi è tornata immediatamente alla mente l’iniziativa del suo alleato di governo, onorevole Maurizio Lupi, che nella scorsa legislatura si fece promotore di un disegno di legge per introdurre nei programmi scolastici della Repubblica l’educazione alle competenze non cognitive.
Ecco che il ministro l’ha preso in parola, pensando bene di iniziare con l’educare all’umiliazione; competenza indubbiamente non cognitiva, con i lavori socialmente utili come conseguenza punitiva. Tenere pulita e in ordine l’aula dove lavori e studi è umiliante, perché è come se fosse una punizione. Bella educazione a proposito di educazione civica, materia reintrodotta al posto di Cittadinanza e Costituzione!

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Ministero dell’Istruzione e del Merito? Dal 1999 fino a Bianchi non ha meritato più di un 4 e mezzo

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Guglielmo Rispoli

Dunque sarà Ministero dell’Istruzione e del merito.

Sono il profilo politico guardando da destra, da sinistra o da centro si possono fare tutte le legittime ipotesi (probabilmente tutte errate) con riferimento al proprio legittimo punto di vista ma anche col rischio di incorrere nei pregiudizi tipici di una popolazione che ragiona per approssimazione e luoghi comuni e dimenticando, parlo per i presunti progressisti, che il novecento è finito.

Questo mio contributo analizza il rapporto tra Scuola e Merito focalizzandosi sul ruolo e il successo delle azioni di Ministero dal 1999 ad oggi (vari governi di destra e centro destra e vari governi di centrosinistra).

Senza ombra di dubbio l’Amministrazione della Scuola della Repubblica Italiana è immeritevole.
Vediamo insieme perché prendendo dati conosciuti e significativi.

#01_ I dati della corruzione della politica e il numero dei processi la dicono lunga sullo scarso merito degli amministratori pubblici intesi come categoria e non come singoli. Anche nel Ministero dell’istruzione ci sono stati recentissimi casi di inquinamento e di tangenti, fatti inaccettabili.

Voto in decimi: 4emezzo – grazie al lavoro indefesso ed onesto di tanti.
Giudizio descrittivo: si può e si deve fare di più. Diamo spazio e visibilità alla qualità del lavoro dell’onesto personale amministrativo dal Ministero agli UUSSRR, alle singole Scuole

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Ministero dell’Istruzione e del Merito: ma perché stupirsi? stava già tutto nel programma

di Nicola Puttilli

Stupisce lo stupore con cui il mondo della scuola e non solo ha accolto la nuova denominazione del “Ministero dell’Istruzione e del Merito”. Forse non tutti avevano letto l’accordo di programma relativo alla scuola delle forze che si apprestano a governare, il cui primo punto recita: “rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico…”.

Meritocrazia e professionalizzazione sono aspetti fondamentali nel quadro di un intervento complessivo e organico sul sistema di formazione. L’idea di sostenere i “capaci e meritevoli” è, tra l’altro, alla base dell’art.34 della nostra Costituzione.
Non è d’altro canto possibile non ricordare alcuni decenni di sociologia dell’educazione che, già a partire dagli ’60, hanno chiaramente messo in luce come il “merito” non sia una categoria del tutto neutra ma che strutture concettuali, attitudine all’apprendimento, atteggiamento verso lo studio si definiscono già nei primi anni di vita e dipendono in larga misura dai condizionamenti socioculturali dell’ambiente di provenienza.
Quello che preoccupa, e non poco, non è la presenza della parola merito ma la totale assenza di parole come inclusione e dispersione scolastica. In uno sguardo complessivo come dovrebbe essere quello di chi si accinge a governare non può mancare qualsiasi riferimento a quello che è considerato, ma non da tutti evidentemente, il problema più pressante della nostra scuola, sia in termini sociali sia in costi economici.

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Te lo do io il merito. Dalla meritocrazia alla mediocrazia è un attimo

di Mario Maviglia

Chissà quanto costerà alla finanza pubblica (ossia a tutti noi) la nuova denominazione di numerosi Ministeri voluta dal nuovo Governo.

Occorre infatti cambiare l’intestazione delle carte (anche se buona parte della comunicazione oggi avviene on line), i timbri non più in regola, le targhette ai vari uffici. E questo per tutti i Ministeri coinvolti e per le loro diramazioni territoriali.

Gli istituti scolastici, ad esempio, dovranno subito darsi da fare per aggiungere “e del Merito” subito dopo “Ministero dell’Istruzione. E dire che molte di loro avevano da poco finito di aggiornare la vecchia denominazione di “Ministero dell’Istruzione e della Ricerca”. (Ma se fate un giro in rete, ci sono ancora istituzioni scolastiche che utilizzano ancora la vecchia denominazione di “Ministero della Pubblica Istruzione”. Nostalgici…).

Può darsi (ma è alquanto improbabile) che gli inventori del nuovo nome abbiamo pensato all’art. 34 della nostra Costituzione, dove, in riferimento alla scuola aperta a tutti, viene citato il merito (“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”).
Non sappiamo per quale motivo, ma ci sembra che nel caso che stiamo trattando si faccia riferimento ad altri paradigmi valoriali (chiamiamoli così). E allora su questo punto conviene essere sfacciatamente espliciti e politicamente scorretti. Da molti anni in Italia (da sempre?) quando si parla di “merito” significa che si vogliono “sistemare” amici o amici degli amici (o familiari o parenti vicini e lontani o affini, con tutta la filiera genealogica del caso) in posti chiave o comunque ambiti, utilizzando (qui sta l’ingegnosità del paradigma) la parola magica del “merito”. È quello che succede quasi ordinariamente in ambito universitario, o nella nomina dei dirigenti pubblici ex art. 19 commi 5bis e 6 del DLvo 165/2001; o quello che succede quando si confezionano bandi ad hoc per la nomina di esperti/consulenti/formatori presso le pubbliche amministrazioni. Un ulteriore esempio è la cosiddetta fuga di cervelli dall’Italia, ossia quei talenti che non hanno alcuna possibilità di vedere riconosciute le loro competenze in quanto non adeguatamente “imparentati” con lobby o gruppi di potere.

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La progettazione di istituto ai tempi del PNRR

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Clara Alemani

Come è noto, le scuole stanno ricevendo cospicui finanziamenti legati al PNRR. Appare quindi necessario che la progettualità di istituto (ri)trovi spazi e modi adeguati agli investimenti, così da scongiurare il rischio di spese poco oculate e creare invece le condizioni per utilizzare al meglio quanto viene assegnato.

 

 

La progettualità, intesa come attività del progettare[1], deve innanzi tutto assumere la trasparenza come riferimento imprescindibile, non soltanto per quanto attiene gli atti amministrativi e contabili, ma soprattutto come principio per documentare quanto via via si realizza. Tradizionalmente nella scuola si lavora molto, ma si documenta poco: in parte perché gli strumenti adottati sono percepiti come appesantimenti burocratici da molti docenti (e da alcuni DS); in parte perché spesso le scuole sono chiamate a operare in situazioni cosiddette di emergenza, in cui conta agire rapidamente e appare quasi impossibile ricavare spazi e tempi per progettare e pianificare le azioni che verranno realizzate.  C’è inoltre una ragione culturale, retaggio di una visione di scuola in parte romantica, in parte legata alla cultura gentiliana, che identifica qualunque documento ufficiale redatto dentro la scuola come una indebita perdita di tempo, un’attività che deve essere compiuta, un dovere da adempiere, che, nei fatti, non interessa a nessuno. Il pensiero ancora prevalente per molti docenti identifica il buon insegnante come colui (solo in parte colei) che, dotato di una solida cultura (rigorosamente umanistica), di carisma personale e di una certa dose di istrionismo, è capace di improvvisare le proprie lezioni affascinando e incantando alunni e alunne. Redigere il piano di lavoro o un’unità di apprendimento rappresenta, in questa visione, un tempo sottratto ad attività considerate più nobili. Anche molti tra i nuovi giovani docenti non sfuggono a questa logica dell’adempimento e non sembrano disponibili a interrogarsi su altre ipotesi possibili. Al contrario, la capacità di documentare può diventare una risorsa professionale per i/le docenti, con funzioni diverse e variegate, come illustra Barbara Balconi[2].

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