ll progetto su “dispersione e dislivelli territoriali”: una sfida per le scuole  

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Antonio Valentino

La percezione

In questi ultimi mesi l’attenzione di dirigenti scolastici, insegnanti, personale tutto è apparsa rivolta essenzialmente alla gestione dei fondi previsti per il Piano, agli adempimenti a cui si è chiamati, all’uso della piattaforma messa a disposizione per facilitarne le operazioni.

 

Sono tuttora abbastanza rari gli incontri in presenza in cui socializzare dubbi, perplessità, limiti.

Poco e male finora sono entrate nel dibattito – anche in quello pubblico in generale – le ragioni per cui l’Unione Europea[1] ha previsto investimenti – in misura come mai prima era successo – su settori strategici della vita pubblica e, tra questi, quelli di Scuola e Università.
La stessa Amministrazione centrale – a partire dal Ministro – e quella periferica hanno finora dimostrato scarsa consapevolezza della dimensione strategica e della centralità e rilevanza della problematica dei divari  territoriali anche in fatto di istruzione; e quindi dell’importanza di  strategie di contrasto agli insuccessi e agli abbandoni precoci da mal di scuola che, nel nostro Paese, risultano tra i più alti d’Europa.

Anche altri due progetti del Piano Scuola del PNRR – ‘Zero-Sei’ e ‘Ambienti di apprendimento (‘Aule’ e ‘Laboratori’) – possono ben essere visti come occasioni importanti per contrastare alla base i fenomeni di inadeguatezza del nostro sistema di istruzione, cause non secondaria della dispersione.
A questi è ancora da aggiungere il progetto sull’orientamento (le Linee Guida nel Decreto Ministeriale sono del 22 dicembre 2022), perché anche Orientamento è parola chiave nelle misure previste dal DM 170 sul contrasto alla dispersione[2].

All’interno di questo quadro complessivo, il progetto sulla dispersione andrebbe considerato – a ragione – come l’anima dell’intera operazione del Piano Scuola, in quanto le azioni di contrasto in esso previste investono aspetti ‘vitali’ del fare scuola: – cultura professionale e didattica,  organizzazione e leadership, ambienti apprendimento, … – che attraversano anche gli altri progetti.
Investire su di essi significa investire sul ‘motore’ dell’intera macchina del sistema di istruzione.

Novità (parziali) e interrogativi

È in questa ottica che andrebbero pertanto considerate azioni e percorsi previsti nei documenti di accompagnamento ai Decreti ministeriali citati e soprattutto in  “Istruzioni operative” del 30 dicembre 2022 – a cui va aggiunto la Piattaforma “Futura PNRR – Gestione Progetti”: che, in realtà,  è parecchio più di uno ‘strumento’ operativo.

Di questi documenti vanno certamente segnalati in positivo – perché prefigurano differenze promettenti rispetto a iniziative analoghe già sperimentate nelle nostre scuole – quelle parti che

  1. indicano come strategie importanti un insieme di azioni: dal mentoring[3] all’orientamento[4]; dai percorsi di potenziamento delle competenze di base[5] (visti anche come occasione di motivazione e di accompagnamento) ai percorsi di orientamento per le famiglie;
  2. prevedono percorsi formativi e laboratoriali co-curriculari che includono progetti speciali di scuola (dalle attività teatrali a quelle sportive, dai laboratori di musica ai percorsi di educazione emotiva-affettiva ….), visti come momenti di aggregazione volti non solo a sviluppare socialità e favorire inclusione, ma anche integrazione (che include normalmente anche ricadute sul rendimento scolastico in termini di apprendimenti).

Anche la previsione di aprire le scuole alla collaborazione – comprensiva di co-progettazione, ma anche di gestione di attività con agenzie formative accreditate e affidabili – è un punto importante dell’intero progetto, in quanto aiuta a fare uscire le scuole dall’auto-isolamento, in cui qualche volta si confinano, e a trarne arricchimenti salutari di vario tipo.

(Ma al riguardo va annotato che sono emersi, da più parti, interrogativi e dubbi che nascono – e non solo con riferimento a questo progetto – dall’enfasi con cui le collaborazioni con enti del terzo settore vengono prospettate alle scuole dal Ministero. Non si vorrebbe che tale enfasi preludesse a scivolamenti rischiosi per l’autonomia scolastica e a derive gestionali di tipo privatistico.)

Un nodo centrale: fruizione individuale dei percorsi o individualizzazione dell’offerta formativa?

In tale quadro complessivamente positivo, pone però seri interrogativi la scelta di intervenire su fragilità e insuccessi attraverso i percorsi di cui al precedente punto b., per le quali si prevede una modalità che sembra ignorare strategie che la ricerca pedagogica e didattica raccomanda da tempo.
Per i percorsi di mentoring e di orientamento, destinati soprattutto agli studenti a rischio dispersione, si prevedono infatti:

  1. una fruizione ‘individuale’ degli stessi (rapporto studente-docente / esperto esterno: 1 a 1);
  2. una loro collocazione di norma al di fuori dell’orario scolastico e degli spazi delle lezioni[6].

Manca in questa scelta operativa delle Istruzioni ministeriali ogni riferimento alle metodologie didattiche di individualizzazione o di personalizzazione, che, come è noto, sono cosa altra rispetto ad azioni a ‘fruizione individuale’. Metodologie che, per diverse e buone ragioni, meritavano attenzione – e non solo  –.

Le recupero da Massimo Baldacci[7] che, già in un suo libro del 2005, le richiama esplicitamente: “L’istruzione individualizzata non è una istruzione individuale, realizzata semplicemente in un rapporto 1 ad 1. Essa consiste nell’adeguare l’insegnamento alle caratteristiche individuali di ciascuno (ritmi di apprendimento, capacità linguistiche, prerequisiti cognitivi) cercando di permettere al singolo di conseguire individualmente obiettivi comuni al resto della classe. (…)”[8].

E, a proposito di spazi e collocazione oraria possono ben valere, come aspetti importanti della dimensione collettiva dell’apprendere, le seguenti considerazioni di Simonetta Fasoli, particolarmente importanti ed esplicite perché ancorate a richiami normativi: “La strategia di contrasto va individuata nello stesso registro dell’ordinarietà, più che nella predisposizione di percorsi gestiti in ambito extracurricolare. Si vedano in proposito pietre miliari quali il documento della Commissione Falcucci (1975) e la legge 517/77 (…). Se è il gruppo di apprendimento la risorsa essenziale, non è la separatezza la risposta adeguata per chi si senta o sia stato escluso…”[9]. [i corsivi sono miei]

La didattica individualizzata – che è espressione operativa della teoria dell’individualizzazione degli apprendimenti, si configura pertanto come modalità del fare scuola particolarmente importante per l’integrazione nel gruppo classe degli allievi che se ne sentono esclusi; integrazione quindi come processo importante nel contrasto agli abbandoni precoci, soprattutto in quanto facilita l’apprendere migliorando livello e qualità delle relazioni nel gruppo [10].

Delle due pratiche didattiche sopra considerate sono indubbiamente diverse le idee di scuola ad esse sottese e diverso il tasso di carica innovativa. Penso però che, nella situazione attuale, entrambe potrebbero,  se ben condotte, sortire gli esiti previsti dal progetto.  Ne guadagnerebbe da questa scelta anche l’autonomia delle istituzioni scolastiche.

Due questioni non sottovalutabili.

Ci sono infine questioni, non propriamente secondarie, che non si possono trascurare, se si vuole partire col piede giusto. Si tratta di ‘mancanze’ o sottovalutazioni di variabili con cui fare i conti. Quali soprattutto

  • la non previsione di incentivi significativi per il surplus di lavoro delle scuole che la nuova progettualità del piano di contrasto inevitabilmente porterà (per i docenti, le segreterie, le figure di sistema, per i ruoli intermedi di raccordo e accompagnamento).
    Si è dimenticato infatti nelle Istruzioni operative che il cambiamento passa dal lavoro quotidiano, sempre più complesso e gravoso sulle spalle dei docenti e delle scuole;
  • la scarsa attenzione ad un principio guida per l’operazione in corso: è difficile aspettarsi cambiamenti duraturi e significativi se la scuola nel suo insieme non si sentirà parte essenziale dei processi attivati e non se ne farà carico. La lotta contro la dispersione non è affare di singoli insegnanti o esperti esterni che operano dentro protocolli indicati dai pochi docenti del team di scuola e dal gruppo di co-progettazione: o è impegno dell’insieme dei docenti della scuola che, nelle loro articolazioni, lavorano collegialmente per individuare problemi e possibili soluzioni o sarà molto difficile che si producano esiti positivi e duraturi.

La vera sfida del progetto dispersione e i principali terreni su cui giocarla

Quello che in conclusione si vuole soprattutto sottolineare è che la scuola, per essere la risorsa giusta contro insuccessi e rischi di abbandono – e saper fare al meglio la propria parte -, dovrebbe prioritariamente sviluppare consapevolezza autocritica che, in molti casi, è essa stessa parte del problema dispersione[12].

Che si crea sempre quando – al netto delle responsabilità del sistema, che sono comunque enormi e condizionanti – si sottovaluta (anche se per fortuna sempre di meno) l’incidenza, fra gli studenti,  di fattori non secondari del mal di scuola;  che se bene riconosciuti e analizzati possono suggerire una mappa di comportamenti professionali competenti e mirati di cui soprattutto c’è necessità se si vuole, come sarebbe opportuno e prioritario, trasformare l’esperienza scolastica degli studenti in una avventura che li veda partecipi e interessati; e prevenire così le diverse manifestazioni di abbandono, sapendone capire i sintomi. La lista di tali comportamenti è la stessa che gira da sempre e che vede in primo piano soprattutto:

  • la padronanza riflessiva di pratiche didattiche partecipative e coinvolgenti,
  • una cultura professionale, e relative pratiche, che sappia alimentarsi di esperienze condivise che si fanno occasioni di formazione ‘situata’,
  • la pratica attiva del lavoro di squadra, vincendo individualismi e autoreferenzialità,
  • la cura degli ambienti di apprendimento; che significa impegno a trasformarli da non-luoghi a spazi accoglienti, stimolanti, polifunzionali,
  • una leadership che coltivi l’idea di scuola come comunità professionale e dimostri attenzione costante al funzionamento delle diverse articolazioni funzionali del Collegio e al loro coordinamento interno.

[1]. Va richiamato che il  Piano di Ripresa (formula abbreviata che traduce la sigla PNRR) fa parte del Programma dell’Unione europea, noto come Next Generation EU.

[2] L’insieme di questi tre progetti è parte del Piano Scuola (capitolo importante del Programma PNRR per l’Italia), che si articola in ben sei Riforme, per altrettante aree problematiche del nostro sistema di Istruzione: questo per richiamare la complessità dell’operazione entro cui ci si muove.

[3] Attività che mira a vincere il disagio che generalmente si manifesta con modalità che vanno dal basso rendimento fino all’abbandono scolastico precoce. Si tratta di percorsi ad apprendimento guidato.  

[4] Che andrà configurato secondo le Linee Guida del Decreto ministeriale del 22 dicembre del 2022, che prospettano azioni articolate e promettenti che richiedono non solo progettazione attenta, ma anche competenze professionali adeguate.

[5]. Particolarmente importanti dopo i due anni di pandemia che non ha garantito continuità e regolarità delle attività didattiche e ha sacrificato pesantemente la socialità.

[6] V. però la nota 10.

[7] M. Baldacci, Personalizzazione o individualizzazione? Edizioni Erickson, 2005

[8] In questo differenziandosi dall’”istruzione personalizzata che tende a traguardi diversi e personali per ciascuno, ponendo per ognuno obiettivi differenti”. Sempre Baldacci, ibidem.

[9] Simonetta Fasoli in Didattica del recupero o recupero della didattica? pubblicato recentemente su Nuovopavonerisorse.it

[10] La didattica individualizzata, nelle esperienze più comuni, assume generalmente la classe come l’ambiente di apprendimento nel quale si alternano momenti di attività a dimensione collettiva (lezioni parzialmente frontali, debate, brainstorming …), con lavori di gruppo a dimensioni variabili, a seconda dei luoghi, del tipo di attività ecc. Durante i quali l’insegnante copre funzioni, tutte comunque sostanzialmente riconducibili al proprio profilo.

[11] In essa si apre alla possibilità, che andrebbe però chiarita su più versanti, di svolgere anche in orario antimeridiano i percorsi di mentoring e orientamento e di potenziamento delle competenze. Alcune altre aperture interessanti:  l’individuazione di docenti/tutor/esperti interni attraverso deliberazione del Collegio Docenti;  riconoscimento economico per attività gestionali di progettazione e tecnico-operative del personale interno, il supporto educativo e/o psico-pedagogico di  docenti o altre figure specialistiche interne e/o esterne, le attività operative strumentali alla gestione dei percorsi formativi (da parte segreteria didattica), ….

[12] V. al riguardo, in Associazione professionale Proteo Fare Sapere, le considerazioni approfondite nel documento “La dispersione. La scuola da parte del problema a parte della soluzione”, elaborato da un gruppo di lavoro dell’Associazione; documento dal quale sono state riprese le riflessioni del paragrafo.

 




La scuola del merito tra LEP e autonomia differenziata

di Antonella Romagnolo
per gentile concessione della rivista on-line
M.A.Gi.C. e school

La notizia di questi giorni riguarda l’approvazione da parte del governo del disegno di legge dell’“Autonomia differenziata per le Regioni a Statuto ordinario.

È in corso il processo di conversione. Si tratta di un tema, che ha sempre infiammato la politica e i cittadini. La scuola di qualità e del merito, a cui miriamo tutti, come cambierà? Tutti, in fondo, ci chiediamo legittimamente se l’autonomia differenziata comporterà un miglioramento dei servizi o se invece si acuiranno i divari territoriali.

Per capire, è necessario farsi delle domande.

Che cos’è l’autonomia differenziata?

L’autonomia differenziata è una particolare forma di autonomia, che consente alle Regioni a Statuto ordinario di chiedere allo Stato competenze e funzioni sulle materie, definite dall’art.116 della Cost., comma III, e quindi legiferare su ambiti che sarebbero riservati allo Stato. Tra queste materie, c’è l’istruzione, ai sensi dell’art.117, della Cost., comma II, lett. n).

Su cosa incide l’autonomia differenziata e cosa sono i LEP?

L’autonomia differenziata incide sulla legislazione esclusiva e concorrente e sul gettito fiscale; ma prevede la definizione previa dei LEP con legge dello Stato. I LEP sono livelli essenziali di prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art.117 della Cost., comma II, lettera m, in termini di fabbisogni e costi standard (Legge di Bilancio 2023).

Che differenza c’è tra legislazione esclusiva e legislazione concorrente?

Secondo l’art.117 della Cost., comma II, l’istruzione è una materia di legislazione esclusiva dello Stato e su questa materia lo Stato ha potestà regolamentare. Infatti, ne determina le norme generali. L’istruzione professionale, invece, è materia di legislazione concorrente e la potestà regolamentare spetta alle Regioni.

Come si definiscono i LEP?

Con la Legge 29 dicembre 2022 n.197, cosiddetta Legge di Bilancio 2023, ai commi 791-798, sono stabilite le modalità per la determinazione dei LEP e per consentire ai cittadini il godimento delle prestazioni nel pieno superamento dei divari territoriali e la condizione per l’attribuzione di ulteriori funzioni (consentita subordinatamente alla determinazione dei relativi LEP).

Va quindi stabilita la “soglia di spesa necessaria e invalicabile” per erogare le prestazioni sociali e di natura fondamentale. Deve, inoltre, essere assicurato lo svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari Stato-Autonomie territoriali; favorita un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al PNRR. E’ opportuno ricordare che la Costituzione, all’art. 120 prevede che a tutela dei LEP, il Governo si sostituisca alle Regioni a prescindere dai confini territoriali.

Chi definisce i LEP?

Con la Legge di Bilancio 2023, è istituita la Cabina di regia, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, procede a determinare i LEP. Individua le materie, di cui all’art. 116 della Cost., terzo comma, nel rispetto degli equilibri finanziari dello Stato, in coerenza con gli obiettivi programmati e il supporto delle amministrazioni competenti.

Per ogni materia, la Cabina di regia effettua una ricognizione su: normativa statale e sulle funzioni esercitate da Stato e Regioni a Statuto ordinario e sulla spesa sostenuta dallo Stato in ogni regione nell’ultimo triennio (spese totali e parziali per materia). Sulla base di questa ricognizione, la Commissione tecnica, propone le ipotesi di costi e fabbisogni standard materia per materia e le predispone, seguendo i metodi stabiliti dall’art.5, c.1, lett. dalla a) alla f) del D. Lgs. 26 novembre 2010 n.216.

Sulla base di queste ipotesi tecniche, la Cabina di regia determina i LEP ed entro sei mesi dalla conclusione di tale attività, predispone per il Presidente del Consiglio dei Ministri uno o più schemi di decreto, dove i LEP sono espressi in termini di costi e fabbisogni standard (comma 795). In caso di ritardo, viene nominato un Commissario entro trenta giorni successivi alla scadenza dei dodici mesi, che procederà al completamento delle attività non perfezionate (comma 797).

Cosa cambierebbe nella scuola con l’autonomia differenziata?

La definizione dei LEP è certamente un’operazione propedeutica all’autonomia differenziata.

Con il nuovo disegno di legge, ove fosse convertito in legge, si darebbe attuazione al terzo comma dell’art.116 della Cost., cioè alle “nuove forme di autonomia” concernenti le materie dell’art.117, tra cui proprio il punto n) del secondo comma, che riguarda le “norme generali sull’istruzione”.

Cosa dobbiamo aspettarci nel mondo della scuola?

Ove l’istruzione fosse materia, su cui le Regioni a Statuto ordinario possono legiferare, si potrebbe assistere alla modifica di quelle norme generali. Le norme generali, a cui il personale della scuola fa riferimento, riguardano il D.Lgs. 16 aprile 1994, n.297 Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado.

I temi sono vari, tra cui si citano: OOCC; istituzione di scuole di ogni ordine e grado; edilizia e attrezzature scolastiche; ordinamento scolastico: libri di testo; valutazione; esami, diplomi e attestati; tasse; sperimentazione, ricerca educativa, formazione e aggiornamento; alunni in particolare situazione di disagio; norme sul personale, reclutamento, ruoli e organici; mobilità; congedi e aspettative; ricostruzione di carriera; trattamento di quiescenza.

I divari territoriali tra il Nord e il Sud sono una realtà del nostro paese, che si cerca di colmare con i Progetti Nazionali di Ripresa e Resilienza. Diffondere una scuola del merito su tutto il territorio italiano è una sfida. Ricordiamo, però, che lo è stata anche l’autonomia scolastica e il processo di riforma è iniziato nel 1997 con la Legge Bassanini n.59, seguito dal Regolamento sull’autonomia scolastica D.P.R. n.275 emanato in data 8 marzo 1999. Sono processi lunghi.

Le istituzioni scolastiche autonome, che lavorano ai progetti PNRR 1.4 e 4.0, stanno promuovendo il loro modello di scuola, coinvolgendo la comunità educante del territorio (sussidiarietà), col fine di innovare gli ambienti di apprendimento e colmare i divari territoriali. A fronte di questa autonomia, va sottolineato l’atto di responsabilità con il quale le scuole si impegnano a proiettare i giovani verso le professioni del futuro, valorizzando i loro talenti. La scuola del merito deve certamente prepararsi ai LEP. Dovrà anche lavorare con l’autonomia differenziata? Attendiamo la Legge.




E’ difficile farcela, forse impossibile… La scuola e la “fatica” di Sisifo

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Domenico Sarracino

La scuola è preposta da sempre alla preparazione alla vita delle nuove generazioni. Non era cosa da poco ieri e, in una situazione così liquida ed articolata come quella attuale, non lo è oggi. Bisogna ribadire un assunto determinante: la scuola non è un opificio in cui il processo produttivo, se bene organizzato, dà sempre risultati standardizzati, previsti e prevedibili. Anche in una scuola che fosse priva di carenze e perfettamente organizzata i risultati sarebbero sempre aperti ed esposti al rischio ed all’insuccesso, perchè essa ha a che fare con la vita che cambia, con il nuovo che si presenta, con ciò che freme e fermenta nella società…

Fare scuola è tentare e ritentare, cercare e sperimentare; è sempre una navigazione in mare aperto, in cui la rotta va continuamente controllata.

Fare scuola (quando non si cede al vivacchiare) è un mestiere difficile in partenza. Meriterebbe da parte di tutti ben altra attenzione e considerazione. Invece accade che da sempre ed in particolare negli ultimi tempi di essa si parli tanto, ma poco si fa soprattutto da parte di chi ha le più alte responsabilità; e la scuola resta quello che è; ora tirata di qua ora di là, sempre più fa pensare alla punizione di Sisifo, costretto da Zeus a fare tanta fatica per trascinare in su un masso destinato irrimediabilmente a ricadere in basso. E quel poco che fanno quelli che reggono il sistema-scuola è più per apparire che per esserci sul serio, è estemporaneità ed improvvisazione, fuoco d’artificio volto a dare fumo negli occhi e a far finta di fare, senza un disegno strategico, senza continuità, mezzi adeguati, coerenza; senza un disegno strategico che parta dallo stato reale delle cose.

Ma un altro fattore incide sulla situazione che si sta descrivendo e che chiama in causa altri soggetti che segnano la vita sociale e la contaminano, un fattore che interviene potentemente e profondamente sulla formazione dei giovani il cui peso è ancora troppo poco presente e considerato.
Parlo dell’educazione indiretta, quella che il mondo adulto, i responsabili della cosa pubblica e chi svolge alte funzioni politiche economiche e sociali diffondono col loro agire; i quali molto spesso danno continui esempi di doppiezza, di corruzione e disonestà: predicano una cosa e ne fanno un’altra, mentono, spergiurano, raggirano, perseguono interessi personali, accecati dalle carriere, dalle cordate, dai posti di potere. E parlo, nel contempo, di quel fenomeno ancor più insidioso ed insinuante che riguarda la comunicazione, l’intrattenimento e il mondo dei social, che pervade società complesse ed articolate come la nostra, in cui tutto si fa spettacolo, in cui vincono e colpiscono la trasgressione, il gesto sopra le righe, l’atteggiamento spavaldo, la voce grossa, l’intolleranza e la sopraffazione, dove a dettare i palinsesti sono i dati dell’audience. E allora: se la nostra società funziona così, “educa così”, la scuola, fosse pure senza alcuna pecca, con concorrenti così efficaci- ahimè- dispero che potrà farcela. C’è una tabe intorno a noi, quella che genera il malcostume crescente e i gesti dei tanti Blanco.
Credo che chi tiene ad un futuro migliore, di costruzione e progresso nella libertà, nella responsabilità e nella cooperazione solidale non può non interrogarsi su questi fenomeni.




Scuola e comunità locale

Stefanel

di Raimondo Giunta

Il modello della scuola separata dal mondo, lontana dai turbamenti delle vicende quotidiane, se è esistito, ha compiuto il suo percorso e comunque ad ogni buon conto non avrebbe davanti a sè un grande futuro.

Con la nascita degli stati nazionali la scuola ha preso in carico il compito di legare le nuove generazioni ai valori e agli interessi delle nuove organizzazioni statuali. Da quel momento diventa luogo di riproduzione dei saperi e di formazione dei comportamenti ritenuti necessari per l’accesso ai ruoli di comando della società e per il mantenimento della sua coesione.

Pur separata ha coltivato un disegno egemonico sulla società; ha ritenuto di doversi considerare il suo “dovere essere”, di rappresentare il paradigma, l’esempio dei principi e dei valori che andavano ovunque praticati.

La scuola dell’educazione nazionale nasce nel seno della cultura illuministica e ne conserva ereditariamente i tratti, gli impulsi, le tensioni e le procedure.  E’ una scuola che non conosce i propri limiti e che crede di essere e rappresentare la “cultura”, di avere l’esclusiva della vera e unica educazione; di essere nella nazione la sola dispensatrice del sapere critico, razionale, dei valori estetici e spirituali.

La scuola del nostro passato è stata il luogo del testo scritto, dei linguaggi formali, dell’astrazione concettuale: strumenti indispensabili di riduzione, unificazione e mediazione dei saperi alti. Operazioni possibili proprio per la sua separatezza. E’ stata una scuola elitaria nella cultura dei suoi curricoli, selettiva nella sua organizzazione, discriminatoria nella sua composizione sociale.
Questa scuola ha dato ai saperi una propria forma, l’ha dato anche alle procedure di trasmissione, al rapporto conoscitivo con la realtà e al dialogo formativo. Se questa non era la” cultura”, è però stata la sua cultura, dalla quale le riesce difficile distaccarsi.

La scuola dell’educazione nazionale è stata necessariamente una scuola uniforme, accentrata, diretta dall’alto.
E’ stata gestita con ordini di servizio e direttive indiscutibili, come si credeva che dovesse essere l’enciclopedia dei saperi che doveva trasmettere; è stata una scuola che ha funzionato finché è stata piccola la platea dei suoi studenti, limitato l’accesso ad ogni grado di istruzione.  Ha funzionato finché è stata semplice la composizione sociale della nazione e finché governabili sono stati i processi di cambiamento tecnico e lo sviluppo delle conoscenze.

Negli ultimi decenni il contesto di riferimento della scuola è profondamente mutato, è diventato quasi irriconoscibile rispetto al passato. Si potrebbe dire con grande approssimazione che fino a ieri la scuola è stata la scuola degli stati e delle economie nazionali, la scuola del primo secolo di industrializzazione, ma che oggi si trova fuori posto nei tempi dell’universalizzazione delle economie e dei mercati, del deperimento degli stati nazionali e della costituzione di comunità statuali multietniche e multiculturali.
Pare a molti evidente che il sistema scolastico necessariamente debba scommettersi e sfidarsi in un nuovo cammino; dalla sicurezza delle precedenti stagioni deve avviarsi alla ricerca di una nuova identità.
La scuola deve vivere con consapevolezza il suo paradosso che è quello di innovare, ma anche di conservare; di confrontarsi con i cambiamenti, ma di non illudersi di poterli afferrare e assimilare nella loro interezza; di porsi ancora come momento possibile di unificazione nazionale, ma di dare spazio alla diversità,  di aprirsi alla pluralità delle culture locali; di trasmettere un patrimonio,  ma anche di innovarlo. La condizione di separatezza, che l’ha distinta, si deve sciogliere in un rapporto di reciproco dialogo e di scambio con la società. Tra scuola e società c’è qualche necessaria barriera, ma non la cortina di ferro.

L’autonomia della scuola è sembrata lo strumento adatto per far compiere alla scuola questo nuovo percorso. La scuola non più luogo di esecuzione, ma di ricerca e di elaborazione curriculare; di creatività didattica; luogo in cui trovano spazio la libertà professionale e la responsabilità del personale della scuola.  L’apertura al territorio che era stata nel passato una vaga opzione culturale è diventata oggi un compito specifico da assolvere. Il territorio non è più un ambito di conquista e di colonizzazione; il depositario di conoscenze, di valori e di simboli di una cultura ritenuta minore e pertanto da censurare e da rimuovere, ma un partner educativo.
Con l’autonomia la scuola, pur rimanendo dentro l’apparato delle istituzioni statali, incomincia a qualificarsi come ente di servizio territoriale, la cui funzione si esprime nella formulazione di proposte formative che devono tener conto del contesto locale e interpretarne la storia.

La scuola da luogo di conformità diventa luogo di confronto culturale e valoriale. La scuola si arricchisce perché si possono recuperare gli elementi di contiguità e di continuità col mondo circostante e perché in questo modo in ogni situazione si può riannodare il filo della comunicazione con le generazioni che ci hanno preceduto; la scuola può diventare luogo della ricostruzione della memoria e delle tradizioni locali.
L’accortezza e la sapienza delle scuole devono fare in modo che l’apertura al territorio non comporti l’irruzione acritica del folklore e dell’aneddotica municipale nel curriculum, perché il compito è quello di dare spazio ai saperi “altri” rispetto a quelli ufficiali, ma nella forma seria del sapere critico e storico e di comprendere che tra territorialità, spazio nazionale e relazioni internazionali si giuoca la partita della buona educazione delle nuove generazioni.




Tra scuola e società il dialogo è necessario, anzi indispensabile

di Raimondo Giunta

La scuola vive dei suoi rapporti con la società; si alimenta delle sue esigenze, si muove sulla spinta dei suoi problemi. Scuola e società reciprocamente si richiamano; si dovrebbero aiutare, ma più spesso negli ultimi tempi confliggono. Va da sé che per cogliere frutti buoni, però, è necessaria la loro stretta, solidale collaborazione, nella distinzione dei compiti e dei ruoli e nel rispetto delle funzioni professionali, culturali ed educative che in autonomia la scuola deve svolgere. Se la scuola non entra in sintonia con i problemi della società e con i temi culturali del proprio tempo, prima o poi perde la propria ragione d’essere.
La riflessione su questo nodo cruciale dell’istruzione deve essere permanente e costituirsi come principio di orientamento nell’azione quotidiana a scuola, per evitare il rischio che si avviti e si impoverisca nella sua solitaria autoreferenzialità. La scuola non può tenere né porte, né finestre chiuse. Operazione assurda e inefficace; ci penserebbero gli alunni e le famiglie eventualmente a portare dentro la scuola il mondo che sta fuori. Il problema è come la scuola debba pensare e vivere le questioni che agitano la società e questo non è di pacifica e concorde soluzione. C’è un modo proprio della scuola per svolgere questo compito e solo rispettandone stile e natura si possono avere risultati utili.
Nella costruzione del rapporto scuola-società ci sono scelte che attengono alle responsabilità generali dello Stato e scelte che sono nelle mani delle singole scuole, dotate degli strumenti che loro può dare l’autonomia.
Tutto, nel piccolo e nel grande, si sviluppa intorno al rapporto tra domanda sociale d’istruzione e capacità del sistema scolastico di soddisfarla. La composizione della domanda sociale di istruzione muta secondo i tempi, la forza sociale dei soggetti che la formulano, la natura dei bisogni collettivi che in un dato momento si pensa che possano e debbano essere soddisfatti.
Che la scuola anche quando lo voglia non riesca a tenere il passo con le esigenze della società è fatto naturale che non dovrebbe sorprendere. Le risposte del sistema di istruzione arriverebbero sempre con un po’ di ritardo… anche se fosse in grado di programmare e di applicare le innovazioni.


Compito della scuola non è la previsione delle esigenze della società, ma quello di interpretarle quando queste vengono esposte. Ogni realtà ha i propri tempi di funzionamento e il proprio statuto e prenderne atto è operazione dovuta e opportuna. Come comprendere che non esistono soluzioni definitive per i problemi della scuola. Le risposte del sistema di istruzione e formazione ad ogni buon conto sono nell’ordine del ragionevole e del plausibile. Questo non vuol dire volere una scuola effimera, ridiscutibile anno per anno.
La scuola deve avere un impianto solido, offrire curriculi strutturati e rigorosi con una parte ovviamente stabile e una riprogettabile che apra una finestra sul mondo
Nella domanda sociale di istruzione tende ad assorbire ogni spinta e a rappresentarla per intero quella che proviene dal mondo economico.
E’ una pretesa ricorrente dalla quale bisogna sapersi difendere, perché, se è impossibile teorizzare l’indipendenza dei processi di scolarizzazione rispetto a quelli economico-sociali, è altresì impossibile farne l’unico destino, perché la funzione professionale non è l’unica che deve svolgere un sistema scolastico.
Il mondo del lavoro e delle occupazioni, tra l’altro, per i processi continui di profonda, tumultuosa trasformazione che lo distinguono, non è un punto di riferimento stabile come nel passato e nessun sistema di istruzione può essere insensibile ai cambiamenti di costume, psicologici e sociologici dell’utenza scolastica. La scuola deve essere, infatti, sempre all’altezza del compito di socializzazione e di formazione culturale e umana delle nuove generazioni, al quale per nessun motivo può abdicare.
Nel leggere il rapporto tra scuola e società molti si soffermano sul loro scarso grado di integrazione; altri si lamentano dei tentativi di subordinare il sistema di istruzione alle leggi del mercato e delle imprese e di violarne l’autonomia. Per il sistema scolastico è quasi impossibile la simbiosi con la società; inaccettabile la sua subordinazione; convengono e sono proficui solo il confronto e il dialogo aperto e permanente nella diversità dei ruoli. Nel trattare questo problema non si può dimenticare che quando si parla del sistema di istruzione e formazione ci si deve riferire alla condizione attuale di pluralismo formativo, alla condizione, cioè, che vede la scuola in posizione di centralità fra tante altre agenzie formative, ma con connotati diversi rispetto a quelli che un tempo ne disegnavano l’indiscutibile supremazia.
E’ il tempo dell’industria culturale e della pervasività dei nuovi media. E’ il tempo dell’apprendimento lungo tutta la vita. E tutto questo rende molto difficile indicare una sola linea di confronto tra scuola e società, tra scuola ed esigenze individuali delle persone.
Ad ogni buon conto la scuola non può perdere il controllo del proprio programma culturale, ha la responsabilità di non disperdere la propria identità nell’allargarsi e nell’infittirsi dei suoi intrecci con la società; il mestiere della scuola consiste nel sapere escludere e selezionare i contenuti che devono entrare nei curricoli. Non deve rischiare di soffocare per ingordigia. La scuola non deve limitarsi ad assicurare una semplice continuità con la società che l’attornia o con le esperienze quotidiane.
”Essa è quella particolare comunità in cui si fa l’esperienza di scoprire le cose usando l’intelligenza e ci si introduce in nuovi e inimmaginati campi d’esperienza”(J. Bruner).
”La scuola è un luogo dove si svolge un particolare tipo di lavoro intellettuale che consiste nel ritirarsi dal mondo quotidiano, al fine di considerarlo e valutarlo;un lavoro che resta coinvolto con quel mondo, in quanto oggetto di riflessione e di ragionamento”(L. Resnick).
Il funzionamento del sistema formativo dovrebbe essere speculare all’apparizione di una nuova e consolidata tendenza esistenziale non più strutturata a blocchi (scuola/lavoro/pensione) ma segnata dall’alternanza di fasi di lavoro e momenti di formazione e dalla crescente importanza della capacità di apprendimento, dalla capacità di apprendere ad apprendere come si dice sempre più spesso.
Bisogna chiedersi, allora, che genere di cultura e di formazione debbano avere le nuove generazioni, che cosa debbano saper fare i giovani appena usciti dalla scuola, come sia possibile tenere il passo nei confronti delle trasformazioni della società e del mondo del lavoro.
Il sistema di istruzione svolge la sua funzione, se è in grado di progettare i curricoli che formano, a partire dalla scuola primaria fino all’università, le competenze richieste in questa fase storica dalla società nel suo insieme e non solo dal sistema economico-aziendale. Si parla da alcuni decenni di flessibilità, adattabilità, mobilità ed oggi di competenze chiave, di competenze trasversali, di soft-skills. Sono problemi di prima grandezza, bisognosi di risposte che devono contemperare l’immediato e la prospettiva, cioè difficili e nello stesso tempo transitorie. Nel mondo dei problemi con cui bisogna confrontarsi entrano da protagonisti nuovi contenuti, nuovi saperi, nuove tecnologie, nuovi media, personalizzazione dei percorsi formativi, ricerca di radici locali, conoscenza del mondo, momenti di creatività e di espressività. Vi restano con la loro forte presenza la lotta alla dispersione scolastica, la consistenza della cultura comune, le metodologie adatte ad esaltare l’iniziativa di chi apprende. Resta, inoltre, immutata la necessità di conciliare obiettivi di promozione umana e culturale con quelli di professionalizzazione e quella di evitare scelte precoci e socialmente inique.
Alla conclusione del corso di studi i giovano dovrebbero avere la capacità di riconoscere e controllare le condizioni e le modificazioni della propria condizione sociale e di lavoro. Dovrebbero sapere formulare ragionamenti chiari e fondati, compiere processi di astrazione, fare ordinate classificazioni, immaginare modelli ed enunciare generalizzazioni, procedere ad applicazioni del proprio sapere a casi nuovi e particolari.
La loro preparazione dovrebbe essere connotata da conoscenze specifiche e da metodologie tecniche relative alla professione di riferimento, se hanno frequentato scuole tecniche e professionali. La missione educativa della scuola non è più solo quella di arricchire una persona di conoscenze sempre più varie e complesse, ma anche quella di renderla sicura dei propri mezzi per affrontare in qualsiasi nuova situazione le proprie responsabilità di cittadino e di lavoratore.




E’ ora di andare …

di Carlo Baiocco

I ragazzi, nonostante i loro notevoli cambiamenti, nonostante siano generalmente sempre più demotivati, smarriti, disorientati, trascurati e sofferenti e, molte volte, malgrado anche i loro assenti, lamentosi, pretenziosi, iperprotettivi, invasivi ed intrusivi genitori, sono e restano pur sempre meravigliosi e combattivi, ma la Scuola ormai, ospitata spesso in strutture penose, fatiscenti e non a norma, spinta e ridotta a pie’ sospinto in vincoli, catene e macerie da sterili, ripetitivi, pressanti mansionari impiegatizi, da prepotenti, manichee standardizzazioni ipervalutative, da tassonomie fuorvianti e demagogiche, da sigle vuote ed insensate e da normative fortemente illiberali, dissennate e mortificanti ed abitata per lo più da dirigenti saccenti, presuntuosi, incapaci, inetti, evanescenti ed autoritari ed insegnanti sudditi proni, cortigiani imbelli e del tutto indifferenti allo sfascio, è ridotta pressoché ad un deserto di sentimenti oppure, sempre più spesso, ad una barbarie di sentimenti.

Quasi tutti tacciono, chi può fugge e chi non può vorrebbe fuggire!
È ora che chi, come me, ne ha conosciuto l'”età dell’Oro” e ci si dibatte, sia pure rannicchiato in buna nicchia in cui più nessuno, per indifferenza, deferenza e timore, ha l’ardire di rompergli i gabbasisi, si faccia finalmente da parte!… da brillante, aggiornato, preparato, attivo, fattivo, appassionato protagonista ad inquieto, ribelle, oppositivo antagonista ed, infine, a rassegnata comparsa scomparsa!
Il mio pregresso “curriculum scholae” è davvero vittorioso, assai vasto ed “alto”, ma il mio cuore, ora, è davvero assai perdente e straziato!

Non riesco più, in questa Scuola piagata e piegata, ad essere il cambiamento che vorrei!
Ancora riesco a sorridere ed a ridere, tanto, con molti di tutto ed anche di me stesso e resto ciò che ero e sono solo attraverso l’ironia, l’autoironia ed il sarcasmo, sinceri e sprezzanti, ma anche patetici!

Ho avuto, prima, innumerevoli, edificanti, piene, fervide gioie e successi, così come ho, adesso, , esperienza e cognizione tanta di grigi, avvilenti, inevitabili sconfitte, dolori ed amarezze….
Uniche certezze: non ho certamente cambiato la Scuola, ma la Scuola non ha cambiato me, che vado via a testa alta, con mente lucida e mai compromessa, cuore tenacemente puro e resistente ed il tesoro grande dei miei grandi, infiniti “doni”, dati e ricevuti da molti genitori, da alcuni colleghi e dirigenti stimabili e, soprattutto da tutti, tutti i “miei” ragazzi “belli”!

 




La scuola che vorrei

di Raimondo Giunta

L’erba voglio non cresce e non è mai cresciuta da nessuna parte e tantomeno a scuola. La scuola che volevo, però, mi ha aiutato nei tanti anni di servizio a superare le difficoltà del momento e a rendere migliore quella che abitavo.
La scuola è oggi in rotta di collisione con la vita quotidiana delle famiglie e dei giovani; gli orari, il calendario, la struttura fisica degli istituti sono espressione di un ordinamento, compatibile con altri ritmi di vita, con altre regole sociali, con altre tendenze dei rapporti umani. L’attuale struttura della scuola è lo specchio della società come era qualche decennio fa.

Alla radice del disagio scolastico, che può debordare in degrado, si trova questa crescente contraddizione tra quotidianità e scuola, bisogni riconosciuti della società e organizzazione scolastica.

La scuola italiana ancora oggi in moltissimi casi è fisicamente preordinata alla sola attività didattica delle lezioni. In molte scuole non si può fare nemmeno l’educazione fisica per mancanza di palestre; non si fa decentemente ricreazione per mancanza di cortili; sono entrati i laboratori, ma non ancora la didattica laboratoriale.  Se funzionasse bene, ma non è così, essa sarebbe funzionale solo ai compiti di istruzione, alla formazione intellettuale, ma oggi tutto questo, per quanto importante possa essere, non basta. I giovani in questo particolare momento della società hanno bisogno di qualcosa di più. Hanno bisogno di cura della persona, dell’attenzione a tutti gli aspetti non intellettuali della loro formazione(sensibilità/affettività/valori).

Queste nostre scuole piene di discipline, di ore di lezioni, di compiti pomeridiani, di progetti, ma privi di spazi e di momenti di convivialità cominciano a fare danni. L’adeguamento dei curricoli, che maniacalmente si sbandiera ad ogni cambio di governo e di ministro, deve andare di pari passo con la trasformazione radicale degli spazi e del tempo scuola, se vuole raggiungere i risultati che si propone.  Ma non basta. Le sorti dell’innovazione e dell’efficacia del servizio scolastico sono nelle mani degli insegnanti, mai così maltrattati e mai così poco difesi ed apprezzati dalle famiglie, dall’opinione pubblica e dall’amministrazione. Con un esercito smisurato di sottoproletari della cultura è già tanto se la scuola si tenga in piedi.

Ristabilito, come il buon senso richiede e come si fa in altre nazioni, il decoro sociale dello status degli insegnanti, perchè devono poter svolgere il proprio lavoro senza imbarazzo e senza umiliazioni, bisognerebbe fare una rivoluzione professionale per cambiare un mestiere ritagliato solo per alcuni compiti. L’insegnante deve poter sapere non solo che cosa insegnare e come, ma anche e soprattutto chi sono i suoi allievi, in che genere di ambiente e di famiglia vivono, in che genere di società loro stessi e gli alunni vivono. Ci vuole più cultura pedagogica, più cultura istituzionale, più cultura sociologica, più cultura psicologica..

La società italiana con i fondi del Recovery fund potrebbe avere una scuola diversa: scuola aperta dalla mattina alla sera, scuola con spazi, scuole con mense, scuole con convitto, scuole con più e diversi operatori; scuole con più libertà, scuole con più mezzi; scuole integrate nel territorio. Ecco è questa la scuola che vorrei per gli studenti, per gli insegnanti e per le famiglie.