Si fa un gran parlare del fatto che la bozza del regolamento che dovrebbe disciplinare il concorso per dirigente tecnico con funzione ispettiva sia una svolta per adeguare tale figura alla scuola dell’autonomia.
I posti non saranno più suddivisi tra settori e sottosettori perché si opterà per una figura “generalista” come è stato per il dirigente scolastico.
Si tratta sicuramente di una novità positiva che giunge in ritardo, ma a mio avviso non rappresenta la vera svolta nell’utilizzo di questa figura come risorsa realmente fruibile dalle scuole come risorsa.
Ho recuperato a proposito il contributo di Mario Maviglia in questo sito
perché mette ben in evidenza due elementi che ostacolano un vero cambiamento nell’utilizzo degli ispettori: il numero esiguo a livello nazionale, direi ridicolo, rispetto al numero degli istituti scolastici e il loro impiego prevalente nella funzione di controllo che li rende più una risorsa del Ministero per attività amministrative e per le emergenze che una risorsa che le scuole possono realmente utilizzare in modo diretto e continuativo.
Apparentemente parlare di ispettori potrebbe sembrare un argomento per addetti ai lavori, invece riguarda tutti, per questo vorrei aggiungere qualche ulteriore considerazione sul ruolo che gli Ispettori possono svolgere proprio per rilanciare l’autonomia scolastica. Continua a leggere
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Concorso ispettivo: chi ha tempo aspetti tempo
Si farà? Non si farà?
È la domanda che in questi giorni attraversa imperiosamente l’Italia togliendo il sonno a tante persone. Sembra però che questa sia la volta buona: dopo tanta spasmodica attesa, finalmente si arriverà al dunque, qualunque cosa ciò voglia dire. Ma un po’ di cautela è d’obbligo; d’altro canto per fare le cose per bene ci vuole del tempo. Non dimentichiamo che anche il Padreterno (non so se rendo l’idea…) per fare il mondo ci ha impiegato sei lunghi giorni e al settimo si è addirittura riposato! Ed era Lui!
La domanda inziale non si riferisce al Ponte sullo Stretto e nemmeno alla lotta all’evasione fiscale. In fondo questi interventi sono quisquilie rispetto all’impresa titanica che attende il Ministro dell’Istruzione (e del Merito, non dimentichiamolo!): l’emanazione del bando di concorso per ispettori tecnici! (Anzi, più correttamente, per dirigenti tecnici con funzioni ispettive. Le parole sono importanti in un’epoca in cui tutto tende a confondersi e a slabbrarsi, qualunque cosa ciò voglia dire…).
Pensate che l’ultimo concorso si è concluso dieci anni fa, dopo un iter durato cinque anni. Continua a leggere
Comunità educante o dis-educante?
A proposito del concetto di “comunità educante” é apparso con forza, intendo con intenzione persuasiva, nell’ultimo contratto nazionale del comparto scuola, all’articolo 24, che qui mi permetto di riportare: “La scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, improntata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”.
Il secondo comma sottolinea: “ Appartengono alla comunità educante il dirigente scolastico, il personale docente ed educativo, il DSGA e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, nonché le famiglie, gli alunni e gli studenti che partecipano alla comunità nell’ambito degli organi collegiali previsti dal d.lgs.n.297/1994”
Credo risulti evidente a tutti l’eccessiva enfasi con cui è stato steso tale articolo che avrebbe dovuto essere, secondo me, più che una asserzione così convinta, un auspicio.
Ciò che infatti penso sia sotto gli occhi di tutti oggi (ma improvvisamente mi viene un dubbio: sotto gli occhi di tutti?) sono le “derive sociali”, a dir poco nefaste che, nella migliore delle ipotesi, gli educatori, docenti, genitori e tutti quelli che il contratto elenca come appartenenti alla cosiddetta comunità educante, dovrebbero darsi da fare soprattutto per contrastarle, non per confermarle! Naturalmente se sono ancora in grado di riconoscerle come derive diseducative e pericolose, vale a dire se non sono ancora stati sommersi da esse anche loro…. Continua a leggere
Con il PNRR molti soldi per molti progetti, ma manca un progetto
di Nicola Puttilli
Sta crescendo la sensazione che anche per la scuola la valanga di risorse che si sta riversando con il PNRR sia, appunto, soltanto una valanga, una massa imponente e inattesa destinata a sciogliersi nel tempo senza, praticamente, lasciare traccia. In questi mesi assistiamo al paradosso di dirigenti scolastici che lamentano l’arrivo massiccio e continuativo di finanziamenti, quasi sempre vincolati alla digitalizzazione, manifestando quasi il pudore di dover continuare a spendere per materiali e servizi di cui già si ha ampia disponibilità o, comunque, considerati non prioritari. Senza dubbio una singolare constatazione per un sistema che ha visto un progressivo e inesorabile depauperamento di risorse nell’ultimo trentennio.
Ma il paradosso che colpisce maggiormente, nell’epoca della moltiplicazione dei progetti e dei progettifici, è proprio la mancanza di progetto.
Il più grande problema della scuola italiana, sia in termini di equità sociale sia di freno allo sviluppo economico del Paese, è quello della dispersione scolastica e della forte disomogeneità nell’acquisizione di competenze fra i diversi territori (nord-sud, centro-periferie, ecc).
Basta dare uno sguardo ai paesi che più e meglio di noi hanno risolto questo problema per capire che la chiave sta tutta in una didattica attiva, modulare, laboratoriale, attenta alla qualità della relazione. L’esatto contrario della didattica frontale e trasmissiva, inesorabilmente uguale per tutti, da sempre imperante nelle nostre scuole. Del resto c’è poco di che stupirsi, né più né meno di ciò che, dall’inizio del secolo scorso, hanno sostenuto tutti i pedagogisti più illustri , da John Dewey alla nostra Maria Montessori, fino a Célestin Freinet che ha, fra l’altro, ispirato quel Movimento di Cooperazione Educativa che ha fortemente contribuito all’unica vera riforma dal basso, la sola possibile, della nostra scuola.
Trasformazione in senso democratico e ugualitario, suggellata ed enfatizzata dalla lettera di Don Milani, ma che ha avuto insormontabili limiti di natura storica e geografica. Ha infatti dato il meglio di sé tra i primi anni ‘60 e la fine degli anni ’70, soprattutto in alcuni comuni del nord decisi a investire in educazione nelle scuole materne, allora non ancora di competenza statale, con esiti di assoluta eccellenza (Reggio Emilia, Torino, Milano, Bologna, per citarne alcuni) e nella scuola elementare, di nuovo principalmente al nord, fino a produrre fondamentali provvedimenti legislativi come la legge 820 sul tempo pieno e la 517 sulla valutazione formativa e l’inserimento dei disabili.
Non lo psicologo ma tanta psicologia per curare le patologie della scuola
di Giovanni Fioravanti
Lo psicologo a scuola c’è ormai da tempo, con un eccesso di certificazioni per ogni disturbo specifico dell’apprendimento, per ogni bisogno educativo speciale.
È la scuola che non è mai ricorsa all’ausilio di uno psicologo per curarsi, eppure è da tempo che si segnalano vere e proprie malattie, crisi di identità, malesseri, sintomi di disadattamento e di sfinimento, addirittura pare che sia la scuola ad essere dannosa a se stessa. Ma non è attraverso il continuo ricorso alla clinica che la scuola può pensare di guarire dalle sue patologie.
La scuola più che di psicologi ha bisogno di psicologia a tutti i livelli.
Nelle professioni di relazione la competenza psicologica è fondamentale. Nella scuola questo vale dall’ultimo dei collaboratori scolastici fino al primo dei dirigenti.
Ma la relazione tra psicologia e scuola nel nostro paese non è mai stata delle più felici.
Ci aveva tentato, all’indomani della Liberazione, Carleton Washburne, pedagogista statunitense, a capo della ricostruzione della scuola italiana, mandando cinque insegnanti della scuola elementare all’Università di Ginevra perché apprendessero le teorie di Piaget. Ma il progetto naufragò perché il governo italiano di allora non aveva i soldi per pagare il viaggio e il soggiorno.
A proposito di autonomia funzionale e PNRR, caro Stefanel, ti scrivo… .
- La prima delle tre parti dell’articolo di Stefanel[1], pubblicato qualche giorno fa su questa Rivista, si conclude, dopo aver elencato la maggior parte degli investimenti del PNRR per la scuola (PNRR “Dispersione e divari territoriali, PNRR Classroom e Labs, Docenti Tutor, Piano Nazionale Scuola Digitale – STEAM, Poli Formativi per la transizione digitale ….), con le seguenti considerazioni: “…. ritengo che le tempistiche [dei vari investimenti] siano mal modulate, le finalità non sempre chiare e l’impianto piuttosto debole nella sua strutturazione didattica e contorto in quella economica e gestionale.” Considerazioni che ho letto come una sostanziale bocciatura dell’operato ministeriale.
La seconda parte vira invece specificamente sulle questioni della natura e della gestione del sistema scolastico nazionale e introduce la problematica dell’autonomia scolastica, definita ‘funzionale’ nel Regolamento dell’Autonomia[2] e ne richiama la differenza rispetto alle autonomie locali. E questo perché l’autore dell’articolo ritiene che la ‘debole comprensione’ di tale differenza porti molti ds, docenti e dsga a pensare “ che lo stato debba negoziare con le autonomie funzionali [tra cui la Scuola] i suoi obiettivi di sistema [essendo queste] deputate a sviluppare, nella realtà locale in cui operano, gli obiettivi del sistema”.
Considerazione che lo spinge a pensare che anche i progetti e gli investimenti del PNRR, che rispondono a obiettivi di sistema (volti a superarne difficoltà e criticità) difficilmente potranno andare a buon fine in quanto sono destinati ad essere neutralizzati – semplifico sperando di interpretare correttamente l’assunto di Stefanel – da quegli insegnanti che non vogliono sottostare ad essi in nome dell’autonomia funzionale. E continuare quindi – tali insegnanti – in una “pratica didattica ancora trasmissiva e cartacea che ormai non ha uguali nel mondo” e ad una pratica valutativa che li rende “paladini dei voti bassi e delle bocciature in nome della libertà d’insegnamento, considerata come un bene assoluto del docente”.
Autonomia scolastica, autonomia differenziata, Pnrr
Il primo anno scolastico “regolare” dopo la pandemia finisce in un turbine di scadenze, adempimenti, progetti, che determinano, nei dirigenti scolastici e nelle scuole, una sovrapposizione tra pareri personali e azioni istituzionali.
Proviamo dare una forma sintetica ed ordinata all’obiettivo disordine che circonda le scuole:
- PNRR Classroom e Labs, cioè gli acquisti per la transizione digitale nelle scuole: entro il 30 giugno (ma tutti sperano, auspicano, brigano per uno slittamento del termine di almeno tre mesi) bisogna chiudere la procedura negoziale per finanziamenti cospicui che si contano a centinaia e non a decine di migliaia di euro.
- PNRR “divari territoriali” (D.M. 170/2022), cioè le azioni per contrastare la dispersione scolastica nelle scuole individuate dal Ministero appoggiandosi soprattutto ai risultati nell’Invalsi da strutturare e organizzare secondo target definiti, ma con sfumature interpretative non da poco e che devono essere organizzati per partire quanto prima.
- PNRR Poli Formativi per la transizione digitale che devono raggiungere un target specifico di soggetti formati (docenti e ata) per attività formative connesse alla transizione digitale, comunque non obbligatorie.
- Piano Nazionale Scuola Digitale – STEAM che dovrebbe concludere al 30 giugno le sue attività formative sempre di carattere non obbligatorio (con una patologia evidente che permette ai docenti di iscriversi anche a 20 corsi contemporaneamente e poi a non frequentarne nessuno, abbassando il target minimo e rendendo inattuabile il corso).
- DOCENTI TUTOR da individuare entro il 31 maggio e poi da avviare ad una formazione estiva per poi iniziare le attività di tutoraggio a settembre.
- PIANO NAZIONALE DI FORMAZIONE 2023 finanziato ai primi di aprile che deve concludersi entro il 31 agosto con ingenti somme non spendibili viste le tempistiche (anche qui è necessaria, logica, indispensabile una proroga a fine novembre).
- Attività formative finanziate anche qui con oltre centomila euro di media per scuola con i DM 65/2023 – “Nuove competenze e nuovi linguaggi” e DM 66/2023 – “Didattica digitale integrata e formazione alla transizione digitale per il personale scolastico“.
- Liceo del Made in Italy, avviato con una certa fretta operativa che va a scontrarsi con un’offerta formativa che dovrebbe essere ponderata soprattutto in rapporto ai numeri molto decrescenti degli studenti.