Lo sceriffo e l’insegnante

di Raimondo Giunta

Sceriffi a scuola si diventa da dirigenti, perchè l’ultima manomissione del sistema scolastico a questo tendeva, anche se si è provveduto ultimamente a fare qualche cambiamento.
Un passaggio che a molti dirigenti sembra naturale compiere, perchè di fatto nell’autonomia sono prevalenti i tratti amministrativi su quelli culturali e pedagogici; amministrativi, non gestionali.
E in amministrazione si finisce per amare il potere gerarchico e il potere di vigilanza…A tanti di questi amministrator/dirigenti scolastici sfugge che la scuola appartiene ad un territorio, ad una comunità con cui deve mettersi in rapporto e che questo fatto cancella l’autoreferenzialità del capo che ogni giorno dirama gli ordini di servizio ai propri dipendenti.
Quel che è grave è il disconoscimento praticato e a volte esibito della particolare struttura collegiale della gestione della scuola, attenuata, ma non cancellata.
Nella collegialità il dirigente non è il primus inter pares, ma solo uno dei tanti come viene sottolineato da Mario Maviglia.


Per un’istituzione che eroga saperi e formazione in una società democratica la collegialità non è un’opzione, ma una sua interna necessità, perchè il lavoro che vi si svolge può dare frutti solo se ogni insegnante, collaborando con gli altri insegnanti e con il dirigente, lavora con scienza, con coscienza e in libertà.
L’autonomia non è il luogo in cui può scorrazzare il dirigente, ma lo spazio in cui deve potersi esprimere per il bene degli alunni la responsabilità e la professionalità di ogni docente, aspetto che gode ancora della tutela della Costituzione.
L’autonomia non funziona spesso non solo per colpa dei piccoli autocrati che non hanno senso delle istituzioni, ma anche per mancanza di “autonomia ” dei docenti, che non conoscono la propria forza o che si lasciano trascinare nella corsa sgradevole al premio che il dirigente vorrebbe elargire, senza alcuna trattativa.
La scuola è un’istituzione pubblica, forse l’unica, che ancora conserva le stimmate della grande stagione della democratizzazione della pubblica amministrazione, ma anche l’unica nella quale chi ha qualche potere spesso svicola per non esercitarlo.
Solo dirigenti che amano l’autonomia professionale dei docenti e insegnanti che ci tengono a dare il proprio contributo potranno salvare la scuola e darle un futuro.




Rilanciare l’autonomia scolastica per combattere la dispersione

di Pietro Calascibetta

Mario Maviglia, in un articolo sul sito “Nuovo PavoneRisorse”, ci ricorda che la “ scuola” la fanno gli studenti e i docenti. Le altre figure, dal Ministro al Dirigente scolastico, sono secondarie, o meglio, sono importanti, ma esistono in funzione dei due protagonisti principali con il compito di supportarli e di facilitare la loro interazione. Basta un docente e un discente per fare “scuola” come provocatoriamente ci suggerisce giocando a “scegliere/salvare due-tre oggetti” da portare in un’isola deserta.
Guardando da vicino soltanto questo studente e questo docente l’uno di fronte all’altro possiamo renderci conto che la “scuola” si realizza certamente in qualsiasi luogo, non solo e non tanto se c’è la presenza fisica, ma se c’è un’interazione comunicativa che riesce a trasformarsi in relazione educativa che poi è il vero interruttore che dà avvio al processo di apprendimento.
Un processo laborioso e complesso alimentato dalla comunicazione tra i due protagonisti, dalla cui efficacia dipende l’esito di questa straordinaria magia che è l’apprendimento che permette alle persone di poter utilizzare appieno le potenzialità del proprio pensiero e di diventare risorse per la comunità in cui vivono.
A volte sfrondare la complessità ci permette di andare direttamente al nocciolo delle questioni.
Non è dunque indifferente per la qualità dell’apprendimento la condizione con cui avviene l’interazione perché ne determina la qualità: il rapporto numerico tra docenti e studenti in una classe, il numero degli studenti e delle classi che deve seguire un docente, il tempo a disposizione in aula per una comunicazione simmetrica, la possibilità di ascoltare le domande degli studenti durante la lezione, la possibilità di lavorare con lo studente ad un compito di realtà, fare la lezione frontale o lavorare in piccolo gruppo in laboratorio ecc. In altre parole l’assetto didattico-strutturale del “fare scuola”.


A fronte della situazione di sofferenza in cui versa la scuola oggi è giusto domandarsi in che condizioni avviene l’interazione nelle nostre classi e quale sarebbe dovuto essere il ruolo dell’autonomia scolastica nel migliorarne l’efficacia.

L’autonomia scolastica nasce per capovolgere la modalità tradizionale del fare scuola e di sviluppare i curricoli disciplinari. Non più un impianto didattico- strutturale con condizioni di interazione uguale per tutti con un organico solo in proporzione delle classi, ma tante strutture in base alle esigenze del contesto con tanti organici diversi.
L’autonomia va oltre la libertà di insegnamento del singolo docente perché dà alla comunità scolastica la libertà di trovare un assetto strutturale proprio e originale dove la libertà di insegnamento possa dispiegarsi in modo più efficiente ed efficace grazie alla ricerca di modalità innovative di interazione.
L’autonomia quindi è sì didattica, ma anche organizzativa e non solo, è altresì “autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo” perché senza un progetto e un’ipotesi da cui partire l’organizzazione diventa fine a se stessa.
Le tre autonomie non sono opzioni, possibilità tra cui scegliere, ma fanno parte di un unico combinato. Il “core” dell’autonomia scolastica sta nella sinergia tra questi tre piani.
Struttura e organico dei docenti sono però due elementi interconnessi nella progettazione scolastica.

Se blocchi l’organico, blocchi l’autonomia progettuale, o meglio la limiti entro un preciso recinto standard uguale per tutti. Una contraddizione rispetto alle finalità dell’autonomia. Fai parti uguali per diseguali. Questo è ciò che è accaduto all’autonomia e alla scuola italiana.
Sul piano operativo la condizione fondamentale per poter concretamente far interagire le tre autonomie è quindi di poter disporre di un organico adeguato al progetto didattico- strutturale che si deve mettere in atto.
Non un organico uguale per tutti, ma un organico su misura per tutti.

Proprio per questo motivo era stato prevista a ragion veduta dalla stessa normativa dell’autonomia la possibilità di assegnare alle scuole un “organico funzionale” .
Come è andata? Dopo i primi due anni di sperimentazione non se n’è più parlato. E’ così che nell’indifferenza di molti è avvenuto un depotenziamento tombale dell’autonomia!
La scuola autonoma che oggi vediamo non è la scuola autonoma che avrebbe dovuto essere.
E’ per questo motivo, a mio avviso, che le condizioni in cui si verifica oggi l’interazione docente-studente nello sviluppo dei curricoli disciplinari non aiuta i processi di apprendimento soprattutto nelle fasce deboli di studenti ed è una delle cause della dispersione.
Di questo scrivo ampiamente in un contributo dal titolo “Autonomia scolastica e organico funzionale. Un matrimonio che s’ha da fare!” pubblicato sulla “RIVISTA DELL’ISTRUZIONE” diretta da Giancarlo Cerini che nel numero 4/2020 affronta i temi dell’autonomia e dell’organizzazione. https://www.periodicimaggioli.it/…/rivista-dellistruzione/
Io credo che sull’innovazione didattica molto si è fatto in questi anni e lo dimostra ampiamente  il “miracolo” di una DaD organizzata dal nulla grazie alle competenze di molte avanguardie presenti nelle scuole nonostante tutti i suoi limiti e lacune.

Puntare sul reclutamento degli insegnanti, sulla formazione e sulla manutenzione in itinere della competenza è una delle cose importanti da fare per sostenere la professionalità docente nella relazione, ma non è stato sufficiente e non lo potrà essere in futuro perché qui siamo ancora nel territorio della libertà di insegnamento.
Ciò che manca è l’avvio di una innovazione organizzativa e strutturale e di una semplificazione burocratica. Proprio quello che l’autonomia aveva promesso per uscire dalla sacca su cui si arena quotidianamente la didattica nonostante la bravura di molti docenti.
Perché riaprire il discorso sull’organico funzionale proprio ora ?
Mi sembra importante proprio in questa fase in cui si cerca di capire in che modo far ripartire la scuola e soprattutto in che modo investire gli eventuali fondi europei, ricordare che esiste un modo diverso di assegnare gli organici e quindi utilizzare le risorse da quello fin qui utilizzato e che si vorrebbe continuare ad utilizzare. Una modalità coerente con le finalità originarie dell’autonomia scolastica.

La scuola non ha bisogno di qualche docente in più i per fare qualche bel progetto in più. Il termine “potenziare” è fuorviante. Qui non si tratta di potenziare quello che si fa, ma di ristrutturare le modalità con cui si sviluppa la didattica curricolare in modo da poter realizzare realmente quanto suggeriscono le varie Indicazioni nazionali . Anche la didattica per competenze stenta a decollare perché non riesce a stare dentro una struttura rigida e unica per tutti! Non si può fare didattica per competenze se la lezione frontale è l’unico modo di fare lezione!

Noi non ci siamo accorti che si sono formate di fatto due scuole . Da una parte la scuola ordinaria, quella del curricolo, che va avanti imperterrita e che non guarda alle “caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti” perché non può adattare la propria struttura ai bisogni di tutti, come avrebbe permesso l’autonomia, e che di fatto marginalizza i ragazzi in difficoltà come dimostrano le statistiche della dispersione scolastica e degli abbandoni soprattutto nel biennio della secondaria, come si continua a ripetere nei convegni, negli appelli, nei webinar.

Dall’altra abbiamo una scuola parallela in continua espansione, quella dei progetti di recupero, dei corsi mordi e fuggi alla fine dell’anno per sanare le insufficienze, delle iniziative per contrastare la povertà educativa, delle partnership con il terzo settore chiamato a supplire ciò che la scuola non riesce a fare, delle lezioni private per chi ha i soldi , dei compiti a casa per chi ha la fortuna di avere genitori competenti e collaborativi. Per carità, tutte buone azioni, ma che hanno un sapore paternalistico che coprono i limiti della scuola ordinaria.
Questa scuola parallela si dedica alla “riparazione” di ciò che la scuola ordinaria della filiera curricolare non riesce a fare nonostante gli investimenti sulla formazione, sull’innovazione didattica, le classi capovolte, la tecnologia , l’abnegazione di tanti docenti e chi più ne ha più ne metta.

Per chi non se ne fosse accorto, il sistema scolastico crea oggi due categorie di studenti: i regolari e gli assistiti ; questo assorbe poi risorse finanziarie con risultati discutibili che potrebbero benissimo essere utilizzate per introdurre un organico funzionale ad una didattica inclusiva per tutti.
Dedichiamo le risorse del welfare alle famiglie affinché possano offrire ai propri figli un ambiente più sereno e adeguato alla loro crescita e allo studio, ma non facciamo del welfare una metodologia didattica!
Un sistema scolastico che produce dispersione non è efficiente né efficace e aggiungo né democratico.
Una scuola credibile è una scuola in grado di garantire il successo formativo per tutti nel percorso ordinario, non una scuola che lascia la responsabilità del successo formativo ai corsi di recupero spesso esternalizzati..
Non vanno “riparati” gli studenti, va riparato il sistema!
Non è questa forse una vera questione di politica scolastica? Di qualità dell’istruzione?
Non è un modo di dare #dignitàallascuola oltre che #prioritàallascuola ?

Diamo allora alle scuole dopo 20 anni finalmente il poter esercitare pienamente l’autonomia dando la possibilità di chiedere le risorse (docenti, assistenti tecnici, collaboratori scolastici e ovviamente anche i materiali) necessarie per attuare i loro progetti didattico-strutturali in accordo anche con i propri territori di cui sono espressione nella logica dell’autonomia, avendo fiducia nella creatività e nella professionalità degli insegnanti, liberando finalmente l’empowerment dell’autonomia scolastica che tanto spaventa chi ama il centralismo.
Dando la responsabilità alle scuole, anche il Bilancio sociale può avere quel significato e quel valore per la comunità del territorio che avrebbe dovuto avere e che oggi non ha .




“Innovare il curricolo”, il libro di Stefano Stefanel scritto in pieno lockdown

di Ariella Bertossi

Timidamente noi, fieri di essere parte del “suo gruppo”, esibiamo quasi con pudore la nostra piccola copia del suo ultimo libro con dedica. Ne scrive una per ciascuno, quando andiamo a prendercela scappando dal nostro mondo così complesso: andiamo a trovare Stefano Stefanel nella sua scuola a Udine.
Durante la pandemia alcuni dirigenti scolastici del Friuli Venezia Giulia hanno trascorso virtualmente insieme un lock down comune, ritrovandosi settimanalmente in meeting a tema.
L’idea è nata per accompagnare i primi passi dei nostri colleghi neo dirigenti, provati da una prova del fuoco terribile e successivamente per condividere, insieme a tutti i nostri dubbi, anche le nostre strategie, le idee, le azioni e la determinazione nell’affrontare le difficoltà di un periodo che in ogni momento chiedeva nuovi adattamenti.
I vari appuntamenti sono diventati sempre più importanti, sempre più attesi e sempre più interessanti. Ci abbiamo scherzato su, ma così come durante un’epidemia è nato il Decameron, anche durante il nostro isolamento qualcosa di buono si è creato.
Li abbiamo chiamati “Incontri sotto le stelle” perché si sono tenuti nella parte finale delle nostre dure giornate e la crescita è stata per tutti, non solo per i nostri colleghi più giovani. Instancabili e con piacere sono venuti a trovarci i più grandi nomi del panorama pedagogico e didattico italiano, tra gli altri sono stati con noi Roberto Maragliano, Giancarlo Cerini, Franca da Re, Raffaele Iosa, Roberto Trinchero, Franco de Anna: Stefano Stefanel a fare da cornice e padrone di casa.
Lui è il mentor di tutti noi, è l’insegnante vero, quello che tutti vorremmo avere, quello che ti fa credere in te stesso perché comprendi che è lui per primo a credere in te. La sua capacità di sintesi, di vedere e di comprendere non solo le vie d’uscita, ma soprattutto i problemi che ci stanno opprimendo, si trova tutta nel suo ultimo libro “Innovare il curricolo”, un’utile lettura in questo periodo e del tutto condivisibile nei contenuti.


Mentre insomma il Covid-19 consumava tutte le nostre energie, l’instancabile Stefanel ha meditato, scritto ed elaborato il pensiero su quelli che sono i temi caldi del momento nel mondo della scuola. Sembra un libriccino, ma dentro c’è tutto, tutto quello che serve alla scuola. Ancora una volta il nostro mentor ha colto nel segno, riuscendo ad individuare le sfumature e le necessità per poter operare a passo con i tempi.
Le scuole non hanno le stesse velocità: alcune hanno preso il volo, altre arrancano per stare dietro a quanto di continuo si propone e alle novità legislative, ma sia per le prime che per le seconde il tempo di revisione e ristrutturazione del curricolo è sempre il presente. Questo libro da’ indicazioni precise, un manuale utile e pratico, come sempre l’autore sa fare. Partendo dagli esempi concreti di linee di indirizzo per la stesura del PTOF da dare al collegio, passando attraverso Don Milani e le Charter School, nei vari capitoli si affrontano i punti focali del dibattito sulla scuola.
L’educazione civica è la novità di quest’anno e viene proposta sia nella dimensione valutativa che in quella progettuale, spiegando come applicare nelle scuole i due diversi approcci. In un paio di pagine sono racchiuse delle profonde riflessioni relative allo studio della storia. Alludendo a quanto accade anche nel nostro paese (ad es. il negazionismo della Shoah, l’uso del saluto fascista, l’associazione comunismo-nazismo) si condanna la scelta riduttiva dello studio del Novecento, ripreso alla fine della terza media e in quinta superiore, senza quella continuità verticale che sarebbe auspicabile come approccio.
La comprensione dei fenomeni storici importanti sfugge pertanto agli studenti, racchiusi in percorsi che sembrano più macchine che linee del tempo e non facilitano la contestualizzazione di ciò che studiano con quanto poi fanno nella vita reale.
La via d’uscita è la proposta di separare il Curricolo di Storia dal Curricolo della Memoria, il primo per i nostalgici dei Programmi, il secondo per lo sviluppo di quelle competenze civiche e di cittadinanza che forse più di tutte la scuola dovrebbe dare.
Molto interessanti sono anche i capitoli sul digitale, con l’attenzione al BYOD e quello sul curricolo e valutazione. Ora che anche Riccardo Muti ha demonizzato i pifferi a scuola, siamo tutti più sereni e convinti della necessità di rivedere le consuete modalità didattiche nell’approccio alla musica, con buona pace di tutti i vicini di casa degli scolari d’Italia. Le riflessioni sono ampie condivisibili, ma non vorrei spoilerare di più: causa Covid non saranno possibili incontri con l’autore, un peccato perché anche a voce l’interazione con Stefanel sarebbe stata piacevole.
Direi che il libro è un buon strumento di lavoro per chi di scuola si occupa e una guida per rimettere in discussione certe pratiche ormai datate e documenti che rischiano di essere sterili incombenze invece di utili piste di lavoro.




Per una politica scolastica “banale”

di Mario Maviglia

Avete presente quel gioco in cui vi si chiede di scegliere/salvare due-tre oggetti da portare con voi in un’isola deserta? Se dovessimo applicare questo gioco al nostro sistema scolastico la risposta è fin troppo semplice e scontata: le “cose” da salvare sono i docenti e gli studenti.
In fondo, a pensarci bene, se non ci sono gli alunni le scuole non possono esistere (e infatti chiudono, letteralmente, con il calo demografico), e gli alunni hanno bisogno di docenti che li seguano nel loro percorso di apprendimento.
Tutte le altre figure (dirigenti, provveditori, direttori generali, ministri ecc.) sono (dovrebbe essere) a supporto di questa primigenia relazione educativa, ma se non sono presenti nella nostra ludica isola, la scuola può funzionare lo stesso.
Quanto stiamo dicendo rasenta l’ovvietà, se non addirittura la banalità. Eppure è incredibile come nel nostro sistema scolastico questa asserzione così pleonastica, lapalissiana, prevedibile, banale, appunto, venga continuamente sconfessata nei fatti.

Non ci si lasci però trarre in inganno: la nostra non è una semplice boutade, ma costituisce (dovrebbe costituire) una sorta di programma politico-istituzionale che il Paese si impegna a realizzare. Il Paese nel suo complesso, e non solo le singole forze politiche o le coalizioni.
In altre parole, il tema “scuola” dovrebbe rappresentare un motivo di forte attenzione per ogni schieramento politico, indipendentemente dal colore ideologico. Di conseguenza, tutta la filiera “produttiva” e decisionale dell’apparato amministrativo e burocratico della scuola, ad ogni livello, dovrebbe – sciententemente e coscienziosamente – essere finalizzata a far sì che quella relazione primigenia funzioni in modo ottimale e consegua gli obiettivi prefissati, primo fra tutti quello di assicurare il successo formativo ad ogni studente
. Fuori da questo orizzonte vi possono essere anche delle buone azioni, ma rischiano non solo di configurarsi come fuorvianti rispetto all’obiettivo prioritario, ma anche di trasformare il sistema scolastico in un carrozzone burocratico o tecnocratico.

Prendiamo l’esempio dell’autonomia scolastica. L’idea di fondo che dovrebbe sollecitare le scuole ad assumere un ruolo più attivo e consapevole nel processo decisionale in ordine all’ambito curricolare, organizzativo, didattico e dell’innovazione, non risponde tanto all’esigenza di essere à la page rispetto ai temi dell’innovazione, quanto di soddisfare in modo più efficace ai bisogni educativi specifici di quell’utenza, inserita in quel contesto territoriale, utilizzando al meglio le opportunità e potenzialità interne ed esterne alla scuola. L’autonomia è quindi un mezzo, una opportunità di cui la scuola può disporre per qualificare in modo più incisivo i processi di insegnamento-apprendimento.
Gli interventi che vengono apportati sul piano didattico-organizzativo o gestionale o curriculare dovrebbero dunque ispirarsi a questo principio e non a questioni di mera ingegneria organizzativa.

Se si assume per valido quanto fin qui “banalmente” esposto, ne discendono delle conseguenze facilmente immaginabili sul piano politico-istituzionale (per questo parlavamo di una sorta di programma).

  1. Una classe politica che voglia sostenere lo specifico della scuola e la peculiare relazione che rende possibile il conseguimento degli obiettivi, secondo quanto detto sopra, predisporrà delle strutture adeguate affinché ciò sia possibile e dunque fornirà degli edifici non solo sicuri sul piano delle norme, ma anche accessibili a tutti, inclusivi, funzionali ed adeguati sul piano didattico e tali da consentire vari tipi di aggregazioni (piccoli gruppi, classi, grandi gruppi) e varie e diversificate esperienze (laboratori, spazi interni ed esterni pensati ad hoc). Può darsi che non tutti gli edifici rispondano a questi standard (secondo l’Istat 2018 il 30% degli edifici scolastici presenta barriere architettoniche per i disabili, e questo a 40 anni dalle prime leggi sull’integrazione dei disabili nelle classi comuni), ma il decisore politico elaborerà un programma pluriennale, pubblico e definito, per raggiungere l’obiettivo della piena funzionalità delle strutture. In altre parole, le scuole saranno luoghi gradevoli, esteticamente piacevoli, stimolanti sul piano cognitivo e relazionale, per adulti e minori, in grado di alimentare positivamente la relazione educativa di cui sopra.
  2. Queste strutture saranno dotate di tutte le attrezzature necessarie per far sì che le scuole possano esplicare al meglio la loro offerta formativa e dunque non mancheranno infrastrutture informatiche in grado di sostenere tutto il traffico telematico in caso di ricorso alla didattica a distanza e di altre operazioni di carattere didattico e amministrativo. Va da sé che le risorse finanziarie assegnate alla scuola saranno certe ed accreditate in tempi definiti e noti.
  3. I docenti saranno professionisti competenti, in grado di gestire in maniera efficace la relazione educativa. La loro selezione avverrà in modo che accedano al ruolo persone motivate e capaci di sostenere con padronanza i processi di insegnamento-apprendimento, attente a sollecitare e sviluppare la curiosità e la passione degli studenti nei confronti della conoscenza. Che siano di ruolo o supplenti, i docenti saranno in servizio dall’inizio delle lezioni, non essendo previsti aggiornamenti o cambi di graduatorie nel corso dell’anno scolastico. Per la delicata funzione da essi svolta, a tali professionisti viene riconosciuto un trattamento economico in linea con la media dei Paesi più avanzati. Obviously, i docenti (come tutte le figure del sistema scolastico, a tutti i livelli) saranno sottoposti periodicamente a valutazione per verificare l’idoneità alla gestione della relazione educativa e ai risultati conseguiti.
    Salvo situazioni di “scarso rendimento” derivanti da negligenze del docente o da inadempienze contrattuali (passibili di licenziamento disciplinare), il sistema prevede forme di uscita assistita e morbida dal lavoro d’aula per quei docenti che non sono in grado (o non sono più in grado) di gestire in modo adeguato la relazione e dunque di garantire il conseguimento degli obiettivi istituzionali.
  4. La manutenzione della formazione avviene in forma obbligatoria, stabilizzata e ricorrente, all’interno di un quadro certo e definito di regole e in relazione alle esigenze formative espresse dai docenti stessi, oltre che in riferimento ad esigenze di carattere istituzionali legate all’incremento delle competenze degli studenti in particolari ambiti.
  5. Il sistema scolastico nel suo complesso è impegnato a valorizzare lo specifico della professionalità docente e dunque prioritariamente il lavoro d’aula. È dunque la dimensione didattica e relazionale con gli studenti che gli insegnanti devono curare con particolare attenzione perché è quella che esprime lo “statuto epistemologico” dell’essere docente. La complessità della scuola richiede che vi siano delle figure intermedie per meglio gestire l’impresa educativa in tutti i suoi vari aspetti, ma non va trascurato che queste figure sono comunque a supporto del lavoro d’aula, ossia della dimensione più genuina dell’essere docente. Sotto questo profilo il sistema dovrebbe premiare prima di tutto e innanzi tutto chi esprime una didattica incisiva, inclusiva e performante, ribaltando l’ottica attuale che tende a premiare chi si impegna fuori dall’aula.
  6. Il management scolastico, a tutti i livelli, è al servizio e a supporto dei processi di insegnamento-apprendimento. In particolare i dirigenti scolastici vengono selezionati e formati affinché siano in grado di creare le migliori condizioni all’interno del loro istituto perché la relazione educativa tra docenti e studenti sia quanto più possibile incisiva e produttiva. In questo senso, le competenze comunicative e relazionali dei dirigenti scolastici, unitamente alla conoscenza dei meccanismi attraverso cui si sviluppano i processi di apprendimento, costituiscono temi prioritari della formazione in servizio dei dirigenti. L’organizzazione scolastica nel suo complesso (dall’articolazione della settimana scolastica delle lezioni, all’allestimento degli spazi, alla scelta delle attrezzature e dei materiali didattici) è ispirata a questa esigenza.
  7. L’apparato burocratico del Ministero, in tutte le sue articolazioni, ha come obiettivo prioritario quello di definire le linee generali di esplicazioni del servizio scolastico e di fornire supporto, servizi e strumenti perché le scuole possano curare al meglio i processi di insegnamento-apprendimento. Le richieste di eventuali monitoraggi, relazioni, report e quant’altro deve perseguire questo scopo prioritario, limitando al minimo indispensabile altre richieste burocratiche che distolgono l’attenzione delle scuole dai loro obiettivi istituzionali.
  8. Il decisore politico utilizza gli esiti delle prove Invalsi, o altri risultati derivanti da indagini internazionali, per elaborare piani di miglioramento e di sviluppo, anche pluriennali, riguardo le conoscenze o competenze più compromesse a livello nazionale o a livello di singole zone del Paese. Ogni indagine nazionale o internazionale deve prevedere, già in fase di elaborazione, eventuali interventi migliorativi che possono tradursi in attività formative per incrementare le competenze dei docenti negli ambiti compromessi, o in misure perequative di tipo finanziario o strumentale.

I punti esposti sopra non esauriscono le molteplici esigenze e istanze finalizzate a riportare l’attenzione sulla natura specifica della scuola e sul core della sua funzione sociale e istituzionale, ma costituiscono già un programma di lavoro ambizioso, e forse anche in controtendenza rispetto ad un dibattito che sempre più spesso punta l’attenzione sugli aspetti collaterali e di contorno del fare scuole. Ça va sans dire, questo programma “banale” non ha alcuna possibilità di essere realizzato, perché talvolta la realizzazione di cose banali richiede non solo coraggio, ma anche un atteggiamento visionario che vada oltre il gretto orizzonte temporale del tirare a campare. “Ed elli a me: “Questo misero modo / tegnon l’anime triste di coloro / che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo” (Inferno, Canto III).

 

 




Referente Covid, una proposta per evitare il probabile stress

di Gianfranco Scialpi

Referente Covid, una nuova figura strategica per la gestione dei casi a scuola. Non sarà semplice il suo compito. Una proposta operativa.

Referente Covid, una nuova figura. I suoi compiti

Referente Covid, sarà importante la presenza di questa nuova figura in ogni Istituto scolastico.
Indispensabile sarà prevedere più Referenti, nei tantissimi casi di scuole con più plessi.
La complessità del suo compito richiederà questa soluzione.
Cosa deve fare? Dopo essere stato adeguatamente formato sulle procedure da adottare, egli sarà il punto di riferimento con le ASL.
Sostanzialmente egli avrà il compito di raccogliere le segnalazioni di studenti sintomatici, comunicare all’autorità sanitaria i loro tracciamenti, gestire la breve permanenza dello studente nella sala Covid e controllare le assenze degli studenti superiori al 40%.

La complessità del ruolo

Detto così sembra tutto facile. E invece…


Dichiara E. De Murtas, professoressa di 62 anni nominata Referente Covid al Liceo Maiorana di Roma: “Dopo due settimane mi sento sconfortata. A esperienza fatta questo ruolo è drammatico: è tutto infernale e non so come riusciremo a venirne a capo. All’inizio sembravano non esserci problemi. Sono stata nominata insieme a tre collaboratori per due istituti e pensavamo di essere preparati al meglio, sembrava tutto abbastanza chiaro. Mi chiamano insegnanti e genitori a ogni minimo sospetto di Covid – ci spiega – se un ragazzo ha la febbre, se ci sono stati contatti tra ragazzi e altre persone che hanno avuto il Covid. Ma non sono io a dovermi occupare di questo: devono intervenire i medici di base per avviare la procedura e far scattare tamponi e quarantene. Io non ho le competenze e posso rispondere solo attraverso i protocolli. Alcuni genitori si lamentano, sono agitati – si sfoga-devo subire una vera e propria aggressione tra loro e i vari colleghi ansiosi e c’è anche tanta superficialità”

Una proposta razionale per non uscire “fuori di matto”

Nel breve resoconto si parla poco dei rapporti con le Asl. Comprensibile l’omissione!
Siamo ancora all’inizio dell’anno scolastico. Ma cosa accadrà quando le influenze e sintomi sospetti saranno molto frequenti? Sarà necessario che egli tenga ”un registro degli eventuali contatti tra alunni e/o personale di classi diverse”
Compito che deve essere svolto giornalmente, in modo da essere pronti a rispondere ad ogni richiesta dell’Asl. Il tracciamento risulterà un’operazione semplice se partirà dagli orari delle singole classi con le relative presenze dei docenti. Il compito del Referente Covid, invece diventerà complesso se dovrà riferirsi anche agli imprevisti come le supplenze del personale scolastico (supplenze di docenti, collaboratori scolastici…)
Il tracciamento risulterà facilitato se il gruppo docente di ogni classe avrà un quaderno dove registrerà tutte le presenze non previste da alcun piano organizzativo.
Al termine della giornata, queste andranno comunicate al Referente (Gruppo Wsp, posta elettronica, registro elettronico…), che a sua volta le riporterà nel suo registro. In questo modo il Referente avrà sempre la situazione sotto controllo. Ne beneficerà la comunicazione all’Asl che risulterà puntuale e dettagliata.




Sui fondi per la scuola devono pronunciarsi le scuole

di Nicola Puttilli

E’ perfino ovvio e del tutto comprensibile che i docenti e i dirigenti scolastici, nonché le associazioni professionali che li rappresentano, siano in questo momento totalmente impegnati nella gestione di una delle fasi più delicate e complesse della storia della scuola italiana.

E’ altrettanto vero, d’altro canto, che le risorse del New Generation EU (già Recovery Fund) costituiscono un’opportunità unica e irripetibile per lo sviluppo e il rinnovamento del Paese e che istruzione e ricerca sono tra le priorità segnalate dalla Commissione europea per la sua utilizzazione.
I commentatori più autorevoli citano scuola e università come uno dei principali fattori, se non il principale, di una crescita solida e duratura.

Dopo decenni di tagli massicci e indiscriminati e di disattenzione del decisore politico, il nostro sistema formativo non si “aggiusta” con qualche intervento di ritocco, ci vogliono investimenti importanti, continuativi, programmati sulla base di un’attenta analisi delle reali esigenze.Un buon punto di partenza potrebbe essere la formazione dei docenti, iniziale e in servizio, senza la quale non c’è rinnovamento della didattica, nè contrasto alla dispersione scolastica. Formazione capillare, permanente, di qualità. Una formazione di questo tipo richiede risorse ingenti e capacità progettuale. Quando maggiore era l’attenzione verso la scuola nonché l’interesse verso la formazione e la ricerca, furono istituiti gli IRRSAE (Istituti Regionali di Ricerca, Sperimentazione e Aggiornamento Educativi) poi smantellati fondamentalmente per ragioni di risparmio.
Non si tratta, ovviamente, di riproporre la stessa esperienza ma comunque di trovare valide e permanenti strutture, a partire dalla qualità dei formatori, di supporto alle scuole.

Strettamente legato alla formazione esiste un problema di motivazione e di riconoscimento professionale e sociale: gli insegnanti italiani sono tra i peggio pagati d’ Europa.
Il tema della retribuzione è legato a filo doppio al tema dello stato giuridico e alla ridefinizione in sede contrattuale delle condizioni e delle prestazioni lavorative, nel cui ambito sarebbe opportuno definire modalità di sviluppo della carriera docente e la stabilizzazione delle figure di “middle management”; anche tutto ciò richiederà l’assegnazione di cospicue risorse.

Le scuole italiane sono in gran parte vecchie e insicure, progettate per una didattica trasmissiva e frontale. L’attuale emergenza sanitaria evidenzia ulteriormente quanto ampiamente risaputo: non è più rinviabile un piano nazionale di messa a norma degli edifici scolastici, non solo dal punto di vista della sicurezza ma anche sul piano della funzionalità pedagogica e didattica. Si tratta, a partire dalle migliori esperienze già in atto, di progettare e costruire edifici idonei ad ospitare una didattica attiva e modulare e quindi dotati di laboratori, biblioteche, palestre, spazi di incontro, internet veloce e diffusa, ecc.

Il connubio virtuoso tra insegnanti validamente formati, anche sul piano pedagogico e psicologico (ciò che oggi principalmente manca, soprattutto nel secondo ciclo) ed edifici funzionali a una didattica innovativa, potrebbe effettivamente portare a quel salto di qualità in grado di migliorare in modo significativo gli esiti dei processi formativi e di contrastare in modo sostanziale la dispersione scolastica.

Ovviamente molti altri possono essere gli interventi possibili e auspicabili: dall’estensione del tempo pieno, alla riduzione del numero di alunni per classe, alla generalizzazione della scuola dell’infanzia (almeno nell’ultimo anno) ecc., fino alla riforma degli ordinamenti, che potrebbe non comportare costi, ma inserirsi efficacemente in un contesto complessivo di rinnovamento.
Si tratta, è evidente, di trasformazioni epocali per la nostra scuola che sarebbe stato imprudente perfino sognare e che potrebbero diventare realtà a partire dal prossimo anno.
E’ fondamentale che la scuola non si lasci sfuggire questa imperdibile occasione per non ritrovarsi, ancora una volta e alla fine di tutto, in fondo se non addirittura fuori dalla lista. E bisogna che sia il mondo della scuola reale a esprimere priorità e progetti e non solo manager di successo di multinazionali, o politici esperti di scuola all’occorrenza o, ancora, funzionari amministrativi di più o meno lungo corso.

Su questo l’associazionismo della scuola, che non ha interessi particolari da difendere e che dispone di esperienza, conoscenza specifica e competenza, avrebbe molto da dire.




Referente Covid-19, per il docente un compito difficile e senza compenso

di Gianfranco Scialpi

Per un docente sarà difficile espletare il compito.

Si ripete sempre lo stesso scenario del gratuito. Referente Covid-19, un nuovo incarico per i docenti Referente Covid-19. Settembre si avvicina. Quando riaprirà la scuola lo scenario sarà completamente diverso. Lasciamo perdere gli slogan della ripresa con tutti in classe e in sicurezza. Difficile confermare lo scenario della presenza di tutti gli studenti in un’aula con le esigenze di cautela, imposte dalla pandemia. Se saliamo di livello fino a raggiungere quello razionale, è impossibile trovare qualcuno che può pensare di riprendere le attività scolastiche con le stesse regole di febbraio-marzo.

Il cambio di scenario è confermato dalle nuove incombenze dovute alla convivenza con il Covid-19.  Una di queste è la necessità che ogni Istituto scolastico nomini un Referente Coronavirus, possibilmente tra i docenti. I suoi compiti iniziano a definirsi.
Adeguatamente formato sulle procedure da adottare, egli sarà il punto di riferimento con le ASL. Sostanzialmente egli avrà il compito di raccogliere le segnalazioni di studenti sintomatici, gestire la breve permanenza dello studente nella sala Covid e controllare le assenze degli studenti superiori al 40%.

Molto difficile portare avanti l’incarico

Sarà interessante verificare all’apertura quanti docenti si renderanno disponibili per questo incarico. Sicuramente ci saranno dei volontari, i quali saranno mossi dal desiderio di rendersi utili, senza però valutare tutti gli elementi in gioco. Innanzitutto sarà difficile gestire la situazione. L’incarico richiederà una disponibilità per l’intera giornata. Non potrà essere espletato solo in alcune ore. I casi di contagio non sono legati all’orologio, ma all’imprevedibilità. Pertanto, sarà praticamente impossibile per un docente già impegnato a gestire la nuova complessità nella propria classe, espletare anche le incombenze di Referente Covid-19. Ovviamente il compito potrà essere realizzato se il docente potesse usufruire di un congedo totale. o quanto meno di una sostituzione rapida da parte di qualche collega. Ma di questo non si parla! Quindi tutto è demandato alla decisione della singola scuola, che quasi sempre si affidano sulla capacità del singolo docente di gestire la situazione.

Si ripete il canovaccio del gratuito

A questi problemi si aggiunge la questione del compenso. Non se ne parla! Si ripete il medesimo canovaccio di attribuire al docente nuove funzioni senza certezza di compenso. Gli ultimi esempi si riferiscono all’Animatore digitale (azione 28 PNSD), al Referente per il contrasto al cyberbullismo (Legge 71/17). E’ opportuno che la decisione del compenso sia presa a livello di Amministrazione. In questo modo il docente candidato (sempre che ce sia qualcuno), conoscendo il compenso (irrisorio) può decidere se accettare l’incarico.
Diversamente il suo incarico verrebbe assunto al buio, senza certezza di compenso e nella migliore delle ipotesi con un riconoscimento economico sicuramente non adeguato ai rischi.