Ma il piano estate c’entra poco con il sistema formativo allargato

Stefaneldi Enrico Bottero

Il Piano scuola per l’estate 2021 è un documento interessante perché prende finalmente atto che, dopo più di un anno di confinamento i nostri ragazzi non hanno solo (e tanto) bisogno di un tradizionale recupero didattico (soprattutto se realizzato con i soliti metodi trasmissivi) ma di luoghi di relazione di esperienze di vita sociale.
Il Piano, seguendo la normativa precedente propone “patti di comunità” tra scuola, Enti Locali, enti pubblici e privati (e assegna fondi cospicui). Assisteremo alla riedizione del sistema formativo integrato (o allargato, secondo la dizione di De Bartolomeis in Fare scuola fuori della scuola, Aracne, 2018, ) quello che abbiamo vissuto tra gli anni 70 e 80? C’è da dubitarne.
Tra allora e oggi abbiamo assistito a un’importante modifica strutturale del nostro sistema. Con il principio di sussidiarietà (formulato per la prima volta da Papa Leone XIII nel 1891 contro lo Stato laico e liberale) è stata attribuita di fatto funzione pubblica ad enti privati. Nello stesso tempo con le leggi degli anni 90 negli Enti Locali è stata introdotta una logica aziendale di tipo privatistico.
Come già notava allora De Bartolomeis “l’allargamento conquista scarso spazio senza il contributo decisivo dell’Ente Locale”.
Oggi purtroppo, in nome dell’efficienza (sic!), la logica privatistica ha invaso lo spazio sociale, anche le Istituzioni. In queste condizioni, come osserva Christian Raimo in un recente articolo pubblicato su Internazionale, è logico porsi la domanda: accordi tra scuola e terzo settore (un terzo settore falcidiato dalla crisi e affamato di contratti) saranno in grado di costruire progetti pedagogicamente fondati e motivati da un reale interesse collettivo? Chi farà la regia di tutto questo ora che Stato ed Enti Locali hanno ormai quasi del tutto dismesso i loro servizi diretti (quasi spariti gli insegnanti comunali di allora, servizi educativi assegnati a cooperative e privati, ecc.) in nome della sussidiarietà? Bastano la buona volontà e i soldi se non ci sono le condizioni strutturali? Spero di sì, naturalmente, ma un’analisi spassionata non permettere di essere molto ottimisti.




Ricomporre le esperienze socio-educative in un’epoca frammentata

Stefaneldi Daniele Scarampi

 VERSO UNA RINNOVATA ALLEANZA TRA SCUOLA E TERRITORIO

Occorre uno sforzo sinergico e corale per poter emergere dagli abissi nei quali l’emergenza sanitaria ha gettato la nostra già fragile società; sforzo corale e compatto, orientato al bene comune e al pubblico interesse, altrimenti inutile ed egoista, se gestito in modo individuale o estemporaneo, come don Milani aveva intuito qualche decennio fa.

Stefano Versari, neo capo Dipartimento, ha di recente indicato la via sulla quale la scuola dovrà mettersi in cammino per ricomporre la frammentazione delle esperienze vissute da ciascuno nel corso di questi terribili mesi pandemici; frammentazione accompagnata da deprivazioni didattiche, forti squilibri sociali e disgregazione dei livelli cognitivi.

Infatti la Nota n.624, emanata dal Ministero allo scopo di dettagliare gli aspetti di maggior rilevanza disposti dal DL n.52 del 22 aprile 2021, sottolinea che le istituzioni scolastiche sono chiamate a uno sforzo massiccio che consenta, attraverso le forme di flessibilità offerte dall’autonomia nonché i cospicui sostegni materiali previsti dalla specifica normativa di settore (art. 231-bis e 235 del DL 34/2020, art. 32 del DL 104/2020, art. 31 del DL 41/2021), di ricucire gli strappi causati dalla fase emergenziale, che ormai si sta protraendo da oltre un anno: rimodulazione della didattica, interventi di edilizia “leggera”, incremento del fondo di funzionamento delle scuola, utilizzo spazi esterni o alternativi, progettazione di peculiari esperienze realizzate di concerto con gli Enti Locali.

Il testo in discussione, inoltre, al di là dei suggerimenti di carattere operativo e metodologico forniti nella prima parte, incoraggia nel finale studenti e operatori scolastici a comprendere, accettare e superare i numerosi disagi (didattico, organizzativo, sociale, psicologico) correlati al difficile bilanciamento del diritto all’istruzione con quello alla salute. Gli effetti della pandemia – si legge nelle parole di Versari – continuano a minacciare l’Io e il Sé di studenti e operatori scolastici; ne consegue che, nell’esercizio della propria funzione educativa, la scuola debba prendersi cura di ogni studente, nel tentativo di appianare le difficoltà vissute e cancellare il più possibile i disagi patiti soprattutto dalle categorie più fragili fisicamente, emotivamente o socialmente.

L’essenza di ciò che la Nota ministeriale n.624 si auspica in preparazione di quello che sarà il prossimo anno scolastico e, prima ancora, del periodo estivo che precederà il ritorno nelle aule, è stato colto appieno da un prezioso instant book, edito di recente dall’Associazione Gessetti Colorati e curato, con sapienza e ingegno, da Raffaele Iosa e Massimo Nutini: L’Estate Educativa, Scuola in comune e fuori dal comune nei Patti di Comunità e dopo l’emergenza COVID-19.

L’E-book di Iosa e Nutini – introdotto da Reginaldo Palermo – raccoglie ampi materiali di riflessione sul tema dei Patti di Comunità e delle attività socio-educative da svolgere a partire dal prossimo mese di giugno (come peraltro previsto dall’articolo 31 del decreto legge 41/2021), nella speranza che il tema del rapporto fra scuola e territorio torni al centro del dibattito politico, culturale e pedagogico attraverso nuove idee, progettazioni e sperimentazioni a cura di tutti gli attori coinvolti nella scuola (dirigenti, personale docente, tecnico e amministrativo), in sinergia con Enti Locali, Associazioni e vari altri stakeholders.

Purtroppo i devastanti effetti provocati dalla crisi sanitaria hanno procurato un’ampia frattura esistenziale, sociale e cognitiva nelle esperienze di crescita degli studenti di ogni ordine e grado. Ora, per fronteggiare efficacemente questa emergenza, oltre alle risorse ordinarie di cui le scuole e gli enti locali dispongono, ci sono i finanziamenti specificamente stanziati dal decreto legge Sostegni, dal Piano Operativo Nazionale PON Per la scuola, dal ministero per la famiglia per il potenziamento dei centri estivi e, infine, dall’Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Italiane ACRI per il contrasto della povertà educativa. L’insieme di tutte queste variegate risorse costituisce un’opportunità unica per l’attivazione – nella prossima estate 2021 – di iniziative educative e formative che affianchino il tradizionale recupero scolastico, mediante esperienze educative e proattive facenti capo soprattutto ai Patti di Comunità, che a loro volta chiamano in causa Comuni, Province e Città Metropolitane per la condivisione di esperienze, eventi, spazi o specifici progetti.

Come ben hanno argomentato Iosa e Nutini, si tratta quindi di promuovere quel sistema formativo integrato (già teorizzato da Bruno Ciari, uno dei fondatori del Movimento di Cooperazione Educativa) capace di valorizzare al meglio l’autonomia delle scuole attraverso ampliamenti significativi dell’offerta formativa, allo scopo di tessere una valida sinergia tra tutti i soggetti che si occupano di educazione e cultura.

Il tutto orientato verso una nuova alleanza politica e pedagogica tra scuola e territorio, che coniughi le risposte ai bisogni dei singoli con le risposte ai bisogni collettivi; la svolta proposta dal Governo e dal Ministero è inedita e coraggiosa e non va disattesa: sfruttare l’estate 2021 per l’organizzazione di attività animativo-sociali, co-progettate e co-programmate; attività sociali ed esperienze culturali che sfruttino con acume e lungimiranza tutte le potenzialità offerte dal territorio.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

  1. Nota Ministeriale Num. Prot. 624 del 22 aprile 2021
  2. Raffaele Iosa, Massimo Nutini, L’Estate Educativa, Scuola in comune e fuori dal comune nei Patti di Comunità e dopo l’emergenza COVID-19, edizioni Gessetti Colorati, 2021

 

 

 




A scuola senza rete di protezione. Il difficile mestiere di insegnare

di Raimondo Giunta

“Gli insegnanti sono rimandati solo al loro carisma personale. Lavorano senza rete di protezione e senza chiaro mandato istituzionale. La società non sta più dietro di loro a cominciare dalla loro amministrazione. E’ questo che scatena la crisi dell’autorità nella scuola: gli insegnanti sono là a nome di una collettività che non riconosce il ruolo che esercitano” (Marcel Guachet).

Nemmeno nei lunghi e non ancora terminati mesi della pandemia, pur essendosi constatato quanto siano importanti per gli equilibri sociali della nazione la presenza e il lavoro degli insegnanti, si è riusciti a saldare la frattura tra loro e la società e motivi per arrivarci ce ne sarebbero, a cominciare dall’impegno che ci hanno messo per tenere in piedi uno straccio di continuità del rapporto educativo. Impegno e lavoro che non possono essere scalfiti da episodi come quello della studentessa bendata in una verifica orale a distanza.
Quello che gli insegnanti hanno fatto e stanno facendo nei tanti giorni difficili della pandemia dovrebbe restare nella memoria degli alunni e in quella delle loro famiglie.
La considerazione pubblica degli insegnanti e della scuola se in giro ci fosse un po’ di serietà, dovrebbe tenere conto solo di tutto questo.
Tutti dovrebbero ricordare quanta passione, quanta intelligenza e quanta fatica ci sono volute per tenere in piedi un’istituzione fondamentale per l’intera comunità.


Gli insegnanti insieme al personale sanitario hanno risposto al compito di rendere in momenti difficili umano il volto delle istituzioni. Non perché sono kamikaze votati al sacrificio, ma perché sono professionisti che fanno il proprio dovere e che meritano di essere protetti per svolgere in qualsiasi condizione nel modo migliore il proprio lavoro.
E’ da considerare come ragionevole l’ipotesi che nel peggioramento della considerazione sociale degli insegnanti abbia contribuito la svestizione istituzionale della scuola e che questo fenomeno sociale possa essere considerato una delle cause più incisive della proletarizzazione della figura dell’insegnante.
In questo processo di caduta verso gli inferi i compiti degli insegnanti sono cresciuti di molto.
La responsabilità della funzione professionale ,di quella conoscitiva e di quella educativa del sistema di istruzione e formazione ricadono sempre sulle loro spalle, ma devono affrontare il peso di doversi difendere dal sospetto alimentato artificiosamente di una loro inadeguatezza e quello dei vincoli di un’organizzazione che non vuole la loro l’autonomia e non esalta l’impegno profuso nel lavoro e il sapere che posseggono e trasmettono.
Una società aperta e democratica si batterebbe per la dignità e l’autonomia professionale degli insegnanti, perché solo in condizioni siffatte possono svolgere il loro compito educativo.
E nessuno si meraviglierebbe se il risultato del loro lavoro fosse quello di avere fatto crescere in autonomia gli alunni e non quello di averli resi docili alla società così com’è, di non averli addomesticati. Una società aperta e democratica, che ama vedere crescere bene i propri giovani, dovrebbe fare ponti d’oro a chi a scuola tra programmi, regolamenti e valutazione riesce a dare spazio e voce all’esistenza dell’alunno e lavora per la sua crescita umana.
Questo tipo di insegnante è l’educatore di cui l’alunno ha bisogno, di cui ha bisogno la società.
Questo tipo di insegnante non si cura solo di trasmettere i saperi, ma per renderne il significato puntualmente si preoccupa di interrogarli nella loro storia, nella loro costituzione epistemologica, nella loro dimensione sociale e valoriale per farli diventare dote e consapevolezza personale.
L’INSEGNANTE COME SI DEVE e che la società dovrebbe difendere e amare è l’uomo dell’incontro e del confronto.
Si trova nella giuntura tra passato e presente.
Serve alla causa della tradizione per quello che insegna e la causa del cambiamento per coloro che forma. (Michel de Certeau).




Patti territoriali per la formazione: la cassetta degli attrezzi

Stefaneldi Raffaele Iosa e Massimo Nutini

 Indicazioni metodologiche, operative e amministrative sull’ampliamento dell’offerta formativa, sulla progettazione, la coprogettazione e la gestione, per la prossima estate educativa.

1. La progettazione della scuola per il ristoro educativo

1.1. Progettare in libertà

Lo sanno bene gli insegnanti saggi: un progetto educativo segue sempre un’idea e un fine. C’è la scuola, il mondo attorno, uno spazio, un tempo… e dentro ci sono loro: le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi.
Un progetto educativo mette in gioco tutto e tutti, non si rivolge a un pezzetto. Ecco perché i modelli predeterminati, i moduli prestabiliti o i progetti acquistati chiavi in mano ci stanno sempre stretti.
La schematizzazione non si adatta all’educazione. La grande intelligenza abbraccia, la piccola discrimina (Chuang-tzu in Zhuang-zi). Ecco perché l’insegnamento ha il dovere deontologico di essere libero (al pari dell’arte e della scienza).
Per la prossima estate e per il rientro a scuola a settembre progettiamo dunque in libertà e rifiutiamoci di progettare su carta millimetrata. 

1.2. Rientro alla vita della scuola e del sé

Tocca prima di tutti agli insegnanti il dovere professionale di svolgere una seria riflessione pedagogica, sociale, curricolare, esistenziale sulla condizione dei loro bambini e ragazzi dopo 18 mesi del tutto eccezionali, inediti e drammatici.

Tocca loro ri-pensarli dopo un periodo che li ha resi altri dal passato e ideare, desiderare, costruire una matassa di idee che sappia produrre un tessuto di azioni positive per un “rientro alla vita della scuola e del sé”, capace di ristorare le ferite educative del periodo Covid ed anzi, il più possibile trar frutto da un’esperienza complicata sia per i giovani che per gli adulti per migliorare la qualità dell’istruzione.

Dunque è dentro questa matassa composta da tanti fili da tirare uno ad uno che si può trarre una trama per svolgere attività didattiche ed educative a partire dalla vicinissima estate. Non un tassello casuale chiuso in sé, fatto tanto per fare, né un risarcimento emotivo, ma qualcosa di più profondo e utile.

La prossima estate potrà avere una scuola attiva come mai accaduto in passato. Attiva e non solo aperta, perché non sarà tanto l’uso fisico delle aule per imitare la solita scuola a darne il senso e il valore, ma l’attivazione di esperienze in ogni luogo possibile dove sia utile fare comunità, apprendimento in situazione, esperienza di vita e di relazioni. Recuperare cioè la vita e ridarle slancio come la giovinezza chiede naturalmente.
Ovviamente ogni scuola avrà una sua lettura specifica della condizione degli allievi. Ben diversa sarà la riflessione sulla condizione tra i bambini di un istituto comprensivo periferico e quella di un istituto tecnico di città. Ma vorremmo tutte legate da un’idea e un fine che risponda ai bisogni effettivi e diversi con risposte originali e proprie di ogni realtà. 

1.3. Puntare alla qualità

Per il collegio dei docenti e per il consiglio d’istituto, va bene (deve andar bene!), all’inizio, un progetto di massima, che sappia individuare e selezionare le idee più importanti e i fini primari da realizzare attraverso una diversa estate.
Per la scuola un progetto iniziale che già intraveda anche cosa potrebbe essere l’anno scolastico prossimo nella loro comunità educante, di cui l’estate in arrivo è il primo tassello.
Il progetto educativo non può essere stabile come un progetto edilizio. In edilizia è un caso raro che le caratteristiche del terreno si modifichino sensibilmente durante la costruzione di un fabbricato.

In educazione è normale invece che tutto cambi, cresca o regredisca, durante l’esperienza formativa: è un effetto desiderato. Certe volte si deve lavorare molto sull’ambiente, sul contenitore, sul contesto, che necessariamente si fonde con i contenuti.
Nel progetto educativo “quel che sarà” non si può sapere prima perché si lavora allo sviluppo di un qualcosa che non conosciamo mai fino in fondo e che non può e non deve essere manipolato: la persona.
Progettiamo con questo spirito anche le attività di recupero delle competenze di base, di consolidamento delle discipline e di ritrovamento della socialità, della proattività, della vita di gruppo, durante dopo il terribile periodo della pandemia.
Lavoriamo con la qualità che siamo abituati a conoscere e spendiamo meno tempo possibile a riempire moduli. 

1.3. La regia deve rimanere alla scuola

I governanti, locali, nazionali ed europei, prima o poi, dovranno imparare che la standardizzazione nella scuola equivale alla sua negazione (solo per dirne una: anche la modalità di rendicontazione europea adottata dai PON non va bene per la scuola e deve essere cambiata).
Anche per questa estate pensiamo a progetti dinamici, flessibili, personalizzabili, modulari e modulabili in relazione a tutti i variabili fattori che incideranno sui processi educativi che potranno essere messi in atto, dalla quantità di risorse che avremo a disposizione alle persone tutte, piccole e grandi, che concretamente faranno parte dei gruppi con i quali potremo trovarci a operare.
Ecco che la scuola, in un progetto come quello di cui stiamo parlando, può fare un pezzo e non il tutto ma dovrebbe tenere per sé la regia metodologica orientando le diverse attività a realizzare percorsi di sviluppo cognitivo, formativo ed esperienziale.
Infatti, nella produzione di idee e azioni per la prossima estate, la scuola ha da subito la necessità di confrontarsi con ciò che già c’è o è in cantiere nel proprio territorio. Questo per iniziare da subito a pensarsi come comunità dialogante, evitare doppioni, saper calibrare i tempi delle diverse possibili esperienze di vita e socialità dei nostri ragazzi.

Se il periodo è dal 15 giugno al 15 settembre, la scuola può gestire una piccola parte del tempo estivo, distribuita nei modi più diversi, ma può anche partecipare ad una cabina di regia pedagogica di supervisione e condivisione di tutte le attività, comprese quelle gestite da altri.
E poi, non è detto che da questi altri non possa anche arrivare qualche insegnamento per la scuola stessa. D’altra parte nessuno è più capace di noi nell’essere ricettivo. 

1.3. L’analisi del contesto e le situazioni di partenza

In questa primissima e decisiva fase di riflessione e ideazione, è anche utile realisticamente svolgere un’analisi onesta dei potenziali effettivi che la scuola si sente in grado di realizzare.
Conterà, ad esempio, molto quali e quanti insegnanti saranno disponibili volontariamente a dare corpo pedagogico a queste esperienze. Inutile negarlo, questa variabile condizionerà la quantità e la tipologia di moduli di esperienze possibili.
Conterà, inoltre, a quanti e quali bambini e ragazzi si intenderà rivolgere la proposta educativa, se a tutti o no, a partire naturalmente da chi ha più pagato il confinamento di questi 18 mesi.
Conterà anche l’adesione delle famiglie, e certamente sarebbe quanto mai prezioso se le “idee” e le iniziative in cantiere fossero condivise e magari (nel limite dell’età) co-progettate con i bambini e i ragazzi stessi. Non persone-pacchetti da spostare di qua e di là, ma persone (qualsiasi sia l’età) con desideri e pensieri da rispettare e coltivare.
Conterà, naturalmente, l’appetibilità sociale, il significato umano e di comunità che l’idea pedagogica di base diffonderà come finalità e pratica delle esperienze estive.

E a questo punto, definito in linea di massima il progetto pedagogico, conterà il dialogo interistituzionale che questa progettazione–base aprirà con l’ente locale, il territorio, la società civile, l’associazionismo per trovare le alleanze giuste, in un quadro il più armonico e unitario (la trama del tessuto di cui sopra) con tutte le iniziative locali del periodo.

2. La coprogettazione nella più recente normativa

2.1. La coprogrammazione e coprogettazione con i soggetti del terzo settore

Per quanto attiene al significato pedagogico e metodologico vale, per la coprogettazione quanto appena detto per la progettazione educativa.
Dal punto di vista amministrativo, invece, la coprogettazione apre ad un futuro che permetterà di realizzare una progettazione integrata con gli altri soggetti del territorio, anche permettendo facilitazioni importanti dal punto di vista procedurale.
Al momento non è un procedimento semplice da utilizzare perché non sempre sono presenti le normative regionali e i documenti di coprogrammazione quadro che dovrebbero essere adottati a livello di zona. Non si esclude però che sia possibile, anche in assenza di tali provvedimenti, effettuare, per chi volesse intraprendere questa strada, delle prime esperienze. 

2.2. La coprogettazione nel Codice del Terzo settore

La norma di riferimento è il Codice del Terzo settore (decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, artt. 55 e 56) il quale stabilisce che “In attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni […] assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di coprogrammazione e coprogettazione e accreditamento”, specificando che “La coprogettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti”.

A tal fine “l’individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner”.

2.3. L’espressione della Corte Costituzionale

Vale la pena di ricordare anche una recente espressione della Corte costituzionale (sentenza 26 giugno 2020, n. 131) nella quale è stata affermata l’aderenza al dettato costituzionale della previsione del codice del Terzo settore, rilevando che la coprogettazione, “rappresenta una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.” in quanto “valorizzando l’originaria socialità dell’uomo […], si è voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini”.

Il rapporto fra Codice del Terzo settore e Codice dei contratti pubblici è stato oggetto di un’ampia discussione negli ultimi anni. In particolare, si è dibattuto circa l’utilizzo di istituti quali la co-progettazione e la convenzione, con i quali la pubblica amministrazione può coinvolgere i soggetti del privato sociale nella gestione di servizi che avrebbero altresì potuto essere affidati con procedure contrattuali.

2.4. I riferimenti alla coprogettazione inseriti nel Codice dei Contratti

Su questo è intervenuto il decreto legge Semplificazioni (decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, come convertito con legge 11 settembre 2020, n. 120, art. 8, comma 5) ha inserito alcuni riferimenti al Titolo VII del Codice del Terzo settore – quello appunto che disciplina i rapporti con gli enti pubblici – nel corpo del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50).
In particolare: il comma 8 dell’art. 30, che reca i “principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni” precisa oggi che, per quanto non espressamente previsto dal Codice stesso, “alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonché di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241”; il comma 1, dell’art. 59, che disciplina le procedure di scelta del contraente, il quale afferma che “nell’aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette”, ha adesso un inciso iniziale di questo tenore “Fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”; La stessa clausola viene inserita al comma 1 dell’art. 140, che disciplina gli appalti dei servizi sociali.

2.5. Una nuova modalità da utilizzare, in particolare per il futuro

Si apre ora una nuova possibilità per l’utilizzo della coprogettazione, che permetterà il coinvolgimento di numerosi soggetti operanti sul territorio e che permetterà di confrontarsi con la sfida della misurabilità del valore apportato da tali soggetti.
La coprogettazione, quindi, non deve essere intesa unicamente come una scorciatoia per evitare l’evidenza pubblica nella scelta del concessionario di un servizio, bensì come un istituto teso a valorizzare l’esperienza e la vocazione della sussidiarietà nella progettazione e realizzazione degli interventi, nell’ambito di una procedura che dovrà comunque essere caratterizzata di principi di trasparenza, pubblicità e non discriminazione, anche nel momento della scelta del soggetto o dei soggetti con i quali avviare un’esperienza di partenariato.

3. I patti comunità

3.1. Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa

Il “Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione – Piano scuola 2020-2021” (decreto ministeriale 26 giugno 2020), contiene la seguente indicazione: “Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa. […] Per la più ampia realizzazione del servizio scolastico nelle condizioni del presente scenario, gli Enti locali, le istituzioni pubbliche e private variamente operanti sul territorio, le realtà del Terzo settore e le scuole possono sottoscrivere specifici accordi, quali «Patti educativi di comunità»… Dando così attuazione a quei principi e valori costituzionali, per i quali tutte le componenti della Repubblica sono impegnate nell’assicurare la realizzazione dell’istruzione e dell’educazione, e fortificando l’alleanza educativa, civile e sociale di cui le istituzioni scolastiche sono interpreti necessari, ma non unici…”.

I Patti educativi di comunità trovano il loro fondamento nei principi costituzionali di solidarietà (articolo 2), comunanza di interessi (articolo 43) e sussidiarietà orizzontale (articolo 118, comma 4), per irrobustire alleanze educative, civili e sociali di cui la scuola è il perno ma non l’unico attore. Mediante i Patti educativi di comunità, le scuole “possono avvalersi del capitale sociale espresso da realtà differenziate presenti sul territorio – culturali, educative, artistiche, ricreative, sportive, parti sociali, produttive, terzo settore – arricchendosi in tal modo dal punto di vista formativo ed educativo” (Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro, 13 luglio 2020, rapporto finale del comitato di esperti istituito con decreto ministeriale 21 aprile 2020, n. 203), 

3.2 Natura e contenuti dei Patti

I Patti di comunità sono libere intese che possono essere sottoscritte fra cittadini (singoli o associati) e amministrazioni pubbliche per la realizzazione di collaborazioni volte alla promozione dell’interesse generale, mediante la tutela e la promozione di beni e servizi funzionali allo svolgimento della vita sociale delle comunità, permettendo di coinvolgere i membri della comunità stessa nelle decisioni e nelle azioni che li riguardano. La scuola è uno dei principali beni di comunità e, pertanto, costituisce ambito privilegiato per possibili collaborazioni fra cittadini e Amministrazioni comunali.

I Patti educativi di comunità: “1) favoriscono l’esercizio del principio di sussidiarietà; 2) sono fonti del diritto pubblico (tipicamente regolamenti comunali); 3) costituiscono occasioni di costruzione di comunità fra i cittadini; 4) realizzano un potente fattore di innovazione sociale, culturale e anche amministrativa. Ovviamente, i Patti di comunità (per loro natura stipulati fra soggetti pubblici e privati) differiscono dalle intese fra pubbliche Amministrazioni miranti a stabilire fra loro, mediante conferenze dei servizi, forme di cooperazione volte a snellire l’azione amministrativa. Differiscono pure dalle intese che le istituzioni scolastiche possono siglare in ragione del DPR 275/1999”. (Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna, 19 agosto 2020, nota n. 12.920)

Il “Piano scuola 2020-2021” suggerisce la stipula di patti per favorire la messa a disposizione di strutture o spazi (parchi, teatri, biblioteche, archivi, cinema, musei, etc) al fine di potervi svolgere attività didattiche complementari a quelle tradizionali e, più i generale, per sostenere la costruzione di collaborazioni con i soggetti territoriali che possono concorrere all’arricchimento dell’offerta educativa.

Il livello territoriale può essere molteplice: dal patto della singola scuola con il singolo Comune ai patti di quartiere, di reti di scuole e altri enti pubblici e privati, per ambiti tematici o territoriali, anche sovracomunali.

3.3 Le condizioni per la stipula di un Patto efficace

Come suggerisce un’importate documento predisposto e diffuso dalla rete EducAzioni, i Patti, per essere efficaci, dovrebbero essere preceduti da un lavoro preliminare relativo a:
“- ricognizione delle risorse sociali, civiche, culturali presenti nel territorio e disponibili a contribuire alla costruzione della «comunità educante», dalle organizzazioni del terzo settore e dell’associazionismo civico alle parrocchie, ai centri sportivi, fino ai vigili urbani e ai negozi di prossimità, senza limitarsi ai soggetti di rappresentanza istituzionale e sociale;
– analisi dei bisogni e delle specifiche necessità del territorio sotto il profilo dei diritti delle bambine, dei bambini e degli adolescenti, e del contrasto alle diseguaglianze educative, con una chiara definizione degli obiettivi da raggiungere, attraverso una integrazione tra i percorsi educativi curriculari ed extracurriculari; piena condivisione tra gli attori coinvolti, a partire dalle scuole – che hanno un ruolo guida nel processo – gli enti locali, le aziende sanitarie, gli studenti, le famiglie, il terzo settore, i soggetti attivi sul territorio in campo culturale, sportivo, ricreativo e soggetti del mondo produttivo interessati;
– condizioni organizzative che rendano concretamente possibile l’operatività del Patto, favorendo la flessibilità nell’utilizzo degli spazi e degli orari del personale a diverso titolo coinvolto, e la chiara definizione del quadro delle responsabilità di ciascun soggetto;
– quantificazione delle risorse finanziarie che consentano l’ampliamento non solo del tempo scuola, ma anche del tempo educativo, a cui ciascun bambino o adolescente ha diritto”

(Reti di associazioni che convergono sul documento EducAzioni, Condizioni per un buon patto educativo di comunità, 27 luglio 2020) 

3.4. La centralità della scuola

Le attività che potranno essere organizzate in quest’estate, nel periodo di interruzione del calendario scolastico, potranno essere gestite collettivamente, nel loro insieme, da tutti i soggetti, oppure gestite in parte dalla scuola e in altra parte da altri partecipanti al Patto.
Qualsiasi modalità organizzativa sia adottata è necessario che il ruolo della scuola sia rafforzato e valorizzato per la sua professionalità nel programmare e gestire progetti con valenza educativa e di ampliamento dell’offerta formativa.
Le scuole come luogo fisico, inoltre, potranno rappresentare un prezioso punto di riferimento, già conosciute dai/dalle bimbini/e e dai/dalle ragazzi/e, e dai loro genitori, per essere base logistica di tutte le attività, comprese quelle che poi potranno comportare uscite sul territorio.

 3.5. L’estate inclusiva

E tuttavia, i Patti educativi di comunità contengono due valori di grande valenza civile e politica, che vanno bel oltre la prossima estate, cui dobbiamo necessariamente soffermarci.
Fortunatamente, e se ci si crede, questa estate strana, con le scuole attive nel territorio, potrebbe creare condizioni sociali ed educative tali che le diverse azioni che si realizzeranno potrebbero risvegliare e valorizzare un pensiero fecondo che il tempo ha logorato, ma molto vivo nella pedagogia degli anni ’60 e ’70: il sistema formativo integrato.
I Patti educativi di comunità potrebbero essere il prologo non solo per una buona estate collaborativa ma anche di un sistema di relazioni e collaborazioni stabile tra le scuole e il loro territorio. Significa considerare tutto il territorio, nelle sue diverse forme e pratiche, come spazio educativo comune e la scuola come attore del e nel territorio per la costruzione del civismo, della relazione tra generazioni, della cultura diffusa. Una scuola che sa trarre dal territorio ispirazione, spazi e opportunità per uscire dalla aule mentali delle didattiche frontali e isolate dal contesto e farsi invece soggetto attivo di produzione culturale orizzontale.
I Patti educativi di comunità sono inoltre una spinta obiettiva a “fare squadra” a fronte delle tante e diversificate condizioni di difficoltà ed emarginazione già presenti nel territorio e accentuate dall’epidemia. Un territorio che in diverse forme, cioè, si prende in carico e in comune (avverbio, sostantivo, aggettivo) tutte le situazioni di maggiore fragilità individuali e familiari (disabilità, alunni stranieri, povertà educativa, ecc..).

L’occasione, insomma, per ristabilire, o rafforzare, una migliore alleanza per non lasciare indietro nessuno neppure i più dotati anche perché le doti richieste nell’estate potrebbero non essere le stesse di quelle dell’inverno…
Dunque, la presa in carico delle tante eterogeneità che diventa sfida culturale e civica che la scuola da sola o il territorio da solo mai potrebbero garantire.

4. Il percorso amministrativo

4.1. Le delibere necessarie

Le segreterie degli istituti scolastici dovranno mettere in atto le procedure amministrative affinché le attività si possano realizzare al meglio, anche dal punto di vista formale.
Sia il POF annuale sia il PTOF triennale dovranno essere variati e quindi il primo atto sarà una delibera del Collegio dei Docenti. Nella delibera del Consiglio d’Istituto, infatti, quando si approverà il progetto, si inizierà con “vista la delibera del collegio dei docenti del etc etc”.

 4.2. L’impiego del personale della scuola e la contrattazione d’istituto

L’approvazione da parte del Collegio, in questo specifico contesto come in generale quando si tratta di ampliamento anche quantitativo dell’offerta formativa, non significa assolutamente un vincolo per i docenti di partecipare all’attività che rimangono, per loro, facoltative. È peraltro evidente che, con molta probabilità, una buona parte delle attività saranno affidate a soggetti esterni all’amministrazione scolastica.
Ciò, naturalmente, non esclude che il dirigente scolastico abbia gli strumenti per garantire che alcuni spazi (orari? giornalieri? settimanali? un solo periodo in tutta l’estate?) siano riservati ad attività gestite dai docenti, o anche dai docenti, la cui prestazione aggiuntiva dovrà essere retribuita secondo le modalità e i termini del contratto di lavoro.

Diversa, invece, la modalità di impiego del personale ATA. Una volta definita, e approvata, la progettazione di massima, si dovrà svolgere una contrattazione con le RSU di istituto per definire le modalità di organizzazione e distribuzione delle attività extra mansionario e delle intensificazioni di lavoro richieste al personale amministrativo, tecnico e ausiliario, ed il salario accessorio che ne consegue.

Ci sarà molto lavoro per i collaboratori scolastici ma, in particolare in quest’anno, è molto probabile che la proposta trovi la loro favorevole adesione perché (tra presenza di organico Covid e sospensioni delle attività in presenza) non hanno accumulato quel numero di ore di straordinario che permettevano loro di recuperare qualche giorno di riposo in più da aggiungere alle ferie estive. Loro non potranno sottrarsi, dovranno lavorare, ma potranno ottenere qualche compenso aggiuntivo.
La gestione logistica dovrebbe in ogni caso rimanere alla scuola che potrà effettuare l’accoglienza, con i collaboratori scolastici, e non delegare il tutto (concedendo unicamente l’edificio) altrimenti non sarebbe un reale ampliamento dell’offerta formativa della scuola.

4.3. Protocolli di sicurezza

In relazione all’andamento epidemico dei prossimi mesi, potrà essere necessario anche rivedere il DVR aggiuntivo Covid-19 che gli istituti hanno già elaborato.
Per le attività estive, sempre in relazione alla situazione in cui saremo nel periodo interessato, saranno necessarie precise indicazioni nazionali, supportate da un parere tecnico del Comitato Tecnico Scientifico, affinché siano chiare le modalità da adottare per contrastare la diffusione del contagio.
In particolare, sarà necessaria massima chiarezza in relazione ai protocolli da adottare ovvero se le misure raccomandate rimangono quelle specifiche per la attività scolastiche ovvero se devono essere adottate quelle elaborate per i centri estivi ovvero, infine, se sarà predisposto un documento dedicato.

 4.4. Il Patto e la progettazione esecutiva

Una volta definiti i progetti e gli accordi sindacali, che sono condizioni preliminari di fattibilità, se è previsto il coinvolgimento degli enti locali, in relazione agli obblighi loro spettanti per legge oppure in relazione alla definizione condivisa di modalità e contenuti del progetto, sarà necessario relazionarsi con l’ente locale di riferimento e definire gli opportuni accordi nelle forme che saranno ritenute, congiuntamente, utili o necessarie. Se vi sono altre realtà operanti nel territorio, si potranno definire protocolli e accordi di massima anche con questi.

Quando saranno noti i finanziamenti di cui si potrà disporre e le altre risorse a disposizione, anche assegnate dagli altri soggetti partecipanti all’iniziativa, si disporrà di un quadro ben definito delle finalità (collegio dei docenti), degli indirizzi generali (Consiglio d’Istituto), dei vincoli sindacali (Accordo con RSU), delle risorse interne (Personale disponibile e risorse economiche ottenute) ed esterne (accordi con enti locali e terzo settore) e si potrà procedere alla progettazione esecutiva dell’iniziativa.

Una volta definito il progetto nel dettaglio si potrà passare al reperimento di quanto necessario per la realizzazione dell’iniziativa. A parte gli approvvigionamenti di beni, di consumo e non, che tutti gli uffici amministrativi sono in grado di effettuare con relativa semplicità, c’è il reperimento di risorse umane, specifiche professionalità o servizi.

Se vi sarà necessità di un esperto, non è necessario utilizzare il codice dei contratti perché sarà sufficiente utilizzare l’art. 7 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il quale prevede che “per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione” che impartisce unicamente questa indicazione: “Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”.
Si tratta di procedure molto semplificate.

Se il progetto, o una parte di esso, dovrà essere realizzato da altri soggetti si potrà tentare il percorso della coprogettazione e corealizzazione (si veda la parte di questo scritto a ciò espressamente dedicata) oppure potrà essere affidato a enti del terzo settore e imprese sociali, svolgendo una procedura aperta con un avviso pubblico nel quale l’istituto renda note quali sono le necessità e informi dell’intenzione di attribuire un punteggio alla qualità (es: sviluppo della progettazione, esperienza dell’impresa, degli operatori, certificazioni possedute, etc.) ed un punteggio, di molto inferiore, al prezzo. Anche questa è una procedura semplice. Ove necessario, non è escluso che, già nell’avviso, si informi il soggetto cui sarà affidato il servizio che dovrà lasciare degli spazi per l’inserimento di attività che saranno svolte e gestite da docenti che si rendono disponibili. 

4.5. Modulistica amministrativa

Per quanto riguarda i modelli di atti, il Ministero ha già fornito modelli di deliberazioni, di determinazioni, etc., che potranno essere adattate anche alle attività di cui stiamo parlando.
Recentemente, con nota 10 marzo 2021, n. 5465, l’Amministrazione ha informato di aver avviato un percorso per supportare le Istituzioni scolastiche nell’espletamento delle attività amministrative di maggiore complessità e ha reso disponibile il nuovo applicativo SGA (Sistema di Gestione degli Acquisti) che supporta le scuole per le fasi di Programmazione, Avvio delle procedure, Aggiudicazione, Stipula del contratto, Esecuzione del contratto, consentendo di predisporre una documentazione automatizzata, con riferimento a: Determina di acquisto per affidamento diretto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), del D.L. 76/2020, mediante richiesta di preventivi); Determina di acquisto per affidamento diretto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), del D.L. 76/2020, mediante trattativa diretta MEPA; Verbale di regolare esecuzione per approvvigionamento di beni, acquisizione di servizi e esecuzione di lavori.

 4.6. Rendicontazione

Una volta conclusa l’attività ci sarà da fare la rendicontazione qui viene un nodo dolente. Se sono soldi del Ministero si dovrebbero poter evitare le infernali modalità di rendicontazione cui gli istituti scolastici sono obbligati dai PON.

Per la rendicontazione di tutte le risorse stanziate per le iniziative di ampliamento dell’offerta formativa, quindi, sarebbe importante che fossero adottate le stesse procedure semplificate che sono state disposte per i 150 milioni che sono andati ad incrementare il fondo per il funzionamento e che prevedono l’utilizzo della piattaforma PNSD (piano nazionale scuola digitale), già utilizzata per le rendicontazioni dei diversi finanziamenti Covid-19, confermando anche la previsione secondo la quale i Revisori dei Conti accedano informaticamente alle documentazioni e appongano il visto con la stessa metodologia senza la produzione di alcun documento cartaceo.

Non sarebbe male, inoltre, che una semplificazione del genere fosse realizzata anche per i fondi PON in quanto la complessità di rendicontazione di tali fondi produce, alla fine, minore attenzione alla qualità e, qualche volta, anche rinunce a realizzare iniziative.




Una nuova sindrome: DSC, disturbo da scuola chiusa

di Raffaele Iosa

Questo venerdì di Pasqua mi ricorda stati d’animo della mia infanzia in un paese cattolico. Non c’era la pubblicità in tv, si parlava sottovoce, alle 3 del pomeriggio si ricordava la croce, si mangiava di magro. L’effetto nella mia piccola testa era di straniamento, di essere cioè ”strano” (straniante, straniero) quel giorno, tra gli adulti che giravano tra i vari sepolcri delle chiese.
Lo straniamento mi pare la parola giusta per definire oggi lo stato d’animo di milioni di bambini e ragazzi che frequentano un anno scolastico tormentato. Straniamento che sfiora la tristezza, l’inquietudine, l’incertezza.
Almeno io da piccolo sapevo per certo che poi arrivava la Pasqua.
Pur essendo uno psicologo di formazione, non utilizzo le parole di quel gergo quali depressione, stress e ansia. Temo la clinicizzazione di questi straniamenti e il comodo scarico dei ragazzi al lettino del terapeuta o dal farmacista.

E’ già tanta la medicalizzazione che temo nasca una nuova sintomatologia: il DSC, disturbo da scuola chiusa, con mirabolanti soluzioni terapeutiche.
Penso invece che per la grandissima parte dei nostri figli e nipoti si tratti di una condizione esistenziale che una buona educazione può alleviare, valorizzando anche la naturale resilienza. Buona educazione secondo l’I CARE di don Milani, naturalmente, non quella del TO CURE dei moderni strizzacervelli.


Ho fatto in questi mesi decine di webinar sulla valutazione e sul clima a scuola, sentito decine di insegnanti e dirigenti, parlato anche con molti alunni e studenti. Senza voler fare una statistica puntuale mi pare che appunto lo straniamento sia l’esprit di quest’epoca infelice.
Approfondisco da dove nasce lo straniamento sia per evidenziare alcuni comportamenti ambigui delle scuole, sia per sollecitare una riflessione più attenta per i prossimi mesi e il prossimo anno scolastico.

Ecco quelli che per me sono i punti dolenti dal punto di vista scolastico.
1. Dalle passioni generose alle passioni tristi
Ho già scritto molto sulla fase primaverile di lockdown in cui migliaia di insegnanti, senza ordini superiori precisi né strumenti sufficienti hanno “inventato” di sana pianta quella che io ho chiamato didattica della vicinanza. Si è insomma messo al centro della relazione educativa nel lockdown la sofferenza di alunni e studenti non solo per la scuola chiusa ma anche perché chiusi duramente in casa, come “centro” dell’impegno a creare comunque un contatto educativo. Sono fiorite moltissime esperienze le più varie, tra chi ha cercato di scimmiottare online la lezione frontale a chi si è inventato di tutto. Alla fine si sono promossi tutti e “santo virus” ha permesso il ritorno dei giudizi descrittivi al posto dei voti almeno e purtroppo solo nella scuola primaria.
Il webinar è diventato una diffusissima moda di contatto, formazione in itinere, scambio, quasi a colmare anche la solitudine degli insegnanti davanti all’inedito e al tragico.

2. La scuola nella bolla
Si è tornati a settembre piedi di ottimismo e speranze. Forse con scarsa riflessione pedagogica su ciò che era avvenuto nelle menti e nei cuori di tutti noi. Pareva bastasse tornare, i nostri ragazzi erano gli stessi di prima, scordando l’effetto grande di ciò che era accaduto. No, erano altri.
L’Azzolina ha puntato poco su questi aspetti, nascondendo per esempio il documento Bianchi, che almeno proponeva i patti di comunità per disseminare le classi in luoghi altri dalle aule, utilizzando per esempio musei e sale da concerto.
Il che avrebbe forse favorito anche una commistione didattica tra testi e contesti dell’apprendere. No, tutte le classi chiuse nella bolla della scuola, tra mascherine, finestre da spalancare, disinfettanti, uscite diversificate. Si è cioè sottovalutato l’effetto psicologico e pedagogico dei tanti limiti posti dalle regole sanitarie, come l’assenza di relazioni intense, di uscite da scuola, visite a musei, gite scolastiche. No, sempre chiusi in classe mascherati e regolati negli spostamenti.
Solo un’associazione professionale, Proteo, ha suggerito un serio “protocollo pedagogico” per il rientro che metteva al centro la questione educativa”. Ha ricevuto i complimenti di Mattarella, ma nessun ascolto a viale di Trastevere né nelle scuole. Poche scuole hanno realizzato gruppi riflessivi su questi temi.

3. Un anno scolastico nella tristezza.
Da qui l’inizio di un anno scolastico sempre più triste, quando la curva pandemica ha cominciato a salire, l’arrivo delle frequenti quarantene, l’incertezza sui tamponi, i guai dei trasporti. Pian piano la scuola si è declinata in una passione triste piena di insicurezze e sempre più faticosa.
L’incertezza dell’anno ha visto regioni con frequenze quasi regolari, anche se super limitate nelle didattiche attive, e regioni che hanno aperto ole scuole solo per poco più di un mese, il resto in Dad. E non è certo bastato il calembour della cd DDI a migliorarla. Poi quest’ultima terza fase, di cui non è chiara la fine. Un anno fortemente disturbato, che lascia un segno di straniamento.

4. L’iper-curricolo hard
E’ sorprendente, invece, ciò che è successo in moltissime scuole in relazione agli insegnamenti.
A fronte della scuola-bolla, da cui non si poteva neppure andare in giardino, sia in aula che online sono fortemente aumentate lezioni frontali hard, compiti per casa, interrogazioni di diverso tipo.
Almeno per chi a scuola ci è andato e per chi a casa era attrezzato, la scuola ha risposto allo straniamento dei ragazzi irrigidendo la propria azione didattica, fortemente ridimensionando la relazione più squisitamente educativa. Quindi aumentando lo straniamento e l’estraneità.
La prossemica d’aula, i distanziamenti e l’online a microfoni spenti hanno impedito dialoghi interpersonali, lavori di gruppo, azioni attive. Non restava altro da fare che lezioni frontali.
Non è quindi del tutto vero che i ragazzi “sono indietro” nel programma, anzi sono stati (aridamente) abbuffati di nozioni, capitoli del manuale, esercizi da svolgere. Hanno invece subito spesso un iper curricolo hard con scarsissima ricerca personale, accompagnato da un aumento spropositato di compiti per casa, mai come quest’anno.
Ha accentuato questa frenetica direttività il timore che i ragazzi fossero rimasti “indietro” dall’anno scorso. Ed anche che almeno li si teneva “impegnati”. Un apprendimento lineare, spesso monotono, poco creativo. C’è dunque una sconfinata stanchezza in molti bambini e ragazzi, ed anche nei loro insegnanti. Ma intanto, mentre scrivo in questo luminoso venerdì, i nostri studenti in vacanza sono oberati di compiti a casa dati perfino per questi pochissimi giorni di stacco attorno a Pasqua. Straniamento anche in vacanza.

5. Gli ultimi sempre più ultimi
Naturalmente hanno perso di più i ragazzi già deboli l’anno scorso, quelli con pochi strumenti informatici a casa, quelli persi per le ragioni più tristi, e i ragazzi con disabilità che si trovano spesso in quest’ultimo periodo soli come cani nelle aule deserte, segnando drammaticamente come l’inclusione non sia passione di tutti (anche degli altri studenti) ma il sostegno isolante. Per tutti questi l’anno scolastico ancora più triste, senza flessibilità organizzativa e didattica, costata un ulteriore passo indietro rispetto agli altri. Più che straniati, spesso persi.

Conclusioni e alcune piccole speranze
Ci si può augurare che prima del prossimo anno scolastico sia data agli insegnanti l’opportunità formativa di una seria riflessione pedagogica ed educativa su queste esperienze così drammatiche e complesse. L’anno prossimo, vaccino permettendo, non può che essere quello della rinascita, non certo quello che segue questo come se nulla fosse successo.
Intanto vorrei che dopo Pasqua si frenasse la frenesia dell’iper-curricolo, si riprendessero tutte le forme possibili di dialogo e relazione, che insomma si cerchi in tuti i modi di consolidare quella comunità che si è perduta nei mesi scorsi.
Infine si avvicina il tempo della valutazione finale e sento molti timori non tanto sul bocciare o meno ma sui rischi di ricorsi da parte della famiglie. Come se il tema valutazione fosse roba da avvocati. Meriterebbe invece una seria ed onesta valutazione formativa sul tutto della scuola, non solo su quello prodotto dai ragazzi ma anche dagli insegnanti e su tutte le opzioni di recupero e sviluppo da predisporre per l’anno prossimo, anche partendo dalle iniziative interessanti offerte dal decreto Sostegni per la prossima estate.

Per i ragazzi perduti e a rischio di essere persi, suggerirei quanto meno di pensarci molto e di riflettere su questa durissima frase di don Milani nella Lettera a una professoressa: “Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie. Vi svegliereste la notte con il pensiero fisso su lui a cercar un modo nuovo di fare scuola, tagliato su misura sua. Andreste a cercarlo a casa sua se non torna. Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d’essere chiamata scuola”.
In questa fase terribile e inedita della storia della nostra scuola servono gesti generosi, non regali né sanzioni ma attenzione pedagogica attenta alla tante stranianti storie dei nostri ragazzi.




Patti territoriali per la formazione: il ristoro educativo

di Raffaele Iosa e Massimo Nutini

Proposte pedagogiche sull’ampliamento dell’offerta formativa per la prossima estate, da realizzare con le risorse del Decreto legge Sostegni

 Le cospicue risorse stanziate dal D.L. Sostegni (1) rappresentano un’ opportunità per realizzare pratiche educative inedite nella storia della scuola, a patto che si evitino fraintendimenti tra scuole e territori, e tra gli insegnanti stessi, sugli obiettivi  pedagogici richiesti da questa difficile epoca.(2)

Se vi sarà lo spirito giusto, dagli insegnanti al Ministero, dai sindacati agli enti locali, fino al terzo settore, potremmo pensare che i 300 milioni stanziati(3) per l’ampliamento formativo in estate e in autunno potranno rappresentare un primo ristoro civile alle ferite educative, sociali, psicologiche, e anche curricolari, che i nostri bambini e ragazzi hanno subito in questi difficilissimi mesi.

Lo chiamiamo appunto ristoro perché è una risposta dello Stato di aiuto all’educazione, e come tale simile ai ristori finora erogati alle diverse categorie che hanno subito perdite a causa della pandemia. Ristoro come boccata di energia per ripartire.

  1. Riflessioni sull’emergenza educativa

Quale azione pedagogica è necessaria affinché il ristoro educativo sia efficace e ricostituisca fiducia tra educazione e società? Per rispondere alla domanda, sarà necessario iniziare da una realistica analisi di cosa i nostri bambini e ragazzi hanno pagato sul piano del loro sviluppo da marzo 2020 ad oggi, evitando il rischio di una deriva medicale delle loro ferite, come fosse una questione clinica.

Se si osserva la scuola solo con l’arida visione del curricolo hard, cioè quello del “io spiego, tu a casa studi, poi compiti o interrogazione”, si può per paradosso dire che in questo anno scolastico, anche se tormentato, gli studenti hanno subito una sorta di iper-curricolo, sia in presenza sia online, perché le condizioni materiali  hanno ridotto le relazioni, l’attivismo nell’apprendere, lo scambio. Insomma di quell’ambiente fatto di contenuti mescolati a relazioni ed esperienze vive.

Naturalmente il prof. dell’ “io spiego, tu a casa studi, poi compiti/ interrogazione” può dire che così basta, ma sono molti gli insegnanti che invece segnalano una fatica inaudita, tra maschere e aule rigide, quarantene varie, andata e ritorno in Dad…  Il curricolo hard non è mancato, anzi!

È mancata però la scuola come luogo di vita e formazione, chiusa nel formale recinto istruttivo.

E sono aumentate le diseguaglianze, oltre che la solitudine individuale. Va ricordato che in alcune regioni non si è fatto quasi mai vita d’aula. Dei ragazzi con disabilità merita altrettanto dichiarare la sconfitta ad una qualche dignitosa inclusione, a parte qualche generosa eccezione. Ma c’è di più: nessun ragazzo italiano ha fatto uscite didattiche, visite a musei, progetti locali, ecc..

Oltre la scuola ai nostri giovani  è mancata la piscina, la palestra, le attività sociali; hanno girato se possibile nei centri commerciali,  accolti con notevole maldicenza. Sono stati chiamati untori.

Quindi? Alla luce di tutto questo chiudiamo le scuole a giugno e arrivederci a settembre? Lasciamo loro al quasi nulla del tempo estivo, se non dove possibile centri estivi e guardiania sociale senza attenzione a  ciò che è mancato? Non è  normale, questa estate, a fronte anche di milioni di italiani impoveriti che non hanno risorse neppure per farsi un po’ di ferie in famiglia fuori casa? Ritorniamo a scuola a settembre, sperando che le vaccinazioni funzionino, e riprendiamo il tran tran come se niente fosse successo?

A fronte dello sfondo esistenziale e sociale fatto di ferite  subite dalle nostre bambine e bambini e dalla nostre ragazze e ragazzi, è forse il caso di organizzare qualcosa di più e di meglio.

Il Decreto Sostegni permette di realizzare azioni di ristoro educativo inedite, che coinvolgano non solo la scuola ma anche tutto il territorio negli ormai noti “patti di comunità”.

  1. Può la scuola restarne fuori?

Può la scuola restarne fuori sostenendo che a lei tocca l’anno scolastico compiuto nella forma ma non nella sostanza pedagogica? Può la scuola sottrarsi ad una seria riflessione pedagogica sulla condizione dei propri alunni e studenti ed ingaggiare l’anima e l’azione educativa per  almeno un primo ristoro di tutte le condizioni esistenziali, formative e cognitive ferite da quest’epoca triste?

Non si tratta solo della prossima estate ma anche e sicuramente del prossimo anno scolastico e tocca anche al territorio civile e sociale riflettere su cosa sia possibile fare con azioni riparative dall’infanzia all’adolescenza, che se non leniranno tutto il dolore potranno almeno dare spinte positive e segnali che, in questo Paese, qualcuno si preoccupa davvero delle future generazioni. Non farlo confermerebbe, drammaticamente, che il nostro non è un Paese per giovani,  e spiegherebbe anche perché gli italiani non fanno quasi più figli.

Il Governo sta per assegnare fondi consistenti direttamente alle scuole per ampliamenti dell’offerta formativa che  potranno andare oltre lo stretto ambito del normale anno scolastico. Impossibile far finta di nulla. Dentro a questo finanziamento si può leggere un’idea del cosiddetto curricolo ben più ampia delle aride versioni hard di molte pratiche di quest’anno. Riguardano la dimensione dell’apprendimento e della socialità come un tutt’uno del sistema scolastico, sia nella sua dizione formale di “istruzione e formazione” sia in quella fattuale. Le azioni proposte infatti servono al ristoro non solo per “l’extracurricolo, il recupero delle competenze di base, il consolidamento delle discipline” ma si accompagnano giustamente “alla promozione di attività per il recupero della socialità, della proattività, della vita di gruppo delle studentesse/ studenti”. 

Non si tratta quindi di un banale recupero (le solite ripetizioni) ma di ben altro. E’ il riconoscere che istruzione senza educazione, l’assenza di relazioni significanti tra pari, la conoscenza senza esperienze condivise e ricerca sul campo sono la fine della scuola. Perché viene a mancare il mix basico e non accessorio su cosa sia una scuola democratica e  la comunità educante che  in questi mesi è sfiorita. Apprendere è un fatto sociale, ci insegna Lev Vigotsky, e tocca tutti i lati umani.

SI tratta  di un impegno straordinario ma anche strategico. Se la scuola non si muovesse in qualche modo, pur con i limiti del tempo, si confermerebbe la tendenza politica, in atto da tempo, che considera la scuola ormai  incapace di formazione, ma un soggetto di mera istruzione.

  1. Può la scuola delegare altri?

Vediamo il rischio di rimpicciolirne la funzione civile della scuola a banale trasmissione, affidando ad altri (il terzo settore? Le cooperative sociali?) la dimensione educativa e formativa. L’assenza di uno slancio pedagogico della scuola, proprio in questi momenti, sarebbe l’anticipo di un suo declino pubblico e la conferma che aveva ragione chi si era ripromesso di rimpicciolirla. C’è un mondo fuori dalla scuola che non vede ora di impossessarsi della gioventù, un pullulare di soggetti oltre i tradizionali schieramenti politici. Vogliamo delegare a questo le finalità educative?

Naturalmente il ristoro per bambini e giovani non riguarda solamente la scuola, ma tutto il territorio, sia pubblico (l’ente locale) sia sussidiario (il sociale), ma ciò deve avvenire in una logica di co-progettazione e partecipazione, di arricchimento delle opportunità e non di separazione.

I patti di comunità, territoriali  ed educativi, sono l’alveo in cui la scuola esercita il suo ruolo non separando a canne d’organo le diverse azioni né lasciando stare perché ci pensano gli altri.

Non sono poche le difficoltà da superare, e c’è ancora spazio e tempo per sperare che i provvedimenti attuativi del Decreto  operino per semplificare la parte amministrativa affinché questa rimanga, com’è giusto e necessario, in secondo piano. Si devono rendere abbordabili le modalità di accesso ai finanziamenti, sveltire le procedure, prevedere modalità di rendicontazione non burocratiche ma qualitative. Molto dipenderà dal previsto decreto interministeriale.

Fin da adesso, però, è necessario affrontare gli aspetti più squisitamente pedagogici che devono essere elaborati dagli insegnanti per realizzare un’azione efficace.

Tocca infatti in primis ai nostri insegnanti questo lavoro, nella consapevolezza che non potranno mai realizzarsi esperienze di ampliamento dell’offerta formativa con lo spirito indicato dalla norma, senza una relazione di comunità con le risorse del loro territorio. Ma, al contempo, gli insegnanti non potranno mai realizzare con successo queste esperienze se non nascono da loro, dalla loro professionalità e sensibilità civica. È ben chiaro che gli insegnanti potrebbero anche non fare nulla e che lo scenario attuativo prevede inevitabilmente azioni di volontà, pur giustamente incentivate, ma nelle prossime settimane si opereranno queste scelte.. Molto potrà dipendere dalla qualità (e non dalla quantità) delle idee e delle proposte che sarà possibile portare avanti.

  1. Iniziare a progettare

Lo sguardo  per progettare queste attività parte  ovviamente dai nostri bambini e ragazzi e da un’attenta riflessione sulla loro condizione esistenziale,  familiare, sociale, scolastica, delle reti amicali. Meglio ancora sarebbe se più attività possibili fossero condivise e progettate insieme a loro. Riconoscendo  un’emergenza educativa senza precedenti,    per cui  agire il meglio possibile. Non una gabbia afosa a fare noiose ripetizioni, non una guardiania per farli correre nei giardini, né banalità amene per far passare il tempo. Ma socialità creativa, esperienze inclusive che lascino il segno. Perché i bambini e i ragazzi possano dire “ma allora contiamo qualcosa!”.

Ci vogliono idee il più possibile creative ed emozionanti anche per noi adulti; ci vuole un’attenta riflessione sui punti crisi dei nostri studenti che non sono certo solo quelli curricolari, ma la relazione educativa e amicale, il loro stato d’ animo  di straniamento dentro la pandemia.

Dunque serve una cura  a monte per decidere iniziative che servano davvero, non per re-imbottirli di ripetizioni, né per fare animazione da loisir tanto per fare. No: esperienze formative vere, nelle dimensioni socio-educative che sono non solo emozioni ma anche conoscenza, riflessione, ricerca.

  1. Regole essenziali  per la qualità educativa

I paradigmi organizzativi e pedagogici che dovrebbero stare alla base della progettazione educativa di queste attività sono per noi molto semplici

a. Non possono essere fatte scimmiottando la scuola del tran tran

Non si tratta infatti di allungare l’anno scolastico, ma di allargare le opportunità educative e di socialità. Quindi, anche se si trattasse di attività che contengano un qualche “recupero”, vanno pensate in contesti di apprendimento quasi esclusivamente diversi dall’aula in senso stretto. E’ quindi l’occasione per utilizzare gli spazi aperti, evitando anche l’alibi delle aule calde e senza tende, e vivere invece l’aperto come spazio educativo che allarga la scuola

b. Non è necessario che durino a lungo

Conta la qualità, non la quantità. Dunque: non si tratta di progettare periodi lunghi, ma tempi mirati a realizzare esperienze significative e di intensa valenza formativa. Così sarà anche possibile non entrare in competizione con le altre attività estive previste in molti comuni, ma essere un valore aggiunto, complementare e magari integrato alle altre iniziative.

c. Devono essere attività inclusive.

Pare strano doverlo scrivere, ma lo sottolineiamo. Devono essere centrate  sul gruppo classe o, comunque, di coetanei della stessa scuola, ma nessuno deve mancare, in primis  quei ragazzi con disabilità che più di tutti hanno pagato il confinamento con l’esclusione. La nuova situazione in cui le scuole si troveranno ad  agire sarà ottimale  per realizzare la migliore inclusione di  tutti.
Devono inoltre, il più possibile, essere progettate assieme ai nostri ragazzi, perchè vivano questa nuova esperienza come una cosa loro, con creatività e  non come attività imposta dall’alto.

d. Se fatte con altri, che siamo co-progettate e condivise.

Potrebbe anche accadere il caso della scuola che appalti una qualche attività ad altri soggetti esterni. Ma la scuola non dovrebbe mai tenersi fuori del tutto, non dalla programmazione ma neppure dall’attuazione. Diversamente sarebbe una sconfitta. Merita piuttosto pensare a co-progettazioni di attività svolte sia da insegnanti che da altri operatori, capaci di fare squadra e condividere l’esperienza, insieme, sia di gestire momenti temporali (alcune ore, un giorno la settima, una settimana al mese) in modo autonomo ma coordinato e unitariamente progettato.

e. Sfruttare con intelligenza tutte le risorse del territorio.

È opportuno definire patti di comunità anche per integrare le realtà sociali e culturali del territorio. Il nostro Paese ha spazi, monumenti, cammini, parchi naturalistici, musei a volontà. Spesso non sono usati come e quanto si potrebbe. E’ l’occasione giusta, quindi, perché  si mettano in rete con le scuole e si sentano felicemente sfruttati per aiutare le scuole a realizzare progetti con loro individuati, e anche per molti di questi enti potrebbe essere un risveglio dopo mesi di chiusura.

6. Alcuni casi-tipo come esempi di azioni possibili

Meglio andar per esempi che per teorie. A seguire quattro spunti, direttamente ripresi da scuole che già stanno elaborando prime progettazioni, casi-tipo utili per la riflessione pedagogica che rivelano, oltre che per stimolare  la creatività degli insegnanti, che  non manca.
Non si tratta solo di copiare ma anche di ispirarsi a qualche caso-tipo per inventare progetti propri. Naturalmente (ma questo è altro tema) nei limiti dei protocolli di sicurezza che dovranno essere adottati in relazione alla situazione epidemiologica in cui ci troveremo la prossima estate.

a. In cammino insieme per un buon addio

In una cittadina romagnola, le prof. e i ragazzi delle classi terze, che sono in uscita dalla scuola, faranno tra giugno e luglio un cammino di 5 giorni (e quattro notti) nello stile “Compostela”. Cioè andare tutti insieme lungo un “cammino”, finalmente dopo tanto tempo fuori di casa, tutti insieme giorno e notte, liberi di vivere e comunicare.
L’ipotesi è percorrere un pezzo del  “cammino di Dante” nel vicino Appennino tosco-romagnolo. Una camminata dove incontrare (studiare dal vivo: curricolo en plen air) una natura strepitosa, visitare vestigia del nostro medioevo e rinascimento, ma anche saltare fossi, fare il bagno sotto la cascata di Acqua Cheta (citata da Dante), la notte a vedere più stelle che nella nostra afosa pianura. Non è difficile pensare che servano almeno due insegnanti a classe, meglio se amanti dei “cammini”, ma anche pieni di entusiasmo a rivedere i loro ragazzi tutti insieme. Ma bello sarebbe se ad una tappa passasse il/la dirigente scolastico/a (e perchè no il sindaco?) a salutarli.
La riflessione pedagogica è evidente: a quei ragazzi cui abbiamo tolto la relazione tra pari per lunghi mesi, che a settembre non vedremo più, ma che ci lasciano con la nostalgia del non avvenuto, offriamo un’opportunità di camminare con noi, di condividere giorno e notte gli ultimi giorni di vita insieme. L’anno prossimo si separeranno. Ecco un’avventura che appartiene all’indimenticabile, tarata per preadolescenti che già sognano (e temono) cosa sarà di loro.

E’ ovvio che non è una proposta turistica, ma propria del curricolo dell’andare  nella vita, capace di mescolare contenuti ed esperienze, che loro (di loro c’importa) non dimenticheranno mai.

Naturalmente il patto di comunità trova il Comune partecipe,  il CAI studierà il percorso ed offrirà un’eventuale guida. Per i ragazzi con disabilità si cercherà di superare le barriere e trovare i facilitatori, così si imparerà nei fatti la logica ICF  e l’accomodamento ragionevole della Carta dell’ONU per i diritti delle persone con disabilità. Verranno anche gli educatori già attivi nella scuola, ma rigorosamente nessun genitore al seguito. Da soli, finalmente fuori di casa, a sudare e gioire insieme. Ma perché non anche le altre classi? Perchè no?

A proposito di cammini: in Italia sono in grande sviluppo, si pensi ai tratti della via Francigena o al cammino degli dei tra Bologna e Firenze o la via di S. Francesco in Umbria. Non mancano!

b. la barca come aula di vita

Questa idea può andar bene dai bambini di scuola primaria in su fino alle superiori, nelle città affacciate sul mare o che hanno il mare vicino. O anche un lago.
Conoscere il mare da dentro, viverlo non solo dalla spiaggia, è un’esperienza formativa assoluta, non solo dei termini marinari, la conoscenza dei venti, la tecnica di vela, ma anche il controllo emotivo del sé, del fare squadra. Un curricolo integrale onnicomprensivo.
Dunque: un  corso di vela, durata media una settimana, assieme agli istruttori e agli insegnanti. E alla fine magari un’uscita in barca attrezzata per una notte intera a veder le stelle.

Tra mare e laghi  non mancano scuole di vela, manca spesso un rapporto con le  scuole, per far diventare questa esperienza  formativa e non solo sportiva. Tra l’altro, spesso le scuole di vela hanno costi elevati, e con il Decreto Sostegno si potrebbe allargare la platea dei partecipanti, Stessa possibilità di organizzare il tutto facendo in modo che, per chi vuole, si tratti solo di un modulo di un’offerta temporalmente più estesa, da completare nel centro estivo.

c. Volontariato giovanile, perché no? 

Per i ragazzi più grandi può essere interessante svolgere insieme esperienze di volontariato. Darsi un obiettivo (es. raccolta viveri alimentari, assistere persone deboli,  azioni concrete a favore dell’ambiente). Con una progettazione fatta insieme tra studenti, insegnanti e associazioni.
Fare i conti con il dono gratuito di sé come valore civico inestimabile. E verificarne poi il significato con una riflessione culturale comune nella scuola. Educazione an civismo nei fatti.

Questo agire è  un vero patto di comunità nel senso generale: il giovane  si sente comunità e la fa in concreto. La complementarietà con altre iniziative  estive, in questo caso, potrebbe realizzarsi anche con l’inserimento di queste mini attività al loro interno,  prevedendone momenti ad hoc: un giorno la settimana? due giorni in tutto il mese? Altro?), con  la partecipazione  degli insegnanti a trarre il significato formativo delle attività  per una loro riflessione comune sull’esperienza.

d. Tra sagre e feste paesane

In estate e fino al primo autunno nel nostro paese vi sono numerose feste paesane. Alcune hanno poco di tradizionale, altre invece coinvolgono la comunità locale ed hanno radici antiche. La prossima stagione, se il vaccino ci aiuterà, potrebbe essere la ripresa di molte di queste.

Per il periodo in cui si realizzano non hanno quasi mai la partecipazione delle scuole  con propri eventi ed attività da offrire a tutta la comunità. Potrebbe quindi essere la volta giusta in cui i bambini e i ragazzi  si offrono alla comunità con tutta quella congerie di eventi culturali, estetici, che spesso le scuole producono durante l’anno, ma solo per i genitori. In questo caso si tratta di organizzarsi, ritrovare i nostri ragazzi, lavorare insieme. E il patto di comunità sta nelle cose.

Conclusioni non concluse

I nostri due articoli sul tema del Decreto Sostegni intendono offrire riflessioni, idee e proposte  per una stagione molto difficile che può essere innovativa e un primo ristoro effettivo di carattere formativo ai nostri studenti. I lettori attenti avranno colto il fatto che le quattro esperienze-tipo qui presentate non hanno mai come protagonista la scuola come edificio fisico, ma come strutture base. Contano le persone, la loro voglia di stare insieme e di fare qualcosa di utile.

Naturalmente ci impegniamo a diffondere le buone pratiche che troveremo lungo il paese, e siamo  disponibili a dare una mano se vi sono difficoltà e intoppi di tutti i tipi. Seguiremo anche i decreti attuativi e ne consiglieremo a chi ce lo chiederà la gestione più intelligente e facilitata possibile.

La scuola in comune (aggettivo, sostantivo, avverbio) è la nostra idea di autonomia scolastica. Che questa volta può avere uno slancio come mai prima.

  1. Decreto legge 22 marzo 2021, n. 41, art. 31, comma 6
  2. Raffaele Iosa e Massimo Nutini, Patti formativi per la formazione: dalle parole ai fatti, Gessetticolorati.it, 21 marzo 2021
  3. Oltre ai 150 milioni stanziati dal decreto legge sostegni, ve ne sono almeno altrettanti, utilizzabili per la stessa finalità, dal Programma operativo nazionale «PON Per la Scuola» 2014-2020



Un altro anno difficile. Pensiamo all’estate ma anche all’autunno

di Stefano Stefanel

In questi ultimi giorni sono uscite le Ordinanze n° 52 e 53 (3 marzo 2021) sugli esami di stato conclusivi dei due cicli dell’istruzione e il Decreto legge n° 41 (22 marzo 2021), che contiene il comma 6 dell’articolo 31 che introduce una novità di portata molto ampia: “Al fine di supportare le istituzioni scolastiche nella gestione della situazione emergenziale e nello sviluppo di attività volte a potenziare l’offerta formativa extracurricolare, il recupero delle competenze di base, il consolidamento delle discipline, la promozione di attività per il recupero della  socialità,  della  proattività, della vita di gruppo delle studentesse e  degli  studenti  anche  nel periodo che intercorre tra la fine delle lezioni dell’anno scolastico 2020/2021 e l’inizio di quelle  dell’anno  scolastico  2021/2022, il Fondo per l’arricchimento e l’ampliamento  dell’offerta  formativa e per gli interventi perequativi, di cui all’articolo 1 della legge 18 dicembre 1997, n. 440, è incrementato di 150  milioni  di  euro  per l’anno 2021.

Io credo che qualcuno debba avvertire il Ministro Bianchi che c’è una “mancanza”, perché questi documenti “saltano” dalla fine di marzo alla fine di giugno, quasi che i mesi che ci attendono (aprile, maggio e giugno) siano mesi “indifferenti”.
In questi giorni io, purtroppo, sento molto “rumore di sciabole” e questo mi mette molta paura, perché gli studenti vengono da due anni scolastici inimmaginabili e molti di loro vanno verso una bocciatura che aumenterà la dispersione scolastica e il disagio complessivo del sistema scolastico italiano, senza intervenire sul problema strutturale che questa pandemia ha scatenato.
E’ vero che spendere 150 milioni di euro in sei mesi non è cosa da poco e quindi bisogna prendersi per tempo, ma l’impressione è che non ci sia preoccupazione per il numero di studenti che rimarranno indietro a causa di quanto accadrà nei prossimi tre mesi, dentro una didattica che ha aumentato, attraverso la distanza, il suo impatto formale e formalistico. Non comprendo perché questa corsa verso la dispersione non preoccupi e non preveda forme di supporto nei prossimi tre mesi per limitare quello che la pandemia ha minato nel processo di apprendimento dei nostri studenti.

Inoltre il primo ciclo dell’istruzione è dentro uno stress test mai immaginato, non ipotetico, bensì proprio reale. E questo acuirà la dispersione soprattutto in quella scuola di frontiera che è ormai diventata la scuola secondaria di primo grado. Quindi quando arriveranno gli esami e quando partiranno le attività estive ci sarà comunque una scuola che si troverà a fronteggiare un’improvvisa dispersione. Io penso che ci si debba occupare e preoccupare oggi di quanto avverrà nei prossimi tre mesi e, di riflesso, di cosa avverrà dopo. Qualcuno può pensare che sia “naturale” che ci sia molta dispersione, visto che l’anno scorso tutti gli studenti sono stati promossi: ma la dispersione scolastica non è mai naturale e spesso è indotta da cattive pratiche didattiche e da disastrose pratiche valutative, che nella Didattica Digitale Integrata sono aumentate, non diminuite. Però, natura non facit saltus e dunque un passaggio da marzo a luglio senza tenere in debito conto cosa potrebbe avvenire in aprile, maggio e giugno è molto rischioso e non va sottovalutato.

Parlare poi di tempo perso da recuperare, come a “qualcuno” è sfuggito, non rende giustizia alle scuole che non hanno mollato nemmeno un minuto, anche con strumenti come la Didattica digitale integrata, che avrebbero dovuto integrare e non sostituire. Il curricolo è stato appesantito da troppa didattica frontale e gli studenti non hanno potuto vivere la scuola come andava vissuta. Questo è avvenuto anche nel primo ciclo, martoriato da chiusure, quarantene, contagi e una situazione sempre mutevole e molto in bilico sul ghiaccio pronto a rompersi.

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Il decreto legge mette insieme cose piuttosto diverse tra loro, con una grande ambizione, perché vuole potenziare:

  • l’offerta formativa extracurricolare,
  • il recupero delle competenze di base,
  • il consolidamento delle discipline,
  • la promozione di attività per il recupero della socialità, della proattività, della vita di gruppo delle studentesse e degli studenti.

L’elenco è corretto e centra i problemi principali della scuola italiana, ma quello che è necessario fare è impedire che gli studenti che dovranno recuperare siano troppi. Inoltre un simile programma per essere realizzato richiede due anni, non due mesi, certamente non un’estate sola e dunque forse è bene mettersi con calma a valutare tempi e burocrazia, perché la poesia e la fantasia non possono andare a schiantarsi sulle procedure che saranno messe a presidio di quei 150 milioni di euro. Ci sono delle potenzialità e delle criticità che è importante valutare separatamente. Partiamo dalle potenzialità:

  • è importante che la scuola mantenga la centralità sociale che questa pandemia le ha assegnato e che il suo ruolo venga riconosciuto ancora di più;
  • è necessario puntare sulla qualità dei progetti e non sulla quantità;
  • è importante far comprendere e conoscere alle famiglie le possibilità che la scuola fornisce anche al di fuori delle sue attività canoniche;
  • è necessario che la scuola sappia allearsi con gli enti locali e con i soggetti del terzo settore e dello sport per costruire progetti di senso;
  • tutte le opportunità date agli studenti per recuperare una corretta socialità, anche in estate, vanno colte.

Proprio perché il progetto è importante vanno considerate oggi quelle che possono essere le criticità, alcune delle quali già si vedono nel testo del decreto: “Tali risorse sono assegnate e utilizzate sulla base di criteri stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, anche al fine di ottimizzare l’impiego dei  finanziamenti di  cui  al  Programma operativo nazionale «Per la Scuola»  2014-2020, (…). Le istituzioni scolastiche ed educative statali provvedono entro il 31 dicembre 2021 alla realizzazione degli interventi o al completamento delle procedure di affidamento,degli  interventi,  anche  tramite  il coinvolgimento, secondo principi di trasparenza e nel rispetto  della normativa vigente, di enti del terzo settore e imprese sociali.

Vediamole una per una:

  • “anche al fine di ottimizzare l’impiego dei finanziamenti di cui al Programma operativo nazionale «Per la Scuola»  2014-2020”: se c’è qualcosa che non va ripetuta è la burocrazia dei PON. Questo è un punto non da poco, perché la burocrazia collegata ai Fondi PON sta strangolando le scuole, che si vedono costrette ancora oggi a sottostare a controlli su fondi spesi quattro-cinque anni fa per progetti già conclusi, dentro una burocrazia che non arretra neppure davanti all’evidente e conosciuta debolezza amministrativa di molte scuole;
  • “Le istituzioni scolastiche ed educative statali provvedono entro il 31 dicembre 2021 alla realizzazione degli interventi o al  completamento delle procedure di affidamento degli  interventi”: anche in questo caso il concetto di “procedura di affidamento” prevede la prospettiva di ulteriori complicazioni e che si possono abbattere sulle segreterie allo stremo già in estate;
  • tramite il coinvolgimento, secondo principi di trasparenza e nel rispetto della normativa vigente, di enti del terzo settore e imprese sociali”: qui la domanda è semplice, “come?”. Se l’affidamento è tramite “procedure di affidamento” non può essere tramite “coinvolgimento”. O si procede per procedure o si procede per coinvolgimento: tertium non datur.

L’ultimo punto sopra esposto merita un approfondimento perché il “terzo settore” sta già occupando gli spazi estivi soprattutto per la fascia 6-14 anni con centri estivi e centri vacanze. Ora è evidente che una procedura aperta al mercato (come chiedono le Linee guide ANAC anti corruzione) potrebbe creare del turn over tra gli operatori, che porterà a contenziosi a livello locale, visto che gli “operatori storici” si attendono continuità dopo un anno molto difficile anche per loro. Inoltre molti enti locali sono già partiti nell’organizzazione estiva e pertanto sarà difficile progettare attività alternative o integrare le attività degli enti locali con quelli delle scuole.

Una bella idea e una giusta attenzione al sociale devono camminare con gambe molto ben piantate avendo cura di tener conto della dispersione scolastica in arrivo dentro i prossimi tre mesi che non sono di passaggio, delle procedure di gestione economica delle scuola diventare terribilmente complicate, del radicamento sul territorio del terzo settore.

Restituire ai bambini e ai ragazzi i loro spazi sociali e garantire al tempo stesso un supporto al curricolo informale e non-formale sono degli obiettivi di grande portata e di alto progetto educativo, che devono trovare la giusta collocazione nel difficile percorso della scuola verso l’uscita dall’emergenza.

Credo che uno spazio interessante per le scuole nell’utilizzo di questi fondi più che l’estate sia l’autunno, per poter aiutare una partenza “normale” del prossimo anno scolastico. I fondi aggiuntivi potranno aiutare a mitigare le difficoltà che ogni avvio di anno scolastico ci ha fatto finora conoscere.