“Scuola estiva”, servizio a domanda individuale?

di Emma Colonna

Qualcuno ha definito questa cosa della scuola estiva “trasformazione della scuola pubblica in un servizio a domanda individuale”.
Forse io non ho capito niente e mi sono davvero fatta un film che non esiste, ma mi chiedo due cose: questa proposta è rivolta a tutti gli alunni? Sì. È a pagamento? No. E allora? Io non vedo il problema.
Mi si dice: ma la partecipazione è volontaria, degli studenti come dei docenti.
E allora? Partecipare volontariamente e liberamente ad una attività della propria scuola è il modo migliore per aderire a una proposta educativa e culturale. Qui non ci troviamo di fronte a una ‘domanda individuale’, ma a una scuola che, in un momento particolarmente difficile e durante la pausa estiva (che per molti studenti, non dimentichiamolo, può essere un altro periodo di solitudine), decide di rimanere aperta e di mettere a disposizione degli studenti e delle famiglie un programma di attività più o meno ricco.


Invece non sarei d’accordo se, in questo momento, dovessimo individuare chi deve recuperare e che cosa. Certo, ogni insegnante lo sa, chi deve recuperare e che cosa, ma non credo sia questa la sede, si isolerebbero i più deboli, con risultati incerti, come l’esperienza dimostra. E poi, ognuno ha qualcosa da recuperare.
Per esempio, conosco tanti ragazzi studiosissimi che devono recuperare il piacere di leggere. Così, a tempo perso. E che hanno usato lo studio ‘matto e disperatissimo’ per riempire il vuoto di questi lunghissimi mesi.
Invece di dare quelle orrende liste di libri da leggere durante l’estate (sempre le stesse da non so quanti anni), chi ci impedisce di organizzare delle attività che vedano i ragazzi protagonisti?
Ci sono tanti esempi che si potrebbero fare, basta avere un po’ di fantasia, e guardarsi un po’ attorno: bancarelle di scambio gestite dai ragazzi, piccoli festival autogestiti (del racconto giallo, o fantasy, o del fumetto, ecc.), con tanto di giuria, confronti con gare fra le classi (ci sono tanti esempi su queste cose, anche di trasmissioni televisive celebri), ecc. ecc.
È un’attività di recupero? Sì. È un’attività curricolare? Non in senso stretto, ma sì. È rivolta a tutti? Sì.
E ancora: sfide di calcolo mentale e di giochi matematici, organizzati ovviamente per età. Oppure: dare ai più bravi in inglese, che spesso sono gli alunni stranieri, il compito di organizzare la conversazione in lingua con gli altri.
Come si vede, non si tratta di mettersi in cattedra: se si punta sul protagonismo delle ragazze e dei ragazzi, non ci sarà bisogno neanche di tanti insegnanti. Però lo sappiamo tutti che esperienze ‘significative’ di apprendimento possono fare la differenza.
Altro esempio: il Cidi di Roma ha nel suo materiale storico un prezioso opuscolo/librino degli anni ‘90 del secolo scorso, che ha per titolo: Roma Capitale. Itinerari storico-urbanistici attraverso gli ultimi cento anni. Frutto del lavoro di alcuni insegnanti del Cidi di quegli anni e di studiosi esterni.
Bellissimo, ricchissimo di spunti didattici di ogni tipo: storia, archeologia, arte, ma anche scienze, botanica e tecnologia (i percorsi nelle ville storiche con tutte le mappe di vario tipo sono davvero preziosi).
Domanda: è scuola o non è scuola? È fuori o dentro il curricolo? Capite da voi quanto queste domande siano oziose.
Un itinerario urbanistico (o una visita a un museo, o uno spettacolo teatrale, e così via) diventa scuola se la scuola se ne impadronisce e lo usa all’interno di un percorso didattico.
Non è neanche importante chi lo fa, può essere benissimo un’associazione del terzo settore. L’importante è che la scuola lo abbia scelto perché in quel momento serve al percorso didattico.
Ma questo è l’abc, è pleonastico ribadirlo. E allora perché ci stiamo accanendo così tanto sul senso delle attività estive? Le domande sono due: chi e che cosa bisogna recuperare? Chi governa questo processo? Mi sembra che le risposte, all’interno delle norme che definiscono le attività della scuola estiva, siano abbastanza chiare.
Con la pandemia sono venute fuori con evidenza molte ‘criticità’ e rigidità del sistema scuola, già presenti prima, e ormai mature. Dalla necessità di dilatare tempi e spazi (e questa della scuola estiva ne è un esempio) alla annosa questione della valutazione. Siamo in una fase di grandi cambiamenti, e la scuola del dopo non sarà più la stessa.
Forse dobbiamo recuperare anche un po’ noi stessi e la nostra voglia di metterci in gioco.




“Scuola estiva”: reazioni stizzite, persino ostili

di Emma ColonnaStefanel

Qualche considerazione a caldo a proposito di ‘scuola estiva’.
Ho visto reazioni stizzite, quando non ostili. Certo, la scuola non ce la fa più, dopo tanto affanno, e non c’è dubbio che l’idea di dover pensare anche all’estate (al di là del fatto se poi si darà la propria disponibilità, bisogna comunque pensarci, proporre, pianificare, organizzare, e bisogna farlo ora) può non piacere. Anzi, diciamolo francamente: la reazione diffusa è di fastidio, e il sentimento prevalente è quello di non volere rinunciare alla parentesi estiva vissuta e soprattutto pensata come indispensabile ‘ricarica’, per grandi e piccoli.

Però, se ci pensiamo bene:
1. Se le scuole sono aperte d’estate è un bene per tutti
2. Il fatto che finiranno per andarci solo gli ‘sfigati’ dipende da quello che si fa
3. E’ questa la vera scuola? Detta così, mi sembra un dibattito davvero sterile. Ogni istituto scolastico farà quello che può, ma una cosa è certa: sarà ogni scuola, e nessun altro, a proporre il suo modello, e a individuare tutte le risorse su cui contare
4. E gli insegnanti? Non ci nascondiamo dietro un dito. A me sembra un’ottima idea quella dell’adesione volontaria. Vuol dire che chi sceglierà di farlo sarà motivato, e questa mi sembra un’ottima partenza.
5. Per le stesse ragioni, è un’ottima idea anche quella di lasciare alle scuole gran parte dell’iniziativa.

Ciò detto, chi ha filo tessa. Questa volta dipende da noi. Andateglielo a raccontare voi, a quei genitori che sbattono la testa per gran parte del mese di giugno e di luglio, e pagano fior di soldi ai centri estivi. Ma noi non siamo un parcheggio! – è l’obiezione. Certo che no, infatti le proposte educative e culturali delle scuole saranno di gran lunga migliori di tutto quello che ha circolato fino ad ora durante l’estate. Alla fine è solo questo quello che conta: il senso della proposta di una scuola, e la qualità di quello che si mette in campo. L’Italia è ricca di città d’arte, di luoghi meravigliosi dove fare scuola all’aperto, di una vivacità culturale diffusa a cui si può attingere.
La scuola non può che guadagnarci. Basta volerlo, e avere il coraggio di mettersi in gioco.
L’abbiamo detto tante volte in questi mesi che siamo in una situazione eccezionale che richiede risposte non scontate. Dipende solo da noi dare un senso a questa cosa. E’ una scommessa. Io ci proverei




Il piano scuola estate, una buona idea, ma con pesanti criticità

Stefaneldi Gianfranco Scialpi

Il piano scuola estate è una iniziativa da lodare. Purtroppo esistono delle variabili di cui è difficile ipotizzare l’esito. Potevano essere spesi diversamente? Certamente, ma non per limitare i danni delle classi pollaio

Piano scuola estate, una iniziativa da apprezzare

Piano scuola estate è una iniziativa che si muove nel solco della pedagogia e della didattica. Del resto, il titolo conferma questa scelta di campo. Ovviamente la premessa giustifica gli obiettivi alti di “una scuola accogliente, inclusiva e basata su logiche di apprendimento personalizzato; una nuova alleanza educativa con i territori, che consolidi il senso di appartenenza alla “comunità” e preveda il coinvolgimento attivo delle rappresentanze di studenti e genitori”. Tutto questo si declina in obiettivi più specifici di rinforzo e potenziamento delle competenze disciplinari e relazionali di studentesse e studenti per recuperare la socialità almeno in parte perduta ed accompagnarli al nuovo anno scolastico”.

Le tante criticità rischiano di affossare il Piano

Fin qui nulla da obiettare. Il problema del Piano sono le condizioni che sicuramente non favoriscono la sua realizzazione. Innanzitutto, siamo in estate. Una stagione che ha accentuato i caratteri di tropicalizzazione con elevati tassi di umidità. Qualche anno fa, già era così. Non dimentichiamo che siamo circondati dal mare per ¾. Il caldo umido assedia molte città, rendendo gli edifici scolastici e dintorni ambienti scarsamente facilitanti apprendimenti significativi. In assenza di condizionatori o comunque di dispositivi atti a mitigare l’umidità si rischia di proporre attività distanti rispetto agli obiettivi formalizzati. Il rischio è quindi di ridurre tutto a una socializzazione costituita da attività variamente ludiche. Il personale scolastico, inoltre arriva a giugno stremato da un anno, dove ha dovuto gestire anche dal punto di vista organizzativo la nuova normalità imposta dal Covid. Lo stress ha riguardato anche i docenti delle superiori, costretti a rivedere i piani di organizzazione in base alle disposizioni, dettate dal binomio apertura/chiusura e dalle percentuali di ragazzi in presenza. E questo li ha condotti a gestire modalità didattiche nuove come la Ddi. Tutto questo non faciliterà la loro adesione che secondo un sondaggio di tecnicadellascuola.it è appena del 12% ca. Sempre secondo il suddetto sondaggio, anche gli stessi studenti non sembrano interessati all’iniziativa (87% hanno espresso parere sfavorevole). Comprensibile se si considera che i preadolescenti e soprattutto gli adolescenti preferiranno fare altro. Solo tra i genitori la percentuale è più alta (23%). Non è difficile comprenderne il motivo: avere un servizio gratuito, a fronte di un pagamento certo richiesto dai centri estivi…

Risorse per le classi pollaio?

Il rilievo di uno spreco di risorse è fondato, lo è meno se la valutazione è indotta dal mancato utilizzo per ridurre le classi pollaio. Il problema del sovraffollamento delle classi non si risolve e neanche si avvia, destinando i 510 milioni di €,
pari al 10% circa del costo complessivo stimato dalla proposta di legge Azzolina finalizzata all’abolizione delle classi pollaio. Queste necessitano di una riorganizzazione complessiva degli spazi e l’assunzione di personale scolastico. Problemi che non possono essere risolti in pochi mesi e con risorse esigue.




L’estate educativa

 


L’ESTATE EDUCATIVA è il titolo dell’instant book curato da Raffaele Iosa e Massimo Nutini e realizzato da Gessetti Colorati.
Con questa pubblicazione prende avvio la “linea editoriale” della Associazione denominata Scuola è Comunità.

Vai alla pagina dedicata e dalla quale potrai scaricare gratuitamente la pubblicazione




RECOVERY PLAN E MISSIONE 4. TORNA LA SCUOLA DELLE TRE I?

di Raimondo Giunta

Con le risorse del Recovery si nutre l’ambizione di disegnare l’Italia che verrà e che ci sarà per almeno un decennio.
Con quelle assegnate alla Missione4, Istruzione e Ricerca (32, 32 miliardi di euro per la precisione) si può operare per un profondo riassetto dell’intero sistema di istruzione e formazione, perché dia risultati appropriati alle esigenze di una società in continua trasformazione, visto e considerato che quelli avuti fino ad oggi non tutti lo siano.
Avremo allora una nuova scuola?
Credo che si possa ragionevolmente nutrire qualche dubbio, perché nonostante la mole degli investimenti che si intendono fare non si intravede niente di diverso rispetto alla scuola che oggi c’è; non credo che ci sia un’idea di scuola diversa da quella che si fa.
Gli obiettivi generali che vengono proclamati non smentiscono questa affermazione.
Basta leggerli :
1) Colmare in misura significativa le carenze strutturali , quantitative, qualitative che oggi caratterizzano l’offerta di servizi di istruzione, educazione e formazione nel nostro paese;
2) Rafforzare i sistemi di ricerca e la loro interazione con il mondo delle imprese e delle istituzioni.
Come si può constatare si è davanti ad una vasta proposta di manutenzione, che ad ogni buon conto è utile, diciamo pure molto utile, ma che di fatto accantona l’interrogativo cruciale che nei tempi della diffusione invasiva delle informazioni e delle conoscenze, della moltiplicazione quotidiana delle agenzie formative e dei luoghi in cui è possibile apprendere ci si deve porre sul destino della scuola nella società.


E’ difficile trovare nel testo del documento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza un qualche esplicito accenno alla funzione educativa che il sistema di istruzione può o dovrebbe svolgere, mentre ce ne sono moltissimi su quella professionale, alla quale sono dedicate quasi esclusivamente le attenzioni.
Ma la crisi del sistema scuola è di natura culturale ed educativa, non solo professionale. Basta gettare uno sguardo sul mondo giovanile per averne una prova.
Non è uno scandalo che il sistema di istruzione converga con le esigenze del sistema economico-sociale, perché chiuso nella propria autoreferenzialità non ci sarebbe motivo per tenerlo in piedi; il sistema di istruzione è servizio alla società, ma è anche servizio alla persona, la cui dimensione non è risolvibile solo nella capacità di potere svolgere un lavoro o una professione, essendo originarie e insopprimibili le esigenze di conoscenza e di sviluppo umano.
Lascia molto da pensare che, in un momento in cui si decide come potrebbe essere domani la nostra società, il problema della scuola sia solo quello di rendersi idonea a soddisfare le esigenze del mercato del lavoro e delle imprese.
Se per l’Università l’indifferenza alle questioni educative può non avere alcuna incidenza, perché altra è la sua missione, per il sistema di istruzione primaria e secondaria è invece una carenza di grande rilievo.
L’economicismo è il tratto distintivo della Missione 4 e questo non è un rilievo immotivato.
”La Missione 4 mira a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza , di competitività e di resilienza, partendo dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca.”
Dopo l’approvazione del PNRR nei due rami del Parlamento sarà difficile modificare l’impostazione di Missione 4 e va rinviata a data da destinarsi la preoccupazione di ripensare la scuola e l’istruzione nelle sue molteplici funzioni, a cominciare da quella educativa e per finire a quella conoscitiva.
”Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”.
Detto tutto questo , è evidente che le risorse assegnate alla Missione 4 porteranno benefici al sistema di istruzione e che con esse si potranno colmare quelle carenze strutturali e qualitative con cui il personale della scuola e l’intera società devono fare quotidianamente i conti.
La Missione 4 è un progetto di potenziamento dell’offerta dei servizi per l’istruzione suddiviso in quattro ambiti, in cui si intrecciano investimenti e riforme.
Il primo è il più ampio e si va dal piano per asili nido e scuole materne alle riforme delle lauree abilitanti.
Gli investimenti riguardano gli asili nido, l’estensione del tempo pieno e delle mense, il potenziamento delle infrastrutture per lo sport a scuola, la riduzione dei divari territoriali nei cicli I e II della scuola secondaria, lo sviluppo del sistema di formazione professionale terziaria, l’orientamento attivo nella transizione scuola-universItà, gli alloggi per studenti universitari, le borse di studio per l’accesso all’università.
Le riforme riguardano gli istituti tecnici e professionali, il sistema degli its, l’organizzazione del sistema scolastico, l’orientamento , le classi di laurea, le lauree abilitanti.
Nel secondo ambito gli investimenti sono relativi alla didattica digitale integrata e alla formazione sulla transizione digitale del personale scolastico; le riforme riguardano il reclutamento del personale docente e l’obbligatorietà della formazione per tutto il personale della scuola, tranne i collaboratori scolastici.
Nel terzo ambito gli investimenti riguardano le nuove competenze e i nuovi linguaggi, la scuola 4.0, il piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica, la didattica e le competenze avanzate all’università.
Nel quarto ambito l’investimento riguarda l’estensione del numero dei dottorati di ricerca e dei dottorati innovativi per la pubblica amministrazione e il patrimonio culturale; la riforma è quella relativa ai dottorati.
Non è mia intenzione giudicare la congruità delle risorse assegnate alla Missione 4 rispetto alle altre e nemmeno quella delle singole misure al suo interno, anche se qualche perplessità sorge spontanea.
E’ un fatto positivo che ci siano molte più risorse di prima ed è indubbio che sarebbe di grande utilità se venissero impiegate tutte , bene e presto.
La misura che mi sembra adeguata alle intenzioni e alle ambizioni è quella relativa agli asilo-nido e alla scuola materna, per l’importanza che questo segmento dell’istruzione riveste negli equilibri sociali e perché determinante per avere una scuola meno discriminatoria, con meno dispersione e più giusta.
Le pari opportunità si cominciano a costruire proprio in quella fascia di età. Ritengo invece che, anche se sono interessanti le risorse che saranno messe a disposizione delle scuole per potenziare le infrastrutture per lo sport, per la loro messa in sicurezza, per la riqualificazione dell’edilizia scolastica, non siano sufficienti, per il semplice motivo che per la scuola che ci vuole nel terzo millennio, gran parte del patrimonio edilizio scolastico è da ritenersi inadeguato . Non edifici riverniciati ci vogliono, ma tanti, tanti istituti nuovi di zecca e di concezione.
Altrettanto si dica per gli alloggi universitari e per le borse di studio per l’accesso all’università.
Se si vuole fare crescere di molto la popolazione con il titolo di laurea bisogna abbattere le strozzature dell’ingresso all’università ed eliminare gli ostacoli alla prosecuzione degli studi, determinati dal costo e dall’ impossibilità di usufruire di alloggi confortevoli e alla portata di tutti.
Oltre alle misure economiche, senza le quali non c’è spazio per qualsiasi cambiamento, qualche parola va spesa sui processi di riforma che si vogliono attivare per migliorare complessivamente le prestazioni dell’intero sistema dell’istruzione e della formazione.
Riflessioni che non vogliono estendersi a tutto ciò che riguarda l’istruzione universitaria, della quale è giusto che parlino gli addetti ai lavori .
Sul piano dei contenuti le proposte di rinnovamento e di riqualificazione riguardano l’ampliamento delle competenze scientifiche, tecnologiche e linguistiche degli studenti, ma anche dei docenti con particolare attenzione alla capacità di comunicare e risolvere problemi e se le parole hanno un senso riguardano anche la riforma degli istituti tecnici, dei professionali, degli ITS , dei dottorati di ricerca, delle lauree abilitanti e della didattica integrata.
Per coerenza con l’impostazione della Missione 4 non poteva mancare il proposito di mettere mano all’intera filiera dell’istruzione tecnica e professionale, fino agli Its che, a distanza di quasi 20 anni dei primi tentativi di sperimentare forme di istruzione terziaria professionalizzante (gli IFTS)ancora non decollano.
E’ evidente che se si vuole un sistema scolastico funzionale ai processi dello sviluppo economico i conti con l’istruzione tecnica e professionale bisogna sempre farli e farli periodicamente.
L’istruzione tecnica non è molto che è stata ristrutturata e l’istruzione e la formazione professionale solo da poco hanno concluso l’itinerario di riformulazione dei curricoli.
Periodicamente ci si pone il problema di come rendere attrattivi questi indirizzi di studi, che dopo gli anni ’90 hanno quasi sempre perso molti studenti, tranne qualche sporadica fiammata, e periodicamente la soluzione viene trovata nella ristrutturazione dei curricoli.
Credo, invece, che ci sia un problema di costume e di nuove tendenze sociali, altrimenti non si spiegherebbe la crescita delle iscrizioni ai licei, ma anche un più serio problema di assetto economico-aziendale dell’apparato produttivo.
Questi indirizzi di studio non danno più assicurazioni come prima su un rapido inserimento nel mondo del lavoro e non solo per la inadeguatezza della preparazione acquisita da quanti vi concludono gli studi.
Lo stesso si dica e per quest’ultimo motivo anche per l’andamento delle lauree.
Altro problema che viene messo in luce è quello della dispersione scolastica e dei divari territoriali.
Certamente serviranno il piano di estensione del tempo pieno e delle mense nella scuola dell’obbligo, come la riduzione degli alunni per classe, ma non credo che l’uso obbligatorio dei test INVALSI/PISA potrà giovare molto, se altre forme di povertà e di deprivazione culturale oltre quelle curriculari non vengono aggredite come necessario.
Potranno giovare le azioni di supporto ai dirigenti, la formazione obbligatoria per almeno il 50% dei docenti, l’incremento delle ore di docenza, ma cosa c’entra la personalizzazione dei percorsi?
In quale posto del mondo e su base certa questa strategia è riuscita a contenere la dispersione e a migliorare il rendimento nelle discipline di base?
Con tutto quello che si intende fare e rinnovare non poteva mancare il capitolo della riforma dell’organizzazione del sistema scolastico.
E’ un vecchio ritornello, anche se i suoi ricorrenti problemi sono di natura culturale ed educativa e anche professionale e sia estremamente improbabile che si risolvano di fatto nel superamento dell’identità classe demografica/aula e nel superamento del modello scuola, che la prevede.
Sarebbe molto interessante sapere quale dei problemi dell’istruzione questa proposta aiuti a risolvere.
Hanno maggiore attinenza con questi problemi lo stato giuridico del personale docente e la riforma del suo reclutamento.
L’obbligatorietà della formazione merita qualche riflessione.
Così com’è presentata lascia qualche perplessità, perché dubito che una professione debba darsi una forma, un’identità, ad ogni curva del suo percorso, se gli anni di formazione (superiori, università, approccio e transizione al proprio lavoro) non sono riusciti a dargliela.
Di necessità della formazione si può parlare solo per fatti che trasformano radicalmente l’ambiente di lavoro e questo a scuola è successo con l’autonomia e con l’informatica; succederà con la transizione digitale dell’insegnamento e succede ogni volta che vengono riformulati i curriculi e l’impianto delle discipline.
Potrebbe succedere per la valutazione, considerate le difficoltà che si incontrano a praticare la valutazione formativa, anche quando è diventata obbligatoria. Per il resto parlerei di aggiornamento , che se dev’essere obbligatorio non può essere arbitrariamente orchestrato e tantomeno può essere privo della dovuta iscrizione negli obblighi dell’orario di servizio.
La formazione/aggiornamento che serve è quella funzionale ai bisogni emergenti al livello nazionale e anche al solo livello di istituto.
Nel testo si parla di un impianto di moduli formativi che consentono l’acquisizione di crediti formativi professionali spendibili per l’avanzamento della carriera secondo un sistema meritocratico.
Che mi sembra altra cosa e che riapre le pagine non edificanti dei tempi in cui gli insegnanti si affannavano a frequentare corsi di aggiornamento sulle più disparate materie , per potere andare avanti nelle classi di stipendio.
Dietro questa intimazione ad aggiornarsi/formarsi aleggia il sospetto che se le cose non vanno tanto bene, che se ci sono disfunzioni tutto questo dipenda dal fatto che gli insegnanti non si aggiornino e non si siano aggiornati.
Speriamo di no, perché sarebbe iniquo e superficiale .
Per concludere.
La scuola certamente potrà avvalersi di questa enorme mole di risorse e anche di tutte le iniziative che si intendono mettere in campo, ma è forte l’impressione che l’articolato progetto di Missione 4 sia la riproposizione in grade stile del modello delle tre I (inglese, internet, impresa) reso più ricco di risorse e di mezzi, forse più vivibile, ma insufficiente ai bisogni delle nuove generazioni, non riducibili a quello esclusivo del passaggio dalla scuola al lavoro.




Il piano estate non significa stare nelle aule

di Giampiero Monaca

Leggo con emozione la circolare ministeriale che presenta il piano scuola estate 2021.
Leggo molti commenti preoccupati da parte di insegnanti, sinceramente preoccupati riguardo alla inopportunità di sottoporre alunni e studenti e docenti, ad un extra carico di lavoro in aule torride, dopo un anno faticoso, spesso opprimente ed ansiogeno.
Non mi pare che in nessuna parte della nota 643 del 27-04-2021 venga proposto di tenere le scuole aperte riempiendole d’estate di studenti ed insegnanti per sottostare a pesanti lezioni aggiuntive in ambienti inospitali e posizioni di lavoro statiche ma,  al contrario, che si auspichi l’apertura delle scuole quali portali sul mondo, riportandole ad essere fulcro culturale, riferimento ideale per le comunità e sui territori sui quali insistono, svuotandole per molte ore al giorno di alunni e docenti, i quali si slanciano a esplorare, sperimentare, apprendere, vivere e rendere vivo il territorio.
Gli edifici scolastici vengono ad assumere così più una funzione di supporto alla sintesi degli apprendimenti esperienziali vissuti fuori ed eventualmente a diventare risorse per eventi culturali organizzati dagli studenti stessi, a disposizione della comunità locale.
Personalmente, credo che questo modello di apprendimento sia da realizzare tutto l’anno e non solo in via straordinaria in estate, difatti, nella nostra scuola primaria statale di Serravalle d’Asti, da 4 anni, insieme alle colleghe e alla comunità educante che da quattro anni ha scelto di vivere l’esperienza didattica conosciuta come “Bimbisvegli”, viviamo una scuola aperta, diffusa, cooperativa, solidale, ed all’aperto anche tutto il resto dell’anno.


Il ministero propone, a partire dall’estate 2021, attività di recupero relazionale e di apprendimento cooperativo e compensativo, interconnessione tra discipline… noi rispondiamo con entusiasmo: “siamo pronti”, a Serravalle d’Asti lo abbiamo già sperimentato l’estate scorsa 2020 durante il “green campus Bimbisvegli
Durante il lock down, come comunità educante, nei lunghi mesi di limitazione dei contatti sociali e di inaridimento delle relazioni tra pari, abbiamo patito tutti, adulti e giovani. A giugno, pensando alla ripresa di settembre, ci siamo chiesti in quali condizioni, psicofisiche e cognitive ci saremmo ritrovati e cosi abbiamo pensato di iniziare subito a creare ponti relazionali per riprendere alcuni apprendimenti (operazioni matematiche, lettoscrittura, comprensione testo, inglese, nozioni e orientamento nel tempo e nello spazio).
Abbiamo così proposto alla dirigente del 5 Circolo di Asti un progetto di recupero, ritenendo urgente ed essenziale approntare una proposta educativa che ponesse argine al trasferimento in virtuale di contatti ed interazioni, per accogliere il grande bisogno di contenimento emotivo di bisogni evolutivi primari quali l’interazione, il gioco libero, l’apprendimento cooperativo, l’associazione di idee, l’inferenza basata su esperienza, la tattilità,  la sensorialità, il confronto, la concertazione.
Tale progetto non è però stato accolto tra le attività formali di recupero del nostro circolo didattico. Ritenendo essenziale l’attuazione della nostra iniziativa, ci siamo comunque organizzati, configurando il campus come centro estivo, organizzando tutto senza intervento o copertura scolastica, ottenendo uso locali (usati poi pochissimo perché siamo stati all’aperto nei boschi il 90% del tempo) e interfacciandoci in modo assai proficuo, con il Comune di Asti.
La Facoltà di Scienze Umane dell’Università di Macerata, ha svolto una ricerca specifica sulla nostra esperienza pilota, recentemente pubblicata e presentata durante il convegno organizzato da UNIMC “L’educazione è fuori” cui ha partecipato la ministro Azzolina il cui panel era composto da Anna Ferraris Oliverio, Paola Nicolini, Gianni Marconato, Antonino Attanasio, Paolo Mottana, Giuseppe Paschetto, Giampiero Monaca, Jose Mangione e Laura Parigi.
L’esperienza vissuta è stata valutata positivamente da tutti sia a livello soggettivo dai giovani partecipanti e dalle famiglie, sia attraverso l’analisi oggettiva dei dati raccolti. Siamo pronti a ripetere l’iniziativa anche per l’estate 2021, auspicando che essa possa trovare spazio tra le attività ufficiali di recupero, rinforzo e potenziamento formativo del 5 circolo di Asti.
Saremmo felici di poter mettere a disposizione di tutti, attraverso il Ministero, sia i dati quantitativi raccolti che il bagaglio esperienziale vissuto e messo a frutto dalle nostre bimbe e Bimbisvegli al fine di motivare insegnanti ed associazioni di 3 settore a replicare su vasta scala esperienze come quella vissuta da tutti noi.
Non è un’operazione immediata, si tratta di un cambio di paradigma, ma credo che si potranno realizzare esperienze preziose, credendo in una scuola fulcro di un rinnovamento della società verso una dimensione più cooperativa e solidale, creando sinergie tra docenti (garanti dei processi di apprendimento) ed educatori (professionali, ambientali e del 3 settore esperti in organizzazione di attività educative laboratoriali ed esperienziali ) appoggiandosi a risorse territoriali, vivendo così , finalmente una scuola diffusa dentro e fuori dalle scuole.
Se noi insegnanti non cambiamo la didattica e l’intenzione politica del nostro agire ed essere Scuola, si potranno rinnovare lavagne, banchi, spazi finché si vuole, ma non ci sarà vera evoluzione. Tutta la bagarre su rotelle o lavagne o su scuola estiva contrappone COSE e lascia fuori i PRINCIPI.
Personalmente penso che trovare un modo per far incontrare la didattica istituzionale con la pedagogia innovativa ed esperienziale ed il 3 settore sia un’opportunità grandiosa (se basata su un sincero spirito volontario dei singoli) per render più intense le relazioni e più funzionale il rapporto educativo. Può essere un primo passo verso la progressiva reale apertura e diffusione della scuola sul territorio e sulle sue opportunità.
È però fondamentale che nelle équipe miste che si formeranno : tutti siano equipollenti e che sia l’equipe stessa (formata da insegnanti, educatori, volontari, scout animatori) a dover stabilire , in base all’analisi del gruppo e delle proprie risorse, tutte le linee guida educative e non che esse siano calate dall’alto come in un appalto cui attenersi. Altrimenti salta tutto.

E qui trovate il racconto delle 4 settimane realizzate nell’estate 2020

Preistoria da scoprire
Una settimana da Dèi
Cronache celtiche
Mamma li Turchi




Piano estate, un ponte per superare l’emergenza

di Pietro Calascibetta

Finalmente vediamo il Ministero dell’istruzione cambiare tattica e prendere l’iniziativa facendo una proposta articolata di arricchimento dell’offerta formativa con un investimento questa volta finalizzato direttamente agli studenti di ben a 510 milioni di Euro.
Si dà la possibilità alle scuole di progettare un percorso che possa fare da ”ponte”, come scrive il Ministro, tra l’anno appena chiuso tra mille tribolazioni e il nuovo avvolto ancora in un futuro incerto nonostante i vaccini.
Una finestra temporale da sfruttare al massimo che, in base al rischio calcolato, si presume sia contrassegnata dalla possibilità di rimanere in presenza.
La disposizione ministeriale insiste giustamente sul fatto che non si tratta di lanciare a caso una manciata di attività, ma di immaginare da parte delle scuole, nell’ambito della loro autonomia e in collaborazione con i genitori e il Terzo settore, un vero e proprio progetto “di senso” come è scritto e ben pianificato.


Immagino quindi che debba essere coerente da una parte con il modello educativo e formativo del singolo istituto e dall’altra aderente ai bisogni specifici degli studenti in base a quanto hanno potuto o non potuto fare concretamente in questi mesi e al contesto in cui vivono.
Giustamente l’Associazione Nazionale dei Collaboratori del Dirigente scolastico (ANCoDiS) si chiede : “chi si occuperà della realizzazione del progetto” e io aggiungo della progettazione.
Anche in questo caso, come ci ha abituato la pandemia, emerge la debolezza di un sistema scolastico che non prevede la presenza strutturale di figure intermedie che possano occuparsi professionalmente e con un orario di lavoro dedicato e adeguato ai molteplici compiti correlati alla realizzazione del PTOF di una scuola (badiamo bene spesso con 800/1000/1500 studenti!)
In questo sistema scolastico sono gli stessi docenti che danno la loro volontaria disponibilità a occuparsene ottenendo in cambio una misera cifra forfettaria da suddividersi, prelevata da un fondo assegnato alla scuola.
E’ un paradosso che se non ci sono volontari di tutto dovrà occuparsene il famoso “uomo solo al comando” (di quale truppa se i soldati possono scegliere se partecipare o meno alla battaglia!) .
Nella scuola uno vale uno e anche la competenza a svolgere un compito logistico o di coordinamento è un optional poiché molte volte il dirigente si trova costretto a scegliere tra i disponibili piuttosto che tra chi potrebbe meglio svolgere un incarico. Comunque chi prende un incarico aggiuntivo anche per spirito di servizio e con le competenze si trova poi nel corso dell’anno caricato di altre incombenze magari non previste.
Il condivisibile e importante progetto ministeriale che può dare respiro soprattutto agli studenti più fragili, cade pertanto in un contesto sicuramente problematico perché la sua riuscita e soprattutto la qualità di ciò che si farà dipende dalla capacità progettuale della scuola che, si badi bene, non dipende dalla preparazione e dalle intelligenze dei docenti su cui non si discute, ma sulla possibilità concreta che hanno di incontrarsi di fare riunioni realmente efficaci, di valutare bene i bisogni degli studenti, di gestire le presenze in estate anche quando a svolgere le attività può essere il Terzo settore, senza parlare della vigilanza e del problema delle ferie del personale.
Il tutto in un orario di lavoro di contratto di 18 ore per coprire solo ed esclusivamente le ore di lezione in aula ( ad esempio come fa un docente con 6 o 9 classi a sentirsi parte di un’équipe di classe e curarsi degli studenti fragili!) .
E’ già un quasi miracolo che l’incarico alle scuole sia stato dato alla fine di aprile, anche se maggio è il mese che prelude agli scrutini e a tutte le incombenze di chiusura dell’anno.
Bisognerà poi vedere anche quanti Euro sono destinati alla progettazione e all’organizzazione di tutto questo bel progetto e in che misura è possibile utilizzarli realmente per la progettazione che dovrebbe coinvolgere i consigli di classe almeno nella parte didattica e pedagogica per poter tenere conto dei bisogni . In base a ciò si vedrà quale tipo di organizzazione si potrà mettere in piedi per l’estate.

La questione delle figure intermedie è, come si intuisce, centrale in questa situazione, ma anche per la “scuola che verrà” di cui tutti parlano e che si dovrebbe realizzare. Non bastano i soldi per rendere la scuola più efficace ed efficiente. La vera riforma che si attende non è didattica, ma organizzativa e attiene allo stato giuridico, al contratto e all’utilizzo del monte ore di lavoro dei docenti, oltre allo stipendio naturalmente.
La RIVISTA DELL’ISTRUZIONE dedica proprio a questo argomento il Focus del numero 1 del 2021 a testimonianza dell’attenzione per questa questione del suo direttore, il compianto Giancarlo Cerini che ben conosceva la scuola reale.
In questo numero della Rivista io mi soffermo sul coordinatore di classe, una figura sottovalutata sul piano del suo ruolo nel funzionamento del consiglio di classe come vera équipe progettuale e per l’individualizzazione e personalizzazione del curricolo. Un approccio che a mio avviso può contribuire a ridurre la dispersione prima che diventi un problema.