Archivi categoria: AUTONOMIA

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Pedagogia della cura ai tempi del Covid

di Raffaele Iosa

E’ il tempo che hai perduto per la tua rosa
che ha fatto la tua rosa così importante
Saint Exupery, il piccolo principe

Ho letto il messaggio di Dario Missaglia, presidente di Proteo,  attorno a questa terribile fase di espansione del COVID e di come la scuola sembri  aver perso il senso pedagogico del suo agire, travolta da aspre discussioni solo sulle  incertezze sanitarie, il caos gestionale, le tifoserie tra “presenza” e “distanza”,  e così via.

Condivido in pieno il suo messaggio per ri-mettere al centro del nostro impegno lo sguardo pedagogico,  che rifletta  su  come stanno i nostri bambini e ragazzi e cosa servirebbe loro  come priorità educativa in questa epoca così drammatica.

Già a settembre 2020 ho condiviso il suo Protocollo Pedagogico, rimasto per molti una vox clamans in deserto, che richiamava ad un diverso impegno per fronteggiare gli effetti psicologici, emotivi, cognitivi  dati da una scuola diventata balbettante, semiaperta o più semichiusa. Raccoglievo commenti del tipo “belle parole, ma oggi il problema è un altro”. Un “altro” che si riduceva, poi, alle sedie a rotelle, o alla Dad come fosse il demonio, scordando che spesso la mitica “presenza” è, seguendo il canone della tradizione,  noiosa aria fritta, distanza fino all’ estraneità.

Ma oggi la situazione educativa, a due anni dall’inizio della pandemia,  è quanto mai peggiorata.
Dunque, è necessario il coraggio di riprendere e rilanciare un pensiero pedagogico.
Rispondo qui alla sua proposta superando d’un colpo  le mie opinioni  su quarantene, mascherine, Dad e così via. Mi soffermo invece sul cuore della scuola rimettendo  al centro la voce pedagogica. Di questo qui scrivo,  anche con alcune proposte operative.

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La nuova emergenza Covid: riparare le ferite dell’infanzia e dell’adolescenza volgendo lo sguardo al futuro

di Antonio Valentino

Tra dati di fatto e percezioni fondate

Sulla questione ‘nuova emergenza Covid’, considererei soprattutto i seguenti aspetti:

  1. Il dato di fatto con cui anche la scuola è costretta a confrontarsi in queste settimane – con la variante ‘Omicron’ che impazza – è che l’uscita dal Covid non ci è ancora dato di vederla all’orizzonte, come si pensava fino ad alcune settimane fa grazie alla vaccinazione di massa in atto da mesi.
  2. Comunque la crescita percentuale del contagio nelle ultime due settimane (10-16 e 17-22 gennaio) ha continuato a scendere: vi sono ormai “evidenze certe di una decelerazione della curva epidemica, in linea con quanto osservato in altri Paesi” (Franco Locatelli, Coordinatore del CTS)
  3. È percezione fondata che il contagio con l’ultima variante non sembra comportare i rischi gravissimi (persone in terapia intensiva e esiti letali) delle prime ondate, a seguito delle misure adottate.
  4. Le consapevolezze dell’attuale situazione – a. la convivenza obbligata col virus però depotenziato nei suoi esiti più dolorosi (il riferimento è alla variante ultima, la più contagiosa); b. gli strumenti di difesa dal Covid sempre più disponibili e mirati – è condizione di un diverso sguardo anche sul futuro prossimo del mondo scolastico.

Proviamo, con i ragionamenti che seguono, a riavvolgere il nastro di questa storia degli ultimi due anni con riferimento alla scuola, per individuare qualche direzione di marcia sensata e possibile, per gestire al meglio la fase sulla base dei dati e delle consapevolezze di cui ai punti precedenti.

A tal proposito, è opportuno richiamare in prima battuta che il blocco delle attività didattica in presenza nel 2020 – e l’avvio della Didattica a Distanza (DaD), è stato certamente l’evento tra i più drammatici che il mondo della scuola abbia vissuto dal secondo dopo guerra.

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Uno spettro si aggira per la scuola: le Non Cognitive Skills

di Giovanni Fioravanti

La Camera ha approvato, l’11 gennaio scorso, pressoché all’unanimità, la proposta di legge relativa all’introduzione dello sviluppo delle competenze non cognitive nei percorsi scolastici.

L’organizzazione degli studi nel nostro paese resta grossomodo la stessa dai tempi di Croce e Gentile, per non dire di Casati, ma la priorità che ora scopre coralmente il nostro Parlamento, con sfoggi culturali da Dewey al Costruttivismo, sono le competenze non cognitive (NCS), vendute come scoperta anglosassone e come panacea per migliorare il successo formativo, prevenire l’analfabetismo funzionale, la povertà educativa e la dispersione scolastica.

La sindrome da bonus edilizia deve avere contagiato i membri dell’intergruppo parlamentare sulla sussidiarietà fautori della proposta, i quali evidentemente pensano che siano sufficienti alcuni ritocchi alla facciata e i problemi della nostra scuola sono risolti. Si sperimenta per qualche anno e poi si vede, allo stesso modo di come si sta procedendo con la sperimentazione dei licei quadriennali. È la scuola a due velocità, da una parte si sta fermi un giro lasciando tutto inalterato, dall’altra si prova l’ebrezza del nuovo, salvo che non si tratti invece dell’usato riciclato, com’è costume storico nella nostra scuola.

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Verso la scuola del post-pandemia (purché non sia quella del pre-pandemia)

di Stefano Stefanel

La pandemia che non vuole finire e che ricompare sempre sotto mutate sembianze, costringendo a rincorrere le emergenze, non ha permesso di trovare soluzioni a problemi vecchi e ha messo tutti davanti ad ostacoli nuovi. Se andiamo indietro nel tempo a due anni fa credo nessuno possa sostenere che la scuola, così com’era, funzionava perfettamente e non aveva bisogno di particolari interventi. Venivamo da vent’anni di riforme incompiute e di risultati certificati come non soddisfacenti e le strade che si aprivano non mostravano, comunque, porti sicuri.
Due anni dopo ci siamo spostati da dove eravamo, ma i problemi si sono ingigantiti, senza che venisse in mente a nessuno una soluzione condivisa, un’idea chiara e distinta, una strada con un punto d’approdo certo. Il sistema scolastico italiano riesce ad individuare con chiarezza i suoi mali, ma stenta a trovare i rimedi; individua con altrettanta chiarezza i suoi punti di forza, ma non li fa diventare sistema, preferendo isolarli dentro una sorta di eguaglianza scambiata per equità.

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C’era una volta il (vice)preside

di Rosolino Cicero

Ho sempre chiamato PRESIDE i miei 6 capi di istituto incontrati da quando, nel lontano 2007, ho messo piede nella scuola statale.

E dall’anno scolastico 2010/2011 – individuato dal ds protempore nel ruolo di collaboratore (primo?….vicario?…) – non mi sono mai sentito pienamente un “vice”.

Già perché mentre con il preside esisteva formalmente riconosciuto il vicepreside, con l’istituzione del dirigente scolastico il legislatore non ha previsto un vicedirigente ma nessuno può negare che comunque nella realtà un “vice…qualcuno” c’è.

Nonostante la scuola abbia assunto – in forza dell’attribuzione dell’autonomia – una propria personalità giuridica, tutti i miei dirigenti hanno continuato a sentirsi presidi e nelle relazioni mi hanno riconosciuto un loro “vice”.

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C’era una volta il preside

di Raimondo Giunta

Ho fatto sempre una grande fatica a immedesimarmi nel mestiere di preside e siccome non me l’ha prescritto il medico, ho cercato di farlo nel modo migliore possibile.
L’ho praticato con dedizione e sempre l’ho vissuto con un certo distacco. Il mio disagio è cresciuto in modo esponenziale con la dirigenza scolastica, che tra i pochi non desideravo per vari motivi che cercherò di esporre. In nessun modo, poi, avrei cambiato un nome così bello e pregnante di significato, come quello di preside (prae-sedes, prae-sidium=chi sta davanti, chi è presidio etc) per uno dei tanti participi presenti che pretendono di diventare sostantivi…

La dirigenza, peraltro, di tipo prevalentemente amministrativo, seppur colorata con tutte le forme di retorica aziendalistica, era l’espediente che si era trovato per sfuggire al contratto unico della scuola e dare ai presidi l’agognato, meritato e giustificato riconoscimento economico per le responsabilità che erano e sono in capo al ruolo di chi dirige e rappresenta una scuola.

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Il danno scolastico. Appunti per una possibile recensione

di Marco Campione

Ho finito Il danno scolastico di Ricolfi e Mastrocola. Confermo quanto detto dopo le prime pagine: trasuda disprezzo per chiunque non sia simile agli autori (per percorso di vita, letture, frequentazioni…) e per chi ha provato, fallendo come dirò sotto, a costruire una scuola veramente democratica negli ultimi sessant’anni (dalla scuola media unica in poi, per darsi un riferimento temporale).
Inoltre (e questa è la cosa più grave di tutte) si auto definisce ‘ricerca’, ma di scientifico non ha nulla. È un libro difficile, ma per confutare (scientificamente) i dati buttati lì a caso e spacciati per ricerca si veda ‘Equità e merito nella scuola’ recentemente pubblicato per Franco Angeli da Benadusi e Giancola.
Insomma, un pessimo libro – Il danno scolastico – che spero verrà dimenticato presto.
Ciò detto, leggendo alcune reazioni nella mia bolla, mi vedo costretto a dire una cosa impopolare: la toppa che propongono è peggiore del buco che descrivono, ma alcuni dei loro critici (soprattutto se ‘interni’ alla scuola) negano l’esistenza stessa del buco, che invece non solo esiste, ma è una voragine.
La risposta ai problemi della scuola non può essere quella di Mastrocola e Ricolfi, ma nemmeno la negazione del fatto che la scuola ha molti problemi è una risposta. Il principale? Abbiamo realizzato in cinquant’anni la scuola di massa (oggi si iscrive ahttps://www.amazon.it/Liberare-scuola-M-Campione/dp/8815284419/lle superiori la quasi totalità dei quattordicenni, solo trent’anni fa era il 70%, cinquant’anni fa il 50%), ma non riusciamo a ancora a renderla pienamente democratica, appunto (ogni riferimento a abbandoni, ripetenze e dispersione implicita non è casuale). Anche qui un rimando, che è quello all’introduzione che Berlinguer ha scritto per il libro che ho curato, Liberare la scuola.

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