Valditara: gravemente insufficiente

di Mario Maviglia

 Un caro amico, che non cito per decenza, mi ha omaggiato dell’ultimo libro del Ministro Valditara (La scuola dei talenti, Piemme, Segrate, 2024) con il vincolo di scriverci sopra qualcosa (il termine recensione suonerebbe troppo pretenzioso). Per una inveterata forma di buona creanza mi accingo a pagare il fio, abbandonando momentaneamente la lettura dei Vangeli apocrifi, a cura di Marcello Craveri, Einaudi, Torino, 1969. Ci tengo a riportare i dati bibliografici completi di queste opere perché una delle cose che salta immediatamente agli occhi per chi è avvezzo a leggere saggi è la pressoché totale mancanza di riferimenti bibliografici nell’opera del sig. Ministro. Anche quando il sig. Ministro riporta passi testuali di altri autori (con tanto di virgolettato) non fornisce i riferimenti bibliografici. Ci si aspetterebbe di vedere la bibliografia completa nelle ultime pagine del volume, ma anche questa attesa va incontro a una cocente delusione.

La cosa è ancor più sconvolgente in quanto il sig. Ministro risulta essere professore ordinario di Diritto romano e diritti dell’antichità (SSD: IUS/18) presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.[1] Ora, chiunque abbia dimestichezza con il mondo accademico (in quanto docente e soprattutto in quanto studente) sa che una delle principali raccomandazioni che i docenti fanno agli studenti è proprio quella dell’uso appropriato dei riferimenti bibliografici, tanto che ogni università di solito pubblica le norme redazionali per la scrittura della tesi (ma il discorso vale per relazioni scritte, rapporti di ricerca, essay ecc.), distinguendo financo tra stile continentale e stile anglosassone nell’uso delle citazioni bibliografiche.[2] Forse il sig. Ministro è da troppo tempo che non esercita la professione di docente universitario e avrà dimenticato questo costume.

L’opera (184 pagine, tutto sommato una lettura sopportabile) può essere definita una sorta di pot-pourri in quanto il sig. Ministro ha gettato l’occhio un po’ dappertutto, dando la sua versione sui vari aspetti della vita della scuola italiana (passato, presente e futuro) con alcune osservazioni ricorrenti che diventano dei veri e propri mantra:

  • Il Sessantotto ha distrutto la scuola con il suo voto politico e la teorizzazione della scuola facile e della “soddisfazione senza limiti dei desideri e la riduzione della felicità a questa continua rincorsa” (p. 138). Sarebbe interessante conoscere quanti studenti negli anni del Sessantotto hanno fruito del 6 o del 30 politico; io ho frequentato l’Università in quegli anni e non sono riuscito a fruire di questa opportunità. Altri compagni hanno vissuto lo stesso trauma.
  • Le riforme realizzate nel passato hanno fallito; l’attuale Governo di centro-destra è l’unico ad avere imboccato la strada giusta. Il sig. Ministro dimentica di dire che nel passato vi sono stati parecchi Governi a marca centro-destra, ma sembra di capire dal suo ragionamento che i danni maggiori siano stati fatti da quelli di centro-sinistra. Ad esempio la valorizzazione dell’istruzione tecnica e professionale è merito del sig. Ministro in quanto la “sinistra comunista e quella di matrice sessantottina, [hanno] variamente considerato la scuola tecnica e professionale come una scuola di classe, ovvero una scuola funzionale agli interessi della organizzazione capitalistica della produzione e del lavoro.” (p. 148). E dire che in Unione Sovietica le scuole più prestigiose erano i politecnici…
  • La scuola costituzionale è la scuola del merito, finalizzata a far sì che ognuno possa “tirar fuori i propri talenti e abilità” (p. 39) in sintonia con “l’idea di tipi multipli di intelligenza che si rivela molto utile proprio in ambito scolastico perché permette di differenziare la proposta educativa in base al modello di intelligenza individuale, che, detto altrimenti, è la predisposizione di una offerta formativa in linea con i talenti e le abilità di ciascun giovane” (p. 24). Il sig. Ministro cita esplicitamente Gardner a questo proposito. Il paragone evidentemente è pindarico ma forse il sig. Ministro ritiene che aver aggiunto “Merito” alla denominazione del suo Ministero fa della scuola italiana una scuola sintonica con la teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner. Può essere imbarazzante in questa sede far notare al sig. Ministro che se c’è una scuola in Italia che effettivamente si è ispirata a tale teoria (per ammissione dello stesso Gardner) sono le scuole dell’infanzia di Reggio Emilia, fondate da Loris Malaguzzi e a gestione comunale (amministrazione di centro-sinistra, detto incidentalmente…).[3]
  • Ciò che sta salvando la scuola italiana (e la salverà sempre più) è, nel dream martinlutherkinghiano del sig. Ministro, l’introduzione del docente tutor e del docente orientatore (D.M. 22 dicembre 2022, n. 328): il primo “in collaborazione con gli altri colleghi del gruppo classe, ha il compito di progettare una didattica personalizzata a seconda delle esigenze e potenzialità di ogni studente” (p. 41). Visto? Ci si stava incagliando nel penoso dilemma di come fare per realizzare (ad esempio nella scuola superiore) una didattica personalizzata e la risposta è a portata di mano grazie al sig. Ministro: la risposta si chiama docente tutor. Il docente orientatore, invece, ”ha il compito di raccogliere dal territorio le varie opportunità formative e lavorative e portarle a conoscenza delle famiglie e degli studenti per una scelta coerente con quelle abilità, con quei talenti che la scuola ha fatto emergere e valorizzato” (p. 42). Si raccoglie e si porta a conoscenza di famiglie e studenti e il gioco è fatto. Certe volte si pensa che i processi siano complessi e difficili da gestire (sarà la sinistra che instilla queste falsità?) e invece con piccoli accorgimenti tout va bien!

Vi sono poi delle chicche che vanno riprese perché testimoniano la profondità delle riflessioni elaborate dal sig. Ministro:

=la scuola facile (ereditata dal Sessantotto, ça va sans dire) ha portato alla scomparsa delle bocciature (p. 44), mentre nella scuola sognata dal sig. Ministro “le bocciature [vanno considerate] come uno stimolo e un rimedio” (p. 52).
Nulla da eccepire, ma alcune pagine precedenti sempre il sig. Ministro aveva evidenziato che i risultati scolastici più insoddisfacenti (ossia quelli che portano alla bocciatura) li ottengono gli studenti che provengono da contesti socio-economico-familiari disagiati ed anzi – aggiunge sempre il sig. Ministro – è compito della Repubblica (alias della scuola) rimuovere gli ostacoli che non consentono la piena realizzazione della persona umana (art. 3 Cost.). Ma allora, sig. Ministro, se continuiamo a bocciare quegli studenti che sappiamo già trovarsi in condizioni disagiate senza averle risolte (le condizioni disagiate) non si cade nella classica situazione del cane che si morde la coda?

= Parlando della scuola paritaria, il sig. Ministro afferma in modo perentorio che il significato di “senza oneri per lo Stato” (art. 33 Cost.) vuol dire che “lo Stato può finanziare scuole private, ma non è tenuto a farlo.” (p. 137). Fermi tutti! Chi parla è un professore ordinario di diritto, ancorché romano e dell’antichità, e dunque una qualche forma di cultura giuridica si presume che l’abbia acquisita. Pertanto, chiediamo al professore (non al sig. Ministro, in questo caso): “Professore, come mai la Costituzione non ha usato la sua espressione se voleva esprimere quello che lei ha espresso?” Il fatto che la scuola privata (ma più correttamente, dopo la legge 10 marzo 2002 n. 62, la scuola “paritaria”, sig. Ministro) sia finanziata dallo Stato è il risultato di una serie di compromessi politici trasversali che hanno portato a questa situazione, ma far dire alla Costituzione quello che non dice non è ammissibile, soprattutto da parte di uno studioso di diritto!

= Nel sottolineare l’importanza di tenere viva la memoria del passato e dunque di coltivare gli studi classici, il sig. Ministro annota: “Si è visto come persino[4] i più importanti personaggi della storia del Pci, da Gramsci a Togliatti a Concetto Marchesi, dessero allo studio della civiltà classica, della storia e delle letterature classiche un rilievo del tutto particolare” (p. 168). Persino loro! E voi, cari lettori, pensavate che i militanti del Pci si dedicavano solo a mangiare i bambini! E invece no! Si dilettavano anche di letteratura classica. Vabbè, magari prediligevano le favole di Fedro e di Esopo, quelle dove un animale mangia l’altro… Comunque sempre di letteratura classica si tratta.

=Nel ribadire saggiamente la necessità di educare l’io ponendo delle regole, il sig. Ministro statuisce che “la cultura della regola è stata messa in crisi fin dai primi anni di scuola con la svalutazione stessa della grammatica e della sintassi, che di quella cultura della regola sono un prezioso baluardo” (p. 89). Sì, lo so: qui occorre fare una profonda riflessione per capire il nesso tra la svalutazione della grammatica/sintassi e la crisi delle regole. Infatti, se questa “regola” fosse vera dovremmo dedurre che chi ha una buona padronanza grammaticale/sintattica della lingua è un buon cittadino in quanto rispetta le regole. I registri degli indagati sono però pieni anche di nominativi di persone che conoscono alla perfezione le regole della grammatica e della sintassi, un po’ meno le altre. Oppure le conoscono, ma preferiscono non rispettarle. Questo ragionamento va forse perfezionato, sig. Ministro. Almeno ci metta delle attenuanti generiche…

=E infine, il sig. Ministro prevede il futuro, anzi lo vede. Un po’ come lo storico e filosofo israeliano Yuval Noah Harari (citato dal sig. Ministro), che ha dedicato dei saggi proprio allo studio del futuro; ma Harari si limita a immaginare ipotetici quadri di come si potrà presentare la realtà nel prossimo futuro, il sig. Ministro invece questa realtà futura ce l’ha davanti, reale, ancorché solo in nuce. Forse è un sogno (in tedesco sogno si dice traum…).
Vediamo alcuni esempi:
a) coinvolgimento dei privati nell’edilizia scolastica, secondo il sistema del project financing (un privato costruisce una scuola e per un lungo periodo, anche 20 anni, gestisce i servizi scolastici (p. 162);
b) dal settembre 2024 le supplenze brevi saranno pagate in modo puntuale (p. 177);
c) lo studio del latino aiuterà lo sviluppo del ragionamento logico (soprattutto le regole grammaticali) nel percorso della scuola media comune a tutti (p. 180);
d) con l’ultimo rinnovo contrattuale sono state pressoché azzerate le distanze tra gli stipendi dei docenti italiani e quelli degli altri insegnanti UE (p. 133);
e) i docenti supplenti di sostegno possono permanere nella stessa scuola per tre anni, se la famiglia lo richiede e se l’insegnante è disponibile (p.102);
f) la scuola d’estate, oltre a offrire un eventuale potenziamento, deve soprattutto creare occasioni di ritrovo positivo organizzando attività sportive, teatrali, culturali, di educazione al lavoro, ludiche, a seconda delle varie fasce di età (p. 141); uno strumento praticabile per salvaguardare il potere d’acquisto dei docenti è il sostegno per l’affitto e i trasporti (p. 134);  occorre puntare sulla formazione dei docenti e sulla formazione in carriera di ogni  docente che deve essere obbligatoria e possibilmente accompagnata, per chi abbia conseguito buoni risultati formativi, da riconoscimenti economici e di crediti professionali (p. 49).

E infine la visione (sogno/traum) in assoluto più importante: la scuola è una priorità per l’attuale Governo (tutto il testo).
(Cari lettori, per favore, abbandonate in silenzio questa pagina. Il sig. Ministro sta sognando. Non svegliatelo… potrebbe avere un traum.)

[1] https://www.dg.unito.it/do/docenti.pl/Alias?giuseppe.valditara#tab-profilo
[2] https://www.cfs.unipi.it/wp-content/uploads/2018/05/CDS-FIL-Norme-Redazione-Tesi.pdf
[3] C. Edwards, L. Gandini, G. FormanI cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia, Edizioni Junior, Bergamo, 2014
[4] Corsivo mio




Luisa Tosi, donna di scuola da ricordare

E’ mancata in queste ore Luisa Tosi, ex maestra e direttrice didattica di Treviso.
Questo il ricordo di Cinzia Mion.

Parafrasando il titolo del film “io la conoscevo bene” io posso dire che Luisa Tosi l’ho conosciuta bene. Nel 2019 anzi, in qualità di componente della Commissione Pari opportunità della città di Treviso, ho avuto il piacere di proporla per il Premio “Riflettore donna”, premio che ebbi l’onore di consegnarle personalmente.
Non si può però parlare di Luisa senza parlare del Movimento di Cooperazione Educativa: un’associazione professionale di docenti molto vivace e fermentativa.

Non ricordo con precisione il mio primo incontro con Luisa. Ricordo però quando mi iscrissi al Movimento e cominciai a frequentare il gruppo di Treviso, folgorata dall’originalità delle tecniche Freinet che ebbi modo di conoscere grazie ad mia collega a Barcon di Vedelago. Accadde durante l’anno scolastico 1963/64. Ricordo benissimo però che ben presto all’interno del gruppo ho focalizzato questa bravissima insegnante, dal nome appunto di Luisa Tosi, che ha cominciato a guidare con maestria i miei primi passi nella didattica innovativa adottata dal Movimento.

Oltre ai primi insegnamenti ricevuti sul testo libero e l’uso del limografo, nell’anno successivo venni avviata da Luisa alla didattica dell’insiemistica. Avevo appena scoperto questa matematica moderna alla scuola estiva del MCE, , dove conobbi il professore Tomassini, docente di matematica ad un liceo di Penne (Abruzzo).

La pratica delle scuole estive consisteva nel mettere insieme un esperto disciplinarista con un esperto di psicologia dell’apprendimento che guidassero insieme gli “apprendisti”, che eravamo noi docenti, ad inoltrarci nella didattica laboratoriale del Movimento, all’interno di una “comunità di pratica” (ante litteram), attraversata in ogni attività dal valore forte della pedagogia popolare di C.Freinet . Oggi la chiamiamo scuola inclusiva. Ci accomunava una passione che oserei definire ”rivoluzionaria”, volevamo cambiare la scuola, renderla democratica ed accessibile, ed in grado di istruire “tutti” perché da sudditi imparassero a diventare cittadini consapevoli. Ed attraverso la scuola volevamo cambiare il mondo. Eravamo giovani…!

Luisa era bravissima ed è stata da allora una colonna del Movimento. Quando dovevamo inventare delle schede di lavoro adatte a bambini a partire dalla prima elementare, schede che tenessero insieme aspetto ludico, creatività con cui attirare l’infanzia e anche impianto scientifico, era impareggiabile. Se Tomassini presidiava la scientificità, Tornatore curava la gradualità e l’adattamento alle diverse età del bambino (ho sempre tenuto a mente la frase significativa di Lidia: nell’apprendimento scolastico bisogna tenere continuamente presenti tre aspetti, la matematica, chi è Pierino, e come Pierino apprende la matematica!) e Luisa era un fenomeno nell’adattare questa disciplina, nuova per tutti, alla realtà infantile.  Luisa è stata per me una guida importante, finchè non ho imparato ad andare sulle mie gambe di giovane maestra. Ricordo di lei l’infaticabilità ed anche l’umorismo. Aveva uno strano modo di ridere, come se si scusasse di concedersi questo permesso tanto era seria ed impegnata. Insegnava allora a Lughignano da dove ci portava, come in un forziere prezioso, tutte la attività didattiche del suo lavoro di docente all’avanguardia perché da tempo frequentava i gruppi MCE, anzi ne era l’animatrice infaticabile..

Ci siamo iscritte poi insieme all’Università. Eravamo in tre: lei, Beppa Grava ed io. Per noi è stato un periodo stimolante e felice, anche se durissimo. Lavorare e studiare senza andare fuori corso è stato molto faticoso ma ce l’abbiamo fatta! Spesso andavamo a Padova insieme, a turno utilizzavamo le nostre auto. Ansie, preoccupazioni, lotta continua contro il tempo, fatica e rinunce ma anche risate.
Poi lei vinse il concorso direttivo, perché aveva il servizio utile per partecipare, a prescindere dal titolo, ed ebbe la sede a Vazzola.
Nel frattempo ci laureammo.

Diventò direttrice didattica a Vazzola. Io nel 1974 a Conegliano, secondo Circolo: medesimo distretto scolastico. Mi arrivavano gli echi del suo successo, dell’innovazione che riusciva a portare nelle “sue” scuole e del seguito delle sue maestre. “Maestra dei maestri” questa era la sua funzione prima che il ruolo del dirigente venisse così snaturato e schiacciato sugli aspetti giuridico-amministrativi,  come succede oggigiorno.
Ad un certo punto lasciò la direzione didattica, con grande sconforto da parte degli insegnanti, per un distacco in Provveditorato agli studi per dirigere il gruppo di lavoro sull’handicap dove ugualmente si distinse per attenzione ai più deboli. Successivamente partecipò al concorso presso l’Irrsae ed ebbe il distacco a Mestre.
Ci ritrovammo di nuovo insieme per la formazione sui nuovi programmi del 1985. Facevamo parte entrambe del Gruppo per lo sviluppo del Curricolo e curammo la formazione dei formatori dei docenti, in tutta la regione. Anche in questo contesto fece emergere il suo valore.  Si trattò di una operazione in grande stile, mai più ripetuta sul territorio nazionale. Tutti i docenti della scuola elementare d’Italia in quattro anni furono formati in tutte le discipline. Furono i diversi Istituti di Ricerca e Sperimentazione e Sviluppo a farsene carico.
Quando andò in pensione la scuola perdette una risorsa validissima. I suoi successi continuarono in altri campi. Mi giungevano notizie per altre vie. Come quando vidi la sua pubblicazione sul bombardamento del 7 aprile a Treviso, con le interviste a chi era presente in quel giorno terribile e la raccolta  toccante dei loro ricordi, oppure la collezione dei giochi di un tempo (pito e pantoco): narrazione  preziosa dei giochi infantili in un’epoca in cui spesso i bambini non sanno più giocare…..Molte di più sono le sue pubblicazioni, come ricordano i numerosi amici che le hanno dedicato preziosi  testi i cui stralci saranno letti durante la cerimonia.
Più avanti seppi della sua direzione dell’Università della terza età. Bellissima esperienza pure questa. Luisa è sempre stata una fucina di iniziative e tutte di molto successo. Significativa inoltre anche la sua partecipazione alla “Società iconografica trivigiana”.
Aveva preso il volo verso altri lidi mentre io ho continuato ad interessarmi di scuola.

Alla fine ci siamo frequentate presso la casa di riposo “casa albergo” dove entrambe avevamo una sorella ricoverata. Il passo però era diventato più lento, la parola più sommessa, fino alla malattia.
Luisa Tosi è stata certamente una delle persone, di scuola e non solo, più significative della città di Treviso e merita di essere ricordata per il suo costante impegno.




Anni di piombo


Per quelli della mia età che ne sono stati protagonisti ho provato e provo ancora un senso di pietà per come hanno bruciato la loro vita inseguendo un progetto impossibile e controproducente di lotta armata.
Uno di questi l’ho conosciuto al Tito Livio di Padova dove ho insegnato da supplente a partire dal febbraio del ’69 e un altro era come me interno del collegio universitario Don Nicola Mazza.
Bravi ragazzi come tanti e forse più bravi di tanti altri che da un giorno all’altro hanno imboccato una strada che li ha rovinati. Semplici soldati.
Quelli che orchestravano assalti, attentati e delitti se ne stavano a Roma, penso, in clandestinità.
In questi giorni ha concluso la sua corsa una terrorista che ha partecipato alla strage di Via Fani e che mai si è pentita di quello che ha fatto.
E dire che motivi per ripensarci ce n’erano, perchè quella strage che faceva saltare un punto essenziale degli equilibri politici della nazione, solo una preparata e massiccia sollevazione popolare a sostegno avrebbe in qualche modo potuta giustificarla.
Dopo quel giorno non è iniziata la rivoluzione ,ma una controffensiva durata decenni che prima ha sconfitto i gruppi terroristici e poi poco alla volta ha indebolito i partiti di sinistra, il movimento sindacale e la partecipazione popolare alla vita politica .Dopo quel giorno si è cominciato con potenti mezzi mediatici e finanziari a colpire la cultura di sinistra e le stesse fondamenta della Costituzione.
Quella strage ha chiuso il ciclo straordinario di conquiste democratiche iniziato nel ’46.Il glorioso trentennio ha scritto Mario Tronti.
Dopo è iniziato il ciclo politico che ha portato le schegge del neofascismo al potere. Chi ebbe responsabilità in quella strage ,con gli strumenti in proprio possesso ,ha avuto tutto il tempo di comprendere il danno che è stato fatto al movimento operaio e alla democrazia e di chiedere scusa e perdono alle vittime delle loro scelte terroristiche.
Se tutto questo non è stato fatto ,non si capisce di quale comprensione abbia diritto




Il diritto all’educazione nel mondo attuale

Il diritto alla educazione nel mondo attuale è un piccolo volume di Jean Piaget pubblicato nel 1951 dalle Edizioni di Comunità, la casa editrice fondata da Adriano Olivetti.

Il volumetto faceva parte della collana Diritti dell’Uomo curata dalla Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco) ed era stato tradotto in italiano da Carla Musatti.

Nel libro Piaget affronta la questione del diritto all’educazione nel mondo attuale, diritto che, a suo parere, dovrebbe garantire che tutti gli individui abbiano accesso a un’istruzione che rispetti il loro sviluppo cognitivo unico e che promuova l’apprendimento attivo e significativo. Ciò implica la necessità di un sistema educativo che sia flessibile, inclusivo e in grado di adattarsi alle esigenze di una società in rapido cambiamento.

Un breve passaggio tratto dalle prime pagine del libro ben chiarisce cosa intendesse Piaget per diritto alla educazione:

Affermare il diritto della persona umana all’edu­cazione è assumersi una responsabilità assai più grave che non quella di assicurare a ciascuno il pos­sesso della lettura, della scrittura e del calcolo: è garantire effettivamente a ogni bambino l’intero sviluppo delle sue funzioni mentali e l’acquisizione delle cono­scenze e dei valori morali che corrispondono all’eser­cizio di tali funzioni, fino all’adattamento alla vita so­ciale attuale. Di conseguenza significa soprattutto assu­mersi l’obbligo- tenendo conto della costituzione e delle attitudini che distinguono ogni individuo – di non distruggere nè sprecare alcuna delle possibilità che egli racchiude in sè e di cui per prima la società è chia­mata a beneficiare, evitando di lasciare che se ne per­dano importanti frazioni e che altre rimangano sof­focate.

 




IA “Etica” oppure Etica della IA? Quali valori, quali regole, quali limiti

di Rodolfo Marchisio

Ha senso parlare di IA in generale?

  • In realtà si tratta di diverse applicazioni in campi molto diversi e con finalità diverse. Cosa le accomuna? “L’intelligenza artificiale è un nome che descrive un modo di fare software. In particolare, è un modo di fare software nuovo, che consente di affrontare nuovi problemi e creare nuove applicazioni sostiene Quintarelli [1] Le possibili applicazioni, i campi e gli obiettivi possono essere allora molto diversi. Alcuni già esistenti altri in via di sviluppo.
  • Ci sono molti modi di intenderla e praticarla: in questo periodo si parla molto di IA Generativa (più legata allo sviluppo di chat “intelligenti” in grado di imparare ed agli sviluppi ed usi linguistici o mediatici), di IA “etica”, di IA “spiegabile”, ma anche di “IA noiosa” …
  • Ma anche sono diversi i modi di pensarla e di raccontarla. Si va dal catastrofismo al trionfalismo (talora ingenuo o magari interessato), alle strane  utopie dei miliardari, alla necessità di dare regole e porre limiti. Ma l’IA esiste già nella indifferenza generale (nei motori di ricerca ed in molte applicazioni); e poi c’è quella noiosa già esistente nei settori della agricoltura ad esempio di cui nessuno parla.[2]
  • Tutti parlano invece di IA, ma in modo generico e spesso divergente, concentrandosi su aspetti o problemi diversi. Certamente oggi la “parola dell’anno” è esplosa come fenomeno di moda e come operazione di marketing insieme e, se uno vale uno, tutti si sentono autorizzati a dire o teorizzare la loro opinione ed il loro (spesso interessato o poco informato) punto di vista.
  • È importante invece distinguere alcune figure con ruoli, interessi, responsabilità diverse.

I “padroni” che sono pochi ricchi e potenti; gli esperti, che non vuol dire chi ha una laurea o una cattedra, ma chi ci lavora, chi ci riflette e anche chi si informa; poi i politici e i decisori e soprattutto (anche se non è più di moda) i cittadini che vivono e vivranno, in vario modo, le conseguenze di quello che altri decidono e realizzano.

Ha senso parlare di IA “etica”?

  • Allora ha senso parlare di IA “Etica” intesa come responsabile, che si dà o rispetta delle regole o è meglio parlare di Etica della IA?
    Chi deve essere “etico” cioè rispettare vincoli e regole? La tecnologia, il programma, chi lo progetta e finanzia per guadagnarci o per potere, per controllare altri violando diritti?
    Aldilà del catastrofismo e delle paure o dell’euforia che accompagnano ogni “rivoluzione tecnologica” si è posto in vari modi il problema di tutelare diritti, stabilire regole (“paletti”), di stabilire a protezione dei diritti dei cittadini delle regole, dei limiti, in modo diverso.Quali sono questi problemi? Anche Quintarelli ne elenca alcuni: “L’uso dell’intelligenza artificiale a fini anti-competitivi, la creazione di posizioni di monopolio, lo sfruttamento del lavoro delle persone, la discriminazione. Quando si dice che l’umanità rischia l’estinzione a causa dell’AI, sono baggianate (dice lui)mentre può preoccupare l’utilizzo dell’AI negli armamenti: certamente se facciamo armi autonome, anche in conseguenza del fatto che sappiamo che l’AI sbaglia, possiamo attenderci esiti nefasti. Ma di nuovo, il problema non è l’AI ma l’uso che ne facciamo noi… Quindi queste grandi visioni su ipotetici grandi temi e grandi problemi mascherano problemi attuali concreti che sono importanti, appunto, come lo sfruttamento del lavoro delle persone, la creazione di rendite di monopolio, lo sfruttamento del lavoro altrui”. Tra l’altro.
  • Un altro problema che si è posto nel dibattito da parte delle stesse imprese che la propongono è l’IA che crea Fake in periodo di elezioni, In teoria molte aziende e social si impegnano (?) a non diffondere fake su candidati e partiti. Forse la prima elezione “dopata” di Trump ha indotto a riflettere. Vedremo chi mantiene la parola.

Esiste una etica globale?

Un problema fondamentale che esiste da sempre e che è già emerso col web ed il suo sviluppo, globale e oligopolistico insieme, è che l’etica, come mediazione sui valori/interessi/diritti in un dato paese (o zona del mondo) è un fatto relativo dal punto di vista geografico e storico. Come i valori e diritti stessi (N. Bobbio) che si devono conquistare, ma che si possono perdere in tutto o in parte, l’etica è relativa nel tempo e diversa nelle varie parti, culture e nei vari paesi o regimi del mondo.[3]
Basta confrontare le posizioni in merito che emergono in paesi con culture diverse:
UE (AI Act); USA a livello normativo o come autodeterminazione a livello globale degli stessi promotori della IA; oppure in Cina ad esempio, dove i valori, le regole, il rispetto dei diritti che sono appunto relativi dal punto di vista storico, geografico, politico sono diversi.[4]

L’UE prima ancora dell’atto sulla IA aveva indicato come requisiti da rispettare:
1- Supervisione umana
2- Robustezza e sicurezza
3- Privacy
4- Trasparenza
5- Assenza di discriminazioni
6- Benessere sociale ed ambientale
7- Responsabilità contro impatti negativi

Un altro atto era stato la Carta etica europea per l’uso dell’IA nei sistemi giudiziari (2018): principi di rispetto dei diritti fondamentali, di non-discriminazione, di qualità e sicurezza, di trasparenza, imparzialità, equità e di controllo da parte dell’utilizzatore.

Anche in Italia l’Agenzia per l’Italia digitale ha prodotto un libro bianco legato soprattutto a criteri d’uso nella pubblica amministrazione, dove si parla di problema etico, sfida tecnologica, competenze necessarie, problema dei dati e problemi legali e del coinvolgimento degli utenti, perché il principio di fondo è che l’Intelligenza Artificiale debba servire soprattutto per affiancare le persone e aiutarle a svolgere le loro attività, ma non per sostituirle. [5]

In USA in assenza di una regolamentazione pubblica, sono emerse enunciazione di principi da parte di privati, come Google [6] ed altri, basati però sulla volontà dei responsabili e senza un controllo pubblico. Che è un dato significativo di un modo di pensare in cui la libertà individuale (dalla espressione alla iniziativa economica) sono i punti di riferimento più forti.

La Cina (2019) ha pubblicato [7], dopo una ricerca tutta interna, un elenco di principi: essere vantaggiosa, al servizio della umanità, responsabile, controllare i rischi, progettazione etica, riflettere sulla diversità e sulla inclusività, incoraggiare la condivisione aperta.
Puntare a ottimizzare l’occupazione, l’armonia e la cooperazione, l’adattamento e la moderazione, il perfezionamento, l’implementazione, la pianificazione a lungo termine.

Ma aldilà delle belle parole sappiamo come funzionano già le attuali implementazioni della IA in Cina e come vengano usate spesso a danno dei diritti e delle libertà dei cittadini, dando priorità al potere politico attuale ed alla espansione economica.

Perché questa panoramica, magari un po’noiosa?

Paesi con storie, esperienze e quindi culture diverse possono usare le stesse parole come paravento o per indicare atteggiamenti diversi.
Ricordo uno scrittore arabo che mi aveva fatto riflettere sul fatto che per noi europei “giustizia” era intesa come giustizia sociale, rispetto dei diritti, in relazione alla nostra storia e quindi alla nostra cultura. Nella loro cultura era storicamente legata a “rispetto della legge”. Per cui il dialogo sui diritti umani era difficile.

Cosa c’entra allora la scuola, anello debole della catena sociale?

In questa complessità continuo a domandarmi in che modo la IA “debba” essere introdotta nella scuola, essendo intreccio complesso a causa della globalizzazione che non è dialogo tra culture se non sulle mode e con finalità diverse.  A meno di spiegare tutte queste cose e limitarsi a cosa si può fare con

[1] https://www.wired.it/article/intelligenza-artificiale-noiosa-quintarelli/
[2] ibidem
[3] https://www.einaudi.it/catalogo-libri/scienze-sociali/politica/leta-dei-diritti-norberto-bobbio-9788806223434/
[4] Sull’AI Act vedi anche https://www.gessetticolorati.it/dibattito/2024/02/06/giornata-della-sicurezza-in-rete-difendersi-dalla-privatizzazione-del-web-e-dalla-ia-non-controllata/
[5] Per una sintesi https://libro-bianco-ia.readthedocs.io/it/latest/doc/sintesi.html
[6] AI at Google: our principles, su Google, 7 giugno 2018.
[7] Intelligenza artificiale, pubblicati gli standard etici da non oltrepassare, su Cina in Italia, 26 maggio 2019

 




Alunni stranieri: come “integrarli” nelle nostre scuole? In classi separate (come sembra proporre il ministro Valditara) o nelle classi di tutti?

Questa è una presentazione della video-intervista con Raffaele Iosa.
Il testo è stato prodotto con uno strumento di IA.

L’integrazione degli alunni stranieri nelle scuole italiane: una prospettiva critica

In un contesto educativo sempre più diversificato, l’integrazione degli alunni stranieri rappresenta una sfida fondamentale per il sistema scolastico italiano. Tuttavia, recenti proposte del Ministero dell’Istruzione hanno suscitato dibattiti e controversie riguardo al modo migliore per accogliere e supportare questi studenti. In questo articolo, esamineremo da vicino la questione, analizzando le opinioni espresse da Raffaele Iosa, un esperto nel campo dell’istruzione e dell’integrazione.

Riflessioni sull’accoglienza degli alunni stranieri

Raffaele Iosa critica aspramente l’approccio proposto dal Ministero, che suggerisce la creazione di classi separate o differenziali per gli alunni stranieri al fine di facilitare l’apprendimento della lingua italiana. Secondo Iosa, questa proposta riflette una visione superficiale e ideologica, trascurando l’importanza della socialità e della naturale interazione tra coetanei per lo sviluppo linguistico e sociale degli studenti stranieri.

Esperienze personali e riflessioni teoriche

Basandosi sulla propria esperienza e sulla teoria dell’apprendimento, Iosa evidenzia l’importanza del contesto sociale e dell’interazione tra i bambini per l’acquisizione linguistica. Utilizzando esempi tratti dalla propria vita e dalla pratica pedagogica, sottolinea come la diversità all’interno delle classi possa essere una risorsa preziosa per l’apprendimento reciproco e la formazione di relazioni significative.

Critiche alle proposte ministeriali

Iosa respinge l’idea di classi separate o speciali, suggerendo invece un approccio flessibile e inclusivo che valorizzi la diversità culturale e linguistica all’interno delle scuole. Sottolinea l’importanza dell’autonomia scolastica e della flessibilità organizzativa per rispondere in modo efficace alle esigenze degli alunni stranieri.

Ruolo dell’autonomia scolastica

Infine, Iosa richiama l’attenzione sull’importanza dell’autonomia scolastica nel gestire l’integrazione degli alunni stranieri. Sottolinea come le normative vigenti offrano già strumenti e margini di manovra per promuovere un’educazione inclusiva e rispettosa della diversità culturale.

Conclusioni

In conclusione, l’integrazione degli alunni stranieri richiede un approccio sensibile, flessibile e centrato sulle esigenze individuali degli studenti. Le proposte ministeriali di creare classi separate o differenziali sono state criticate come superficiali e ideologiche, mentre è stato enfatizzato il valore della diversità e dell’inclusione all’interno delle scuole. In definitiva, per garantire un’educazione equa e di qualità per tutti gli studenti, è necessario promuovere un clima scolastico accogliente, rispettoso e inclusivo.




Valorizzazione dell’autonomia scolastica, ma anche del centralismo e altri esempi di strabismo politico

di Stefano Stefanel

Ci sono tre locuzioni che stanno quasi come “motto” sopra le scuole, perché costituiscono la cornice ovvia entro cui situare l’autonomia funzionale delle scuole italiane: sono le “finalità generali del sistema”, gli “obiettivi generali del sistema formativo”, i “livelli essenziali delle prestazioni”.  Le prime due locuzioni si trovano nel DPR 275/1999 e la terza alla lettera m) dell’art. 117 della Costituzione così come modificato dalla legge costituzionale n° 3 del 2001. Chi sta fuori dal sistema scolastico nazionale può immaginare di trovarsi di fronte ad un libro in cui finalità, obiettivi e livelli essenziali delle prestazioni siano definiti in modo chiaro ed enciclopedico. Tutto numerato e ordinato, con precisi riferimenti normativi, contratti del personale firmati regolarmente di conseguenza, nessuna sovrapposizione o contraddizione. E invece, il sistema si ordina per salti, senza nessun documento che definisca tutto quello che è in vigore e che deve essere applicato (o disapplicato), con anche le modalità di applicazione.

Forse in un momento così convulso, com’è quello attuale, può essere interessante comprendere perché il sistema si sia ordinato in questo modo e non come una semplice enciclopedia che tutti (giudici inclusi) possono, alla bisogna, consultare. Solo quest’anno il sistema scolastico italiano ha licenziato (finora) le Linee guida per l’orientamento,  la nomina dei tutor e del tutor orientatore, il Liceo Made in Italy che convive con Liceo Economico Sociale, dopo che era stato annunciato che l’avrebbe assorbito, il percorso di 4 e non 5 anni per gli Istituti Tecnici su base vocazionale (scelta delle scuole e scelta delle famiglie), lo sviluppo piuttosto senza regole degli ITS, l’attuazione del PNRR, il PNRR sui “divari territoriali”, i D.M. 65 e 66, il personale ata assunto fino a dicembre sul PNRR e poi prorogabile con le modalità decise dal ministero, ma pagato coi fondi delle scuole, il concorso straordinario per dirigenti scolastici aperto a chi ha perso l’ultimo concorso ma ha fatto ricorso e, poi, molto  altro di varia entità.

Oltre ai provvedimenti ci sono le quotidiane esternazioni sul ripristino dei voti e poi dei giudizi nella scuola primaria, del voto numerico per il comportamento nella scuola secondaria di primo grado, sulla tutela legale per i docenti aggrediti dagli studenti (non ricordo se c’è anche per chi è aggredito dai genitori e per i dirigenti aggrediti da chiunque), sulle norme sull’occupazione delle scuole da parte degli studenti, sulle classi differenziate per gli stranieri e, anche qui, via enumerando. Una volta questi argomenti venivano trattati uno a biennio e davano vita a manualistiche complesse, piuttosto enciclopediche poi confluite tutte nel testo unico del 1994, di cui sono rimaste ampie tracce, ma che è stato, anche lui, modificato attraverso tagli e incollature. Da ultimo, ma non ultimo, il nuovo contratto dei docenti con modifiche ad anno in corso, il tentativo del ritorno tout court in presenza anche laddove è più efficace ed efficiente lavorare a distanza e poi azioni che si sommano ad altre azioni senza sostituirle. Tutto questo con lo sfondo integratore dell’autonomia differenziata che “ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa”.

Dentro un simile oceano si potrebbe ritenere che il “dividi et impera” sia la base strutturale del sistema scolastico italiano, ma io credo non sia così. Il sogno di ogni Ministro o di ogni Direttore di Dipartimento o di Ufficio Scolastico sarebbe quello di avere tutto sotto controllo, a cominciare dalla rubrica di ciò che va tenuto sotto controllo. E questo, dal punto di vista solo formale ma non sostanziale, è ciò che avviene. Rimane un vulnus costituzionale, laddove l’autonomia delle scuole prevista dalla Costituzione non è tutelata da alcuna possibilità che le singole scuole (in quanto autonomie funzionali dello Stato) possano impugnare un provvedimento ministeriale che sia ritenuto eccessivo rispetto ai poteri statali, che comunque non potrebbero ledere l’autonomia delle scuole costituzionalizzata. Così i limiti dell’autonomia sono definiti in forma unilaterale dallo Stato, attraverso provvedimenti che dichiarano sempre che questa autonomia è fatta salva, anche se spesso a chi lavora nella scuola non pare sia proprio così.
Quindi il sistema si muove in forma frammentata e plurale perché manca un’idea generale e condivisa che non sia generica o di parte: si sa, però, che le cose generali poi nei particolari fanno annidare i problemi e che in Italia nessuna parte è mai riuscita a prevalere in maniera definitiva.

Quindi sono molti gli elementi che non permettono l’enciclopedia di finalità, obiettivi e livelli essenziali di prestazione, perché il soggetto titolato ad amministrare decide in autonomia i perimetri senza un reale possibile contraddittorio con chi quell’autonomia ha il diritto di applicarla dentro un quadro normativo certo, non incerto e sempre in evoluzione. Per cui tutto è finalità, tutto è obiettivo, tutto è livello essenziale di prestazione e questo determina una sovrapposizione di note, circolari, decreti ministeriali, ordinanze, leggi, decreti-legge, decreti legislativi, regolamenti, dichiarazioni, proposte, interviste e quant’altro la burocrazia e la politica hanno inventato per complicare le cose semplici. Resta il fatto che nessuno tocca organici, orari, discipline, tempi neppure quando tutto questo diventa obsoleto, stantio e rallentante.

L’esperienza del Covid non ha insegnato niente, dato che tutti vogliono tornare al gennaio del 2020, anche a rifare cose che si facevano male a quel tempo e che poi si è dimostrato si possono fare bene in modo totalmente diverso. A tutto questo si somma il fatto che la piramide decisionale non funziona più né a livello di macrosistema, né a livello di micro organizzazione, laddove le risorse e le progettualità provengono da soggetti fuori dalle piramidi ordinarie. Sono nate così le Autorità di gestione e le Autorità di missione, nelle scuole ci sono Animatori digitali, Tutor, Team di progetto. Nascono nuovi nomi (Mentor, Tutor, Facilitatore, Coach) e gli insegnanti si percepiscono non più come centrali, ma tendono, ugualmente, a lavorare come se la centralità fosse rimasta intatta. Così si alimenta la confusione e il Ministro invia circolari prive di valore normativo, mentre l’Autorità di missione condiziona la vita delle scuole dentro finanziamenti epocali. A livello scolastico il collaboratore del dirigente gestisce i quattro soldi delle ore eccedenti, mentre l’animatore digitale può gestire PON e PNRR da centinaia di migliaia di euro. La piramide è crollata, ma tutti la venerano lo stesso.

Il PNRR viene attuato dallo Stato attraverso performance decise dall’Unione Europea ma operativamente attuate dalle scuole. La performance più complessa è quella che riguarda la formazione di almeno 680.000 docenti (sono quelli dell’organico di diritto) che sono conteggiati “per testa” e non “per attestato” (se qualche volonteroso docente frequenta dieci corsi di formazione vale sempre uno). Così una questione strategica, un LEP ovvio (docenti formati che forniscono istruzione di qualità), determina un’inondazione di soldi nelle scuole senza una logica di sistema, perché l’obiettivo è difficile da raggiungere dato che l’obbligo di formarsi non c’è (c’è invece un comico/drammatico diritto, che troppi docenti – soprattutto di materie STEM – declinano come diritto non fare formazione, tanto la materia la so già e se gli studenti non imparano è perché non studiano abbastanza).

Per cui spesso non si comprende se la finalità e l’obiettivo del sistema scolastico italiano siano quelli di diminuire la dispersione implicita ed esplicita oppure quella di bocciare di più, perché nel secondo caso il “gravemente insufficiente” alle primarie è un’ottima intuizione, nel primo caso l’anticamera della catastrofe. Però nella narrazione quotidiana ognuno narra quello che vuole e possono stare insieme un sistema scolastico di alto livello e gli ultimi posti nelle rilevazioni OCSE-Pisa, un sistema scolastico che valorizza la matematica e al tempo stesso la certificazione europea del peggior divario di genere in matematica di tutta l’area OCSE, con le ragazze italiane che tendono a non appassionarsi troppo alle STEM. Con la lettura dei fenomeni in atto si certifica, al tempo stesso, che gli insegnanti di matematica italiani sono ottimi e le studentesse di matematica svogliate ( e si vede ad occhio nudo che non è così). Se non vogliamo dire che il sistema scolastico italiano propugna il principio di non contraddizione per poi contraddirsi, diciamo almeno che il tentativo di attuate l’e pluriumus unum è almeno un po’ velleitario.

Forse però su una cosa possiamo metterci d’accordo: le “finalità generali del sistema”, gli “obiettivi generali del sistema formativo”, i “livelli essenziali delle prestazioni” dovrebbero essere frasi che, inserite in un motore di ricerca qualsiasi, forniscono un bel testo elencativo ed esplicativo alla portata di tutti e comprensibile da tutti. La somma delle pluralità anarchiche non fa unitarietà di sistema neppure nel mondo delle enneadi di Plotino.