Vygotskij: le vie dell’uomo verso la libertà e l’individualità

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Giovanni Fioravanti

Ho incontrato Vygotskij agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, la collana “Paideia” degli Editori Riuniti ne pubblicava due opere: Lo sviluppo psichico del bambino, con l’introduzione di Leontjev e cenni bio-bibliografici a cura, già allora, di Luciano Mecacci, Immagina-zione e creatività nell’età infantile, con la prefazione di Alberto Alberti, in fine il libro di Lurija Linguaggio e comportamento.
Poi nel 1976 Vygotskij approda alle edizioni Giunti con la pubblicazione di Pensiero e Linguaggio” nella collana di psicologia scientifica diretta, tra gli altri, da Guido Petter.
L’iniziativa è di Angela Massucco Costa, ordinario di psicologia sperimentale all’università di Torino, che ne cura anche l’edizione, con l’introduzione di Bruner.
Gli anni ’70-’80 segnano l’esplosione d’interesse in Italia per il pedologo russo. La pedologia, censurata dal regime sovietico, comprende biologia, pediatria, psicologia, pedagogia, qualcosa come le scienze dell’educazione. Per Vygotskij è la riorganizzazione delle funzioni psichiche sotto l’influenza dei fattori sociali e culturali. All’indomani del crollo del muro di Berlino, dopo la caduta del regime sovietico, viene meno la censura nei confronti delle opere di Vygotskij, si scoprono i suoi taccuini, opere inedite, la figlia Gita ne pubblica la biografia. Un po’ in tutto il mondo si riaccende l’interesse per lo psicologo russo.

Così non accade in Italia, nonostante sia italiano il maggior studioso di Vygotskij, Luciano Mecacci, che ha lavorato con Lurija nell’Istituto di Psicologia di Mosca dove lo stesso Vy-gotskij condusse le sue ricerche. Sarebbe interessante indagare le ragioni di questa diserzione tutta italiana, certamente crisi della cultura e crisi dell’insegnamento vanno di pari passo. Da tempo manca nel nostro paese una riflessione seria sulla cultura necessaria alla scuola, in una scuola che si è andata sempre più avvitando su se stessa in questioni di cattedre e di precariato.
Può essere che abbia inciso, come ha osservato Alain Goussot, la profonda crisi della cultura marxista italiana, anche nella sua versione gramsciana.
Ma non ne sono convinto, perché l’opera di Vygotskij va ben oltre ogni confine riduttivamente culturale. È più credibile il perdurare di una opzione cognitivista ancora prevalente nell’ambito dell’insegnamento/apprendimento.

Se sei interessato all’argomento ti suggeriamo questa nostra intervista con Raffaele Iosa che racconta il suo incontro con la figlia di Vygotskij


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Come funziona la ricerca in campo educativo

di Cristiano Corsini

In questi anni, con il risalto mediatico ottenuto dalle ricerche Ocse, Iea e Invalsi, mi pare si sia rafforzata l’infausta tendenza a confondere i dati di alcune indagini educative con ricette da applicare nell’agenda politica.
Ho sentito dire che classi da 25 non sono un problema perché un certo paese con un numero simile ottiene punteggi elevati ai test Pisa o Timss, affermazione che attesta confusione notevole sul cosa, sul come e sul perché delle ricerche Pisa o Timss.
Indagini correlazionali vengono scambiate per disegni sperimentali, la comparazione è ridotta a ranking, la valutazione a un’approssimativa misurazione e la qualità a una pessima quantità, mentre le competenze vengono snaturate nell’affastellamento rabberciato delle poche conoscenze e delle poche abilità quantificabili risparmiando sui costi e sui tempi.
Il tutto genera vanvere del tipo “il 51% degli adolescenti non comprende un testo”. Spesso, questa dinamica è legata alla fretta di veder confermata la bontà di scelte politiche di basso cabotaggio.
Eppure, la ricerca scientifica in campo educativo (e non solo quella “quantitativa”) da decenni affronta i rischi di tale riduzionismo con un senso della misura che invece sfugge del tutto a chi si occupa di istruzione e continua a scambiare le scuole per contesti in cui applicare rigidamente lo schema economicistico input/processo/output che darà forse risultati apprezzabili in altri ambiti (quali, è da vedere).
In campo educativo, piuttosto che dire che “tale metodo produce tali risultati” svolgiamo un’analisi dei contesti, dei metodi e di ciò che si intende per “risultati” che se conferma certe ipotesi si traduce in una formulazione del tipo “il più delle volte, a determinate condizioni, agendo così osserviamo questi risultati”. Per esempio, se sappiamo che i riscontri descrittivi generalmente migliorano gli apprendimenti è perché abbiamo messo alla prova per decenni in diversi contesti questa ipotesi.


Questo prudente (direi “misurato”) modo di lavorare non recide i legami della ricerca educativa col metodo scientifico, semmai li rafforza.
D’altro canto, piuttosto che considerare l’educazione una scienza, faremmo meglio a inquadrarla con atteggiamento scientifico.
Scriveva Dewey (Le fonti di una scienza dell’educazione) quasi cento anni fa:
“Se ci fosse un’opposizione tra scienza ed arte, mi sentirei costretto a schierarmi con coloro che affermano che l’educazione sia un’arte. Ma non c’è alcuna opposizione, pur potendo operare una distinzione […]. Quando nell’educazione le scoperte sono ridotte a una regola che deve essere rigidamente adottata, allora il risultato ottenuto è criticabile e nocivo al libero gioco dell’educazione intesa come arte. Ma ciò accade non per aver applicato il metodo scientifico, ma per essersene allontanati.”
E, d’altra parte, nel 1955, Visalberghi (Misurazione e valutazione nel processo educativo) rilevava che “l’abito stesso del misurare, implicando l’attitudine a vedere un più ed un meno dove il giudizio affrettato scorge qualità assolute, è esso stesso un abito di riflessività, di moderazione e di prudenza.”




Caro futuro Ministro dell’Istruzione, chiunque tu sia…

di Mario Maviglia

(Attenzione! Questo intervento contiene affermazioni a forte impatto emotivo e pertanto se ne sconsiglia la lettura ai soggetti fragili, depressi o impressionabili. Non tenere a portata di mano pistole d’ordinanza o altre armi, anche bianche).
Nel testo il termine “Ministro” viene usato al maschile ma comprende anche il femminile.

Caro futuro Ministro dell’Istruzione, chiunque tu sia (c.t.s.), siamo convinti che sarai scelto non in seguito a incomprensibili e imperscrutabili beghe di potere o per mantenere equilibri politici precari. No! Tutto ciò fa parte della liturgia del passato. Questa volta sarai scelto per le tue acclarate competenze generali e di politica scolastica in particolare. Tu conosci in modo puntuale i problemi che affliggono la scuola ed elaborerai un piano di interventi tempestivo, efficace e definitivo. Finalmente la scuola sarà rivoltata come un calzino e potrà realizzare la sua importante funzione senza intoppi o titubanze, proiettata verso un futuro radioso di sviluppo, crescita e ricchezza.
La scuola sarà posta al centro dell’agenda politica e dell’opinione pubblica e tutti ne riconosceranno il suo insostituibile e fondamentale ruolo che svolge per il bene del Paese. Eccetera…

Ma, prima che tu inizi questa catartica e rivoluzionaria operazione di innovazione e trasformazione, vogliamo richiamare la tua attenzione su alcuni preliminari aspetti della macchina che andrai a dirigere nella convinzione che ciò ti possa tornare utile e possa imprimere una accelerazione ai tuoi disegni riformatori.

Caro futuro Ministro, c.t.s., come sai, quando si intraprende un’impresa complessa come quella che tu stai per iniziare, una delle prime cose da fare è quella di verificare chi sono i propri collaboratori, sia nel micro che nel macro, e quali competenze e motivazioni hanno rispetto al compito.
Per esempio, il tuo apparato amministrativo è in grado di gestire processi ordinari ancorché complessi? (Non rispondere subito, fai prima un respiro, o conta fino a tre).
Alcuni di questi processi sono di una banalità disarmante e ripetitiva, come ad esempio la nomina dei docenti “prima” che inizino le lezioni (o la nomina degli addetti all’amministrazione delle scuole).
Saprai, caro futuro Ministro, c.t.s., che l’anno scolastico, in Italia, inizia il 1° settembre, mentre le lezioni hanno un inizio differenziato a seconda delle Regioni. Queste scadenze si conoscono un anno prima e dunque tutto lascerebbe supporre che si abbia il tempo necessario per organizzare tempestivamente le varie operazioni di trasferimenti, nomine, immissioni in ruolo e quant’altro.
Eppure è quasi commovente vedere come l’apparato amministrativo ogni anno arrivi con l’acqua alla gola per completare le varie operazioni.
Forse sono troppo complesse? Forse ci sono troppi passaggi? Forse non ci sono adeguate competenze gestionali nel management amministrativo?
Il problema in sé non è paragonabile ai tanti di carattere politico che dovrai affrontare, caro futuro Ministro, c.t.s., ma considerato che impatta fortemente sull’organizzazione delle scuole e sulle attese di studenti e famiglie, forse ti conviene rivolgere una certa attenzione e trovare delle soluzioni, come dire?, definitive. (Ricorda, caro futuro Ministro, c.t.s: l’a.s. in Italia inizia il 1° settembre…).

Nel corso della campagna elettorale molti tuoi concorrenti hanno promesso mare e monti (qualcuno anche la collina…). È stato detto che gli stipendi dei docenti italiani devono essere equiparati alla media degli stipendi dei docenti UE. Ma perché fermarsi a questo? Perché non puntare più in alto? Tu vai oltre: prometti stipendi da favola, con aumenti stratosferici per tutti! Tanto gli italiani hanno la memoria corta e dimenticano tutto.
Ricorderai che nel passato qualche uomo politico aveva promesso un milione di posti di lavoro poco prima delle elezioni, qualcun altro l’aumento delle pensioni e la sconfitta della povertà, tanti altri l’abbassamento delle tasse. Gli italiani stanno ancora aspettando. Gli italiani sanno aspettare. E allora tu prometti stipendi d’oro! Non ti costa nulla e ti fa avere un mucchio di voti.

Anche riguardo ad altri aspetti della vita scolastica, non essere banale! Punta in alto!
Basta con le classi pollaio! Al massimo, classi-stalla: sono più grandi e ci stanno più studenti. Nessuno ti può accusare di non aver risolto il problema. Anzi, potrai sempre dire che “la congiuntura economica del momento non consente di affrontare il problema in una prospettiva risolutoria diversa, e pertanto occorre adottare una linea di condotta realistica in sintonia con le specifiche richieste dell’UE… ecc. ecc.” (il riferimento alla UE va sempre bene…).
E poi, parliamoci chiaro, si può fare lezione anche con 50 studenti: chi ha voglia di studiare non si lascia condizionare dal numero. Certo, i tuoi predecessori hanno insistito oltremodo (sulla carta…) sulla necessità di personalizzare i percorsi di apprendimento, ma quelle sono espressioni che si usano perché “lo vuole la UE”, appunto. Fumo negli occhi, insomma.
D’altro canto, saprai, caro futuro Ministro, c.t.s., che la scuola riesce a fare poco o nulla rispetto ai divari iniziali tra gli studenti. E allora perché vuoi intralciare un fenomeno naturale, che fa parte della natura stessa delle cose? Ovviamente non dirai così al personale della scuola, anzi ti sperticherai nel dire che il tuo Ministero “è impegnato nel garantire a tutti gli studenti il diritto allo studio e il successo formativo quale obiettivo prioritario per innalzare il livello culturale della popolazione e la crescita economica del Paese bla bla bla…”.

Non ti vorrai sottrarre, caro futuro Ministro, c.t.s., al fascino discreto del lasciare il segno della tua permanenza a Viale Trastevere 76/A attraverso una epocale riforma della scuola, qualunque cosa essa sia.
I tuoi predecessori hanno amato in modo particolare questo aspetto della loro missione. Tu non puoi essere da meno. La riforma può riguardare l’Esame di Stato della scuola del secondo ciclo (ma è diventato un tema talmente inflazionato che è meglio lasciar perdere…); oppure l’obbligo scolastico (12 anni? 13 anni? Nessuno offre di più?…) oppure le modalità di reclutamento del personale (tema sempre attuale e che dà sempre tante soddisfazioni al Ministro di turno, un po’ meno alle scuole costrette a fare i conti con sistemi di selezione che nella migliore delle ipotesi premiano la velocità di risposta ai quiz o la conoscenza mnemonica dei candidati, molto meno l’attitudine all’insegnamento).
Ma noi ti consigliamo di dedicarti ad una riforma veramente titanica: il riordino dei cicli! Se riuscirai a portarla a termine, una tua gigantografia verrà apposta nel Salone dei Ministri del palazzo ministeriale! Per la verità in questa fase non è tanto importante la realizzazione della riforma, quanto la promessa di realizzarla (ricordati del milione di posti di lavoro di cui sopra…). Per la sua elaborazione puoi fare riferimento agli schemi che di solito utilizzano gli allenatori delle squadre di calcio (1-3-4-4, oppure 4-4-4, oppure 1-4-3-5 ecc.). Qual è il senso di tutto ciò? È lo stesso che consente il funzionamento di scuole con oltre 2000 studenti…

Un aspetto che ricorre puntualmente nel dibattito scolastico è quello dell’autonomia delle scuole. Non ti lasciare ingannare, caro futuro Ministro, c.t.s. È un falso problema.
L’autonomia scolastica in Italia non la vuole quasi nessuno. Sicuramente non il Ministero che andrai a dirigere, che l’ha usata per rifilare alle scuole “autonome” incombenze burocratiche di una certa scocciatura.
Questa finta autonomia ha permesso finora al Ministero che andrai a dirigere di tenere in mano il pallino del gioco, imponendo alle scuole disposizioni, direttive, ordini, istruzioni, precetti, circolari, decreti, note, linee di comportamento e altro ancora.
D’altro canto se le scuole dovessero davvero agire l’autonomia prevista dalle norme (ancorché nella sua dimensione “funzionale”), forse emergerebbe con tutta evidenza l’inutilità di un apparato amministrativo ministeriale (con le sue ramificazioni periferiche) così elefantiaco e pervasivo.
A proposito, caro futuro Ministro, c.t.s., forse saprai che quasi il 27% delle istituzioni scolastiche non ha il DSGA (Direttore Servizi Generali e Amministrativi), con punte che arrivano al 53% (come in Lombardia). Ma tu non farne un problema, non provare ambascia: in fondo, in una situazione così caratterizzata, le scuole possono sperimentare sul campo il concetto di resilienza che va tanto di moda in questo periodo.
Sì, certo, ci sono le scocciature dei PON o quelle legate all’utilizzo dei fondi PNRR, ma stai sicuro che in un modo o nell’altro le scuole se la caveranno anche senza la presenza del DSGA. Sono resilienti, appunto…

Ci sarebbero tante altre cosette da considerare: l’effettiva possibilità per le famiglie di utilizzare i servizi educativi 0-3 anni senza dover accendere un mutuo; l’avvio (non sulla carta) del Sistema integrato 0-6; la valutazione come sistema di controllo dei processi di insegnamento-apprendimento (e non solo come verifica sanzionatoria dei risultati degli studenti); la dialettica tra conoscenza e prassi (evitando l’inciampo fonetico dei PCTO); il superamento, o l’attenuazione, dei divari territoriali in termini di qualità dei risultati. Ma queste sono cose troppo serie per poter essere trattate da un Ministro.

Insomma, caro futuro Ministro, c.t.s., il lavoro che ti attende è tanto, ma siamo sicuri che riuscirai a portarlo avanti con quella perizia e competenza che hai dimostrato in campagna elettorale facendo promesse mirabolanti.
Il volgo ha bisogno di promesse perché ha bisogno di sognare, di immaginare un avvenire migliore, idilliaco e paradisiaco. Tu hai regalato un sogno! Lascia che la realtà viaggi invece sui suoi consueti binari dell’umana miseria e dell’asfittica contingenza del momento.

 

 




Docente esperto: una scheda di sintesi

di Evelina Chiocca
(Coordinamento italiano insegnanti di sostegno)

Si leggono tanti commenti, si scrivono tante parole.
Direi di “leggere la norma” e di attingere direttamente alla fonte, ovvero dall’art. 38 del decreto-legge 115/2022 che, ricordo, è entrato in vigore il 10 agosto 2022.

Dopo la reazione negativa da parte dei docenti (e non solo) che, anche attraverso i social, hanno fatto pervenire il loro dissenso, le forze politiche, che hanno approvato il decreto-legge, si sono spese nell’affermarsi “non d’accordo con l’introduzione del docente esperto”, ribadendo l’impegno a stralciare il relativo articolo.
Ma se si afferma la volontà di stralciare la parte relativa al “docente esperto”, perché poi lo troviamo pubblicato in Gazzetta Ufficiale?
Mistero!

MA CHI È IL “DOCENTE ESPERTO”? Quali saranno i compiti che attribuiti? E i benefici? E quale giovamento porterà al sistema scuola?
Nella scheda qui pubblicata potete vedere, in sintesi, ciò che è scritto nella norma (che vi invito a leggere direttamente in Gazzetta Ufficiale)

 




Risorse per l’istruzione e lo sviluppo digitale: il quadro generale e il piano scuola 4.0

di  Franco De Anna

Alle scuole stanno arrivando quantità significative di risorse economiche. La fonte principale (anche se non l’unica) è il processo/programma di digitalizzazione sostenuto dal PNRR. Si veda in proposito il “Piano Scuola 4.0”.
Esso giunge a compimento e completamento di processi innovativi relativi alla digitalizzazione nella scuola che hanno comunque interessato il sistema a partire dal 2014 e con impulso significativo nel complesso attraversamento della emergenza COVID con la sviluppo della “Didattica a Distanza” e poi “Didattica Mista” (1)

Il “Piano Scuola 4.0” legato espressamente e direttamente al PNRR, Missione 4 (Istruzione e ricerca) componente 1 ” Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione dagli asili nido alle università”, relativamente a processi di digitalizzazione dell’istruzione, prevede complessivamente 5 linee di intervento:

  1. L’investimento 2.1 “Didattica digitale integrata e formazione sulla transizione digitale del personale scolastico” stanzia 800 milioni di euro per la realizzazione di un’offerta formativa di oltre 20.000 corsi per la formazione di 650.000 fra dirigenti scolastici, docenti, personale scolastico, tecnico e amministrativo, e l’adozione di un quadro di riferimento nazionale per l’insegnamento digitale integrato, per promuovere l’adozione di curricoli sulle competenze digitali in tutte le scuole
  2. L’investimento 3.1 “Nuove competenze e nuovi linguaggi” (1,1 miliardi di euro) si concentra sullo sviluppo delle competenze informatiche necessarie al sistema scolastico per svolgere un ruolo attivo nella transizione verso i lavori del futuro e di percorsi didattici e di orientamento alle discipline scientifiche (STEM – scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), anche per superare i divari di genere.
  3. L’investimento 3.2 “Scuola 4.0 – Scuole innovative, nuove aule didattiche e laboratori” prevede un finanziamento di 2,1 milioni di euro per la trasformazione di 100.000 classi in ambienti di apprendimento innovativi e la creazione di laboratori per le professioni digitali del futuro
  4. L’investimento 1.4 “Sviluppo del sistema di formazione professionale terziaria (ITS)”, con un finanziamento di 1,5 miliardi, è finalizzato alla valorizzazione della filiera formativa specialistica legata all’ Impresa 4.0, Energia 4.0 e Ambiente 4.0 e al potenziamento dei laboratori con tecnologie digitali.
  5. Misure relative all’edilizia scolastica Missione 2, Componente 3, linea di investimento 1.1 “Piano di sostituzione di edifici scolastici e di riqualificazione energetica”, che interviene su oltre 200 edifici scolastici innovativi I fondi precedenti si integrano con altre iniziative relative al digitale, nelle quali il Ministero dell’Istruzione è in collaborazione con altri ministeri e/o con riferimento ad altre fonti di finanziamento 2 L’utilizzo delle tecnologie in chiave di inclusione e abilitazione di competenze è oggetto anche della linea di investimento 1.4 “Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nel primo e nel secondo ciclo”, che prevede anche il finanziamento di strumenti tecnologici avanzati per gli studenti con disabilità attraverso le reti di scuole operative nei Centri Territoriali di Supporto

Clicca qui per leggere l’intervento completo

(1)  Ricordare che le spese per digitale 2014-2021 ammontano a 1,9 miliardi e comprendono obiettivi come

  • un dispositivo ogni quattro alunni (uno ogni 8,9 nel 2014)
    • uno schermo digitale per ogni classe (uno ogni due nel 2014)
    • realizzati oltre 40.000 ambienti didattici innovativi e digitali tecnologie digitali usate per la didattica dall’84,4% dai docenti (44,5% nel 2017)
    • 620.000 docenti formati alla didattica digitale durante la pandemia
    • registro elettronico usato dal 99% delle scuole (69% nel 2014)
    • sistemi di gestione informatizzati usati dal 97% delle segreterie (68% nel 2014)
    • in corso Piano per dotare tutte le scuole di connessione in fibra ottica e azioni per il cablaggio interno degli edifici
    • équipe territoriali formative (docenti esperti di didattica digitale) e Future Labs per la formazione sul campo animatore digitale e team per l’innovazione presenti in tutte le scuole (circa 32.000 figure)
    • progetti per le competenze digitali degli studenti attivati nell’84% delle scuole (71% nel 2018) (vedi: “Piano Scuola 4.0”)

(2) Si vedano per esempio i progetti
• “Piano scuole connesse”, attuato dal Ministero per lo sviluppo economico, in collaborazione con il Ministero dell’istruzione, e finanziato con oltre 400 milioni di euro,
• la linea di investimento 3.1.3 “Scuola connessa” della Missione 1, componente 2, attuata dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale e finanziata con 261 milioni di euro,
• l’azione “Reti locali, cablate e wireless, nelle istituzioni scolastiche”, realizzata dal Ministero dell’istruzione e finanziata per oltre 400 milioni di euro con i fondi dell’iniziativa React-Eu, che hanno incrementato i fondi strutturali europei della programmazione del PON “Per la scuola” 2014-2020




Non sparate a zero sul Docente Esperto

di Giovanni Fioravanti

Si conosce poco circa il docente esperto spuntato durante la calura estiva tra le norme del decreto Aiuti bis. Si sa che saranno in tutto ottomila per quattro anni, per un totale di trentaduemila, che per diventare esperti occorre studiare per dieci anni e che al termine del percorso si riceverà un aumento stipendiale pensionabile. Pare che non sarà una nuova figura di sistema perché continuerà a esercitare la sua funzione docente.

La reazione del mondo della scuola a leggere petizioni, stampa e social è senza alcun dubbio di generale rigetto rispetto al trapianto che sembrerebbe nelle intenzioni del ministero, per cui non si comprende come sia possibile produrre un rinnovamento, se tale era nelle intenzioni governative, senza il coinvolgimento dei diretti interessati, vale a dire gli insegnanti.

Compulsando internet ho scoperto che l’idea del docente esperto non è nuova, qualcuno ci ha già pensato da tempo e siccome ormai nulla è novità, se non assume un brand anglosassone, si tratta dei corsi di formazione e-learning con esame in presenza per  acquisire la qualifica di Expert Teacher organizzati dall’Erickson in collaborazione con la IUL, Università Telematica  degli Studi, e con l’ANPA, associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola.

In cuor mio confidavo che ci fosse un nesso tra l’iniziativa del Ministro e l’offerta dell’Erickson, un nesso che avrebbe aiutato a fornire un senso all’evanescente figura scaturita dal decreto Aiuti bis. Non pensavo a nulla che non fosse più che legittimo e trasparente, ma evidentemente, indubbiamente per causa mia, ho suscitato con un mio articolo la sensibilità degli ideatori e dei promotori dell’Expert Teacher, della qualcosa mi dolgo pubblicamente.

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Tuttavia di fronte all’alzo zero con il quale pare sarà impallinata la proposta del docente esperto mi rimangono aperti tutti i miei interrogativi.

Siamo tutti convinti che il nostro sistema scolastico necessita di una rifondazione radicale?
Che il differenziale fra noi e gli altri Paesi è cresciuto anche perché non abbiamo saputo pensare al nostro sistema scolastico in termini moderni, un sistema scolastico che accusa una crisi profonda nei suoi moduli organizzativi, nelle sue strutture organizzative, nella formazione dei suoi docenti.
Che la scuola è una grande questione nazionale che deve essere affrontata con grandissima lungimiranza e fortissimo impegno, perché un paese e una comunità vivono del futuro che sanno preparare ai loro giovani, ragazze e ragazzi.

L’ultimo rapporto dell’Unesco sollecita un nuovo contratto sociale per l’istruzione al cui centro siano gli insegnanti e la loro professione rivalutata e reimmaginata come uno sforzo collaborativo che stimola nuove conoscenze per realizzare una trasformazione educativa e sociale. Gli insegnanti hanno un ruolo unico da svolgere nella costruzione di un nuovo contratto sociale per l’istruzione. Per svolgere questo lavoro complesso, gli insegnanti hanno senza dubbio bisogno di comunità di insegnamento collaborative ricche, caratterizzate da ampi spazi di autonomia e da un generale sostegno. Sostenere l’autonomia, lo sviluppo e la collaborazione degli insegnanti è un’importante espressione di solidarietà pubblica per il futuro dell’istruzione.

Quando gli insegnanti sono riconosciuti come professionisti riflessivi e produttori di conoscenza, contribuiscono alla crescita dei corpi di conoscenza necessari per trasformare gli ambienti di apprendimento, le politiche, la ricerca e la pratica, all’interno e al di fuori della loro stessa professione.

Ma come incamminarsi verso tutto questo, che richiede tempo, pazienza, lungimiranza, investimenti nelle risorse umane?
Non sono certo sufficienti le petizioni di principio, le dichiarazioni di intenti, né le elucubrazioni sulla scuola che ognuno  vorrebbe.
Occorre scegliere, occorre scommettere, come sempre nella scuola.
Occorre decidere contro le resistenze al cambiamento dall’interno, e pure dall’esterno,  contro chi invoca il passato e accusa di tutti i mali il progressismo educativo.
Bisogna decidere sapendo che la chiave del cambiamento sono gli insegnanti, coloro che ogni giorno lavorano nel rumore d’aula, che su di loro bisogna puntare e investire. Sapendo che non possiamo convincerli tutti e coinvolgerli tutti contemporaneamente, i mezzi al momento non ci sono e vanno rispettate le opinioni di ciascuno. Ma l’interesse della Scuola e del Paese, in particolare delle giovani generazioni, deve prevalere su ogni corporativismo e immobilismo.

Se la strategia è quella di intervenire sul versante della formazione e del reclutamento da un lato e dall’altro sulla riqualificazione di quote di personale in servizio, non mi sembra una strategia sbagliata e ritengo che valga la pena impegnarsi in questa direzione.

Si avvierà  così un processo di innovazione dall’interno della scuola attraverso il ricambio di personale per via dell’avvicendamento tra i docenti che vanno in pensione e i neo assunti che avranno ricevuto una nuova formazione e quelli in servizio che nel frattempo avranno compiuto il percorso per essere riconosciuti come docenti esperti.

Da tutto questo si evincono due piani di intervento per riqualificare il nostro sistema formativo facendo leva sull’unica leva credibile: il coinvolgimento degli insegnanti, perché solo da loro dipende il destino del nostro sistema formativo.
Intervenendo sui due fronti è credibile pensare che nel giro di dieci anni si possa realizzare già un profondo rinnovamento e una autentica riqualificazione della nostra scuola con un’efficacia e una capacità di centrare l’obiettivo che nessuna riforma del sistema potrebbe assicurare, starà poi alla politica accompagnare tempestivamente con lo strumento delle leggi le innovazioni che si produrranno nella nostra scuola per effetto del processo di riqualificazione del personale docente.

È indispensabile che questo processo veda il coinvolgimento e il protagonismo di altri soggetti irrinunciabili per la formazione dei docenti e il rinnovamento del nostro sistema formativo, dalle Università all’Indire, alle Avanguardie educative, all’associazionismo professionale degli insegnanti, ai centri studi e alle case editrici qualificate sul piano della didattica e della formazione professionale dei docenti. Un lavoro corale capace di far suonare le corde migliori del nostro sistema scolastico e dei nostri insegnanti.

 




Docente esperto: proviamo a prendere il toro per le corna

di Cinzia Mion

Proviamo a prendere il “toro per le corna”. Con questo intendo solo anticipare che dirò la “mia”, opinione personale quindi senza nessuna pretesa di essere un oracolo…
Il riferimento è alla tanto discussa e famigerata questione del “docente esperto”.
Vorrei essere succinta e salto a piè pari le ragioni per cui questa proposta è da respingere al mittente. Molti più titolati di me l’hanno già fatto argomentando più che a sufficienza. Chiarisco subito, la proposta è da respingere e non per la questione della vetusta e semplicistica faccenda dell’egualitarismo, di cocciuta matrice sindacale. Nessuno ci crede, tutti sanno che non corrisponde al vero ma affermarlo sembra voglia dire bestemmiare. Ecco uno dei vantaggi di invecchiare è proprio questo: infischiarsene!
Proverò allora a dipanare il mio pensiero capovolgendo la prospettiva.
Allora iniziamo: la Scuola esiste perché esistono gli alunni.
I docenti esistono non perché rappresentano un posto di lavoro qualsiasi ma perché esistono gli alunni e anche una Costituzione che prevede una scuola dell’obbligo fino ai 14 anni (oggi 16!).
Ergo sono importanti:
– gli allievi, indispensabili;
– una Istituzione chiamata Scuola pubblica, altrettanto indispensabile (per non tornare al precettore privato, ed oggi con la scuola “parentale” siamo lìlì);
– e un articolo della Costituzione che suggerisce, o meglio pretenderebbe, l’idea di una Scuola inclusiva, (art.3) quindi “EFFICACE” al fine di mantenere in asse la Democrazia del Paese, attraverso non solo l’alfabetizzazione strumentale ma anche disciplinare, finalizzate al maggior successo formativo per tutti , (compresa la comprensione del SENSO di ciò che si legge!)
Parlavamo dei docenti che sono importantissimi ma devono essere TUTTI all’altezza del compito : “BEN FORMATI“ e di conseguenza “BEN REMUNERATI” e consapevoli che dal loro lavoro dipende il FUTURO dei giovani e quindi del Paese

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Il maggiore riconoscimento sociale ed economico di questa professione potrebbe farla ridiventare appetibile anche ai maschi, la cui carenza si avverte moltissimo soprattutto per la rilevanza che hanno in funzione della realizzazione dell’identità di genere, cui servono modelli sia di identificazione che di differenziazione.
Ovviamente il compito oggi del docente è indirizzato, attraverso i nuclei fondanti delle discipline e il loro valore epistemologico, verso la padronanza di fondamentali competenze che vanno PROGETTATE perché non scaturiscono per magia dalle sia pur importanti “conoscenze”.
In primis oggi troviamo il saper PENSARE , ovviamente con la propria testa, competenza chiamata anche ERMENEUTICA, applicata a tutti i sistemi simbolico culturali che la scuola offre, utile però ad orientarsi nel mondo con consapevolezza critica.
Accanto a questa competenza fondamentale, nell’epoca dei click, (sufficienti ad ottenere una risposta esatta), dobbiamo ricordare la competenza della Cittadinanza intesa anche , forse soprattutto, come osservanza dell’ETICA PUBBLICA e del BENE COMUNE, per la cui realizzazione dobbiamo saper RINUNCIARE tutti a qualcosa (magari assumendo la “parzialità” del proprio punto di vista).
Fin dall’inizio, all’entrata nell’Istituzione scolastica, alla base del rapporto docente-alunno, ma anche nella “comunità professionale dei docenti”, troviamo però la competenza socio-relazionale , visto che ci viene richiesto di interagire solidaristicamente fra noi, utilizzando quella “naturale “ INTERSOGGETTIVITA’, cui siamo programmati fin dalla nascita , come ci illustrano bene le neuroscienze. Competenza che ogni docente deve padroneggiare per gestire in modo accettabile una classe quasi sempre ormai multietnica e multiculturale, ma alla cui padronanza deve educare anche i soggetti affidati, attraverso didattiche cooperative ed interculturali.
E qui arriviamo al cuore del problema. Per diventare “docenti” in grado di affrontare la loro professione in modo adeguato a queste aspettative bisogna frequentare la SCUOLA DI ALTA FORMAZIONE?
Ma soprattutto una scuola per pochi eletti e alla fine, se si è valutati positivamente , ricevere un premio in denaro?
Non sarebbe “cosa buona e giusta” che tutti quelli che “aspirano” a diventare docenti ricevessero una formazione iniziale, e poi una formazione in servizio costante ed obbligatoria, idonee per una professione così impegnativa dal punto di vista professionale ed etico?
Una formazione universitaria che preveda innanzitutto, nel piano di studi, che ci sia la “Psicologia dell’apprendimento”(come risultava all’interno della laurea in Pedagogia anteriore al sistema 3+2, ma su questo ho argomentato più volte inutilmente, probabilmente disturbando anche qualcuno….). Vi ricordate la figura “dell’Operatore psicopedagogico” istituito dall’Ordinanza 282 del 1989? Eh l’età permette di recuperare anche queste vecchie note ministeriali, che però sono indicative di una sensibilità particolare che è stata persa. Quella però era una “figura intermedia” che aveva funzioni specifiche, soprattutto per i casi difficili e serviva a tutto intero l’Istituto. Ai docenti però della scuola primaria non era ancora richiesta la laurea. Una formazione in psicologia dell’apprendimento permette di acquisire chiavi di lettura importantissime per capire dove va a parare il nostro INSEGNAMENTO, finalizzato appunto all’APPRENDIMENTO. Possiamo dire che costituisce i FONDAMENTALI. (permettetemi una divagazione con un esempio antidiluviano ma che rende l’idea: voi riuscite ad immaginarvi un artigiano che realizza calzature a mano ma che non sappia riconoscere la differenza tra il cuoio, la pelle, la plastica o il cartone???)
Il riferimento alle figure intermedie mi permette invece di recuperare alcune riflessioni che potrebbero giustificare un richiamo alla carriera dei docenti.
Alla luce infatti delle esperienze in atto , alcune nuove “figure professionali di sistema” ( il cosiddetto middle management) dovrebbero essere riconosciute sia professionalmente (previa formazione adeguata) che finanziariamente per collocarsi proficuamente nell’attuale processo di trasformazione del sistema scolastico.
Mi riferisco particolarmente all’attuazione “vera” dell’Autonomia, alla complessità della gestione degli Istituti scolastici decisamente troppo numerosi e spesso ospitanti più indirizzi e alle tipologie di utenza, sempre più complesse, all’interno di una società che sta assumendo caratteristiche , come dice oggigiorno Vertecchi, di società “dis-educante”.
La via del middle management è il passaggio intermedio per arrivare poi al grado di “dirigente scolastico”, cui comunque si accede per concorso, ma con punteggio privilegiato. Da rilevare che in questo modo un ex-docente, con suddetta formazione psicopedagogica, diventerà sicuramente un LEADER PER L’APPRENDIMENTO, connotazione oggi carente se non mancante del tutto.