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Crisi energetica, nubi nere all’orizzonte. Le scuole sono pronte?

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Stefaneldi Gianfranco Scialpi

Crisi energetica. I prossimi mesi saranno durissimi. Le proposte in campo per convivere con
l’emergenza energetica. Ma la scuola è pronta?

Crisi energetica, sarà uno tsunami economico e sociale?

Crisi energetica. Dopo la pandemia che ha messo a dura prova le nostre esistenze, si profila
all’orizzonte un altro problema. Mi riferisco alla crisi energetica dovuta al rialzo del costo del gas.
Da diverse settimane i massmedia presentano scenari apocalittici con fabbriche e aziende
costrette a chiudere. Inevitabili le ripercussioni sull’occupazione. Al momento stiamo parlando di ipotesi, ma la tendenza sembra confermata.
L’ipotetico futuro conferma che ormai la società del rischio (U. Beck) è un’esperienza liberata dai
lacciuoli teorici.

Avanzano le proposte per la scuola

Al momento la scuola non è toccata dal problema. L’anno scolastico è iniziato, ripetendo gli stessi riti del periodo pre-pandemico. Tutto all’insegna del ritorno alla normalità. Eppure, una nuova riflessione, fatta di proposte che superino l’attuale profilo di scuola si sta profilando all’orizzonte.
Mi riferisco alle possibili soluzioni per affrontare il quasi certo periodo nero della crisi energetica.
L’ANP ha il merito di aver avviato la riflessione con l’idea cardine della chiusura delle scuole il
sabato, dimenticando però che queste sono il 20% del totale. Altra idea è la sostituzione dei
vecchi infissi con finestre fornite di doppi vetri. Le proposte ANP, ovviamente, non si fermano a
questi due punti, allargandosi ad altre soluzioni (spegnimento delle luci, sostituzione lampadine…).
Di un certo interesse è la proposta del comitato A scuola, costituito nel 2020 da famiglie, studenti e anche insegnanti per contrastare l’uso intensivo della Dad. In sintesi: “permettere a tutte le scuole di introdurre le lezioni di 50 minuti, così da rendere più “gestibile” la situazione, se la crisi energetica dovesse ulteriormente aggravarsi nel corso dell’inverno, rendendo necessari sacrifici per risparmiare gas“.

Lavorare ora alla proposta

Nulla, ovviamente, si improvvisa. L’idea deve essere elaborata a bocce ferme, in modo da
permettere eventuali integrazioni. Sarà molto difficile ri-organizzare l’orario pressati
dall’emergenza. Ne è convinto anche il Comitato A scuola che sottolinea: ” è importante che
questa decisione venga presa a breve: riceviamo notizie di istituti che già hanno deciso per la
settimana corta, con i disagi orari del caso, per non trovarsi a dover riprogrammare e riorganizzare l’intero orario nel bel mezzo dell’inverno. Concedendo subito lezioni da 50 minuti – sottolinea il Comitato – si potrebbe ovviare ai disagi alle scuole che hanno già compiuto questa scelta e permettere a tutte le altre di preparare un “piano B” logico e sopportabile in caso di imposizione della settimana corta per tutti”
Il Ministro Bianchi sembra aver abbandonato l’idea che la scuola sia comunque protetta,
ricordando che “ci sono le autonomie delle scuole: se una scuola decide di organizzare una propria struttura può farlo, ma si parta dalla didattica”
In conclusione resta la domanda: quante scuole stanno lavorando in tal senso?

Trasformare l’istruzione, costruire il nostro futuro

di Aluisi Tosolini

Il vertice delle Nazioni Unite Transforming Education è stato convocato in risposta a una crisi globale dell’istruzione, che riguarda l’equità e l’inclusione, la qualità e la pertinenza. Spesso lenta e invisibile, questa crisi sta avendo un impatto devastante sul futuro dei bambini e dei giovani di tutto il mondo allontanando il raggiungimento dell’obiettivo 4 dei “Goals per lo sviluppo sostenibile” (SDG 4).

Il Vertice offre un’opportunità unica per portare l’istruzione in cima all’agenda politica globale e per mobilitare l’azione, l’ambizione, la solidarietà e le soluzioni per recuperare le perdite di apprendimento legate alla pandemia e gettare i semi per trasformare l’istruzione in un mondo in rapida evoluzione.
Il vertice è nato anche sulla spinta del lavoro della commissione  International Commission for the future of education dell’Unesco che nel novembre 2021 ha pubblicato un fondamentale rapporto dal titolo “Reimagining our futures together: A new social contract for education” .

La discussione del vertice è stata ampiamente preparata nel corso dei mesi passati grazie al lavoro svolto su 5 Action track, ovvero cinque percorsi tematici e tracce d’azione

Gli Action Track cercano di mobilitare nuovi impegni, mettendo in evidenza gli interventi politici che funzionano e sfruttando le iniziative e le partnership esistenti, comprese quelle emerse in risposta alla pandemia di COVID-19.

Vediamo analiticamente i 5 action track riprendendone la descrizione dal sito del summit

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Bambini di Ukrajna in Italia. Oltre lo sconcertante silenzio sulla pedagogia del ritorno

di Raffaele Iosa

Ho aspettato fino alla riapertura delle scuole, sperando che qualcosa si dicesse. Capisco la complicata situazione italiana di questi ultimi tre mesi, dal caldo torrido, alla crisi di governo, al rincaro delle bollette. Capisco tutto,  ma il silenzio del Ministero Istruzione sui bambini e ragazzi ucraini accolti nelle nostre scuole da marzo scorso  è sconcertante. Per carità, non sempre è necessario che il Ministero dica qualcosa perché le scuole lavorino con buon senso (anzi!), ma toccano a lui gli accordi internazionali con il governo ucraino per eventuali collaborazioni pedagogiche sul destino dei ragazzi da noi accolti, in attesa del ritorno.

E’ dunque per me necessario risollevare la questione, per comprendere se il neologismo  “pedagogia del ritorno”,  condiviso da molti come chiave  di questa accoglienza, fosse ancora vivo o se si pensasse che ormai, da questo autunno, si dovesse accoglierli come emigranti definitivi o peggio lasciarli in un limbo.

Un doveroso promemoria

Facciamo prima di tutto il punto sulla situazione ucraina,  con le notizie di questi ultimi mesi.
Si conferma che questi bambini e ragazzi (e le loro mamme) si sentono solo di passaggio dal fatto che un buon numero è tornato a casa in estate, soprattutto se provenienti dal zone nord e ovest ucraino, e dal 1 settembre sono tornati a scuola, magari in locali di fortuna se le scuole sono state distrutte.
L’arrivo di nuovi profughi ucraini si è fermato. Resta quindi non elevato il numero di scolarizzati in Italia, già basso a primavera perché preferivano fermarsi  in paesi confinanti  (in primis la Polonia).
Anche questo un segno del desiderio del ritorno.
Il nostro governo ha prestato a tasso zero all’Ukrajna circa 200 milioni di euro per pagare gli insegnanti ucraini. Un buon segno che il nostro paese non invia lì solo armi.

Intanto ci arrivano notizie dure dalle aree ucraine di sudest ancora occupate militarmente dai russi. Sono stati licenziati molti insegnanti locali, sostituiti da “colleghi” russi; dal 1 settembre i ragazzi iniziano le lezioni  con l’alzabandiera bianca blu rossa di Mosca, hanno libri importati dalla Russia con le “cose giuste” da insegnare e si parla-scrive rigorosamente solo in russo.  Ma c’è di più: alcune migliaia di orfani sociali degli internati  sono stati deportati (altro termine non trovo) in Russia in modo forzato. Uno dei tanti modi che ha la terra di Putin di sopperire al suo deserto demografico. Penso con dolore a questi bambini, spesso con babbi e mamme fragilissimi e poveri ma viventi. Bambini portati via dagli orfanotrofi senza rispetto, con fratture esistenziali  lancinanti. E ancora: non si sa più nulla di centinaia di preadolescenti portati con la forza in Crimea durante l’estate (le vacanze “coatte”) e non più tornati. Nelle zone di campagna tornano i cd. besprizornye,  ragazzi randagi  che vivono alla macchia. Un lascito noto nella storia sovietica che si ripete,  nato nei primi anni della rivoluzione d’ottobre, di cui ci resta memoria in “Poema pedagogico” del pedagogista ucraino Makarenko e della sua colonia Gorky.

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L’alternanza Scuola-lavoro e il binomio Capire/Riuscire

di Cinzia Mion

Rispetto alla problematica che sta focalizzando l’attenzione delle scuole secondarie di secondo grado in questi ultimi tempi, io penso che- per capire fino in fondo l’opportunità di sostenere, con i dovuti aggiustamenti da ambo le parti, l’autentica connessione tra scuola e lavoro- bisogna rendere plasticamente accessibile il CAPIRE  insieme al RIUSCIRE, intrecciando perciò sempre queste due dimensioni, rendendole quasi simultanee o comunque “contemporanee”.

Per poter tentare di rendere più chiaro il mio pensiero devo fare riferimento all’intelligenza connettiva, termine coniato da Derrick de Kerchove. Il  noto pensatore allude con questa espressione alla connessione digitale di vari soggetti che pensano, si esprimono e condividono insieme un sapere diffuso. Essi mantengono le varie individualità ed anche le differenze, essendo però in grado di costruire una comunità di conoscenza. De Kerchove però non prende in considerazione la declinazione di Gardner delle intelligenze personali, che si articolano in interpersonale ma anche in intrapersonale: egli focalizza infatti soltanto quella interpersonale tanto è vero che, secondo Nicholas Carr, sottovaluta l’influenza negativa della digitalizzazione sulla nostra intelligenza connettiva intrapersonale. Carr infatti lamenta che la digitalizzazione depotenzia il pensiero critico e riflessivo, che ci permette di creare autonomamente le connessioni mentali, in cambio di un click che “connette” al posto nostro.

Io allora intendo fare riferimento con questo mio contributo proprio alle connessioni mentali non soltanto interpersonali ma anche intrapersonali, che si mettono in moto quando un soggetto cerca di creare legami, correlazioni  tra i dati a disposizione, anche se a prima vista questi possono apparire sconnessi.

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PNRR e innovazione del lavoro: una falsa partenza

di Pietro Calascibetta

Parliamo di carriera o di lavoro? Una premessa necessaria a proposito del “docente esperto”.

L’ istituzione della figura del “docente esperto” con il “Decreto Aiuti bis” [1] è stata interpretata come l’introduzione di una carriera per i docenti e ha innescato subito un’accesa discussione.

Franco De Anna nel webinar del 17 agosto promosso da “Gessetti Colorati”[2] ci ha fatto notare che la disposizione, anche se inserita in modo inusuale in un decreto di tutt’altro tema, è frutto della Legge n. 79 del giugno 2022 che definisce la cornice di alcune delle azioni previste dal PNRR tra cui quelle relative all’istruzione ed è su questo che bisogna porre l’attenzione.

Osservando meglio la premessa della parte che riguarda l’istruzione e i rimandi normativi si scopre infatti  che l’art.38 del Decreto Aiuti e la Legge 79 in realtà dovrebbero essere finalizzati a dare una risposta nell’ambito della pubblica istruzione alla richieste della UE di avviare con il Recovery Plan italiano un processo pluriennale “ di innovazione del lavoro pubblico[3] con l’obiettivo di riqualificare la pubblica amministrazione migliorando la professionalità dei suoi dipendenti.

Se le cose stanno veramente così, piuttosto che discutere della carriera sarebbe più interessante e utile interrogarsi sulle valenze e sull’efficacia dei provvedimenti nel poter effettivamente raggiungere l’obiettivo di innovare il lavoro nella scuola come richiesto dalla UE e dare ad esso la dignità che merita e quali proposte fare per aggiustare il tiro di un provvedimento in essere che presenta già prima di essere applicato molte ambiguità in modo che non diventi l’ennesima occasione sprecata per affrontare la questione del lavoro nella scuola.

Un quadro normativo contraddittorio

Da quanto si legge la modalità scelta per innovare il lavoro nella scuola è stata l’introduzione di un “ sistema di formazione e aggiornamento permanente delle figure di sistema[4] , individuate nei “docenti con incarichi di collaborazione a supporto del sistema organizzativo dell’istituzione scolastica e della dirigenza scolastica[5] e più genericamente dei docenti di ruolo “articolato in percorsi di durata almeno triennale” e gestito dalla “ Scuola di alta formazione dell’istruzione[6] istituita contestualmente.

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Le sfide per una scuola senza scarti umani

di Raimondo Giunta

“La divisione politica si situa tra coloro che affidano alla scuola il compito di trasmettere una somma di saperi tecnici tali da garantire al termine l’impiegabilità del soggetto e coloro per i quali la scuola ha una vocazione culturale che supera la somma delle competenze tecniche che essa permette di acquisire” (Philippe Meirieu)

LA LIBERTA’ DELL’INSEGNANTE

Ciò che dovrebbe fare l’insegnante a scuola in gran parte è stabilito dall’amministrazione dello Stato attraverso i suoi ordinamenti; in gran parte, perché in democrazia qualche voce in capitolo dovrebbero averla genitori e alunni.
In una parola non è lasciato al suo arbitrio ciò che va fatto,
L ‘incidenza delle leggi e delle direttive ministeriali, però, se può svilupparsi sui contenuti del curriculum, non può e non dovrebbe pesare sull’organizzazione dell’attività didattica, che appartiene alla responsabilità professionale dell’insegnante,
L’amministrazione, nell’esercizio dei suoi poteri deve rispettare i principi e i valori sanciti nelle norme costituzionali, che dell’insegnante tutelano la libertà e la dignità,
Se non vuole ridursi ad un semplice operatore tecnico a cui ogni giorno vengono date le istruzioni per lavorare, l’insegnante deve farsi una propria idea di società, di scuola e d’insegnamento, coltivarla e confrontarla con le pratiche che gli vengono richieste,
Solo su questo solido fondamento è possibile difendere il proprio diritto alla libertà di insegnamento,
L’ insegnante deve sapere che la sua libertà a scuola è al riparo dalle ingiunzioni e dai tentativi che la vogliono limitare, se è vasta e indiscutibile la sua cultura e se la sua attività didattica è improntata ad una irreprensibile correttezza professionale e al rispetto dell’autonomia e della dignità dell’alunno,

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La scuola che in tanti sognano, ma che non avremo

Stefaneldi Mario Maviglia

Questa campagna elettorale sta facendo sognare tutti gli operatori scolastici: tra aumenti salariali (fino ad arrivare all’equiparazione con la media degli stipendi dei docenti UE), il tempo pieno su tutto il territorio nazionale ed altre importanti promesse, c’è motivo di essere ottimisti rispetto al futuro della scuola italiana.

Non vogliamo offuscare questa immagine idilliaca della scuola che verrà; segnaliamo però che ci sono anche altri problemi che oggi sono sul tappeto e che meriterebbero di essere affrontati. Ne citiamo solo alcuni, ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo.

Ormai è invalso l’uso di considerare l’istituzione scolastica come una comunità che interagisce con la più vasta comunità esterna. L’ultimo CCNL Scuola ha introdotto, a questo proposito, l’espressione di “comunità educante” (art. 24). Visione suggestiva e intrigante. Ma perché la scuola possa riconoscersi come “comunità” occorre che vi siano i presupposti, come dire?, materiali perché ciò avvenga. In una comunità, ad esempio, ci si aspetta che i componenti si conoscano tra loro in modo non superficiale, ci si attende che possano interagire al loro interno e condividere idee e progetti; insomma ci si aspetta che vi sia una rete relazionale e comunicativa viva e continua sia in senso orizzontale (tra colleghi) che in senso verticale (con la dirigenza e viceversa). A fronte di ciò, vi sono istituti scolastici che contano più di 2000 studenti ed oltre 200 addetti tra docenti e personale ATA.

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