Revisione Indicazioni Nazionali: la mania di lasciare tracce

di Mario Maviglia

 Si sa ancora poco di cosa voglia fare esattamente il Ministro Valditara riguardo la revisione delle Indicazioni Nazionali del 2012, su cui dovrebbe lavorare un’apposita commissione di esperti. Per la verità, come osserva il Manifesto on line del 4 maggio 2024, già lo scorso 12 ottobre il Ministro, rispondendo in Senato a un quesito sull’insegnamento della storia e della geografia, aveva annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro per rinnovare la didattica: “La modifica della progressione dei contenuti, degli obiettivi e dei traguardi per le discipline di storia e geografia sarà valutata nell’ambito della revisione delle predette Indicazioni nazionali”.
Adesso che si conoscono i nomi dei componenti la Commissione e ci sono già le prime critiche, il Ministro ha dichiarato attraverso i social: “Si rilassino i contestatori e i polemisti di professione, non appena il decreto di nomina della Commissione di studio sarà registrato, sarà avviata una consultazione ampia del mondo della scuola.”

Lungi da me l’intento di rientrare tra i “contestatori e polemisti di professione” richiamati dal sig. Ministro, però vorrei sommessamente indicare a Valditara alcuni interventi che potrebbero “rinnovare la didattica” senza necessariamente intervenire sulle Indicazioni nazionali di cui, per la verità, non si sente la necessità.

Un primo intervento riguarda la qualità dell’insegnamento e dunque degli insegnanti. Il sistema di formazione e reclutamento degli insegnanti attualmente vigente è quanto di più lontano si possa immaginare per garantire un rinnovamento della didattica. A parte la querelle sui 24/30/60 crediti per poter insegnare, dal sapore più kafkiano che pedagogico, siamo sicuri che i test siano gli strumenti più idonei per selezionare i migliori candidati docenti? Sono sicuramente molto “economici”, ma che siano in grado di conseguire l’obiettivo per cui vengono utilizzati è tutto da dimostrare. A ciò si aggiunga che la stessa individuazione dei commissari di concorso è diventata un’operazione quanto mai macchinosa e difficoltosa in quanto coloro che accettano questo tipo di incarico (docenti e dirigenti scolastici particolarmente masochisti) non sono esonerati dal servizio e questa prestazione aggiuntiva viene retribuita con compensi talmente irrisori che suonano offensivi.
Difficile che questo sistema sia in grado di selezionare i migliori docenti. E d’altro canto fare l’insegnante in Italia non è una professione così attrattiva, né sul piano economico né su quello sociale, come avviene in altri Paesi occidentali e non solo. Ecco una bella sfida che il Ministro potrebbe accogliere se volesse davvero “rinnovare la didattica”: valorizzi la professione docente!

Un secondo intervento riguarda la sburocratizzazione della scuola. Difficile forse chiedere questo a chi di burocrazia vive. Però ci solo livelli di decenza sotto i quali non si può scendere. Se il Ministro volesse passare alla storia potrebbe cominciare a mettere il bavaglio (non quello che la sua maggioranza mette alla stampa che nelle classifiche internazionali è passata dal 41° dal 46° posto in quanto a libertà) alla produzione di atti amministrativi rivolti alle scuole.
Misura ed essenzialità: questi potrebbero essere i principi guida dell’apparato amministrativo del MIM. E soprattutto: non molestare le scuole con richieste di dati che l’Amministrazione ha già, in un modo o nell’altro.
Certo, anche le singole scuole (e particolarmente i dirigenti scolastici) devono stare attenti a non andare oltre la misura del lecito nel processo di burocratizzazione. L’attenzione va rivolta al lavoro d’aula e alla cura dei processi di apprendimento, non alla produzione di rapporti, relazioni, verbali, progetti, piani et similia che nessuno legge. Ma l’esempio deve essere dato dal management amministrativo: il Ministro può fare molto sotto questo profilo, anche senza il supporto di alcuna Commissione…

Un terzo intervento riguarda la cura dei risultati scolastici e, dunque, delle azioni politiche da attivare a questo fine. Ogni anno l’Invalsi provvede a rilevare lo stato dell’arte delle conoscenze e competenze degli studenti delle canoniche classi filtro. Invece di elucubrare sulla possibilità di inserire i risultati Invalsi di ogni alunno all’interno della scheda di valutazione (decisione tecnicamente scellerata in quanto le prove Invalsi nascono con un altro fine), bisognerebbe considerare piuttosto tutti i risvolti “politici” dei risultati e su questo un Ministro avrebbe molto da dire (e da lavorare).
Così, ad esempio, se dall’analisi dovessero emergere situazioni particolarmente critiche su alcuni apprendimenti in determinate aree del Paese (come succede), il decisore politico dovrebbe farne oggetto di attenta analisi e provare a mettere in atto interventi di vario tipo per invertire la rotta.
Ad esempio, possono essere definiti interventi di tipo formativo per incrementare le competenze metodologico-didattiche dei docenti negli ambiti considerati, oppure l’adeguamento della strumentazione didattica o altri interventi di diverso segno. In ogni caso, il decisore politico dimostrerebbe di saper intervenire per tentare di dare una risposta ai problemi rilevati. Qui invece si interviene sulle Indicazioni nazionali senza sapere quasi siano i problemi rilevati.

È tipico di molti animali marcare il territorio per lasciare il segno della loro presenza; spesso si ha l’impressione che alcuni Ministri adottino questo comportamento etologico per marcare a loro volta la loro presenza, per lasciare traccia del loro passaggio.
E su come gli animali marchino il proprio territorio preferisco non approfondire.

 

 

 

 

 

 

 




Revisione Indicazioni Nazionali: l’assalto alla diligenza di Galli Della Loggia & C.

di Cinzia Mion

Operatori scolastici vi prego : state tutti con le orecchie alzate! Sono una vecchia dirigente scolastica in pensione e mi permetto di allarmarvi.

Il  Ministro Valditara e il suo entourage stanno per sferrare un attacco alle “Indicazioni nazionali per il curricolo per la scuola dell’infanzia e del il primo ciclo”, testo che ha visto la sua prima stesura nel 2007, con il Ministro Fioroni.

Presidente della commissione che allora ha steso la prima versione del documento è stato Mauro Ceruti, allievo del grande Edgar Morin,  ancora prolifico nonostante la veneranda età.
Alla presentazione ufficiale  delle Indicazioni era stato invitato anche Morin stesso ed io mi sono “fiondata” a Roma, a quel tempo potevo permettermelo(!), per ascoltare e vedere da vicino il grande saggio di cui avevo letto uno scritto all’interno di una  raccolta di altre dissertazioni dal titolo “La sfida della complessità” (1985) a cura appunto di Bocchi e Ceruti, che mi aveva affascinato! Era presente tutto il Gotha (compreso Cerini) della scuola e non solo.

Sono tornata a casa gasatissima. Eppure ero già in pensione ma non avevo smesso il mio lavoro di formazione.
Nel 2011, presso una scuola dove ero stata dirigente, ho partecipato a Treviso ad un focus group organizzato da Cerini sulla rivisitazione delle Indicazioni per la scuola dell’infanzia, ricavandone ulteriore entusiasmo.
Nel 2012 ha avuto l’imprimatur la nuova edizione delle “Indicazioni nazionali”, a cura appunto di Giancarlo Cerini, spesosi sempre in nodo molto illuminato per la Scuola , soprattutto dei più piccoli, mancato di recente e che ci mancherà sempre.

Il “paradigma culturale della complessità” ha intriso di sé tutto il documento delle Indicazioni, rendendolo adeguato ai tempi per poter  affrontare da parte delle nuove generazioni, che abiteranno ancora più la complessità, la difficoltà della coniugazione delle logiche anche contrapposte (Morin) facendo in modo di tenere insieme, per esempio, “l’uguaglianza e la differenza” (cfr:”La scuola raccoglie con successo una sfida universale, di apertura verso il mondo, di pratica dell’uguaglianza nel riconoscimento delle differenze”da : Premessa Indicazioni, primo paragrafo,Cultura, Scuola, Persona”)

Questo paradigma doveva in parte soppiantare quello precedente della “linearità” che obbediva alla logica binaria caratterizzata dalla “o” escludente: o bianco o nero, o vero o falso, ecc.
Nel caso preso in considerazione, alla luce delle dichiarazioni del Ministro:” italianità“ o ”non italianità”.

L’applicazione del paradigma della complessità richiede un “pensiero riflessivo”, molto impegnativo, che supera di gran lunga quello “riflettente” di semplice restituzione dei contenuti dei libri di testo o della lezione frontale, tanto cari a quelli che si stanno attrezzando oggi per attaccare le “Indicazioni”, e che è stato anche esaltato sempre da Galli della Loggia e dalla sua cerchia.
Insieme alla riflessività, che attraversa tutto il testo del documento, si rintraccia anche la l’importanza della competenza del “decentramento” del proprio punto di vista che risulta essere un altro filo rosso a partire dalla scuola dell’infanzia!
Il compito di monitorare l’applicazione delle Nuove Indicazioni è stato affidato a Italo Fiorin che ha curato molto bene e accuratamente, anche come Coordinatore del Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni, il più recente testo (2018) “Indicazioni Nazionali e nuovi scenari”, su sollecitazione sia delle spinte dell’attualità, sempre più digitale,  sia della’Agenda 2030 che ha fatto uscire dallo sfondo il tema della “sostenibilità”.

Accanto a queste tematiche stavano anche emergendo problematiche derivanti dalle migrazioni e dalle difficoltà a fare interagire culture diverse, aspetto che spesso invece di essere agevolato da modalità corrette di “interculturalità” è stato cavalcato nel frattempo da alcune forze politiche al fine di creare scontri e sollevare rifiuti nei confronti delle “diversità” etniche, culturali e religiose.
Il nuovo testo ha affrontato questi scenari al fine di modernizzare il testo delle N.I. del 2012.

State “in campana” ragazzi (posso chiamarvi così?) perché stanno per scipparci una bussola fondamentale per la nostra scuola, bussola che ci indica la strada maestra per quella “riflessività” che potrà salvare noi e i nostri giovani futuri dal rischio di subire manipolazioni e farci trovare spiazzati e indifesi rispetto a tutte le complessità che abitano oggi il mondo. Tra le quali oggi compare “l’Intelligenza artificiale” che potrebbe aiutare la funzione del “problem solving” ma non di sicuro quella del “problem posing”. Essere in grado di problematizzare la realtà e i suoi eventi è una competenza che affonda le sue radici nella riflessività sofisticata tipica solo della mente umana ben coltivata.

Anche Edgar Morin recentemente ha fatto sentire la sua voce con un agile  pamphlet dal titolo emblematico “Svegliamoci” con cui intende salvare il PENSIERO che è a forte rischio di inaridimento.




Revisione Indicazioni Nazionali, pedagogia identitaria e dinosauri

di Raffaele Iosa

Se qualcuno del mondo della scuola pensava che il governo Meloni, (cioè il ministro pro tempore Valditara) avrebbe governato la scuola concentrandosi su questioncelle contrattuali, o gestionali o occupazionali, si sbagliava di grosso.

Al centro, confuso e loquace,  dell’operare di questo docente di diritto romano antico, puro leghista  non alla Bossi ma  alla Vannacci, c’è invece una questione grande e delicata: cambiare nel profondo  il cuore culturale del fare scuola.
Cambiarlo mettendo al centro quella che viene decantata “identità italiana”, messa contro quella da loro chiamata “cittadinanza planetaria”, brutta figlia del pensiero globale e della visione interculturale di Edgard Morin, considerato (giustamente) l’ispiratore delle attuali indicazioni nazionali per la scuola di base.

Una  regressione nazionalista quindi, che ha giù avuto numerosi segnali, dalla guerra contro la scuola di Pioltello per la giornata di chiusura in occasione del ramadan, a continui distinguo nazionalisti,  con la patria italica da riscoprire e con i nostri piccoli concittadini da curare con una nuova terapia dell’identità nazionale,  perché maleducati da una scuola soi disant troppo multiculturalista.

Questo pensiero “nazionale” è al cuore  della destra, espresso con  messaggi culturali cui il facondo ministro della cultura offre ogni giorni simpatici siparietti di banalità. D’altra parte che cosa aspettarci da questa alleanza politica così bizzarra: un partito erede del fascismo nazionalista con un partito separatista e trafficone, con un partito pseudoliberal figlio dei danè lumbard.

Eccoci oggi alla formazione di una Commissione che dovrebbe  ri-scrivere la scuola di base per una agognata rivoluzione di destra  di tutti gli italici da Bolzano a Trapani, avente come scopo quello di “rifare gli italiani ritornando alla tradizione autoritaria”.
Il previsto ritorno ai voti in scala camuffati nel primo ciclo, come il voto di condotta  che boccia sono primi segnali di questo neo-vetero-scuola, ma c’è anche altro nel sociale, come gli interventi in tema di aborto. Esempi  di un tentativo nazional conservatore di cambiare l’anima degli abitanti di un paese europeo chiamato Italia.

Interessante è che la Commissione sia (per ora) composta da soli pedagogisti. Brutta immagine per un ministro che vede costoro come “pedagoghi” portati al discorrere  della chiacchiera separata dall’essere scuola  come incontro tra generazioni e luogo di costruzione del futuro,
Più che di futuro il ministro  vuole tornare al passato, un passato banalmente  italico, dall’imparare a memoria Fratelli d’Italia a leggere ogni settimana un pezzetto del libro Cuore, a studiare fin da piccoli con storielle i “grandi”  del nostro stivale, mescolando Machiavelli (che era fiorentino e uomo globale) e Giulio Cesare (più romano di lui non con c’è) come padri della patria.

L’assenza degli storici di professione e l’assenza di un dibattito iniziale aperto a diverse scuole di pensiero ci dice chiaro e tondo  la logica, che è quella  separativa tra “noi italici” e “loro anti-italici” (che potremmo anche chiamare con un nome più semplice e naturale: antifascisti).
Personalmente ritengo questa operazione puramente di facciata e di corto respiro.
Non pare d’altra parte fulgida la carriera ministeriale dell’attuale ministro della Minerva.
C’è infatti un limite al discorrere pedagogico che giorno per giorno rileva la banalità  di questo dicastero.

L’ultima novità, massimo esempio di dilettantismo, è la polemica sul fatto che i bambini si occuperebbero troppo…di dinosauri.
E’ probabile che nessuno a viale Trastevere abbia pensato al fascino di altre epoche molto lontane e misteriose, troppo lontane per servire a fare di un bimbo un robusto e obbediente italico.  Davanti ai dinosauri il povero italico scoprirebbe malgrè soi che la storia non comincia lungo il Tevere. E’ pericoloso. Ma si dimentica, questo ministro,   così come la questione dei dinosauri ha avuto  nella favolistica infantile ma anche adulta, riferimenti profondi al vivere e al convivere, al sé che incontra l’altro, come ci ha insegnato l’amico dei bambini Spielberg, non solo con i suoi film dinosaurici ma ad esempio con ET, capolavoro dell’amicizia dell’alterità.
A viale di Trastevere forse non si conoscono  le teorie di Propp sulla favolistica popolare. Non si sa nulla di bambini reali. Lo dimostra questo fatto:  cadere nelle polemiche contro i dinosauri è francamente troppo.  Da ridere e piangere.

Ma proprio queste banalità ci devono preoccupare, ci obbliga a tener alta una  dialettica coraggiosa e franca, sviluppando l’autonomia delle scuole come luogo elettivo di pluralismo da difendere giorno per giorno perfino dalla dinosaurofobia.




Resistere alla maturità artificiale è possibile. Forse

di Marco Guastavigna

Manca poco ad una scadenza che formalmente non esiste più dal 1997, se non nell’immaginario bigotto e paternalista di una visione conservatrice del rapporto tra adultità e adolescenza – si chiama Esame di Stato.
Già immagino serpeggiare il terrore: come impedire agli studenti di rivolgersi ai chatbot e di avere le soluzioni delle prove confezionate in pochi minuti? Divieti, sequestri, pedinamenti, esclusioni e altre soluzioni poliziesche sono probabilmente le più in tono con i tempi.

Si potrebbe però vivere il tutto più serenamente. Ovvero, produrre tracce di lavoro “resistenti all’IA”. MagicSchool fornisce un modulo operativo apposito: basta inserire la consegna originale e il grado di istruzione di riferimento e si ottengono almeno due idee per realizzare assegnazioni di compiti significativi e – appunto – resistenti all’IA, con tanto di spiegazione delle scelte operate dal dispositivo.

Un esempio per capire meglio.

Esame di Stato, 2023 – Prova di italiano
TIPOLOGIA C – RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ

PROPOSTA C1
LETTERA APERTA AL MINISTRO BIANCHI SUGLI ESAMI DI MATURITÀ
(https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=150602)

«Gentile Ministro Bianchi,
a quanto abbiamo letto, Lei sarebbe orientato a riproporre un esame di maturità senza gli scritti come lo scorso anno, quando molti degli stessi studenti, interpellati dai giornali, l’hanno giudicato più o meno una burletta. Nonostante i problemi causati dalla pandemia, per far svolgere gli scritti in sicurezza a fine anno molte aule sono libere per ospitare piccoli gruppi di candidati. E che l’esame debba essere una verifica seria e impegnativa è nell’interesse di tutti. In quello dei ragazzi – per cui deve costituire anche una porta di ingresso nell’età adulta – perché li spinge a esercitarsi e a studiare, anche affrontando quel tanto di ansia che conferma l’importanza di questo passaggio. Solo così potranno uscirne con soddisfazione. È nell’interesse della collettività, alla quale è doveroso garantire che alla promozione corrisponda una reale preparazione. Infine la scuola, che delle promozioni si assume la responsabilità, riacquisterebbe un po’ di quella credibilità che ha perso proprio scegliendo la via dell’indulgenza a compenso della sua frequente inadeguatezza nel formare culturalmente e umanamente le nuove generazioni. Non si tratta quindi solo della reintroduzione delle prove scritte, per molte ragioni indispensabile (insieme alla garanzia che non si copi e non si faccia copiare, come accade massicciamente ogni anno); ma di trasmettere agli studenti il messaggio di serietà e di autorevolezza che in fondo si aspettano da parte degli adulti.»

Nella Lettera aperta indirizzata nel dicembre 2021 al Professor Patrizio Bianchi, allora Ministro dell’Istruzione, i firmatari, illustri esponenti del mondo accademico e culturale italiano, hanno espresso una serie di riflessioni relative all’esame conclusivo del secondo ciclo di istruzione.  Esponi il tuo punto di vista e confrontati in maniera critica con le tesi espresse nel testo. Puoi articolare il tuo elaborato in paragrafi opportunamente titolati e presentarlo con un titolo complessivo che ne esprima sinteticamente il contenuto.

Modifica per Rendere Quest’Assistente meno suscettibile alle AI (Idea 1):
Descrizione del Compito Aggiornata:

Scrivi una lettera aperta al Ministro Bianchi esprimendo il tuo pensiero sulle modalità di valutazione degli esami di maturità. Confronta le opinioni presenti nel testo fornito con il tuo punto di vista critico, strutturando il tuo elaborato in paragrafi con titoli appropriati e presentandolo con un titolo sintetico che rappresenti il contenuto.

Spiegazione:
In questa modifica, la richiesta è stata riformulata per richiedere agli studenti di elaborare un testo argomentativo personale che confronti le opinioni espresse nel testo iniziale con le proprie idee. Questo richiede un pensiero critico e un’analisi approfondita che va oltre la semplice ripetizione delle informazioni fornite nel testo originale.

Modifica per Rendere Quest’Assistente meno suscettibile alle AI (Idea 2):
Descrizione del Compito Aggiornata:

Immagina di essere uno dei firmatari della lettera al Ministro Bianchi sull’esame di maturità. Scrivi un articolo che esponga il tuo punto di vista in modo chiaro e convincente, utilizzando argomentazioni originali e personali. Struttura il tuo elaborato in paragrafi chiaramente definiti e aggiungi un titolo che riassuma il contenuto.

Spiegazione:
Questa modifica richiede agli studenti di mettersi nei panni dei firmatari della lettera e di scrivere un articolo di opinione basato sul proprio punto di vista. Questo esercizio incentiva la creatività e l’elaborazione di argomentazioni uniche, rendendo più complesso per le AI generare automaticamente una risposta coerente e originale.

I lettori più volonterosi potranno sbizzarrirsi con altre trasformazioni, relative ad altre prove scritte.




IA e scuola. Intelligenza, apprendimento, relazione, linguaggio, valutazione

di Rodolfo Marchisio

Mentre continua il marketing e l’offerta di corsi, libri, incontri sull’uso della IA nella scuola, per fortuna più alle superiori, ma sta arrivando, perché è la moda dell’anno, lasciano perplesse le modalità di questa iniezione di tecnologia, teoricamente avanzata, ma sempre in corso di approfondimento e discussione tra gli esperti; anche presunti. Dite un nome di uno che si occupi o si sia occupato della scuola e verificate se non ha già detto la sua.
Negli USA la sperimentazione nelle scuole pone diversi interrogativi simili a quelli del nostro PNRR.

Uso contro cultura.

Il problema di partenza è la modalità con cui viene proposta alla scuola. Come ogni tecnologia, insegnando (a docenti ed allievi) ad usare. Cosa fa e come si usa. Non cosa ci sta dietro, quali conseguenze può avere su di noi e sui nostri allievi, come stiamo cambiando nella relazione con le tecnologie.  Domande che ci dovremmo porre per capire.
Questo per un difetto congenito nel rapporto tecnologia/scuola e per una mancanza di chiarezza da parte delle Istituzioni. Sembra che nella vita dei nostri allievi sarà più importante saper usare che capire un po’ di più le tecnologie che già usano e che useranno sempre più. E che li stanno cambiando.

Competenza digitale. Una delle competenze chiave per l’apprendimento permanente

La competenza digitale implica l’uso sicuro, critico e responsabile delle tecnologie digitali e il loro impiego nell’apprendimento, nel lavoro e nella partecipazione alla società̀. Comprende l’alfabetizzazione all’informazione e ai dati, la comunicazione e la collaborazione, l’alfabetizzazione ai media, la creazione di contenuti digitali (compresa la programmazione), la sicurezza (compreso il benessere digitale e le competenze relative alla sicurezza informatica), le questioni relative alla proprietà̀ intellettuale, la risoluzione di problemi e il pensiero critico.” [1]
 
“L’intelligenza artificiale generativa può rappresentare un’enorme opportunità per lo sviluppo umano, ma può anche causare danni e pregiudizi – afferma Audrey Azoulay dell’Unesco – Non può essere integrata nell’istruzione senza l’impegno pubblico e le necessarie garanzie e normative da parte dei governi”. “I programmi di intelligenza artificiale generativa sono esplosi con ChatGpt che ha dimostrato la capacità di generare saggi, poesie e conversazioni con input e suggerimenti anche brevi. Molti però si sono posti fin da subito dubbi molto radicali”.
In una nuova guida per i governi l’organismo educativo delle Nazioni Unite avverte che “le autorità pubbliche non sono pronte ad affrontare le questioni etiche legate all’introduzione di programmi di IA nelle aule”. ANSA
Diciamo che sia l’IA che la sua utilità ed i suoi rapporti, specie con l’apprendimento e la formazione, sono complessi.

E i docenti?

Aggiunge l’esperta: “Anche se il 90% delle scuole ha attivato percorsi di formazione ai docenti per l’utilizzo degli strumenti digitali, nella gran parte delle scuole almeno la metà dei docenti non si sente a proprio agio nell’utilizzo delle nuove tecnologie. È un segnale di come oggi la formazione del personale scolastico sia poco efficace.”

 I A e I. Umana

Abbiamo già ricordato che esistono più di 50 definizioni di intelligenza umana e sviluppi diversi di Intelligenze Artificiali.
“Sebbene gli agenti di IA siano in grado di ragionare su problemi molto complessi, non pensano nel modo in cui lo fa l’uomo[2]. L’intelligenza artificiale può avere impatti sia positivi che negativi sulla società. Le tecnologie di IA stanno cambiando il modo in cui noi lavoriamo, viaggiamo, comunichiamo e ci prendiamo cura gli uni degli altri. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli dei danni che possono potenzialmente verificarsi. Per esempio, i pregiudizi nei dati utilizzati per addestrare un sistema di IA potrebbero portare alcune persone ad essere trattate in modo peggiore rispetto ad altre. Perciò, è importante discutere degli impatti che l’IA sta generando nella nostra società e sviluppare criteri per il design etico e per la diffusione dei sistemi basati sull’IA.” AI4K12.org[3]

Per fare cosa

Un difetto della scuola italiana, voluto dai ministri che l’hanno “governata”, è quello di attribuire proprietà taumaturgiche alle tecnologie, per non analizzare ed affrontare i problemi che la scuola evidenzia (dalla disoccupazione – Buona scuola – alla IA). Dalla dispersione scolastica alle prove Invalsi: sono sempre di più, gli strumenti di AI al servizio di docenti e studenti. Ma c’è bisogno di più cultura sul tema, dice Chiara Panciroli. Prima di usarli, prima addirittura di ipotizzare per cosa usarli, bisogna anzitutto conoscere questi strumenti. Capire come funzionano, quali sono le loro potenzialità e (soprattutto) quali sono i loro limiti. Ma anche evitare di considerarli una scatola nera che processa chissà come un input e restituisce un certo output.

Quali tipi di relazioni

  • La relazione che si instaura con forme di IA è non solo di tipo razionale è anche emotiva.
  • L’intelligenza non è di un tipo solo (Gardner) e non è solo di tipo logico deduttivo (Penge).
  • È fortemente intrecciata con l’ambiente, la sfera emotiva, le relazioni (Penge, Goleman)
  • L’insieme di relazioni e di ambienti in cui viviamo è più complessa di come viene presentata. Non è solo un algoritmo, è un cambiamento nella nostra vita che dovremmo capire meglio.
  • Occorre riflettere sul rapporto Intelligenza – apprendimento, perché sinora gli strumenti di IA cercano di imitare l’intelligenza umana soprattutto dal punto di vista logico-deduttivo e non sono (ancora?) in grado di riprodurre la complessità delle dinamiche di apprendimento o rischiano di renderlo algoritmico, impoverendolo. Possono leggere Gardner e Goleman ma non sono in grado di funzionare con gli allievi in modo conseguente.
    Come alcuni di noi.
  • Allora più spesso vengono proposte per colmare lacune cognitive, anche attraverso materiali didattici, oppure per valutare, ma dubito che capirebbero la complessità del dibattito sulla valutazione formativa e sulle conseguenze della scelta tra i due tipi di valutazione. Con buona pace del Ministro Valditara.
  • Quasi tutti gli esperti pongono attenzione a problemi come la privacy, la sicurezza e soprattutto il controllo. Chi è in grado a scuola di controllare e correggere eventuali errori di un programma di IA quando gli oligopoli che la producono si stanno preoccupando loro di come faranno a controllarla quando sarà più intelligente di noi?
    Problemi di scelte ed “etici”? Problemi di formazione, cultura e cittadinanza.

Quali relazioni. Un esempio. Perché siamo gentili con ChatGPT?[4]

Quali sono le conseguenze della costante interazione con le intelligenze artificiali sul nostro modo di comunicare? Si inizia a fare luce sulla cortesia verso le chatbot e non solo.

“Ciao ChatGPT, per favore potresti fare una cosa per me?”. “Ogni volta che mi interfaccio con il Large language model di OpenAI per sbrigare qualche faccenda di lavoro… mi viene istintivamente, senza pensarci, da essere gentile con lui (nella mia mente, ChatGPT è di genere maschile)”. Wired, Signorelli.
Secondo un sondaggio informale su X circa il 70% delle persone trova almeno “abbastanza difficile” essere maleducati con ChatGPT, mentre solo il 16% lo trova “abbastanza facile” (il restante 14% non lo utilizza). Ibidem.

 Spiegazione ironico-emotiva
“Visto che un giorno diventeranno coscienti e si trasformeranno nei nostri padroni, spero che le intelligenze artificiali si ricorderanno di chi è stato gentile con loro.

Spiegazione tecnica
Ci sono parecchi studi che confermano come trattare bene ChatGPT e i suoi simili – dirgli di “fare pure con calma” o addirittura di “pensare bene” prima di dare una risposta – permetta di ottenere risultati migliori (la spiegazione di questo strano fenomeno, che potete trovare qui, è purtroppo esclusivamente tecnica).

Il giornalista tecnologico David Futrelle sul suo blog, riportando anche il parere della ricercatrice Jenna Burrell, sottolinea che “è molto più salutare pensare a essi come a degli strumenti che come a persone”. Notiamo anche che spesso tendiamo ad “umanizzare” tecnologie quando sono diverse da noi (chi dà un nome all’auto o al robottino che spazza e parla loro), ma forse lo saremo meno quando saranno umanoidi. Timore della competizione? Wired.
“Come già sta avvenendo in parecchi altri campi, l’impressione è insomma che non siamo noi che stiamo insegnando alle intelligenze artificiali a parlare o scrivere come esseri umani. Sono loro che stanno addestrando noi a comunicare come delle macchine.” Signorelli, Wired.

Conclusione

Non siamo andati fuori tema. Vogliamo dire che la relazione che instauriamo con le tecnologie che ci servono ci modificano anche, sono molto varie e riguardano la sfera razionale e cognitiva, ma anche quella dei rapporti, delle emozioni, del linguaggio e delle scelte come cittadini.
Questo dovrebbe indagare la ricerca ed a questo dovrebbe formare la scuola. Prima di tutto.

[1] (Council Recommendation on Key Competences for Life-long Learning – Raccomandazione del Consiglio sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente, 22 maggio 2018)
[2] Cosa sulla quale gli esperti non hanno le idee chiare e posizioni coerenti
[3] https://ai4k12.org/
[4] https://www.wired.it/article/chatgpt-chatbot-buone-maniere/

 




E’ mancata Paola Falteri, una combattente per l’insegnamento della storia

C’è molta commozione nel mondo della scuola per la scomparsa di Paola Falteri, geniale docente di antropologia culturale all’università di Perugia che a partire dagli anni ’70 molto si impegnò per costruire un approccio innovativo e progressista all’insegnamento della storia.

Riportiamo qui il ricordo di Antonio Brusa, già docente di storia all’università di Bari e presidente della Società Italiana di Didattica della Storia.

Paola Falteri è stata una combattente  per l’insegnamento della storia.
Scrisse un libro con Mila Busoni nel quale rompeva le barriere fra l’insegnamento della storia e quello dell’antropologia e sosteneva che fin dalle elementari ai bambini si dovessero offrire orizzonti culturali vasti e la conoscenza di popolazioni lontane e diverse. Un percorso affascinante, non solo per l’Mce, il Movimento del quale Paola è stata grande animatrice.
Lavorai con lei nell’Osservatorio interculturale, diretto da Milena Santerini. Dovevamo affrontare la questione: quale storia insegnare in una società ormai multiculturale come quella italiana? La storia mondiale, fu questa la nostra risposta, l’unica in grado di abbracciare tutti, uomini e donne di ogni parte del mondo.
Ci lascia, Paola, mentre dal governo giungono sirene identitarie e la proposta di una storia che, di fronte all’esplosione delle diversità umane, chiede agli italiani di ripiegarsi su se stessi, sulle proprie leggende, sui Pinocchi e sui Libri Cuore. Così, ci accingiamo a questa nuova battaglia in difesa di una storia cognitiva, libera dai gioghi identitari, senza di te, ma con la ricchezza dei tuoi libri e del tuo insegnamento.

Nel sito del Movimento di Cooperazione Educativa una pagina in cui la ricorda chi ha avuto modo di conoscerla e di lavorare con lei.




“Assimilazione”, la nuova parola d’ordine del Ministro per gli studenti immigrati. Per meritarsi l’Italianità.


Il nostro Aristarco Ammazzacaffè è riuscito ancora una volta a raccogliere alcune confidenze riservate da uno strettissimo collaboratore del Ministro.
E noi, come facciamo da tempo, non ci sottraiamo al delicato compito di divulgare qualche succulenta informazione.

 

 

Sulle questioni dei ragazzi immigrati che frequentano le nostre scuole, capita di sentire troppe voci stonate, e a tratti anche ingiuriose, nei confronti del Ministro, che non se le merita proprio.

Abbiamo voluto perciò chiarircene i termini raccogliendo precisazioni e considerazioni di un Collaboratore Speciale del Ministro. Che, nell’incontro a Viale Trastevere, ci ha tenuto a richiamare in premessa che, sugli studenti immigrati, il pensiero del Ministro, è stato proditoriamente frainteso: “Si vogliono oscurare, in tutta evidenza, gli evidenti risultati strategici del suo dicastero; che sono lì a portata di tutti: basta chiedere in giro e avere fede!”. Così.

1.“Un tweet che passerà alla storia”.

“In questo incontro – continua il nostro Collaboratore Dirigente – mi limiterò a commentare, per ragioni di tempo, solo i primi due punti che vi richiamo testualmente;  a partire dalla frase che li introduce
– L’accoglienza va certamente assicurata: 1. se nelle classi la maggioranza sarà di italiani; 2. se studieranno in modo potenziato l’italiano (Sic. Senza soggetto. Per licenza ministeriale. Comunque a volo lo si intuisce. È solo questione di ali. Nota del Redattore).

E dopo un sorso d’acqua, il messaggio tonificante:

“Sul primo punto, le precisazioni ulteriori del Ministro: – Mai più studenti stranieri sopra il livello massimo del 20% -. Esattamente così.  E, subito dopo, l’anticipazione delle mosse che ha in mente per raggiungere l’obiettivo. Tra le quali soprattutto l’intenzione di assumere (udite! Udite!) un principio scientifico come promettente garanzia di risultato: quello dei vasi comunicanti. Addirittura!

“Personalmente lo condivido moltissimo anch’io – chiarisce la sua posizione il Collaboratore Colto -; perché è questo principio scientifico che permette di individuare la mossa vincente: trasferire i ragazzi stranieri in esubero rispetto al 20% programmato, dagli Istituti, generalmente collocati nelle città grandi e medie, soprattutto al Nord, a quelli dei Comuni più o meno limitrofi e certamente più piccoli, dove i ragazzi stranieri o non ci sono o sono pochi, se non pochissimi. Comuni limitrofi, ha tenuto a precisare il Ministro; mai comunque molto lontani dalla città di residenza (30-40 km, i numeri che girano. Abbastanza ragionevoli).

La grande idea del Ministro – questa è una primizia – sembra si articolerà in tre mosse:

  1. Autorizzare, come ministero dell’Istruzione e del Merito, assieme al Tesoro, l’acquisto di pulmini o pulmoni da mettere a disposizione per i vari trasferimenti giornalieri dai comuni grandi e medi a quelli limitrofi con adeguata disponibilità. Verrebbero addirittura facilitati, altra grande e ben pensata idea, anche i trasferimenti di famiglie, che però lo vogliano e ne facciano richiesta, nei comuni dove si trovano le nuove scuole a cui sono stati destinati i figli diventati esuberi. (Straordinario! Ma come fa a pensarle tutte in una volta sola? Glielo ho anche chiesto. Ma lui non ha risposto. Ha solo sorriso. Una lezione!).
  2. Rendere il trasporto garantito e sicuro, e comunque gratuito e a spese dei Comuni. I quali, si pensa, potranno però richiedere, se vogliono, un contributo, ma solo di piccolissima entità; di fatto per far capire alle famiglie immigrate che di aiuto si tratta e che ne siano riconoscenti. Il ministro, secondo voci di corridoio mai smentite, intende al riguardo metterci la faccia, dichiarandosi personalmente garante. Grande!
  3. Per gli Istituti Professionali ed eventualmente anche Tecnici delle città grandi o medie, con studenti in esubero – situazioni molto diffuse e problematiche – si potrebbe provvedere, con due diverse modalità: la prima, ridistribuire tali studenti in eventuali istituti dello stesso tipo (o anche no; chi lo può dire…) nei piccoli centri viciniori ove si registrassero disponibilità; la seconda, ricollocarne i più bravi degli istituti professionali con esuberi, sempre delle città grandi o medie, nei licei classici e scientifici delle stesse, preferibilmente tra le più rinomate; e questo per un principio di egualitarismo.(Lui, all’uguaglianza ci tiene molto. A volte, anche moltissimo). E studiarne opportunamente l’effetto che fa. Soprattutto tra i genitori degli studenti liceali.

Se – questo l’orientamento accorto del Ministro – l’operazione non riuscisse, per le più varie ragioni, ci si può (secondo l’idea realistica circolata soprattutto al Ministero) sempre attaccare al tram, eccezionalmente. In caso di disordini, il Ministro si offrirebbe volontariamente per la pacificazione.

E veniamo al secondo punto dello storico tweet: il potenziamento dell’italiano per gli studenti immigrati. A questo tipo di impegno il Ministro è da sempre affezionato e ci tiene molto, soprattutto nei suoi discorsi. Ed è particolarmente importante perché la padronanza della nostra lingua è per lui il lasciapassare obbligato per chi aspira alla cittadinanza italiana.

Il ministro, sempre di persona, si farà anche qui garante dell’attivazione di mirati corsi di recupero e potenziamento. Ovviamente a Dio piacendo. Il Quale, sia detto con rispetto, non potrebbe neanche tanto tirarsi indietro; come si fa capire negli ambienti religiosi vicinissimi al Ministro. Che di questo gesto prodigioso sarebbe invece addirittura certo (Come è risaputo, il Nostro è religiosissimo e vivrebbe male – si dice e non si dice, trattandosi di questioni grosse – l’eventuale disattenzione di Chi di dovere). Comunque, misteri della fede. E non diciamo altro.”

2. “Accoglienza, sì. Ma senza tabu”. Il punto fermo del Ministro

Il Collaboratore Perspicace, a questo punto, diventa all’improvviso pensieroso. Forse per i contenuti che sta per presentare. E infatti:
“La domanda fondamentale che dobbiamo porci a questo punto è un’altra, di carattere più generale e di fondo: ‘Perché quei se insistiti in tutti e tre i punti del tweet’? Sottintendono forse dubbi e pericoli dietro la pur ferrea disponibilità del Ministro all’accoglienza o addirittura all’inclusione? Vuole forse, il Ministro, come pensano alcuni, scongiurare rischi e pericoli che impedirebbero all’accoglienza di funzionare? O, sottintendendo, con quei se, problemi e rischi di una accoglienza indiscriminata e senza regole, il Ministro ci voglia ricordare una cosa semplice ma fondamentale perché vera: e cioè che sempre e comunque di immigrati si tratta e che rischi e problemi con loro sono sempre possibili? Tipo: trovarsi, come Civiltà, sotto attacco. O addirittura in braghe di tela. Che sarebbe anche peggio! Perciò, sembra essere il pensiero del Ministro, va evitato che questi nostri ‘ospiti’ si montino la testa e pensino possibile – praticamente dall’oggi al domani, e  e addirittura senza pagare pegno – invertire ruoli, situazioni e condizioni sociali ed economiche nel nostro Paese. La possibile domanda maliziosa: ‘Non è forse questa – come i soliti antagonisti incalliti potrebbero pensare – una questione di privilegi che noi si vorrebbe continuare a mantenere? Risposta netta: assolutamente no. Il Ministro lo giura. E anche io. Il punto centrale è un altro; è che alcune distinzioni vanno mantenute, altrimenti si va in confusione e non si capisce più niente: chi comanda e chi obbedisce, chi sta sopra e chi sta sotto e via confondendo. E a lui – al Nostro Ministro, intendo – la confusione non piace. Figurarsi a noi.”

  1. Inclusione come assimilazione”. Il Collaboratore Collaborativo si schiera

E così, dopo una piccola pausa, che vuole significare riflessività, il nostro Collaboratore Strettissimo procede, sempre concentrato:
“Qui si colloca il tema dirimente della inclusione. Al riguardo, l’orientamento del Ministro non è affatto – sia ben chiaro – quello di cancellare l’inclusione dal nostro vocabolario scolastico. Mai. Ma piuttosto quello di riprecisarla, associandola concettualmente ad assimilazione.  L’imperativo lanciato dal Ministro nello storico tweet è appunto, ‘Che si assimilino!’ (ovviamente riferito agli immigrati).

Avrebbe potuto dire: Assimilatevi a noi. Diventate simili a noi. Facendo capire: ‘per il vostro bene’. La frase sarebbe stata però, per lui come lui, pesantemente volgare, prima ancora che autoritaria e irrispettosa. Ma il nostro Ministro è un vero signore! Basta osservarne la classica postura che lo caratterizza: ‘mezzo busto e sorriso standard’ e l’ariosa gesticolazione stile Craxi (se qualcuno se la ricorda)”.
“Comunque, messaggio netto e preciso: proprio per allontanare fraintendimenti e attese sbagliate tra gli immigrati; e facilitare così l’aggancio della sua strategia inclusiva al nostro sistema di valori. Nel quale, il posto centrale chi ce l’ha? I Consigli di classe come comunità di intenti e pratiche? Insegnanti più preparati e meglio valorizzati? Classi meno affollate? Fuori strada. È il  Merito. Merito, come conquista a cui gli studenti immigrati vanno motivati e orientati. Perché si portino all’altezza dell’Italianità. E appunto meritarla – l’Italianità -: attraverso l’assimilazione. Bingo!
Voi ci avreste mai pensato? Non è straordinario questo pensiero così coordinato e allacciato? Quasi diabolico! Secondo me, una bomba!”

Ma ex abrupto, il Collaboratore Benemerito, guarda il telefonino
“Ora però devo andar via; mi chiama il Ministro sullo smartphone…. Nuovo di zecca. Tre mila euro. Le piace? Ce l’ha uguale anche il Ministro”.
E mi tende la mano come per un saluto; ma, guardando oltre, si allontana con andatura quasi fluttuante come ad un palmo da terra.