La lingua italiana ai tempi del web

di Rodolfo Marchisio

Di cosa si parla nel nostro percorso di formazione

Nel nostro percorso  di riflessione e discussione previsto sul tema Come il web cambia il nostro linguaggio, presentato nell’articolo La lingua italiana ai tempi del web ed esemplificato nell’articolo  Come il web cambia la nostra lingua intendiamo dialogare insieme sui temi di linguistica, cittadinanza, cultura digitale legati al campo di ricerca che proponiamo.

Partendo da 4 obiettivi ed approfondendo insieme i 4 filoni che si possono sviluppare anche in base all’interesse espresso dai partecipanti tramite il form d’iscrizione.

Premessa. La lingua cambia con l’avvento del web e questo cambiamento coinvolge:

Informazioni, conoscenze, pensieri, modo di ragionare e di agire
ma anche
percezioni, emozioni, sentimenti, relazioni, amicizie, modo di essere.

Questo significa che ci cambia sia come persone, nella nostra vita individuale, sociale e relazionale,
sia come cittadini negando o modificando comportamenti legati a diritti.
E che questi cambiamenti sono intrecciati fra loro e legati anche all’influenza del web.

Filoni 1. – Lingua (lessico, grammatica, linguistica) e informazione.  

  1. La lingua come gioco di costruzioni
  2. Semplificazione attuale della lingua italiana (ipotassi/paratassi)
  3. Scomparsa di modi e tempi del verbo e democrazia
  4. La riduzione del vocabolario
  5. La lingua dei giovani
  6. SMS, abbreviazioni, lapidi, Placiti cassinesi
  7. Neologismi, parole straniere, gergo social
  8. Decalogo dell’informazione – Paone
  9. Le regole della disinformazione – Choamsky
  10. Riflessioni sulla lingua – Ghemo

Filone 2- Lingua, democrazia e cittadinanza

  1. Il rapporto numero e qualità delle parole e democrazia
  2. Influenza del linguaggio sulle competenze chiave
  3. Alice nel paese delle meraviglie – le parole e il potere
  4. Le parole (anche online) sono “fatti” ed hanno conseguenze reali
  5. Come la lingua influenza il modo di pensare
  6. Parole e potere: le neo-lingue
  7. Post verità e percepito
  8. Svalutazione della conoscenza e della competenza
  9. Nuove competenze linguistiche digitali

Filone 3 – Come il web ha modificato la lingua italiana

  1. Parole chiave della lingua
  2. Accademia della Crusca – Video sul tema.
  3. Lingua del web: aggressività e mancanza linguaggi non verbali. Wallace.
  4. Il linguaggio del corpo ed il tono della voce
  5. Il linguaggio (e il gergo dei social)
  6. Emozioni ed emoticon
  7. Parole ombrello (digitale, libertà, democrazia)
  8. Post verità, fake news e parole dell’odio. L’odio in rete.

Filone 4- Scrivere e leggere online. La lingua del web

  1. Caratteristiche e regole della lingua online
  2. della Crusca: varie forme di comunicazione mediata dalla rete.
  3. Il mezzo influenza lo scritto: breve, semplificato nei SN, più lungo e complesso nei siti ufficiali
  4. Lettura spezzata o multimediale
  5. Il rapporto testo e interfaccia
  6. Lessico: nuove parole per nuove cose (hastag), anglicismi, sigle (FB), parole da azioni (cliccare).
  7. La famiglia del web (webmaster…)
  8. Vecchie parole, nuovi significati (Virale)
  9. Tormentoni e regionalismi.
  10. Linguistica e letteratura del coding
  11. Libro e/o e book
  12. Stili di lettura off e online
  13. Leggere e leggere online
  14. Lettura ipertestuale
  15. Scrivere e scrivere online
  16. Scrittura online. Regole, caratteristiche, consigli
  17. La disintermediazione: tutti scrittori. Si ma…
  18. Il nuovo linguaggio dei giovani multimediale dei giovani.
  19. I vantaggi della scrittura ipertestuale e della scrittura collettiva o a più mani.

Con questo articolo speriamo di fornire un possibile schema di riflessione e di dare ai partecipanti la possibilità di indicare i filoni per loro più interessanti, che possono indicare  in fondo al form per una migliore contestualizzazione del lavoro comune.

Alcuni link

https://accademiadellacrusca.it/
https://accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/parole-nuove/ https://accademiadellacrusca.it/ricerca?key=web&tipo=consulenza%20linguistica
https://concetticontrastivi.org/2022/10/27/la-dimensione-collettiva-dellinformazione/

 

 

 




Nei Collegi, ormai e sempre più spesso, voto contro

di Carlo Baiocco

… poiché l’insegnamento, ahimè, è ormai ridotto ad uno stolto corollario di mere attività accessorie di un mansionario impiegatizio eletto addirittura, in modo vessatorio ed imbecille, a criterio di valutazione dei docenti, i quali fra l’altro non dovrebbero neanche resistere più di tanto; infatti … col pensiero unico del prossimo governo, continuando così, la Scuola, che ormai è in agonia ed al cui capezzale siedono ormai sudditi, prostrati, attoniti, avviliti, inquieti e rassegnati, avrà cessato anche di respirare! …….

… poiché non voglio avallare Pro-getti insulsi, fumosi, demagogici ed insensati che mi fanno Pro-gettare ovvero Pro-vomitare dal momento che favoriscono unicamente il dilagare di un’ignoranza grassa!

…poiché, nonostante la mia continua, viva, disperata ricerca, non ho ancora “interiorizzato” l’enorme importanza ed il senso profondo e sacrale delle tante Celestiali Divinità che Sapienti Demiurghi da tanti anni ci offrono: delle provvidi Prove Comuni “Oggettive; della radiosa “standardizzazione” dei “saperi” e della “valutazione”, della luminosa Didattica per “Competenze” e dell’ancor più radiosa “Alternanza Scuola-Lavoro”, che senz’altro schiudono a noi il “Sol dell’Avvenire” e, soprattutto, mondano ogni ignoranza; delle provvide “Griglie” di “Valutazione”; degli altamenti necessari ed insostituibili Bonus, FS, FdI, “RAV”, “PON”, “PDM” e Regionalizzazione.

Mea culpa, mea culpa, mea gravissima culpa!

Empio pagano ho insegnato (!), abitato e persino, carnalmente e spiritualmente, amato la vera Scuola dell’ormai lontana “Età dell’Oro”, anche quest’ultimo vil metallo adorato solo da stolti, demagogici, pietosi docenti certamente ostinati, resilienti, pervicaci e perversi seguaci di “Paideia” ovvero di tristi, compianti, degeneri valori di egualità, democrazia, libertà, educazione e conoscenza!
Fui già empio peccatore quando ebbi l’ardire di proporre altre “strade” e su di esse fiducioso, insieme a molti, m’incamminai, quando rifiutai CONCORSONE, Q1, Q2, OP, OSP, SPP, PECUP, FS, PORTFOLIO, UA, UUAA, PDP, PEI, CS, DSA, BES, PdC, PIA, PAI, RFA, INVALSI e NIV e NEV, ma ora davvero merito amara cicuta, incandescente castigo e piaghe sanguinanti e sanguinolente!
Col capo e lo sguardo proni a terra brucio e faccio polvere dei miei 36 anni di dis-onorato servizio, delle mie Laurea ed Abilitazione, dei miei innumerevoli, inutili titoli, certificazioni informatiche, riconoscimenti ed attestati ed innumerevoli ed ancor più infruttuosi arditi progetti attuati, delle tantissime parole, lettere di encomio e durevoli affetti di alunni e genitori e finanche di stolti ed ingenui D.S. che all’epoca, poverini, si ritenevano solo dei “primi inter pares” quasi eletti dai Collegi, delle mie tantissime ore di Corsi d’aggiornamento (ASP, LIM, …. delle mie diverse pubblicazioni, delle mie ancor più inutili 24 certificazioni informatiche (tutti segni tangibili di sfrontata, spavalda, arrogante, illusoria supponenza!) ed umilmente batto il mio petto e percuoto le mie carni presuntuose e saccenti! Che cenere scottante, braci ardenti, purga ricinea, cilicio flagellante, profondo pentimento e solerte ravvedimento siano con me nello Spirito del PTOF (Professionalità Troppo Ottuse Funzionanti) e della “Bona Schola”, del “mio” D. S., “Magister sacer” e “Bon Pastore” che finalmente, con verga severa, premurosa e battente, riguidino me, contrito insegnante, esule smarrito, dissacrante peccatore reo e disfattista incallito, sui verdi pascoli della resipiscenza!… E che i miei ultimi anni d’insegnamento possano essere perciò del tutto piegati all’asservimento ed alla sudditanza rigeneratrici, affinché mi sia dato rinascere a nuova vita dalla polvere abietta che sola ormai sono! Amen.




Il merito non si addice alla scuola

di Mario Ambel

Il dibattito.

In fondo è naturale che in un paese afflitto da pratiche pervasive di nepotismo, clientele, piccoli e grandi privilegi e impunità di ogni tipo, il merito susciti un moto di interesse, assurgendo a simbolo salvifico di piccole e grandi ansie di riscatto. In un paese dove “merito” –  spesso proprio negli ambiti che se ne fanno paladini: l’accademia, la politica, il mercato del lavoro – si coniuga tendenzialmente assai più con privilegio (che sarebbe in realtà il suo contrapposto) che con equità (che gli si oppone per altri versi), il merito è l’emblema più rappresentativo del mito del contrasto ai privilegi di casta, attraverso la competizione sana e governata da regole certe e condivise e da condizioni paritetiche di partenza, così come l’eguaglianza è l’emblema più rappresentativo del mito della eguale dignità e integrità degli esseri umani, indipendentemente dalle condizioni di nascita, dai contesti di crescita e dagli esiti inevitabilmente diversificati che ne derivano. In fondo la navigazione umana nelle democrazie occidentali si muove fra questi due opposti, spesso in acque tempestose. Trovare un equilibrio soddisfacente non è certamente facile. Ma è di certo il dovere primo degli stati democratici fondati sul diritto e sull’eguaglianza della legge per tutti.
Mi interessa qui solo in parte ragionare attorno a che cosa sia, a come vada intesa e giudicata la categoria generale del “merito”, ovvero se sia una garanzia o un sovvertimento dei suoi complementari e antagonisti dialettici, il privilegio e l’eguaglianza.

Al riguardo esiste una ricca bibliografia e, a onor del vero, per onestà intellettuale, anche i fautori del merito devono riconoscere che, nella letteratura sul tema, le riserve, le preoccupazioni e le perplessità, anche tra i fautori, prevalgono di gran lunga sulle propensioni e men che meno sugli entusiasmi.
Non così nel dibattito politico e giornalistico, dove il merito, soprattutto dopo la vittoria del centrodestra, ha fatto rifiorire schiere di fautori, facendone persino uno strumento di lotta alle disuguaglianze sociali e “al classismo”. 

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Il merito e i diversi contesti. 

Tralasciando un attimo la politica, che ha un modo inevitabilmente di parte e spesso pregiudiziale di trattare concetti e prospettive, certo è considerevole la schiera degli intellettuali, degli opinion maker e dei maitre a penser che sui maggiori quotidiani, nelle riviste, sui social si sono schierati dall’una o dall’altra parte, a difesa o a condanna (nel complesso più a favore) dell’impiego del merito come principio ispiratore e categoria interpretativa delle finalità e delle pratiche della scuola pubblica. Perché di questo si tratta o si sarebbe dovuto trattare.

Può essere interessante analizzare la validità del merito come categoria giuridica, sociologica, psicologica, organizzativa, gestionale. Ma il mio è un problema diverso e potrei esprimerlo così: la categoria del merito, comunque la si intenda, è applicabile alla scuola? Direi di più: è pertinente con la scuola? Ovvero, mi chiedo se è applicabile alla scuola, ancor prima di valutare se il farlo crea vantaggi (come vorrebbero i fautori) o danni (come sostengono i detrattori).
Lo dico per ricordare che all’origine del contendere c’è la denominazione del Ministero dell’Istruzione e quindi la sua identità e i suoi fini e non quelle della convivenza civile  nel suo complesso, oppure di un condominio o di una azienda o di una squadra di calcio o di una compagnia teatrale o di una gara in un qualsiasi ambito che preveda alla fine vincitori e vinti e relativi premi e retrocessioni. Lo dico anche perché, a mio parere, non è opportuno applicare la categoria del “merito” in modo eguale a questi diversi contesti, a meno che la si consideri una sorta di valore universale, come il diritto alla vita, alla salute, alla libertà personale e che quindi sia applicabile in modo efficace e coerente a ogni contesto, salva la restrizione del non recar danno ad altri. E anche qui sarebbe interessante chiedersi se la categoria del merito, anche qualora equamente applicata, ancorché sia possibile, sia tale da recare o non recare (ulteriore) danno a chi “non è giudicato meritevole”.
E dunque questa è la prima questione da porre: la categoria del merito è universale e non contrattabile, non relativizzabile ai diversi contesti, oppure no? Perché talvolta si ha la sensazione che i difensori del merito ne facciano una sorta di categoria universale da cui discendano conseguenze applicabili indifferentemente a ogni contesto del consorzio umano. Ma così non è. Se, nel quadro di regole che governano il calcio professionistico, per esempio, è auspicabile che in campo scendano gli undici che in quel momento l’allenatore reputa più meritevoli di giocare e se è legittimo (o comprensibile) che quelli fra loro che rendono di più in termini economici alla società siano pagati meglio, non è detto che, nella squadra di dilettanti che giocano per il piacere di farlo e senza far molto conto sul risultato e i guadagni, non sia il caso che ogni tanto giochino anche i meno bravi e redditizi. Che magari, così, migliorano anche un po’. Dipende da che cosa ci si prefigge dallo scendere in campo.

Il seguito dell’articolo nel sito della rivista Insegnare




Come il web cambia la nostra lingua

di Rodolfo Marchisio

Come il web cambia la nostra lingua.[1]

La lingua del web ed i linguaggi non verbali. Spunti per una riflessione sull’e-taliano.[2]

Lingua: aggressività e mancanza dei linguaggi non verbali nel web

 “Abbiamo avuto migliaia di anni di evoluzione per prendere confidenza con le interazioni umane in contesti faccia a faccia, ma appena due decenni per il mondo online diffuso su larga scala che ora è il luogo dove si svolge molta dell’interazione umana, con strumenti del tutto diversi.”
Quando si comunica online, la gente non solo sembra più brusca e aggressiva, in realtà lo è davvero.

A volte ci si dimentica che il tono, nelle comunicazioni più tradizionali, è veicolato con i segnali non verbali, le espressioni facciali, ma anche la postura del corpo, il contatto visivo, la voce, per esempio.
In assenza di questi segnali, online è più difficile esprimersi in maniera sottile, quindi le comunicazioni appaiono più brusche e aggressive”. Wallace, psicolinguista

Le comunicazioni online possono essere facilmente fraintese

Online, siamo insomma meno capaci di interpretare le comunicazioni testuali con precisione, anche quando il mittente pensa che il significato dovrebbe essere ovvio.
Questo accade con il sarcasmo, l’ironia, per esempio.
È molto difficile identificare con precisione un commento sarcastico in una e-mail (o in un messaggio scritto online NdA), una mancanza che può generare interpretazioni errate eclatanti.

Linguaggi non verbali in rete

Manca il contatto faccia a faccia, ma c’è anche

  •  la distanza fisica,
  • l’incertezza sul pubblico che ci vede e ci ascolta,
  • la percezione dell’anonimato (e della impunita NdA) Entrambi presunti.
  •  la mancanza di un feedback immediato e gli strumenti di comunicazione che usiamo si basano principalmente su testo e immagini.

” Al tempo stesso Internet è un motore senza precedenti d’innovazione, connessione e sviluppo umano“.

Il tono della voce e il contesto

Proviamo a dire: Ma quanto sei furbocon tre intonazioni diverse: assertivo, ammirativo, ironico.
Le parole sono le stesse, ma il messaggio che arriva è diverso.
1- Sono convinto, 2- ti ammiro per questo, 3- ti sto prendendo in giro.
Se lo scriviamo questo non è chiaro.

 I messaggi e il contesto.

I messaggi dipendono sia dal mezzo o ambiente, che dal contesto.
La professoressa ci ha dato l’ennesima insufficienza.
Come lo racconti
ad un tuo amico (Quella beep della X …),
ad un altro docente (la prof X mi ha dato, ma io mi sto impegnando…),
ai genitori (“Non è colpa mia, ma la X …)
o al Dirigente scolastico?

La comunicazione, oggi avviene soprattutto, non solo per i giovani, nei Social coi loro vantaggi (diffusione), limiti strutturali e coercizioni volute e imposte.

L’informazione dipende dalla rete. Googlare è uno dei neologismi, legato a una delle azioni più frequenti in rete. Anche da parte dei quei ragazzi che non sono consapevoli di essere in rete, perché confondono le 3 stanze che frequentano (di solito un social, un motore di ricerca, la posta elettronica) per il tutto. E non è colpa loro, perché sono indotti a pensarlo. Pariser.  [3]

Nel frattempo i SN sono diventati Social media – veicoli di informazioni, di cui negano la responsabilità – e si frequentano tramite smartphone.

Come funziona il linguaggio nei social? Breve, assertivo, aggressivo, per il poco tempo e per il poco spazio (vedi caratteri Twitter all’inizio 140 massimo poi 280. Non è cambiato granché).

Non è un problema tecnico, è emerso anche dalle ricerche, ma di abitudine e di cultura.

Emozioni ed emoticon

In rete proviamo allora ad usare faccine, emoticon, per integrare la comunicazione ed esprimere emozioni, stati d’animo, reazioni, ma non basta.
Esercizi con le emoticon: raccogliere, riconoscere e tradurle in parole.
Oppure produrre emoticon che imitino un tono o uno stato d’animo diverso.
È l’antico discorso della narrazione con le parole o con le immagini; oppure con immagini semplificate e torniamo ai racconti sulle pareti delle caverne o al linguaggio pittografico.
Dice la Wallace: in rete si litiga di più che in presenza.
Perché, tranne che nelle videoconferenze, mancano sia il tono della voce, che tutti i messaggi che inviamo attraverso il viso, gli occhi, la postura del corpo.
Io posso dirti che m’interessa quello che dici, ma se ho un’aria annoiata o sono girato dall’altra parte capisci che penso il contrario. Questo nei post è difficile da spiegare. Per questo nascono equivoci, discussioni, lunghi post o mail di chiarimenti.
Messaggi inutili e inquinanti.

Le emoticon

  • Le faccine hanno cambiato il nostro mondo? “Quando fu fondato il Consorzio (NdA delle emoticon), nel 1995, erano appena 76, oggi sono 3363, divise in dieci categorie. Dal 2015 esistono anche gli emoji personalizzabili a seconda del colore della pelle o delle abitudini sessuali.
  • “La lingua è lo specchio della società: quella parlata e ancor più quella scritta. Così oggi, se esiste la parola per esprimere un concetto, con ragionevole certezza si può dire che dovrebbe esistere anche l’emoji o gli emoji per farlo.
  • D’altra parte sono anni che grandi classici della letteratura vengono tradotti in pittogrammi: è successo, ad esempio, con Pinocchio o Moby Dick, opportunamente rinominato Emoji Dick.”
  • Potremmo interrogarci sul senso di ricerche e traduzioni come quella di Pinocchio raccontato solo tramite emoticon. Per farlo è stato necessario inventare una grammatica e un lessico appositi.

Come la lingua influenza il nostro modo di pensare.

 Ci sono circa 7.000 lingue parlate nel mondo, e ognuna è composta di suoni, parole e strutture diverse. Ma le lingue plasmano il modo in cui pensiamo? Come sono legate a noi ed al mondo in cui viviamo?
La studiosa di scienze cognitive Lera Boroditsky mostra esempi di varie lingue: da una comunità aborigena in Australia che usa i punti cardinali invece della destra o della sinistra, alle diverse parole usate per indicare il “blu” in russo (o alla mancanza di alcuni colori nel linguaggio degli eschimesi, che hanno invece molte tonalità dal bianco al grigio, al nero, a causa dell’ambiente in cui vivono NdA).
Chi non ha un colore o un oggetto non ha bisogno delle parole per dirlo.

Viceversa chi ha una cosa da dire e non possiede le parole per esprimerla ne soffre, oltre ad essere limitato, come le tribù che possono descrivere il dolore fisico, ma non quello psichico, cosa che li fa stare ancora peggio.

Universi linguistici e cognitivi e rapporto con l’ambiente

“La bellezza della diversità linguistica è che ci rivela come possa essere ingegnosa e flessibile la mente umana”, dice Boroditsky.
“La mente umana non ha inventato un unico universo cognitivo, bensì 7.000”.
TED Vera Borodisky  a lato sottotitoli in Italiano.

Linguistica e letteratura del coding

Il coding, il pensiero computazionale, ha inventato ormai più delle 7000 lingue conosciute: sono 8000 i linguaggi di programmazione ed hanno autori, correnti, collegamenti con l’arte e meritano una letteratura ed uno studio linguistico come quello sulla nostra lingua ed i suoi autori. In proposito vedi Il primo festival del codice sorgente  https://codefe.st/  e La prima mostra al mondo del codice sorgente come fenomeno letterario allestita coi ragazzi dell’ IIS Avogadro di Torino da  http://codexpo.org/ che si occupa di questo.  La mostra è visitabile: https://www.codeshow.it/

  1. Questo articolo è stato scritto utilizzando una delle più potenti possibilità che ci offre il web. Quella di una scrittura e quindi di una lettura ipertestuale che diventa ipermediale.

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[1] Queste osservazioni si riferiscono al linguaggio prevalente in rete cioè alla lingua scritta (210 miliardi di mail e 140 milioni di post al giorno solo nei 2 principali Social). Anche perché si presta meglio ad una riflessione sulla lingua italiana. In rete si stanno sviluppando linguaggi prevalentemente fatti di video (Youtube, Tik Tok) o linguaggi multimediali in senso lato. Ma allora il discorso si sposta dalla lingua del nostro paese ai linguaggi misti dove ad esempio l’immagine prevale, talora col linguaggio parlato, anche se non sempre decifrabile in modo evidente.  Anche la DaD ci ha insegnato qualcosa.

[2] Enciclopedia Treccani.

[3] TED di Pariser con testo in Italiano. 8 min. https://www.bing.com/videos/search?q=Pariser+TED&docid=608022015048428796&mid=39FE07E616144EBD5AC639FE07E616144EBD5AC6&view=detail&FORM=VIRE




MERITO, RESPONSABILITA’ DEI FALLIMENTI E POVERTA’ EDUCATIVA

di Franco De Anna

Il dibattito/confronto che si è sviluppato sulla questione del “merito” (e della possibile temuta deriva “meritocratica”: non hanno medesima semantica …) in seguito al cambiamento del nome” del Ministero dell’Istruzione, mi pare carico di potenziali equivoci che, a mio parere occorre disciogliere.

Sia per questioni di principio iscritte nel pensiero pedagogico, sia per ragioni immediatamente politiche. Equivoci che rischiano di sottrarre al confronto politico serrato la questione nodale: quali “programmi di politica scolastica” verranno messi all’ordine del giorno e posti in realizzazione oltre la suggestione della terminologia? E quali possibili alternative per opporvisi?

Vorrei che, in merito alle responsabilità relative ai cattivi e diseguali risultati della scuola italiana, si assumesse un rigore ed una correttezza analitica capaci di togliere alimento ad ogni equivoco. (Troppo semplice, altrimenti, “dare la colpa” a questo Governo…)
Il Sistema di Istruzione italiano ha una normativa relativa a problematiche di accoglienza ed integrazione tra le più avanzate a livello internazionale ed essa è parte costitutiva delle stesse Istituzioni.
La ispirazione costituzionale dell’art. 34 nella essenzialità delle sue affermazioni è senza dubbio altrettanto chiara circa gli impegni fondamentali delle istituzioni pubbliche.

Ciò che si opera concretamene a livello di “Sistema” per dare realizzazioni a tali ispirazioni conosce invece non solo fallimenti (gli errori accompagnano sempre la operatività concreta) ma spesso delle contraddizioni strutturali, culturali e istituzionali che rappresentano un vero e proprio “tradimento” di tali ispirazioni e impegni.

Specialmente nella scuola superiore e nei suoi diversi indirizzi (e spesso proprio a partire da quello che vene ancora considerato il “più qualificato” come i Licei), tale “tradimento” appare strutturalmente sedimentato nella “cultura sociale” e spesso purtroppo anche in quella “professionale” della scuola stessa.A partire da tale considerazione, il costrutto “povertà educativa” si sta diffondendo con interesse e preoccupazione in molte analisi che guardano sia alle problematiche culturali (e non solo) delle nuove generazioni, sia al funzionamento del nostro sistema di istruzione.Lo stesso uso del termine “povertà” sottolinea che si indichino come necessari impegno e iniziative per colmare assenze, ritardi, insufficienze, disparità e differenze inaccettabili.

Il costrutto ha il pregio di indicare sinteticamente un intreccio di oggetti e significati diversi, ciascuno con specificità che richiedono(erebbero) approcci analitici distinti, ma che nella loro combinazione, mescolanza, interrelazione e sovrapposizione delle aree di “confine” dei significati stessi, consentono una rappresentazione di grande efficacia comunicativa.
Come non essere infatti d’accordo sulla necessità di combattere, superare, colmare “la/le povertà educative”, in particolare (ma non solo…) se riferite alle nuove generazioni?

Come spesso accade la efficacia comunicativa di proposizioni che, come aforismi, vorrebbero proporsi come sentenze conclusive di analisi e riflessioni approfondite “precedenti”, cela in realtà molte approssimazioni delle analisi stesse sacrificandone l’approfondimento rispetto al successo comunicativo.
Temo che anche nel caso del costrutto in questione vi sia questo rischio.
Tanto più grave quanto proprio la metafora della “povertà educativa” vorrebbe avere valore di richiamo ad impostare interventi operativi mirati ed efficaci per porvi rimedio. (Dunque, a partire da una definizione rigorosa di obiettivi, strumenti, risultati attesi, valutazioni)
Vi è comunque da notare immediatamente che tali approcci paiono essere sagomati “sui minori”, sui “bambini”, al massimo sugli adolescenti.

È priorità comprensibile se da essa si generano “priorità operative” sul “da dove cominciare…”. Ma occorre non trascurare il fatto che vi sia una dimensione della “povertà educativa” che va ben oltre e che investe il mondo degli adulti, e che ne condiziona la vita nelle loro diverse interpretazioni con riflessi su ciascuna di esse: come lavoratori, come cittadini, come genitori.
Un rilievo che ha un significato particolare in un Sistema di Istruzione come il nostro, nel quale la formazione continua e la formazione per gli adulti hanno, sia pure con esperienze significative, uno sviluppo residuale e un interesse sociale che non ha grande udienza nella comunicazione e nelle scelte di politica dell’istruzione.
Inoltre, occorre ricordare che comunque la “povertà educativa” osservata nella popolazione adulta (e dunque possibile oggetto di iniziative ad essa dedicate) ha ricadute e riflessi complessi e spesso peggiorativi sulle fasce giovanili, sia attraverso la riproduzione famigliare, sia nelle interazioni ambientali e contestuali.

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ENTRIAMO NEL “MERITO”

di Giovanni Fioravanti

Se sono povero di parole anche il mio pensiero sarà povero, se le parole sono sempre le stesse anche il mio pensiero sarà sempre lo stesso.
Ci mancano le parole per immaginare un mondo nuovo e rischiamo di usare solo quelle vecchie che appartengono a un mondo che non c’è più.
Per chi guarda al passato e sogna una sua restaurazione questo non costituisce un problema perché il  vocabolario che gli serve è sempre lo stesso.

Contrapporre alla riproposizione di quel passato le parole che possediamo da sempre è come cadere nella trappola, oltre a rilevare la debolezza del nostro pensiero ormai usurato dal tempo.
È quello che ci accade nella comunicazione pubblica per cui ci facciamo catturare dalle parole che ci sono famigliari e diffidiamo dei linguaggi che ci sembrano stranieri.
E soprattutto sono lingue straniere quelle che provengono da mondi che ancora non ci sono e che non ci saranno mai se nessuno si assumerà l’ardire di iniziare a gettare le fondamenta per costruirli.

Un mondo che attende di essere costruito di nuovo è quello della scuola che non c’è. Mentre tutti bombardano l’edificio vetusto d’oltre un secolo, c’è chi pensa di ricostruirlo a immagine di come era e di come è sempre stato, più forte e più robusto di prima.
Allora se c’è chi pensa che la scuola deve selezionare, deve bocciare e in questo fa consistere il merito, semmai trovando d’accordo ampia parte di un pensiero pubblico immiserito dalle parole, che crede che chi non si impegna non merita di essere aiutato e quindi va sanzionato, caschiamo nell’inganno del moralismo per cui un furto è sempre un furto anche se rubi per fame.

Allora non è che i vessilliferi del merito li sconfiggi contrapponendogli l’articolo 3 della nostra Costituzione, perché il problema non sta nella selezione, nel merito e nelle bocciature, ma nel mantenere nel secolo nuovo un sistema formativo forse buono per il passato ma non per il futuro dei nostri giovani.

È la morte del futuro che continuamente ci viene proposta e da questa logica non possiamo farci irretire.
Non è più accettabile fornire ossigeno a un sistema formativo che è nato per selezionare anziché per promuovere, anziché stare accanto alla persona che cresce per sostenerla, accompagnarla, sorreggerla, sollevarla quando cade, assisterla quando si ferma, accelerare il passo quando riprende a correre. Ma occorre avercele queste parole nel cervello e averle strettamente connesse con l’idea di scuola e di istruzione, in modo che si accendano automaticamente quando la mente entra in questo campo semantico.

Lo scandalo non è che il Ministero ora si chiami dell’Istruzione e del Merito, ma perché non sia stato intitolato invece “Ministero della Conoscenza e dell’Istruzione Permanente” come avrebbe dovuto essere  stato fatto da tempo, al momento del nostro ingresso nel secolo della Conoscenza.
C’erano queste parole nel pensiero delle forze progressiste e di sinistra? No, non c’erano. Allora non urliamo allo scandalo, perché lo scandalo è l’assenza di una cultura dell’istruzione nel nostro paese che non sia la brutta copia del ‘900 e che guardi al futuro.

L’Unesco ha lanciato l’allarme: è urgente un nuovo patto formativo, ma nessuno ne parla e ne ha parlato.
Un ribaltamento della nostra piramide scolastica, un protagonismo sociale, politico e culturale degli insegnanti come lavoratori della cultura. E dove sono da noi gli insegnanti lavoratori della cultura, della cultura del paese, quella che sta dentro e fuori dalle scuole?

Nessuna delle forze politiche in campo nella contesa elettorale si è ricordata che viviamo nel secolo della Conoscenza e che la Conoscenza è la grande sfida del nostro secolo, a partire dalla realizzazione dell’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. La centralità dell’istruzione permanente e del ruolo delle amministrazioni pubbliche, a partire dal governo e dagli enti locali, per la sua realizzazione, mai citata nel discorso di insediamento alle Camere dalla Presidente del Consiglio dei Ministri. Ma nessuna delle forze politiche sedute alle Camere l’ha notato.

Listruzione è anche unespressione damore per i bambini e i giovani, che dobbiamo sapere accogliere nella società offrendo loro, senza alcuna riserva, il posto che appartiene loro di diritto: un posto nel sistema educativo, ovviamente, ma anche nella famiglia, nella comunità locale, e nella nazione.” 
Queste sono le parole da contrapporre ad una sistema scolastico che, a prescindere dal fatto che si enfatizzi sulla parola “merito”, è nato per produrre una selezione sociale e che nella sue strutture portanti ancora seleziona, nel XXI° secolo, tra liceo classico  e istituti professionali, senza scandalo per alcuno,  neppure i buon pensanti di sinistra che di fronte al “merito” pronunciato a destra gridano al lupo.

Quelle parole sono scritte da più di 25 anni nel rapporto Delors, Rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’Educazione per il XXI secolo, caduto nel dimenticatoio insieme ad ogni parola nuova, ad ogni pensiero  innovatore delle nostre categorie mentali sulla scuola e l’istruzione.
C’erano pure i quattro pilastri dell’istruzione: Imparare a vivere insieme, Imparare a conoscere, Imparare a fare, Imparare ad essere.
Il Ministero dell’Imparare. Sarebbe stata una sintesi bellissima tra istruzione e educazione, parole spesso usate in modo inappropriato.

Listruzione si colloca al centro dello sviluppo sia della persona sia della comunità; il suo compito è quello di consentire a ciascuno di sviluppare pienamente i propri talenti e di realizzare le proprie potenzialità creative, compresa la responsabilità per la propria vita e il conseguimento dei propri fini personali.”

Sono sempre parole del Rapporto Delors o il cervello le possiede e da qui muove per ragionare di scuola, di istruzione delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, del loro futuro o tornano solo le vecchie parole trite e ritrite che segnano la povertà di pensiero della politica, a Destra come a Sinistra, nel nostro Paese.

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Ministero dell’Istruzione e del Merito? Dal 1999 fino a Bianchi non ha meritato più di un 4 e mezzo

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Guglielmo Rispoli

Dunque sarà Ministero dell’Istruzione e del merito.

Sono il profilo politico guardando da destra, da sinistra o da centro si possono fare tutte le legittime ipotesi (probabilmente tutte errate) con riferimento al proprio legittimo punto di vista ma anche col rischio di incorrere nei pregiudizi tipici di una popolazione che ragiona per approssimazione e luoghi comuni e dimenticando, parlo per i presunti progressisti, che il novecento è finito.

Questo mio contributo analizza il rapporto tra Scuola e Merito focalizzandosi sul ruolo e il successo delle azioni di Ministero dal 1999 ad oggi (vari governi di destra e centro destra e vari governi di centrosinistra).

Senza ombra di dubbio l’Amministrazione della Scuola della Repubblica Italiana è immeritevole.
Vediamo insieme perché prendendo dati conosciuti e significativi.

#01_ I dati della corruzione della politica e il numero dei processi la dicono lunga sullo scarso merito degli amministratori pubblici intesi come categoria e non come singoli. Anche nel Ministero dell’istruzione ci sono stati recentissimi casi di inquinamento e di tangenti, fatti inaccettabili.

Voto in decimi: 4emezzo – grazie al lavoro indefesso ed onesto di tanti.
Giudizio descrittivo: si può e si deve fare di più. Diamo spazio e visibilità alla qualità del lavoro dell’onesto personale amministrativo dal Ministero agli UUSSRR, alle singole Scuole

#02_ I dati relativi ad uno snellimento delle procedure connesse con il funzionamento amministrativo della scuola ci dicono che il Ministero dell’Istruzione – secondo le analisi e le richieste delle associazioni professionali dei dirigenti come delle sigle sindacali – lavora quasi all’incontrario. Pur in un regime di autonomia organizzativa, didattica, curricolare, di formazione e sperimentazione delle singole scuole (DPR 275/99) il Ministero ha prodotto ed inviato decine di migliaia di note, circolari agli UUSSRR ed alle Istituzioni scolastiche. Testi lunghissimi con centinaia di milioni di parole e con un lessico non sempre lineare, coerente, pragmatico, chiaro, concreto, efficace e efficiente, quanto poi non corretto da smentite e correzioni.
La macchina amministrativa del Ministero dell’Istruzione (con o senza altre definizioni ed aggettivi) è elefantiaca ed ottocentesca. Oramai ha nettamente superato la funzione positiva di visione weberiana come supporto all’organizzazione sociale di un pezzo importante del nostro Paese e – pur con il digitale – non ha fatto altro che trasformare le carte esistenti ancora negli anni novanta e poco prima del duemila in una ancòra più grossa elefantiaca macchina di produzione di contorte procedure da svolgersi su piattaforme da personale che non può fermarsi mai (DS, Dsga, assistenti amministrativi, docenti collaboratori del ds): le scuole rispondono di continui controlli come se fossero evasori che devono dimostrare tutto ciò che fanno alla Guardia di Finanza.
Questa sovrabbondante produzione non solo ha scarsa funzione comunicativa e di organizzazione aziendale ma è di fatto un continuo sgambetto al funzionamento delle strutture scolastiche che hanno come mission principale l’organizzazione del lavoro nei vari edifici (e plessi) e l’organizzazione della didattica e dei servizi connessi.
Distrarre il personale amministrativo e docente come gli stessi dirigenti scolastici è un’autentica azione di sapiente boicottaggio rispetto alla Mission istituzionale.
Occorre liberare la scuola dall’eccesso di orpelli.

Voto in decimi: DUE – inqualificabile
Giudizio descrittivo: sul piano dell’organizzazione aziendale il Ministero è tutto da rivedere

 #03_ La selezione del personale della Scuola incide negativamente sull’assetto organizzativo e didattico delle scuole italiane.

Fino alla fine degli anni novanta abbiamo avuti eccellenti dirigenti tecnici per lo più sempre meno valorizzati dal Ministero ed il cui organico, che andava potenziato in vista delle tante innovazioni dal DPR 275/99 ad oggi, è stato quasi oscurato e bloccato. Il numero sotto organico degli attuali dirigenti tecnici è talmente inconsistente che di fatto le singole scuole sono da un lato totalmente dipendenti – a livello amministrativo dal centro (leggasi viale Trastevere) – con quasi nessun raccordo ed aiuto organizzativo – formativo – didattico che non siano le centinaia di mail al mese. Chiunque capirebbe che è un sistema caotico e contraddittorio.
La selezione del personale dirigente delle scuole non era ineccepibile, ma la verità è stata che la selezione precedente era maggiormente efficace ed efficiente. Prova ne sia l’altissima selezione nell’ultimo concorso a Direttore didattico (1995) che ha visto il numero di vincitori inferiore al numero dei posti. Soprattutto quei direttori didattici oggi dirigenti scolastici (al netto dei pensionati) sono stati e sono tra i migliori dirigenti scolastici dell’intero sistema scolastico italiano. Quasi nessuno di quella generazione è stato oggetto di nomine per meglio coordinare i processi di innovazione e miglioramento pur in presenza, fin dal 2013, di uno specifico decreto ministeriale (n.80/2013).
Le selezioni successive, basate principalmente sui quiz e con prove orali anche di 4-5 minuti, hanno prodotto non pochi errori che non possono che essere attribuiti al sistema in sé. Certamente l’uso dei quiz demotiva e rischia di escludere le personalità più creative ed intelligenti.
La selezione del personale docente è farraginosa. Lunga, poco tecnica, nessuna considerazione delle attitudini con accuse reciproche tra amministrazione e organizzazioni sindacali sulle modalità ed oi visibili risultati di ritardo e qualità.
Prima di fare i soliti sbiaditi confronti europei occorrerebbe avere il coraggio di pubblicare e rendere note le modalità di selezione, le tempistiche, il valore aggiunto delle attitudini esistenti dal Portogallo alla Slovacchia, dalla Francia alla Svezia, dalla Germania alla Grecia.

Voto in decimi: zero per la selezione dei dirigenti tecnici
Voto in decimi: quattro e mezzo per la selezione dei dirigenti scolastici
Voto in decimi: tre per la selezione del personale docente

Giudizio descrittivo: il Ministero dell’Istruzione è oggettivamente inefficace ed inefficiente

 #04_ L’organizzazione della Didattica nella scuola italiana non è all’altezza della media Europea. Viene continuamente ricordato in tanti convegni e seminari e le statistiche delle prove INVALSI non fanno che ribadire un concetto di fondo che riguarda tutti: l’azione didattica della Scuola, dalla sua Direzione Generale del Ministero agli UUSSRR di tutte le Regioni, alle Dirigenze Scolastiche degli II.SS.AA. è poco aiutata e valorizzata.
L’impatto dell’azione di prevenzione dell’insuccesso scolastico è opaco o molto minimo rispetto all’ingresso a scuola di generazioni di bambini e ragazzi sempre meno aiutati a vivere bene la scuola ed imparare.

Il personale docente della scuola mal selezionato, mal retribuito, mal formato anche in discipline oggetto di rilevazioni nazionale, presenta preoccupanti sindromi di malessere della categoria per questa impotenza generale e specifica nella gestione annuale e quotidiana, come nell’inclusione, come nella promozione del miglior rapporto insegnamento-apprendimento.
Se non si pone rimedio ai fattori brevemente analizzati #01, #02, #03 appare evidente che ogni azione tendente al miglioramento della qualità generale e specifica rischia di far rilevare a valle ulteriore spreco di risorse economiche e professionali. Le scuole che eccellono spesso sono quelle che appartengono a territori privilegiati, hanno casualmente una leadership colta e preparata su vasti terreni, hanno casualmente un team di alta qualità. Nel primo caso la qualità può durare nel secondo e terzo caso appena cambia il dirigente o il team si sgretola per pensionamento e trasferimento di validi docenti i risultati si modificano.

Voto in decimi: quattro e mezzo
Giudizio descrittivo: la gran parte dei dipendenti anche dirigenti scolastici e tecnici ritiene che al Ministero non interessa quasi per nulla l’organizzazione della didattica.

Probabilmente è un effetto di appercezione. In varie parti del Ministero qualcosa si muove e si è mosso ma è poco seguita e valorizzata e soprattutto ad ogni cambio della politica molte azioni si bloccano

Breve analisi e breve conclusione

Questo contributo è nato per dare un aiuto di lettura di sistema a chi tiene alla Scuola Italiana ed al suo miglioramento come sistema dell’Istruzione e della formazione che punti all’inclusione ed al successo formativo di tutti e di ciascuno.
È inutile oltre che dannoso sventolare genericamente una parola – come merito – che di per sé non ha valore né positivo né negativo.
Senza un’analisi seria aggiungere la parola merito è solo la sostituzione di una mattonella in un bagno in cui l’acqua non si riscalda male, le altre mattonelle si sono crepate, la finestra non si chiude più e la porta è stata tolta da anni.
La mia opinione rimanda all’evidente importanza di tutte le teorie sistemiche; la più vicina alla scuola è quella di Bronfenbrenner.
Si può giocare a modificare le etichette e le tipografie che producono adesivi e carte intestate saranno felici ma se non si affrontano sistemicamente le questioni realizzando probabilistiche azioni di successo almeno in termini di efficacia, cioè come causa effetto avremo la conferma che:

  • Non si sa fare.
  • Non si vuole fare.
  • Non si deve fare.

Sollecitare il merito dei docenti in questo momento mi sembra ridicolo sulla base di quanto analizzato e con riferimento a reclutamento, retribuzione, motivazione, opacità della definizione degli obiettivi standard.

Se il merito fosse riferito agli alunni (e successivamente esprimerò la mia documentata opinione anche con riferimento alle famose questioni sull’uguaglianza delle opportunità) sarebbe oltre che ridicolo anche drammatico ed un po’ criminale visti i problemi di povertà sociale ed economica di milioni di persone in Italia come da dati dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT).

Altro che merito !!!

Si potrebbe spiegare quanto analizzato alla gente semplice e forse faremmo tutti una figura meno meschina se la proposta di trascrivere Ministero dell’Istruzione e del merito fosse al momento sospeso visti i debiti amministrativi, organizzativi, morali e funzionali accumulati dal Ministero dell’Istruzione (diretto da politici di destra e di sinistra) verso la comunità, i dipendenti, le famiglie ed i bambini ed i ragazzi. 

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