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Clotilde Pontecorvo, studiosa di psicologia dell’educazione

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di Pietro Netti

Qualche giorno fa ci ha lasciati Clotilde Pontecorvo, maestra, studiosa e ricercatrice, tra le più importanti esperte italiane ed internazionali di psicologia dell’educazione e di processi di apprendimento.
Nata a Roma, scampata bambina alle persecuzioni nazifasciste, nel 1959 aveva conseguito la Laurea in Filosofia alla Sapienza con una tesi sul liberalismo politico di Benjamin Constant.
Professore emerito dell’Università Sapienza di Roma dal novembre 2009.
Fino ad allora era stata Professore di Psicologia dell’alfabetizzazione e di Psicologia dell’interazione discorsiva presso il medesimo ateneo.
Dal 1998 Ordinario di Pedagogia all’Università di Salerno e di Roma, dal 1976 al 1983 di Psicologia dell’Educazione.
Dal 1984 al 1997 è stata, nei due trienni 1983/1985 e 1997/2000, Direttore del Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza”.
E’ stata coordinatrice dell’ESF Network on Writing and Written Language.
Promotrice infaticabile della collaborazione tra università, insegnanti e scuole, ha ispirato la migliore politica scolastica degli ultimi 40 anni, esaltando in particolare la scuola dell’infanzia e la primaria.
Fondamentale il suo apporto ai lavori della commissione ministeriale che ha redatto gli indimenticabili e per molti versi insuperati Orientamenti per la Scuola dell’Infanzia del 1991.
Tra i molti temi di cui si è occupata nei suoi studi le modalità di acquisizione della lingua scritta, lo sviluppo di concetti sociali attraverso la discussione, i rapporti tra argomentazione e pensiero in contesti educativi, familiari e scolastici, il curricolo e lo sviluppo cognitivo in diverse aree, sulla formazione degli insegnanti, sulla continuità educativa.
Numerosi i libri e le pubblicazioni di cui è stata autrice. Tra gli altri: “La scuola come contesto. Prospettive psicologico-culturali” (Carocci), “Famiglie all’italiana. Parlare a tavola” (Carocci), “Psicologia dell’educazione” (Giunti), oltre a più di 200 articoli in svariate riviste internazionali e nazionali, capitoli in testi collettanei e circa 30 monografie.

Divari territoriali, valutazione senza voti, bocciature

Stefaneldi Stefano Stefanel

In questa fase della scuola italiana, che coincide con l’avvio del PNRR, sulla scuola si stanno abbattendo alcuni dibattiti solo apparentemente distanti tra loro, che ruotano tutti attorno ad un’unica “ragione sociale”: selezionare o includere. Tutto quanto viene discusso, però, lo è in maniera un po’ convulsa e non sempre gli obiettivi del sistema sembrano essere chiari a tutti.

Per i così detti divari territoriali un congruo numero di scuole ha ricevuto complessivamente 500 milioni di euro dallo stato (circa 250.000 euro a scuola), con uno stanziamento comunicato a giugno, quasi come un fulmine a ciel sereno, visto che le scuole nulla avevano chiesto. Anche i parametri indicati dal Ministero, per decidere il finanziamento, hanno individuato situazioni di criticità non ritenute critiche da molte scuole e hanno fatto pervenire cospicui finanziamenti per sanare situazioni problematiche che alcune scuole non ritenevano di essere tali. In attesa delle Linee guide sull’argomento sono però già trascorsi quasi cinque mesi dall’invio della comunicazione e l’anno scolastico 2022/23 ha già percorso un tratto della sua strada. In questo clima e con il passaggio del ministero alla destra si sta sviluppando anche un dibattito sul voto numerico e la sua eliminazione, sul concetto di valutazione formativa in contrapposizione a quella sommativa. La valutazione attraverso voto numerico e il concetto stesso di bocciatura (ripetere nell’anno successivo tutto quello che si è fatto nell’anno precedente) vanno nella direzione di aumentare i divari territoriali e la dispersione e dunque un ragionamento sulla valutazione sta in stretto rapporto con gli elementi da introdurre per recuperare questi divari.

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Quando c’erano gli istituti magistrali

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di Libero Tassella

Gli Istituti magistrali soppressi da Luigi Berlinguer erano corsi finalizzati all’insegnamento con una serie di materie caratterizzanti (filosofia, pedagogia, tirocinio).
Inoltre le maestre, in funzione dei concorsi ordinari che sostenevano tutte, affinavano in un secondo momento la loro preparazione tecnica; i corsi di preparazione erano gestiti da Direttori Didattici e da Ispettori che allora erano persone di una vasta cultura, poi nella pratica d’insegnamento acquisivano sempre maggiori conoscenze attraverso corsi di aggiornamento e si abbonavano a riviste come Scuola Italiana Moderna con i suoi vasti apparati didattici dell’editrice La Scuola (quelle cattoliche e democristiane) o come Scuola e Città della casa editrice la Nuova Italia (quelle socialiste e comuniste).

Comunque in ambedue i casi l’insegnamento era visto come una continua ricerca per lo meno un’avanguardia così lo considerava e si trascinava le altre e gli altri con una qualità medio-alta di insegnamento, nasceva in Italia la ricerca educativa e un dibattito sulla nuova didattica; è in questo clima che nacque l’integrazione dei disabili e si crearono le premesse per la legge 517 del 1977; il modo di fare scuola cambiava ma con la consapevolezza di formare il cittadino del futuro e un preciso riferimento alla Costituzione Repubblicana con una forte tensione etica.
Questa scuola che ha formato generazioni di italiani oggi è scomparsa.

Alla scoperta dell’intimità

di Giuliana Sarteur

Negli ultimi anni è aumentata l’attenzione per l’importanza dell’educazione sessuale;
se ne sostiene fermamente l’inizio in età precoce a seconda dello stadio di sviluppo
dei bambini e degli adolescenti.
Un inizio precoce ha il vantaggio che i bambini e gli
adulti possono trovare gli argomenti meno imbarazzanti.
Il concetto fondamentale pare essere quello di salute sessuale che non comprende
solo contraccezione e prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale, ma
conoscenza del corpo e dei messaggi che esso invia.
Nel percorso educativo di formazione ed informazione spesso dimentichiamo i nuovi
connotati tecnologici della società: quella in cui oggi viviamo è la società dello show
continuo: siamo famosi se siamo visibili, continuamente connessi.
Allora diventa importante e necessario riparlare di intimità, di cura delle emozioni, del tempo da
dedicare alle attività e alle relazioni.
Se tutto diventa fluido, accessibile, possibile; se non esistono limiti e divieti non si attivano i percorsi trasgressivi ed esplorativi dei giovani verso l’attivazione della propria indipendenza e delle proprie fantasie.

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Saper scrivere, per mettere ordine nelle nostre idee

di Raimondo Giunta

La parola ci aiuta a tenere a bada, a regolare la molteplicità delle cose che fanno parte del nostro mondo e delle nostre esperienze.
Ci costringe a mettere ordine nelle nostre idee, a dare una direzione alla nostra volontà. In questo modo crea lo spazio delle nostre relazioni e la possibilità, se lo si vuole, di metterci d’accordo, di comunicare, di dialogare. Nella parola scompare la particolarità, l’individualità della cosa; vi rimane attaccata la sua essenza, l’eidos, come dicevano i greci, l’immagine che ci facciamo della cosa e che per questo diventa il significato del nome che la indica.

La parola “orale” è immediata, fisica, contestuale; si accompagna alle emozioni e le provoca.
E’ la parola della conversazione, dell’ascolto, della rabbia, della gioia, del pianto. La sussurri, ma la puoi anche gridare, mettendoci tutta l’anima. la Parola scritta è di suo astratta, riflessiva, malleabile modificabile, reversibile. E’ muta e per questo adatta al dialogo interiore.

E’ la parola da leggere, che è nello stesso tempo un vedere e un ascoltare, anche se la pronunci in silenzio; ma richiede tempo, richiede la separatezza del raccoglimento; richiede attenzione: risorse tutte in via di estinzione nell’universo della chiacchiera multimediale e della nostra vita quotidiana.

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La giornata della libertà senza libertà

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disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Giuseppe Bagni

(per gentile concessione dell’autore e della rivista Insegnare)

Non sorprende che il nuovo governo riproponga il mantra storico delle destre sul comunismo e la sua storia, sorprende che lo faccia il Ministro dell’istruzione che sarebbe tenuto a garantire la libertà di insegnamento e la qualità dell’apprendimento nella scuola.
Il ministro con la sua lettera ci offre un ottimo esempio di quello che non deve mai fare un insegnante: dare un giudizio sul passato e imporre una visione ufficiale della storia invece che garantire gli strumenti per saperla leggere.

La scuola, in un paese democratico, si fonda sul pluralismo delle idee, sulla piena libertà di esprimerle e metterle a confronto. Se proprio vuol scrivere di storia, il Ministro si ricordi che essa ci insegna che è caratteristico dei paesi non democratici proporre un’ideologia di Stato e avere ministri incaricati della propaganda.

Il professor Valditara lasci le lezioni agli insegnanti. Che se tratteranno del percorso accidentato e tortuoso della libertà nella storia parleranno della caduta del muro di Berlino come il momento di una svolta epocale, non dimenticando tutti i momenti che nella storia europea, e anche del nostro paese, hanno segnato l’avvento di regimi nemici della libertà e della democrazia.

Non possiamo non commentare le parole del Ministro, ma vorremmo evitare di commettere ancora una volta l’errore di inseguire l’agenda delle priorità che stabilisce il governo. Prima il nuovo Ministero del Merito, poi la Giornata della Libertà.
Non sono questi i problemi veri della scuola, tantomeno del Paese. Queste sono uscite identitarie alla pari del decreto “rave”, delle navi Ong e migranti, dell’ergastolo ostativo, del tetto al contante, delle trivelle libere, dei medici novax in corsia, e degli altri provvedimenti che arriveranno con la stessa logica.
Segnali di fumo per indicare il cambiamento, ma anche tanto fumo negli occhi che testimonia un’impotenza verso le emergenze e i problemi reali.

Ma vogliamo davvero parlare di “libertà”? Se il ministro permette, gli spieghiamo noi qual è la libertà che vogliono i nostri ragazzi e le nostre ragazze.
La libertà di immaginare un futuro dove realizzare le proprie aspettative, che liberi dalla prigionia di un presente fatto di lavoro precario senza un domani.
La libertà di vivere al sud e nelle tante altre zone “disagiate” del nostro Paese senza portarsi sulle spalle quel disagio per tutta la vita.
La libertà di crescere in Italia senza dover scappare all’estero per trovare uno straccio di lavoro dignitoso. Oggi gli italiani che se ne vanno sono più degli stranieri che arrivano e dei fuggiti dall’Italia 1,2 milioni hanno tra i 18 e i 34 anni.
La libertà di sentirsi a casa nella propria scuola, “meritevoli tutti” di essere accompagnati fino dove consentiranno le potenzialità di ciascuno e ciascuna.

Non serve loro una Giornata della Libertà, serve una prospettiva di libertà. La storia è importante, ma non festeggeranno la caduta di un muro del passato quando tanti se li trovano davanti nel presente e tanti ne troveranno nel futuro.

Portfolio e pregiudizio

di Marco Guastavigna

Lo dico spesso, forse troppo: io ho avuto la fortuna di cimentarmi con un percorso formativo, culturale e professionale lontanissimo dalla mia laurea in Lettere, nel 1975, il cui unico (ed esclusivamente funzionale) passaggio tecnologico fu la battitura a macchina della tesi di laurea in bozza, con successiva normalizzazione in copisteria.

L’incontro con i dispositivi digitali avvenne dopo e per caso: a scuola c’erano un collega e uno studente dotati di Spectrum Sinclair e sotto casa aprì un negozio – siamo a metà degli anni ’80 – che vendeva Commodore 64. E così ho cominciato l’esplorazione, che continuo tuttora: cercare senso e significato con valenza intellettuale, politica e didattica analizzando e valutando aspetti operativi e cognitivi. E rifuggendo dagli slogan del pensiero unico della mistica dell’innovazione, la peggior forma di dominio tecnocratico possibile.

In quegli inizi accadde però un episodio che avrebbe dovuto mettermi sull’avviso su ciò che mi aspettava: ero in una scuola media, nell’aula degli audiovisivi, attigua a quella dove erano collocati un paio di C64 e alcuni Olivetti M24, quando entrò un’ausiliaria che non mi aveva mai visto prima. Vedendomi trafficare con quegli oggetti mi disse: “Lei deve essere il nuovo insegnante di educazione tecnica”. Non ricordo se delusi questa fortissima e limpida convinzione, ma l’aura che emanavo allora mi ha perseguitato per tutti i decenni successivi.

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