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Archivi autore: redazione

Scuola della cooperazione e della solidarietà vs scuola del “merito”

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di Claudia Mossina
Presidente Regionale AIMC Piemonte
(il documento è stato deliberato dal Consiglio Regionale Piemonte dell’AIMC il 23.11.2022)

Dall’Art 34 della Costituzione
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
“Ministero dell’istruzione e del merito” è il nuovo nome attribuito al ministero che sovraintende alla scuola: ma quale declinazione ha, nell’intenzione del governo, il termine “merito”?
Riteniamo che sia un diritto della persona meritarsi il massimo possibile dalla scuola, vedere riconosciute e potenziate le sue capacità e accolte le sue fragilità.
“Nella vita della scuola il significato del merito coincide con il potenziamento dei propri talenti” dice Recalcati.
Enfatizzare il “merito” senza declinarlo può essere una forma di valutazione che utilizza standard elevati di successo scolastico senza tener conto dei punti di partenza e discriminando di fatto gli studenti che partono da situazioni svantaggiate culturalmente e socialmente o anche fisicamente.
La scuola, anche se faticosamente, sta cercando di offrire a tutti gli studenti percorsi di inclusione e di valorizzazione, anche delle diversità. Da cinquant’anni, dalla legge 517 del 1977, studi e formazione hanno cercato di fare breccia in una scuola orientata alla selezione, che tutto era, e in qualche area ancora è, fortemente selettiva.
La scuola cerca di educare i ragazzi alla cooperazione, alla solidarietà utilizzando metodologie nate appositamente per far loro sperimentare la bellezza del “darsi una mano” e del “fare insieme”. La sottolineatura del merito rischia di andare nella direzione opposta potrebbe se non ben orientata, essere un invito all’individualismo estremo, alla legittimazione della competitività negativa.
Chiediamoci quali cittadini di domani vogliamo! E di conseguenza quale scuola immaginiamo.
Quella che punta al miglioramento di tutti e quindi anche ad un progressivo innalzamento del livello sociale e culturale della società, (vedi le scelte di reintrodurre l’Educazione civica!) o quella che scava solchi ancora maggiori tra ricchi e poveri, tra fortunati e sfortunati, ecc.?
È uno scenario che come insegnanti, e come insegnanti cattolici in particolare, non vogliamo considerare!
Proprio come insegnanti non possiamo non prendere in considerazione anche il “merito” come espressione e declinazione della propria professionalità. Gli studenti, tutti, “meritano” di avere docenti preparati e motivati, docenti che danno il meglio di sé, che investono le loro migliori competenze ed energie nella didattica quotidiana!
Il congresso Nazionale, indetto per il 3-5 gennaio 2023 invita a camminare verso il dialogo, la collaborazione e l’innovazione.
Noi crediamo infatti nelle persone, nel loro diritto ad una crescita e ad una formazione che sia la più aperta ed efficace possibile, lavoriamo non per il successo scolastico di pochi ma per il successo formativo di ciascuno e riteniamo questo nostro impegno indice di alta professionalità, un impegno irrinunciabile che non va compromesso ma sostenuto dal governo con una concreta (in termini di azioni, risorse, scelte) azione di valorizzazione della scuola.

 

Educare umiliando. L’audace e rivoluzionaria teoria pedagogica di Giuseppe Valditara, Primo Ministro MIeM

di Aristarco Ammazzacaffè

È da un paio di giorni che il Neoministro Valditara non esterna. E questo preoccupa.
C’entra il Covid? O l’influenza stagionale? O piuttosto la Presidente Giorgia, preoccupata per le reazioni, a dir poco scomposte, contro il Neo, prodotte dalle sue uscite ultime e penultime (e fermiamoci lì)? O c’entrano i poteri occulti? Soros, pescando a caso, antiputiniano com’è, c’entra o no?
Sta di fatto che il neoministro non esterna più e questo mette ansia ansiogena e pone interrogativi densi e intensi, a pensarci bene.
La domandona: – Perché non si è apprezzato il gesto audacemente educativo del Nostro che fa retromarcia e chiede addirittura scusa per un termine usato forse impropriamente?

Il fatto è noto. Durante un evento a Milano di alcuni giorni fa, a proposito di ragazzi violenti, che purtroppo non mancano nei nostri istituti, il Ministro afferma che quello che la scuola deve fare è umiliarli, costringendoli, non – si badi bene – con pugni nello stomaco o frustate sulla schiena nuda, ma solo obbligandoli a fare dei lavori socialmente utili.
Interrogativo: – Anche presenti i propri compagni, o altro personale che passa per i corridoi? –
Perchè no? Se con queste esperienze soprattutto – argomenta il Neo – il ragazzo riconosce questa esperienza come passaggio denso di significato formativo e culturale?

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La protesta dei docenti di primaria laureati ISEF

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Le recenti disposizioni in materia di insegnamento dell’educazione motoria nella scuola primaria creano l’opportunità di inserire docenti specializzati e forniti di apposito titolo di studio.
La norma, però, sta creando una situazione poco condivisibile perché non consente ai docenti già di ruolo nella primaria a già laureati Isef di essere utilizzati quest’anno nelle classi V e, a partire dal 2023/24, anche nelle IV,
Un gruppo di docenti che si trovano in questa condizione ci ha fatto pervenire un documento (una lettera aperta al Ministro dell’Istruzione e del Merito) che la nostra associazione ha fatto proprio nel corso dell’ultima seduta del direttivo e che ora proponiamo alla attenzione di tutti.

Leggi il documento 

Il Ministro dell’Umiliazione Nazionale

di Giovanni Fioravanti

In un celebre Fioretto riportato dai libri di lettura della mia infanzia, san Francesco spiega a frate Leone cosa sia la “perfetta letizia” alla quale la laica e pagana resilienza neppure assomiglia. La perfetta letizia è il piacere d’essere umiliato, vilipeso, una sorta di masochismo esaltato come ascesi. Non so se l’attuale ministro dell’istruzione e del merito (diciamolo tra parentesi, già il merito puzza di umiliazione per quelli che merito non hanno) sia un terziario francescano, certo è a digiuno, per stare nell’ascesi, di pedagogia, per lo meno di quella non nera.

Di fronte all’uscita, rivelatrice, del Ministro mi è tornata immediatamente alla mente l’iniziativa del suo alleato di governo, onorevole Maurizio Lupi, che nella scorsa legislatura si fece promotore di un disegno di legge per introdurre nei programmi scolastici della Repubblica l’educazione alle competenze non cognitive.
Ecco che il ministro l’ha preso in parola, pensando bene di iniziare con l’educare all’umiliazione; competenza indubbiamente non cognitiva, con i lavori socialmente utili come conseguenza punitiva. Tenere pulita e in ordine l’aula dove lavori e studi è umiliante, perché è come se fosse una punizione. Bella educazione a proposito di educazione civica, materia reintrodotta al posto di Cittadinanza e Costituzione!

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A volte ritornano. Il merito 10 anni dopo. Finalmente si fa sul serio!

di Aristarco Ammazzacaffè

Subito e pubblicamente: un portentoso apprezzamento per il neoministro Valditara e lo sforzo che ha fatto e sta facendo, lui e il suo governo, per fare capire a testardi e prevenuti (e ce n’è in giro) cosa effettivamente sia e significhi merito e come si debba onorare.

E ancor prima, dargli atto che la scelta di aggiungere a ‘Ministero dell’Istruzione’  ‘e del merito’, è decisamente rivoluzionaria e benedetta.
(Chi non ci crede è però giustificato. Siamo in democrazia)

Comunque, se posso – all’interno di queste note – rivolgermi direttamente a lei, gentile signor Ministro, per dirle che io l’ho capita bene.
Io leggo sempre le sue interviste e dichiarazioni. E le sue parole d’ordine: Merito come lotta al privilegio, e (addirittura) come lotta contro una visione classista della società, le trovo fulminanti, in senso letterale, mi creda.
Nette al riguardo le sue affermazioni: ‘La scuola di oggi è classista’. ‘Non è la scuola dell’uguaglianza’.  (Sic, a chiare lettere, nell’intervista al Corriere del 31 ottobre).

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Se 80mila abbandoni vi sembran pochi

di Raimondo Giunta

La ricerca “Quanto futuro perdiamo?” promossa dall’impresa sociale “Con i Bambini”, presieduta da Marco Rossi Doria, e realizzata dall’Istituto Demopolis”, nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà minorile rivela un dato sul quale si dovrebbe meditare seriamente, perché rivela un quadro di fragilità sociale, in cui può perdersi una frazione consistente delle nuove generazioni.

Nell’anno scolastico passato oltre 80 mila studenti sono stati respinti per il numero delle assenze. E’ un fatto di evidente gravità che un numero così grande di studenti abbia regolato il proprio rapporto con la scuola assentandosi; un fenomeno vero e proprio di rigetto della scuola, che dovrebbe rappresentare una sfida culturale ed educativa da affrontare con energia e con le necessarie misure di contrasto.

All’origine di questa emergenza educativa gli italiani, secondo questa ricerca, pongono i problemi relativi alle strutture, perché troppo vecchie (64%); la carenza di attività di recupero per i ragazzi in difficoltà (58%) e l’inadeguatezza delle strategie che vengono attivate (63%); la scarsa motivazione degli insegnanti (56%).
ll fenomeno della dispersione e dell’abbandono è considerato un problema dal 53% della popolazione e viene percepito in via di peggioramento. Al centro del problema vengono collocate la fragilità del contesto familiare d’origine (74%), l’inefficacia delle istituzioni locali nel trattare il problema (58%), la vacuità del sistema di relazioni famiglia, scuola, istituzioni (57%).

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Il volto gesuitico dei voti

di Giovanni Fioravanti

Era facilmente prevedibile che l’attenzione dal merito scivolasse sui voti. È stato sufficiente  il lancio di stampa che al liceo Morgagni di Roma si sperimenta la scuola senza voti  che l’italico qualunquismo pedagogico si scatenasse, come se una scuola senza voti fosse destinata all’estinzione.
Del resto, se questo governo ritiene che l’istruzione deve essere sorretta dalla stampella del merito, è evidente che una scuola senza voti è una pugnalata alla schiena. Il merito per essere tale necessita di una graduatoria, appunto la graduatoria di merito, e a scuola le graduatorie (come tante altre cose) dai tempi della gesuitica ratio studiorum si fanno con la scala ordinale dei voti in numeri o in lettere come nei paesi anglosassoni.

Quando l’idraulico viene a casa ad aggiustarmi la doccia che non funziona, al termine del suo lavoro non gli do un voto, lo pago sulla base della fattura che mi rilascia. O ha riparato la doccia o non l’ha riparata, è abile o non è abile, è competente o non è competente. In definitiva funziona una logica binaria.
Tutta la nostra vita poggia sull’aperto/chiuso, dentro/fuori, sopra/sotto, negativo o positivo.

A scuola no. La logica è quantitativa, il sapere va a peso. Domina la domanda che la figlia fa al padre in un famoso metalogo di Gregory Batison: “Papà, quante cose sai?”
E siccome il sapere non si può pesare e neppure misurare è compito degli insegnanti impilarlo nella scala decimale, ne va del loro ruolo, della loro autorità, del loro prestigio sociale.
Il voto è un potente ricatto, una punizione morale double face che fa dello studente un somaro come un secchione. È comunque l’anima del profitto scolastico, l’incentivo a studiare.

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