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Archivi autore: redazione

“Scuola media unica”: sessant’anni portati male

di Giovanni Fioravanti

La scuola media unica ha sessant’anni, la legge istitutiva li ha compiuti il 31 dicembre scorso. Anche la sua gestazione è stata lunga, circa altri sessant’anni prima di vedere la luce. Nel 1905 la Reale Commissione, istituita per volontà dell’allora ministro dell’istruzione Leonardo Bianchi, si era pronunciata a favore della scuola media unica, ma l’opposizione si manifestò subito soprattutto da parte liberale e socialista, tanto che si opposero Salvemini e Galletti, Croce, Gentile e Codignola. Poi come è andata la storia è ormai cosa nota.
Del resto nel dicembre del 1962 a votare contro la legge numero 1859  non furono solo missini e monarchici, ma anche i comunisti, sebbene con motivazioni differenti.

Ma di scuole di “mezzo” non ne abbiamo più, né inferiori né superiori. L’istruzione è ora organizzata per cicli: primo e secondo. Poi le scuole sono primarie e secondarie.

L’articolo 1 della legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 affidava alla scuola media unica il compito di concorrere “a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi della Costituzione” e a favorire “l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva”.
Cinquant’anni dopo, nel 2012, le Indicazioni nazionali per il curricolo del Primo Ciclo, a proposito di finalità da affidare alla scuola, puntano direttamente allo scopo: “La finalità è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base”.

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Signor Ministro, Lei lavora troppo… e male

di Mario Maviglia

Su queste stesse colonne, qualche settimana fa, abbiamo stigmatizzato il grande attivismo del Ministro del Merito Valditara (Signor Ministro, Lei lavora troppo!). Ora il Ministro ha superato se stesso con un altro audace e impavido intervento.
Ma andiamo con ordine. Qualche giorno fa, la Rete degli Studenti di Milano ha manifestato contro l’Inail che ha negato il risarcimento alla famiglia di Giuliano de Seta, morto durante un progetto di alternanza scuola-lavoro nel mese di settembre 2022. Gli studenti della stessa Rete in un comunicato apparso sui social hanno affermato che “le tre morti che si verificano ogni giorno sul lavoro, oltre ai tre studenti morti in stage, non sono morti bianche, bensì posseggono dei mandanti ben precisi: da Confindustria a Mario Draghi, dall’Inail a Valditara, tasselli che compongono il mosaico di un sistema ora più che mai schiavo del profitto e del tutto disinteressato al capitale umano utilizzato per generarlo.”

Questo comunicato non è piaciuto al Ministro del Merito che ha affermato: “Ho dato mandato ai miei avvocati di querelare i responsabili di queste dichiarazioni infamanti e gravemente diffamatorie. Con gli autori di questi comunicati non voglio aver nulla a che fare.”

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Un ministro meritologo. E molto altro

Stefaneldi Aristarco Ammazzacaffè

Il sogno di una vita.

“E l’Italia giocava alle carte e parlava di calcio nei bar e … rideva e cantava” (Gaber).
E Valditara studiava. Studiava soprattutto i primi passi, e anche i secondi, per dare concretezza alla scuola del Merito. Sembra addirittura che meditasse, già di prima di diventare ministro, di proporre all’Università Europea ‘Legionari di Cristo’ – di cui, come è noto, è promotore e preside – di istituire la facoltà di Meritologia.
E pensava.

Quest’idea quindi lo agitava da sempre. Infatti è da almeno tre legislature tre, da quando cioè è parlamentare, che desiderava diventare Ministro dell’Istruzione, soprattutto perché – udite! udite! –  voleva modificarne la denominazione.
Non gli piaceva quella adottata. Era monca e povera – diceva -. Sostanzialmente egli  mirava a integrarla con una parola che per lui era soprattutto un valore e una ragione di vita: MERITO. Tutto maiuscolo. E così passare alla Storia (ci teneva veramente tanto).

Col nuovo governo, che finalmente corona il suo sogno di diventare ministro, si presenta la grande l’occasione.
Ma non sapeva come centrare tale obiettivo. E questo gli creava depressione. Addirittura incubi notturni. Del tipo: sognare di essere davanti ad una commissione, formata tutta da gente di sinistra – povero! – dai volti accigliati e anche brutti (tra l’altro)  che lo interrogava in modo truce sulle competenze di ministro; e lui, in preda al terrore non riuscire ad aprire bocca. E sudava e stralunava.
Questo, almeno a dar retta ai suoi racconti. (Alcuni che ne sanno insinuano invece che non apriva bocca perché era a digiuno delle cose più elementari sul mondo della scuola. Sarà vero, non sarà vero? Nel dubbio, personalmente mi astengo).

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Didattica del recupero o didattica da recuperare?

di Simonetta Fasoli

Ho letto in questi giorni in articoli dedicati alla scuola nell’ambito del territorio romano, spesso con toni comprensibilmente allarmati, dati e commenti circa l’avvenuto, sensibile incremento di corsi pomeridiani di recupero attivati nelle Scuole primarie. Ricorre il tema delle competenze linguistiche basilari (si parla di “comprensione del testo”) e logico-matematiche in vistosa carenza, per cui si rendono necessari tempi suppletivi (in orari pomeridiani) programmati dalle scuole.
Ferme restando la variabilità dei fatti e la complessità della casistica, che vietano giudizi sommari, penso sia opportuno, e perfino urgente, accompagnare la conoscenza dei dati con qualche considerazione e qualche spunto di riflessione. A partire dal concetto di “recupero” e dalle modalità con cui viene realizzato: spesso, infatti, si confondono i piani. Si devono recuperare i “contenuti” (nel senso più ampio) o non piuttosto gli strumenti di approccio? Nel primo caso, il riferimento sono gli obiettivi fissati; nel secondo sono i percorsi.

Nel primo caso, prevale un criterio quantitativo, per cui è sensato intervenire su un incremento del tempo scolastico. Nel secondo, è analizzata la qualità dell’apprendimento, che suggerisce di rivedere le metodologie del processo di costruzione della conoscenza.
Ma c’è una questione di fondo che, a mio parere, comprende entrambe le ipotesi e che potrei formulare così: più che di una didattica del recupero, parliamo del recupero della didattica!

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Caro Ministro, l’orientamento educativo è altra cosa

di Simonetta Fasoli

Quasi sul finire dell’anno, il ministero dell’Istruzione e del Merito ha emanato un provvedimento che adotta Linee guida concernenti l’orientamento, il D.M. 328 del 22/12/2022.
Si tratta di un testo che si presenta con l’ambizione di assumere un’ottica di sistema, e non solo perché investe i diversi segmenti del sistema di istruzione secondaria di primo e secondo grado, ma anche perché mira ad inserirli in un’unica cornice istituzionale, pur nelle distinzioni dei rispettivi ordinamenti. Il filo conduttore è nell’idea di orientamento che attraversa l’intero percorso delineato, quasi a farne una chiave di volta.
Se questa è, come sembra, l’operazione, è il caso di fare qualche riflessione di approfondimento.
Il testo, in più di un passaggio, parla di “orientamento educativo”: ebbene, partiamo da questa espressione, per sottrarla al rischio di usarla come una formula che da sé basti a dare senso (vorrei dire, “dignità pedagogica”) alle indicazioni date.
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C’è proprio bisogno del tutor?

di Raimondo Giunta

Il ricorso a parole anglosassoni (seppure riprese con varianti semantiche dal vecchio latino..) accompagna talvolta qualche innovazione o qualche idea pedagogica,  con la speranza che forniscano un adeguato corredo di prestigio …Una di queste parole è “Tutor”.

Nel mondo giuridico, in cui è nata la parola,  il tutore è la persona che si prende le responsabilità di proteggere e guidare i minori,  in assenza o in sostituzione dei genitori .E’ la persona che deve assicurare la salvaguardia dei diritti e degli interessi del tutelato nel contesto sociale in cui vive e deve crescere.
E nella scuola?

A scuola la persona da tutelare è l’alunno, in posizione di minorità rispetto agli insegnanti e rispetto all’istituzione scolastica e chiaramente solo rispetto agli uni e all’altra.

A rigore, una figura terza come il tutor, tra l’insegnante e l ‘alunno, che sostenga quest’ultimo nell’esercizio del diritto a essere formato ed educato non dovrebbe esserci, perché questa cura dovrebbe essere indissolubilmente legata all’attività di docenza di qualsiasi docente.
Ciò nondimeno, in diverse forme dell’attività formativa (formazione professionale, educazione degli adulti, corsi di aggiornamento,  etc) questa figura si è resa necessaria, come supporto alla docenza e come aiuto all’apprendimento; figura di mediazione e di accompagnamento.
Ma c’è questo particolare bisogno nell’attività didattica di ogni classe di ogni tipo e grado di istruzione? A quale tipologia di alunno dovrebbe essere dedicata questa particolare figura professionale?
A quelli che restano indietro o anche a quelli che marciano da soli in avanti come vorrebbe il ministro? La preoccupazione per le sorti del “minore” in educando è ancora in capo ad ogni insegnante o viene delegata al tutor?

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Non è una cittadinanza per vecchi

di Marco Guastavigna         

Acquisito e divorato. Sto parlando di Invecchiare al tempo della rete, di Massimo Mantellini. Il tema affrontato ha per me – e probabilmente per qualche lettrice/lettore di questa rubrica – una forte risonanza biografica, nonostante non sia mai tra le priorità del dibattito politico culturale. Che cosa significa diventare sempre più anziani oggi, di fronte alla conclamata pervasività dei dispositivi digitali nella quotidianità e nella strutturazione complessiva dell’esistenza, a partire da molte procedure amministrative o dalle applicazioni in campo bancario e finanziario?

Mantellini è molto netto: definisce le tecnologie all’opera come “anticicliche”, ovvero pensate e realizzate per una sorta di eterna giovinezza, in conflitto con le esigenze di lentezza e di latenza cognitiva dei “vecchi”. Un accumulo per “sommazione” di funzionalità sempre nuove e di conseguenza confusive e frustranti.

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