Ancora sulla cattedra inclusiva: quando l’inclusione è reale

di Evelina Chiocca

Corresponsabilità e continuità educativo-didattica: le parole-chiave per scrivere / leggere “inclusione”
Le attività di sostegno, promosse dal docente “con incarico sul sostegno” (docente assegnato alla classe a favore degli alunni con disabilità e del processo inclusivo – che è un processo culturale, e questo aspetto, rilevante, non va sottovalutato), hanno ragion d’essere e possono affermarsi “efficaci” se l’alunno apprende e se impara ad apprendere insieme ai coetanei.
Se invece l’alunno si rapporta unicamente con un docente e non interagisce con gli altri (docenti) o rifiuta di interagire con altri, allora si è creata una “dipendenza” tale da impedire sia l’autonomia personale e sociale, fondamentale per la socializzazione, che la relazione, la comunicazione e l’interazione (in altri termini si preclude quegli aspetti vincolanti per l’attuazione del suo personale Progetto di Vita).
Il docente incaricato su posto di sostegno, allora, deve tradursi in una presenza trasparente, lieve, agendo “sullo sfondo e in primo piano contestualmente”, supportando le azioni, ma lasciando l’alunno quale protagonista e artefice attivo del suo percorso di crescita e di apprendimento.
A questo bisogna tendere.
Diversamente si riprodurrebbe quella condizione tipica degli antichi luoghi di “separazione e di segregazione”, in cui l’operatore, ad ogni azione, annunciava:
“Aspetto. Ci penso io”,
“Aspetta, non ho tempo, vedi he ho da fare?”,
“Aspetta! Abbi pazienza. Finisco qui e arrivo”…
Si chiamava “dipendenza”, si creavano condizioni tali per cui l’alunno era costretto “a dipendere da qualcuno”; e tutto ciò, diciamocelo, con il processo di inclusione non ha proprio nulla a che fare.
L’insegnante che promuove e sostiene un coerente processo di inclusione è un docente “che lavora e che collabora con i colleghi, secondo criteri di corresponsabilità, di collegialità, di cooperazione, di sinergia”; è un docente che interagisce e si interfaccia, che supporta e che, soprattutto, aiuta tutti gli alunni della classe, quindi anche l’alunno con disabilità, a imparare a rapportarsi con la propria unicità e identità e con quella del gruppo dei pari, con tutti i “suoi” docenti, sviluppando autoconsapevolezza e senso di autoefficacia.
In realtà questa impostazione, culturalmente intrisa nella dimensione professionale, non può appartenere o essere appannaggio di “alcuni docenti”, ma deve caratterizzare la figura professionale del docente, in quanto il processo di inclusione non è un percorso “in solitaria”, bensì un percorso ricco di presenze, di persone che orientano lo sguardo verso una stessa direzione (finalità).
Ed è quello che si propone la #cattedrainclusiva
Andare oltre, superare stigmatizzazioni, stereotipi, pregiudizi, preconcetti, atteggiamenti e comportamenti abiliSti, per intraprendere percorsi di autenticità, in cui
– la continuità educativo-didattica sia effettiva,
– le risorse per il sostegno siano interamente garantite,
– la corresponsabilità e la collegialità siano i paradigmi di riferimento dell’agire didattico,
– la collaborazione con i genitori sia imprescindibile e autentica,
– in cui la progettazione chiami in causa ogni nostra piccola azione.

#sipuòfare già da oggi con la #cattedrainclusiva
Si tratta della più autentica utopia realizzabile.
Dipende da noi!
Dipende da te!
Dipende da me!




Lo spoil system dei curricoli

di Pietro Calascibetta

Non c’è di peggio che distruggere ciò che si vorrebbe valorizzare imponendo delle scelte di parte invece di prendere atto della realtà.
E’ il caso del curricolo di storia che il ministro Valditara vorrebbe rivedere per salvare la scuola valorizzando l’identità italiana.
Mentre le vacche italiane sono minacciate da quelle francesi e gli artigiani italiani da quelli olandesi, non si capisce da chi sia minacciata la storia nazionale.
Il ministro non si è accorto che nonostante i proclami reiterati per anni e le leggi che alcune forze politiche sono riuscite ad introdurre, l’Italia è un Paese ormai multietnico e lo sarà ancor di più anche solo con le quote legali di ingressi decise dal governo.
La realtà in cui vivono i nostri studenti italiani e i nostri docenti italiani nelle aule non solo delle grandi città è una realtà multietnica.
Mentre i dinosauri vivono nei libri, nei film e nei fumetti, i compagni ucraini, siriani, filippini, cinesi, somali, palestinesi, ecc. sono accanto a loro tutti i giorni e con loro condividono non solo l’aula, ma le emozioni, i ricordi, la cultura.
Ciascun docente è consapevole che se vuole che l’apprendimento sia efficace deve creare un gruppo classe coeso e una cultura del gruppo e non delle fazioni contrapposte.
Maschi e femmine, italiani e stranieri, con e senza bisogni speciali.
Il problema quindi non è valorizzare “l’identità italiana” con un lavaggio del cervello agli stranieri e contemporaneamente iniettare una siringa di italianità agli studenti italiani che magari hanno il nonno emigrato in Argentina, ma semmai capire come fare a valorizzare l’italianità come cultura tra le culture in una realtà già multietnica.
Lavorare per problemi non è purtroppo nella prassi di una nuova politica che si è fatta da sé.
La coordinatrice della commissione fantasma che Valditara ha costituito per questa operazione di spoil system è la professoressa Loredana Perla e uno dei membri Ernesto Galli della Loggia.
Dimmi con chi vai ti dirò chi sei recita un detto popolare.
Per capire quali saranno le “linee guida” che seguirà la commissione nel suo lavoro è molto facile, basta leggere il volumetto di 128 pagine, pubblicato nel settembre dello scorso anno e scritto a due mani da entrambi i membri della commissione, dal titolo “Insegnare l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo”.
Qui possiamo trovare tutto quanto occorre per un commento ex ante senza paura di essere smentiti.
Lo farò attraverso una recensione di questo volumetto scritta da Luigi Cajani su Historia Ludens “L’Identità colpisce ancora. Un libro sul curricolo scolastico di Ernesto Galli della Loggia e Loredana Perla “.
Una recensione molto interessante perché riapre una discussione mai conclusa su come debba essere impostato un curricolo di storia per i nostri studenti di oggi e di cui il ministro pare non interessarsi, interessato com’è nel seguire le indicazioni direttamente dal suo segretario di partito.
E’ bene ricordare a tutti che da tempo è in atto una “battaglia dei curricoli” , come la definisce Cajani, tra i sostenitori di un insegnamento identitario e quelli di un insegnamento scientifico della storia, una questione apparentemente burocratica e formale, ma che non va sottovalutata soprattutto in questa fase in cui ciascuna parte politica è alla ricerca della propria individualità perduta e la destra è desiderosa di affermare la propria a suon di decreti.
Non si tratta di una questione di “lana caprina” né riservata ai soli esperti, ma dovrebbe riguardare l’intera collettività perché un’’impostazione non è uguale ad un’altra nell’effetto che produce perché se la proposta di Galli della Loggia e di Perla dovesse tradursi realmente in indicazione nazionale influenzerà la cultura e il modo di pensare di un intero Paese nei prossimi anni.
Ecco perché l’interesse elettorale ha preso il posto dell’interesse alla coesione sociale che un sistema democratico dovrebbe avere a cuore.

Non si sa se il ministro coinvolgerà soprattutto le scuole e le associazioni professionali dei docenti nella discussione del testo che sicuramente verrà alla luce, cioè coloro che vivono sulla loro pelle la questione della coesione sociale e della tenuta delle loro classi.
Ciò che si vuole introdurre è quel curricolo identitario che Galli della Loggia prefigura nel volume e che ha sicuramente dei limiti, ma anche degli aspetti originali che Luigi Cajani pur evidenzia nella sua recensione.
Ciò che mi interessa mettere in evidenza qui, in relazione ai lavori della commissione, è la contraddizione che un tale approccio sottende e di cui lo stesso Galli della Loggia si accorge senza però trarne le dovute conseguenze.
Scrive l’autore della recensione che Galli della Loggia si trova di fronte a una spinosa contraddizione che dichiara candidamente, da una parte si domanda “se sia lecita l’acculturazione forzata all’«italianità» che in qualche modo verrebbe così imposta a giovani provenienti da culture diverse, anzi per lo più diversissime, da quella italiana” dall’altra afferma con disappunto che oggi “ siamo convinti che ogni persona abbia una sorta di diritto naturale a mantenere integri la propria identità antropologica, la propria storia, i propri costumi, la propria religione, e ci sembra che ogni aspetto della nostra civiltà il quale tenda a mettere in discussione queste cose costituisca un’insopportabile manifestazione di arroganza eurocentrica” (pp. 42-43 del volume).
A queste considerazioni Galli della Loggia risponde da sé dicendo che “se la scuola deve perseguire l’obiettivo dell’inclusione, in che cosa mai dovranno essere inclusi i giovani immigrati o figli di immigrati se non in un ambiente italiano e per ciò stesso necessariamente in buona misura italocentrico?” (pp. 44).»
Uno strano ragionamento. Ammette che l’operazione sarebbe una “acculturazione forzata” , ma poi afferma implicitamente che l’uso della forza è giustificato come conseguenza di questa convinzione diffusa e dura da sradicare che gli stranieri abbiano un diritto naturale a mantenere integra la propria identità, mentre il diritto deve essere garantito agli autoctoni.

Si tratta di un escamotage per giustificare una scelta tutta ideologica. Tutti sanno che in un qualsiasi immigrato le identità si mescolano e si integrano senza la necessità di eliminare l’identità di origine come se potesse inquinare la purezza del contesto in cui si trova. Vale per i pugliesi a Milano piuttosto che per gli italiani a New York o in Argentina.
La perdita o soprattutto la paura di perdere quel pezzo della propria identità più preziosa, che è quella di origine, porta i figli di seconda e terza generazione a rivendicare le proprie origini con una conflittualità esasperata spesso come accade spesso nella banlieue parigina ed è questo il vero pericolo per l’italianità. E’ questo che si vuole? Rompere la coesione nelle nostre aule?
Una politica dell’istruzione che favorisca un’integrazione basata sul rispetto delle identità di origine e il rispetto dei valori della comunità in cui si vive è la vera garanzia per valorizzare l’italianità culturale del paese.

A questo punto vengono spontanee due considerazioni e alcune domande per me cruciali sulla questione che rivolgerei alla neonata commissione ministeriale.

1) Se marcare la propria identità di origine di noi italiani è così importante tanto da ricorrere ad un’acculturazione forzata degli stranieri, perché non deve essere altrettanto importante almeno riconoscere il valore che ha per un immigrato la propria identità di origine?
L’inclusione degli immigrati non può avvenire attraverso altre strade ad esempio potenziando con un apprendimento laboratoriale l’insegnamento dell’educazione civica che, basandosi sulla Costituzione scritta da esponenti di culture diverse, dovrebbe insegnare i valori e i principi di un’italianità condivisa forse più della storia di Roma ?
Oppure la conoscenza degli usi, delle tradizioni e dei costumi degli italiani del Nord come del Sud non è forse valorizzare l’italianità ? (Ricordo un manuale molto usato a scuola negli anni ’70 sui dialetti e le realtà regionali di Tullio De Mauro quando la difesa dell’italianità era finalizzato alla coesione sociale ) .
Sono gli immigrati coloro ai quali spetta l’onere di inserirsi acculturandosi all’italianità o il processo di inclusione riguarda anche gli italiani a cui spetta l’onere di accettare gli immigrati in quanto persone, magari conoscendo qualcosa di più della loro identità di origine?
Gli studenti lo fanno già sia parlando nei corridoi e aiutandosi vicendevolmente, sia in attività che i docenti svolgono proprio per fare della classe un gruppo di lavoro.
Non abbiamo pensato che forse può favorire meglio l’inclusione uno studio curricolare della storia, soprattutto nella scuola di base, in grado di dare ad entrambi gli studenti italiani e immigrati una formazione comune in grado di permettere agli immigrati di capire cosa sia l’italianità e agli italiani di capire il mondo e le diverse identità ? Insomma un curricolo basato sul “pensiero critico, ……sull’epistemologia della storia, sull’approccio multi-prospettico e sulle più recenti acquisizioni della ricerca” come scrive Cajani.

2) Alla viglia delle elezioni europee il ministro per sorreggere la campagna elettorale del suo partito preferisce l’approccio identitario di Galli della Loggia e di Perla dell’ “Insegnare l’Italia”.
Invece di domandarsi in che modo incentivare l’identità europea senza perdere quella italiana. Ancora una volta è Galli della Loggia a dire la sua. In un articolo del Corriere della Sera del 3 aprile 2024 scrive: «L’Ue insomma ha mancato a quello che avrebbe dovuto essere invece il suo primo compito: fare gli europei. Nel solo modo in cui ciò è sempre avvenuto: dando agli abitanti del continente il senso della loro storia dei valori (anche religiosi) cui essa ha dato vita, dell’unicità e, se è permesso dirlo, della grandezza e dell’importanza dell’una e degli altri.»
A questo punto mi domando, cosa intenda Galli della Loggia per “fare gli europei” e quale Europa voglia un ministro dell’istruzione che rappresenta tutti gli italiani e non solo gli italiani che hanno votato il suo partito.
Se fare gli europei vuol dire favorire, valorizzare, creare un’identità europea, mi sarei aspettato una commissione diversa e un approccio diverso al problema dell’inclusione che oggi non può che essere strettamente legato ad un’inclusione tra gli abitanti dell’Europa.
Un curricolo identitario alla vigilia delle elezioni europee dovrebbe essere almeno sull’identità europea. Di questo si ha bisogno oggi.
Forse potrebbe valer la pena di cambiare prospettiva per affrontare gli aspetti culturali legati all’immigrazione. guardando non solo all’Italia, ma all’Europa..
Anche gli immigrati potrebbero trarne beneficio perché è in Europa che vogliono andare, che sognano come loro futuro e forse hanno più di noi il seme per un’identità europea.
Un curricolo di storia realmente europeo non può non raccontare come le storie dei popoli che nelle diverse epoche hanno abitato e abitano il continente si siano intrecciate tra loro continuamente, dalla preistoria ai Romani, dall’Impero alle invasioni, dagli Stati nazionali a Napoleone. alle guerre mondiali.

Una storia comune tra i popoli che hanno abitato l’Europa scritta insieme nel bene e nel male che ha prodotto e che ha lasciato segni molto profondi anche nelle cosiddette identità nazionali odierne che si vorrebbero esaltare come se fossero fiorite dal nulla.
Chi più dei Romani, tanto citati dai puristi dell’”etnia” , ha costruito una società multietnica!
Immaginare una proposta identitaria sull’Europa innovativa rispetto ai curricolo già esistente sarebbe stato troppo per Galli della Loggia e per il ministro .

E’ sempre Galli della Loggia nell’articolo citato del Corriere a darsi la risposta sul perché l’Europa ha fallito nel fare gli europei, diventando così il campione delle contraddizioni.
«Certo, per tutto ciò sarebbe stato necessario sfidare qualche luogo comune del politicamente corretto e soprattutto decidere che cosa si è: che cosa si vuole essere o non essere. Dunque compiere qualche scelta ideale, forse addirittura qualche scelta coraggiosa, indicare un passato e a partire da esso avere un progetto un sogno.»
Si affretta a concludere che questo dovrebbe essere compito della politica che purtroppo non c’è, ma aggiungo io può anche essere compito dell’insegnamento della storia e di un ministro dell’istruzione che voglia superare la contrapposizione politica a tutti i costi per fare l’interesse non di un partito ma di chi frequenta le scuole della Repubblica che a guardar bene sono italiani e stranieri in altre parole sono quelli che si chiamano STUDENTI , studenti che hanno tutti diritto all’istruzione e ad un’educazione ad una cittadinanza democratica come vuole la Costituzione.




Cara Giorgia, le scrivo (e le spiego qualcosa sulla “teoria gender”)

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Cinzia Mion

LETTERA APERTA ALLA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, alias GIORGIA.

Da tempo volevo scriverLe, Onorevole Presidente, ma ora penso che sia arrivato il momento in cui non posso veramente più stare zitta. Anche perché non mi si addice!
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la Sua dichiarazione “urlata” al congresso organizzato a Madrid recentemente da Vox, alla presenza di tutti i rappresentanti della destra estrema, prossimi al voto europeo.
Dichiarazione da Lei urlata in spagnolo (chissà perché quando deve parlare spagnolo Le scappa sempre di urlare…forse ha interpretato “vox” in questo modo?) in cui dichiara, tra le altre boutade ad effetto, anche che, in osservanza delle radici cristiane, Lei non accetterà mai che nelle scuole si parli della “teoria gender”.

Ora mettiamo le cose in chiaro, carissima Presidente, non si faccia cogliere “in castagna” pure lei come gli altri “gaffeurs” del suo governo che in genere, a dire il vero, si stanno dimostrando spesso piuttosto claudicanti, rispetto alla competenza culturale ma anche politico-amministrativa che sarebbe giustamente loro richiesta.
Dia l’esempio Lei, Presidente, e prima di aprire bocca si informi bene, come si conviene alla leader del Governo, i cui membri in teoria dovrebbero amministrare la “cosa pubblica” verso il BENE COMUNE e non verso la ricerca di facile consenso popolare, come sta invece accadendo nel caso di specie.

Mi spiego meglio : in questa circostanza ovviamente si tratta di “lisciare il pelo” a tutti quegli “integralisti” più o meno religiosi, più o meno oscurantisti, ma spesso soltanto ignoranti, nel senso che ignorano, alcune idee essenziali riferite alle tematiche in oggetto.
Di seguito ecco allora qualche spiegazione facilmente fruibile ma soprattutto alcuni riferimenti legislativi ineludibili, soprattutto da parte di chi ci sta governando. Si tratta del comma 16 della L.107/15 e dell’importantissimo “Trattato di Istanbul” (2011 ratificato in Italia nel 2013) da cui discende l’obbligatorietà del comma stesso.
Se li faccia tirar fuori, cara Presidente, e ne prenda atto. L’identità di genere, maturata oltre gli stereotipi verso le Pari Opportunità, non è il demonio e riveda le Sue posizioni così avventatamente urlate, a meno che Lei non voglia imitare il fondamentalista islamico Erdogan che, dopo aver ospitato la Commissione che ha steso il Trattato, recentemente l’ha rinnegato.
Cominciamo allora con l’abicì.

IDENTITA’ PSICOSESSUALE

Bisogna partire con calma ad affrontare l’evolversi dell’identità psicosessuale.
L’identità sessuale viene definita alla nascita come:

1) “IDENTITA’BIOLOGICA”
, attraverso l’osservazione del sesso anatomico (genitali esterni), generalmente con certezza, tranne nei casi di ermafroditismo chiamato oggi intersessualità.
Spendiamo due parole per chiarire questa definizione: si tratta di soggetti, per fortuna non frequentissimi, che si presentano alla nascita con una non chiara distinzione degli organi genitali esterni ed interni, per cui alla vecchia denominazione di “ermafroditismo”, un po’ criptica per chi è digiuno di nozioni biologiche, oggi si preferisce il termine “intersessuale”. Praticamente si tratta di combinazione ambigua tra gli organi. Un tempo si procedeva alla nascita ad una modalità di intervento cruento, decidendo così per un sesso o per l’ altro, il più delle volte affidato alla scelta genitoriale, su cui è meglio sorvolare perché foriera di grandi sofferenze da parte dei soggetti durante la loro crescita, come è facile immaginare..

Poi subentra:
2)”L’IDENTITA’ PSICOLOGICA” che consiste nell’accettazione della propria identità biologica sessuale, durante il processo di crescita;
– in caso contrario può sorgere una forte “DISFORIA DI GENERE”, consistente in uno stato d’animo angosciato, relativo al fatto di sentirsi prigionieri di un corpo sessuato non riconosciuto come ”proprio”;
– in conseguenza di tale disforia è possibile che nel soggetto crescendo appaia il TRANSGENDERISMO (in assenza o con rifiuto di intervento) oppure il TRENSESSUALISMO (in presenza di intervento) .
Il transessualismo deve essere tenuto distinto dall’orientamento sessuale.

Alla fine appare:
3) “L’ORIENTAMENTO SESSUALE” che può essere :
– eterosessuale,
– omosessuale,
– bisessuale.
– asessuale.

Queste distinzioni valgono anche per i transessuali.

IDENTITA’ DI GENERE
Se è vero, parafrasando Simone de Beauvoir, che maschi e femmine si nasce ma uomini o donne si diventa, questa maturazione è un processo che va accompagnato verso un’ottica di parità che valorizzi però le differenze. Dovrebbero perciò scaturire da questo processo delle identità il più possibile rinnovate dalla cultura e dalla riflessività e libere il più possibile dai vecchi stereotipi, che segnano spesso la sopraffazione del maschile sul femminile. A questo proposito una particolare vigilanza viene raccomandata nei confronti dei modelli offerti dai MEDIA che rischiano di essere assorbiti dai soggetti in crescita a-criticamente.
La scuola è molto importante in questa fase della maturazione delle identità perché al suo interno gli alliev* hanno due compiti: “apprendere e crescere”. Crescere verso le PPOO è un compito dicevamo non semplicemente biologico ma “educativo”, auspicabile ovviamente che avvenga all’interno di una Istituzione deputata a far superare stereotipi e pregiudizi e ad aprire le menti, a fronte della famiglia di per sé “conservatrice”.
Tale maturazione culturale, che si sviluppa dalla identità sessuale biologica, si chiama appunto, come dicevamo, “identità di genere”.
Per le osservazioni esplicitate precedentemente risulta chiaro che in presenza di ”disforia di genere”, e non accettazione della identità biologica, i soggetti TRANS rivendichino in modo più o meno esplicito una identità di genere diversa da quella biologica assegnata dalla natura.

CONCLUSIONI
Spero ardentemente che Lei capisca, come altrettanto capisca la Ministra Roccella, che immagino la segua in questa miope rivendicazione soltanto ideologica, nel senso più retrivo del termine, che cercare disperatamente di affermare la propria autenticità psicosessuale, in presenza come dicevamo di una “disforia” molto dolorosa, non sia una passeggiata ma un percorso di grande sofferenza, interna , psicologica e anche fisica. In altre parole, NON E’ UN CAPRICCIO!!!
Lo dica anche a Luca Ricolfi, che penso vicino alle sue posizioni, anche se ieri sul Gazzettino si sia sforzato di essere equidistante, tra il “pro e il contro” nascondendo però una trappola. La trappola deducibile dal titolo molto ambiguo ”Sono le donne le vere vittime della teoria gender”…
Il riferimento “era a soggetti MtF (da maschio a femmina) che senza ancora transizione chirurgica, come atleti maschi, pretendono di gareggiare nelle competizioni femminili, sbaragliando le atlete biologicamente donne; oppure ugualmente detenuti biologicamente maschi che pretendono di essere ospitati in carceri femminili (con numerosi casi di stupro)”….
Che dire? Mi sono vergognata per lui…




Revisione delle Indicazioni nazionali. Il partito dei programmi

di Nicola Puttilli

Sul wikidizionario alla voce partito si legge: “raggruppamento politico di cittadini che professano idee comuni per la gestione dello stato e delle amministrazioni pubbliche”. Il ministro Valditara esibisce orgogliosamente sul bavero della giacca il distintivo della Lega, lo stesso partito che nell’Italia centrale presenta capolista alle elezioni europee il generale Vannacci, quello che vuole le classi separate per i disabili, considera anormali gli omosessuali e da ultimo anche le persone con i capelli rossi. Il ministro si è limitato a dichiarare che “nessuno ha fatto più della Lega per l’integrazione dei disabili” (ipse dixit) ma non ha ritenuto di dissociarsi apertamente da simili deliranti affermazioni, né risulta abbia manifestato difficoltà o imbarazzo nel farsi rappresentare in Europa da tale personaggio. Del resto lo dice anche il dizionario pop “cittadini che professano idee comuni”.

All’ombra di questo ameno paesaggio culturale il ministro in questione annuncia la nomina di una commissione incaricata di formulare proposte per la revisione delle Indicazioni nazionali e  delle Linee guida per tutti i cicli scolastici.
Sembra che sia quasi un dovere d’ufficio per ogni buon ministro dell’istruzione tentare, dopo qualche mese dal proprio insediamento, di lasciare un segno indelebile del proprio passaggio a viale Trastevere e riformare i programmi scolastici è una di quelle imprese che può assicurare un passaggio nella storia. Possono ben aspettare i controsoffitti che crollano, gli stipendi degli insegnanti e gli abbandoni precoci, la revisione dei programmi viene prima. Per fortuna ben pochi ci riescono.

I programmi scolastici invece arrivano dopo. Dopo un ampio e diffuso consolidamento culturale derivante da una visione comune di società e della  sua proiezione futura, da un’idea di scuola sufficientemente assimilata e condivisa, con una scansione temporale di lungo periodo, più o meno trentennale (a parte tentativi parziali di riforma che hanno avuto breve durata e scarso impatto sulla scuola reale).
Così è stato per i programmi della scuola elementare del ’55, quelli del bambino tutto “sentimento e fantasia”, specchio fedele dell’Italia da poco uscita dalla guerra e presto collocata sotto l’ala protettrice della democrazia cristiana e dell’alleanza atlantica. Per contro i programmi della scuola media del ’79, della scuola elementare dell’ 85 (il bambino della ragione) e della scuola dell’infanzia del ’91 rappresentano nel loro insieme la rivoluzione culturale e pedagogica che ha percorso gli anni ’60 e ’70, sotto la spinta della pedagogia attiva e del cognitivismo. Le Indicazioni nazionali del 2012, oltre a recepire nuovi fenomeni sociali planetari  presto diventati categorie concettuali come la complessità e la globalizzazione, sono la logica conseguenza dell’autonomia scolastica che decreta l’obsolescenza dei programmi rigidi e uguali per tutti in favore di curricoli ispirati sì a linee di indirizzo nazionali, ma in grado di valorizzare al massimo le risorse e le progettualità dei singoli territori e delle singole scuole.
Sul piano culturale e valoriale complessivo le Indicazioni del 2012 si pongono in linea di continuità con i programmi precedenti, aggiornandone semmai l’impianto concettuale e gli approcci metodologici.

A questo punto una domanda, come si diceva un tempo, sorge spontanea: in poco più di un decennio dalle ultime Indicazioni nazionali sono cambiate in modo così significativo la percezione e le chiavi di lettura della realtà sociale e culturale che ci circonda, comunque tale da giustificare una complessiva revisione dei programmi scolastici? Certamente l’avvento del governo di destra nel nostro Paese ha enfatizzato alcune scelte valoriali a scapito di altre date a lungo per acquisite: la valorizzazione esasperata dell’identità nazionale in contrapposizione al principio di multiculturalità e di accoglienza, l’idea di merito inteso come dato originale e del tutto personale disgiunto dai condizionamenti socioeconomici di provenienza, lo stesso concetto di inclusione che, come abbiamo visto, rischia derive prima impensabili.

Quasi una scelta di campo appare, in tale contesto, anche la recente decisione del governo italiano di votare contro la mozione UE sui diritti LGBT,  schierandosi al fianco delle repubbliche dell’ex impero sovietico, contro le tradizionali democrazie occidentali d’Europa.

Anche sulla scuola spira un’aria forte di restaurazione, le difficoltà poste dalla scolarizzazione di massa e dalla scelta di accoglienza e di piena inclusione non hanno trovato risposta in riforme e investimenti adeguati, inducendo in parte della cittadinanza e dell’opinione pubblica la ricerca di facili soluzioni rivolte al passato: rafforzata enfasi sul principio di autorità, reintroduzione del voto numerico nella primaria con buona pace della valutazione formativa, validità del voto di condotta per l’ammissione all’esame, pressioni sull’autonomia scolastica come nel caso della scuola di Pioltello, ecc.
Si tratta senza dubbio di segnali importanti e da non sottovalutare, rimane tuttavia la sensazione di passaggi troppo accelerati, frutto più di successive forzature imposte dal potere politico che non di reali processi di cambiamento, che in ambito sociale e scolastico richiedono tempi non brevi per essere accettati e metabolizzati. La stessa frenesia delle innovazioni, decise unilateralmente, senza troppi confronti e mediazioni, suggerisce la volontà di voler procedere troppo  velocemente, quasi a voler recuperare in fretta e a qualunque costo, una minorità a lungo subita, soprattutto sul terreno della cultura e della comunicazione.

E’ vero che la società attuale produce innovazioni a ritmi sempre più accelerati e che dal 2012, anno delle ultime Indicazioni nazionali, si sono evidenziati nuovi fenomeni di rilevanza planetaria come la transizione ecologica, l’intelligenza artificiale generativa, l’aumento delle disuguaglianze, il ritorno della guerra, anche in terre a noi vicine, come strumento di risoluzione dei conflitti, di cui la scuola non può non tenere conto. E’ pur altrettanto vero che dovrebbe essenzialmente trattarsi, in questo caso, di un aggiornamento con prevalente riferimento ai contenuti delle discipline, mentre la nomina di soli pedagogisti nell’ambito della commissione, lascia presagire la volontà di voler intervenire sulla premessa e quindi sul sistema valoriale e sull’impianto complessivo delle stesse Indicazioni. Una trasformazione incompatibile con lo stato attuale della nostra scuola e della nostra società, l’ennesimo strappo che rischia questa volta, in considerazione della assoluta rilevanza del tema, di essere particolarmente dannoso e pericoloso.

 




Concorsi scuola: istruzioni per rendere infelici

di Mario Maviglia

L’Italia è un Paese meraviglioso, vitale, ricco di creatività e di trovate genialmente concepite per complicarsi la vita, ma soprattutto per complicarla ai cittadini e a gli operatori dei vari settori. Prendiamo l’esempio del concorso per dirigenti scolastici, la cui prova preselettiva si svolgerà su tutto il territorio nazionale il prossimo 23 maggio.
Il bando (DD 2788 del 18/12/2023) all’art. 3 comma 9, con puntigliosa e leguleia precisione, ricorda che “la vigilanza durante le prove di cui al presente bando è affidata all’USR secondo quanto stabilito dall’articolo 9, comma 5 del DPR 487/1994”.
E che cosa stabilisce questo comma?
Semplice: “Nei casi in cui le prove scritte abbiano luogo in più sedi, in ognuna di esse è costituito un comitato di vigilanza, presieduto da un membro della commissione e composto almeno da due dipendenti di qualifica o categoria non inferiore a quella per la quale il concorso è stato bandito. I membri del comitato sono individuati dall’amministrazione procedente tra il proprio personale in servizio presso la sede di esame o, in caso di comprovate esigenze di servizio, anche tra quello di sedi o amministrazioni diverse.”

Ai più questo riferimento è passato inosservato, ma non a qualche USR che, in ossequio a quanto stabilito da questa norma del 1994, sta procedendo a nominare i comitati di vigilanza utilizzando i dirigenti scolastici in servizio in quanto appartenenti a “qualifica o categoria non inferiore a quella per la quale il concorso è stato bandito” (3 DS per ogni sede d’esame). Attenzione!
Qui si sta parlando del Comitato di vigilanza non della Commissione d’esame, ossia di persone che devono sorvegliare che i candidati non consultino libri, non utilizzino dispositivi elettronici (a parte il computer della sede d’esame per l’espletamento della prova preselettiva), non comunichino tra di loro ecc. Un compito, diciamo così, che non richiede una grande competenza dirigenziale e che qualsiasi addetto, anche di “qualifica inferiore”, opportunamente informato, può agevolmente svolgere. Ma la legge, ça va sans dire, va rispettata.

C’è solo un piccolo particolare da considerare: il concorso viene svolto proprio perché non ci sono dirigenti scolastici in numero adeguato (altrimenti non verrebbe bandito…), e quelli che ci sono, in questo periodo o sono già impegnati in analoghi concorsi (per il reclutamento dei docenti) o sono alle prese con le incombenze di fine anno scolastico. Si procederà, com’è prevedibile, con nomine d’ufficio, con inevitabili malumori tra i dirigenti “prescelti”.

Il Ministro in questo periodo è particolarmente attivo sul piano della comunicazione: ha annunciato la nomina di una Commissione per la revisione delle Indicazioni Nazionali; ha anticipato che sta lavorando per introdurre nuove forme di welfare per il personale della scuola per agevolare l’accesso a mutui per la casa o per prestiti personali o altri servizi bancari. Orizzonte Scuola del 20 maggio 2024 afferma che “a partire da martedì, il ministro Valditara inizierà un tour in tutta Italia per incontrare docenti, studenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario. Il viaggio ha l’obiettivo di promuovere una maggiore consapevolezza sull’importanza degli sforzi congiunti per migliorare il sistema scolastico. Valditara ha sottolineato che “una scuola che mette al centro le persone è fondamentale per la ricostruzione del paese”.

Senza affaticarsi così tanto, al Ministro basterebbe fare un tour per gli uffici del suo dicastero per individuare quegli elementi di disfunzionalità che creano così tante criticità nella vita delle scuole. Una di queste è proprio la norma che abbiamo citato prima sulla composizione dei Comitati di vigilanza. Le leggi possono anche essere cambiate, se si conosce l’impatto che hanno sulle istituzioni. Per la verità, anche l’aver fissato il 23 maggio come data per l’espletamento della prova preselettiva del concorso ordinario per DS denota una scarsa conoscenza dei vari adempimenti che le scuole italiane devono sbrigare in questa fase finale dell’anno scolastico. E considerato che il Ministro dichiara che “una scuola che mette al centro le persone è fondamentale per la ricostruzione del paese”, queste “disattenzioni” dimostrano una chiara disconferma di queste impegnative affermazioni, oppure una implicita insensibilità verso la fatica che le scuole devono gestire durante tutto l’anno ed in particolare nei momenti più ritualizzati come la conclusione dell’anno scolastico.




Revisione Indicazioni Nazionali: la condanna del restyling

di Giovanni Fioravanti

Non è una buona notizia l’intenzione annunciata dal ministro Valditara di procedere a un restyling delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione.

Pare che, dopo l’epoca dei Programmi, il restyling sia la condanna a cui sono destinate le Indicazioni nazionali. Già nel 2007 il cacciavite del ministro Fioroni aveva provveduto a traghettare le Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati del 2004 di Bertagna e Victor Hoz, a firma della ministra Moratti, da un progetto di scuola a domanda a una scuola impegnata a partire dai bisogni di ciascuno, licenziate poi definitivamente nel 2012 dal ministro Profumo.

Al ministro dell’Istruzione e del Merito però non vanno bene, sembra che gli stiano strette.
Dice che a scuola si studia troppo, soprattutto i bambini studiano roba inutile come ad esempio i dinosauri. Sostiene che dobbiamo dare più spazio ai nostri valori, quelli del Paese e dell’Occidente, che la scuola deve assicurare una prospettiva di inserimento lavorativo.
Se poi si prende in mano il programma elettorale delle destre che formano l’attuale governo dovremmo evitare di stupirci, perché al primo punto del capitolo scuola, che è al quattordicesimo posto su quindici punti programmatici, sta scritto: “Rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico”.

E poiché il ruolo delle Indicazioni nazionali è quello di comunicare l’idea di scuola che ha questo paese, l’attuale governo, dal paventato pericolo della “sostituzione etnica” è passato a procedere sempre più speditamente verso la “sostituzione culturale”, a partire dalla scuola, promuovendo Dio, patria, famiglia, che sarebbero gli autentici valori dell’Occidente secondo il ministro dell’istruzione e del merito e i suoi compagni.
Tutto questo, quando, trascorsi poco più di due lustri dal 2012, il paese è ben lontano dal possedere una propria idea di scuola ed è, senza alcun dubbio, ancora estraneo circa quella espressa in premessa alle Indicazioni del 2012.

Neppure si è accorto, e con lui anche buona parte di chi lavora nella scuola, ad esempio, del passaggio dai programmi scolastici, retaggio della riforma Gentile, alle Indicazioni.
Non so quanti insegnanti oggi saprebbero spiegare perché lo stato fornisce Indicazioni nazionali e non più programmi scolastici. Forse sarebbe una domanda da porre anche all’editoria scolastica.

La prima risposta sta nel DPR n. 275 dell’8 marzo 1999 che sancisce l’autonomia delle istituzioni scolastiche, ribadita dall’art. 117 del Titolo V della Costituzione che al II° comma recita: Sono materia di legislazione concorrente quelle relative […] all’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Salva l’autonoma delle scuole che si esercita attraverso gli strumenti dell’offerta formativa, dell’autonomia didattica, dell’autonomia organizzativa, dell’autonomia di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo, con la costituzione di reti di scuole.
Nessun programma, ma curricoli di cui sono titolari e responsabili le autonomie scolastiche attraverso quell’organo autonomo di professionisti che è il Collegio dei docenti.

Non spetta dunque al ministro stabilire cosa sia utile o non utile studiare a scuola, perché l’autonomia scolastica è lo strumento che integra la scuola al proprio territorio e permette di partire dai bisogni della persona, come affermano appunto le Indicazioni che il ministro vorrebbe rivedere.
Lì sta scritto che le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale. La definizione e la realizzazione delle strategie educative e didattiche devono sempre tener conto della singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità […]. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di significato.

Non c’è dunque commissione, neppure di pedagogisti prestigiosi, che possa sostituirsi alla persona che apprende e al docente che esercita la sua professione.§
A meno che le intenzioni del ministro siano ben altre, ad esempio avere come mira di colpire l’autonomia scolastica, che lascia troppa libertà alle scuole, tornare alla piramide verticistica che sempre ha dominato la gestione dell’istruzione nel paese, per cui il nuovo non ha mai potuto farsi strada ostacolato dalla burocrazia ministeriale e dalla cultura politica dei ministri che si sono avvicendati di volta in volta alla guida del dicastero di viale Trastevere.

E se pensiamo alle esternazioni del ministro a proposito dei fatti relativi alla scuola di Pioltello, oltre all’autonomia, l’inclusione scolastica potrebbe essere l’altra vittima del restyling che ha in mente.
Del resto il sospetto non può che sorgere a leggere i candidati alla commissione di esperti che nutre di nominare.
Intanto il maître a penser, elogiatore delle predelle, professor Ernesto Galli della Loggia reduce dall’ultima esternazione sulla necessità di abbattere idoli e miti come l’inclusione di tutti nella scuola di tutti, a suo dire oggetto della “scuola menzogna” che copre lo scandalo – caso unico al mondo – scrive il nostro professore, per cui nelle nostre aule convivono regolarmente, accanto ad allievi cosiddetti normali, ragazze e ragazzi disabili, alunni con bisogni educativi speciali, ragazze e ragazzi stranieri. Il professore tralascia di scrivere che questo scandalo ci è invidiato da tutto il mondo.

Un made in Italy di quelli che non rendono quattrini e che semmai turba alcune coscienze, comunque un made in Italy che non piace al professore e non è certo quello che intende promuovere questo governo.
La presidente in pectore di questa commissione, professoressa Loredana Perla, ha scritto con il professore Insegnare Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo, uscito nelle librerie a settembre dello scorso anno. Gli autori sostengono che la scuola per essere pedagogicamente efficace, deve insegnare ai bambini e agli adolescenti l’Italia, la sua storia, la sua geografia, la sua cultura. In una parola, la sua identità.
Mi sembra che il restyling che ha in mente il ministro sia, almeno da questo punto di vista abbastanza chiaro, essendo pienamente allineato con le politiche del made in Italy di questo governo.
Dietro alle attuali Indicazioni nazionali c’è il pensiero del grande Edgar Morin, la visione di un nuovo umanesimo alle soglie del terzo millennio, come promessa di rinascita della scuola che attende ancora di essere compiuta, ma ora, se queste sono le intenzioni del ministro, siamo alla vigilia della sua distruzione.




Revisione Indicazioni Nazionali: c’è Commissione e Commissione

di Aluisi Tosolini

Mettere mano agli indirizzi generali di un sistema educativo è sempre questione complessa che richiede moltissima attenzione e cura. Spesso si tratta, infatti, di dar corpo a documenti che segnano la cultura di un paese per decenni. E che per definizione vengono in genere affidati ad altissime e riconosciute personalità.
Per fare solo un esempio, pochi sanno che il concetto di post-moderno che ha segnato decenni della cultura contemporanea si deve all’opera di Jean-François Lyotard che nel 1979 pubblicò il volume La conditione postmoderne. Rapport sur le savoir che gli fu commissionato dal Canada in vista della revisione del proprio curricolo di studi. Lo stesso accadde con Edgar Morin e il volume I sette saperi necessari all’educazione del futuro, commissionato dall’Unesco.

Per questo quando in Italia sento parlare di “revisione delle indicazioni nazionali” mi vengono i sudori freddi, soprattutto se le persone di cui si parla come componenti del gruppo incaricato di procedere alla revisione non brillano certo per essere personalità di altissimo ed indiscusso livello intellettuale e culturale.
Così, riflettendo sul caso italiano e dopo aver letto la precisissima ricostruzione fatta da Cinzia Mion del percorso del gruppo di lavoro che ha portato alle indicazioni nazionali sin dal suo avvio con Ceruti (e l’immediato collegamento con Morin e la sua proposta culturale e metodologica) sino all’aggiornamento del 2012 curato da Italo Fiorin ho pensato di confrontarmi con la precedente proposta nata un decennio prima su impulso del Ministro Luigi Berlinguer.

La commissione dei Saggi e la sintesi di Roberto Maragliano

Sono così andato a rileggermi il volume “Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni I materiali della Commissione dei Saggi” pubblicato nel 1997 dagli Annali della Pubblica Istruzione (il testo è reperibile in rete)

Tre sono le cose che mi hanno impressionato:

  1. Le precise domande – “questioni” poste dal ministro alla commissione dei saggi ed il brevissimo tempo dato loro per produrre risposte concrete
  2. L’elenco dei saggi che hanno partecipato alla commissione: si tratta del gotha degli intellettuali e degli esperti (di ogni tendenza culturale) di quel periodo. Riporto in nota l’elenco dei componenti della commissione così come desunto dall’art. 2 del decreto istitutivo. Invito a leggere l’elenco per capire l’altissimo livello delle personalità cui il ministro chiedeva un pare su quali fossero le conoscenze fondamentali per l’apprendimento nei prossimi decenni
  3. La sintesi di Roberto Maragliano che, come adesso si vedrà, è attualissima ancora oggi

Per quanto riguarda la sintesi proposta di Maragliano riporto qui i sette nodi sui quali la Commissione ha centrato prevalentemente la sua attenzione (pp 73).

I nodi sono:

  1. le questioni relative alla sfera dell’identità: dell’individuo che si intende formare, del nostro paese (e delle sue tradizioni storiche, rilette in chiave internazionale), dei processi in atto di globalizzazione (vale a dire europeizzazione e mondializzazione) della cultura, della comunicazione, dell’economia, della politica;
  2. l’esigenza di dare un significato etico ed empirico all’obiettivo di «educare nella e alla democrazia»: l’ultima riforma complessiva dell’istruzione, in Italia, è avvenuta più di settant’anni fa; sia il contenuto di tale riforma, sia la sua distanza temporale dall’Italia e dal mondo contemporanei continuano in varie forme a far sentire il loro peso;
  3. la dialettica che, in ordine all’organizzazione dei contenuti della formazione scolastica, si apre tra un’impostazione curricolare, affidata alla solidità dei quadri disciplinari di base (gli elementi istituzionali delle materie d’insegnamento), e una visione di tipo «reticolare», orientata ad individuare criteri più mobili di aggregazione delle future conoscenze e competenze dei giovani;
  4. il problema della sostenibilità sociale, culturale e ambientale delle dinamiche dello sviluppo, in ordine all’esigenza di coniugare le risorse disponibili con il bisogno di sicurezza e di aspettativa individuale e collettiva nel futuro;
  5. la messa in discussione di una visione esclusivamente «conoscitiva», «verbale» e «acorporale» dell’esperienza individuale e collettiva, e la conseguente promozione di elementi basilari di un sapere pratico, manuale e operativo;
  6. la questione del ruolo della cultura del lavoro nello sviluppo di un nuovo modello educativo;
  7. la sfida che l’innovazione tecnologica e la moltiplicazione delle fonti di informazione e di conoscenza pongono all’azione scolastica e all’individuo in crescita;

Come si può vedere si tratta di nodi attualissimi e sfide non risolte che si ripropongono ogni giorno nel mondo dell’educazione in Italia.

Il tema dell’identità e la sua dimensione plurale

Sul tema “identità”, che oggi è ancora più centrale,  Maragliano scrive:
“molto si è discusso di identità, e lo si è fatto il più delle volte usando il termine al plurale. Nella società del presente, ampiamente differenziata e aperta a un mutamento costante, l’individuo deve orientarsi sulla base di un gran numero di modelli, talvolta anche contrastanti e, lungo tutto il corso della sua vita, deve assumere, di volta in volta, ruoli diversi, a seconda dei contesti di esperienza e di attività. È dunque assai più difficile, oggi, proporre e far sì che un individuo mantenga una sua identità definita: i suoi quadri di riferimento saranno forniti dalla mediazione delle forme sociali e culturali, ma anche da processi centrifughi rispetto a queste, basati sulla possibilità di far leva su una elaborazione cosciente della sua personale esperienza di vita. In questo senso, il problema dell’identità individuale e delle forme di appartenenza dovrà essere al centro dell’attenzione di una scuola rinnovata.
E ciò lo si potrà ottenere sia concedendo un’importanza fondamentale agli aspetti metodologici della conoscenza (si tratta di fornire gli strumenti linguistici, interpretativi, operativi che meglio rispondono alle esigenze attuali di un’alta mobilità tra le diverse forme di specializzazione culturale e professionale) sia lavorando a promuovere un fondamento di solidarietà universale che si anticipi alla definizione delle identità particolari e favorisca il riconoscimento reciproco delle differenze” (pag. 74).

Verso una inedita retrotopia

Negli anni successivi sia la commissione Ceruti e che Fiorin si sono mosse lungo lo stesso sentiero coniugando nel glo-cale la pluralità di appartenenze che derivano dall’eterogeneità dei gruppi in cui le identità si sviluppano.
Certamente – come ha espressamente indicato il Ministro –  rispetto al tema dell’identità cla lettura Valditara si colloca in dimensione diametralmente contraria sia al percorso italiano Maragliano – Ceruti – Fiorin che al percorso internazionale Morin – Unesco (Re-immaginare il nostro futuro assieme. Un nuovo contratto per l’educazione, 2021) – ONU (Transforming Education , 2022) e ONU 2024, Summit per il futuro.

E’ un ideologico guardare all’indietro. Esattamente quello che Zygmunt Bauman in uno degli ultimi suoi saggi chiamò Retrotopia. Ovvero la fuga dal presente percepito come incerto e insicuro per rifugiarsi in un passato tanto rassicurante quanto inesistente perché mitizzato e ricostruito ad hoc. Un’utopia al contrario.

I componenti della commissione dei saggi
(DD.MM. n. 50 del 21 gennaio 1997 e n. 84 del 5 febbraio 1997)

Prof. Evandro Agazzi Docente Università Genova
Dr. Giuliano Amato Presidente Commissione Antitrust
Prof. Achille Ardigò Sociologo
Prof. Carlo Bernardini Docente Università «La Sapienza» Roma
Prof. Maurizio Bettini Docente Università Siena
Prof. Carlo Bo Rettore Università Urbino
Dr. Carlo Borgomeo Presidente Soc. imprenditorialità giovanile
Prof.ssa Liliana Borrello Ispettrice Ministero Pubblica Istruzione
Dr. Carlo Callieri Vicepresidente Confindustria
Prof. Carlo Cipolla Docente Università Pavia
Prof. Vittorio Cogliati Dezza Legambiente
Prof. Franco Crespi Docente Università Perugia
Prof. Francesco Dal Co Architetto
Prof. Paolo Damiani Presidente Associazione Italiana Jazz
Prof. Tullio De Mauro Docente Università Roma
Dr. Giuseppe De Rita Presidente CNEL
Prof. Gianfranco Dioguardi Docente Università Bari
Prof. Umberto Eco Docente Università Bologna
Prof. Paul Ginsborg Docente Università Firenze
Prof.ssa Rita Levi Montalcini Presidente Istituto Enciclopedia Italiana Roma
Prof. Mario Luzi Docente Università Firenze
Prof. Roberto Maragliano Docente Università Roma III
Prof. Umberto Margiotta Docente Università Venezia
Dr. Mario Martone Regista
Dr. Alfredo Carlo Moro Magistrato
Prof. Riccardo Muti Teatro alla Scala Milano
Dr. Maurizio Nichetti Regista
Prof.ssa Caterina Petruzzi Ispettrice Ministero Pubblica Istruzione
Prof. Giovanni Polara Docente Università Napoli 2
Prof.ssa Clotilde Pontecorvo Docente Università Roma
Prof. Antonio Portolano Ispettore Ministero Pubblica Istruzione
Prof. Luigi A. Radicati di Brozolo Docente Università Normale Pisa
Prof. Giovanni Reale Docente Università Cattolica Sacro Cuore Milano
Prof. Luisa Ribolzi Docente Università Genova
Suor Enrica Rosanna Preside
Dr. Eugenio Scalfari Giornalista
Prof. Emanuele Severino Docente Università Venezia
Dr. Antonio Tabucchi Scrittore
Prof. Silvano Tagliagambe Docente Università «La Sapienza» Roma
Card. Ersilio Tonini
Prof. Nicola Tranfaglia Preside Facoltà di Lettere Università di Torino
Prof. Uto Ughi Musicista
Prof. Mario Vegetti Docente Università Pavia
Prof. Edoardo Vesentini Docente Università Normale Pisa