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Archivi autore: redazione

L’amore per chi resta. Riti di passaggio

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

di Monica Barisone 

Da tempo volevo cercare di affrontare il tema dei processi che si articolano attorno all’esperienza del lutto e della morte, era nell’aria da mesi, era nei discorsi dei ragazzi, nei disegni dei bambini, nei visi inespressivi di chi mi parlava, esprimendo rassegnazione e senso di precarietà.
Poi ho incontrato Marybel dai dolci sorrisi, che mi chiedeva come preparare i suoi tre bambini alla incombente dipartita della nonna tanto amata, e l’urgenza è diventata necessità, ma una necessità che conteneva anche la chiave di lettura: l’amore per chi resta.
Spesso gli adulti, presi nella morsa del loro dolore e dalla negazione per difendersi da quanto sta accadendo, dimenticano la necessità del bambino di elaborare il proprio lutto.
Per proteggerlo dal dolore e dall’angoscia, cercano di tenerlo all’oscuro, a volte perfino d’ingannarlo su ciò che è accaduto o sta accadendo.
Il bambino può percepire però d’essere stato imbrogliato (A.Marcoli,2014), può imparare a non fidarsi dei grandi e a non mostrare il proprio vero sentire; può costruire teorie bizzarre sulla vita e la morte, a volte altamente patogene. Al contrario, il bambino, la bambina vanno supportati e accompagnati nel tempo e nello spazio per capire, esprimere ogni emozione (stupore, curiosità, dolore, angoscia, paura, rabbia, senso di colpa o d’impotenza…).
A volte possono persino pensare d’esser loro i ‘colpevoli’, allora occorrerà rassicurarli, parlar loro dell’inevitabilità della morte e del fatto che non verranno abbandonati a breve anche dagli altri adulti cari.

Costruire con loro riti di passaggio aiuta a costruire senso! Permettere loro di partecipare ai momenti commemorativi, può aiutarli ad imparare o ricordare che dopo la caduta delle foglie arriva sempre la primavera.
I momenti in cui ci si trova in famiglia, ad elaborare un lutto comune, sono preziosi per la loro forza integrativa nella mente di ognuno (C. De Gregorio 2011). Continua a leggere

Con il PNRR molti soldi per molti progetti, ma manca un progetto

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Nicola Puttilli

Sta crescendo la sensazione che anche per la scuola la valanga di risorse che si sta riversando con il PNRR sia, appunto, soltanto una valanga, una massa imponente e inattesa destinata a sciogliersi nel tempo senza, praticamente, lasciare traccia. In questi mesi assistiamo al paradosso di dirigenti scolastici che lamentano l’arrivo massiccio e continuativo di finanziamenti, quasi sempre vincolati alla digitalizzazione, manifestando quasi il pudore di dover continuare a spendere per materiali e servizi di cui già si ha ampia disponibilità o, comunque, considerati non prioritari. Senza dubbio una singolare constatazione per un sistema che ha visto un progressivo e inesorabile depauperamento di risorse nell’ultimo trentennio.

Ma il paradosso che colpisce maggiormente, nell’epoca della moltiplicazione dei progetti e dei progettifici, è proprio la mancanza di progetto.
Il più grande problema della scuola italiana, sia in termini di equità sociale sia di freno allo sviluppo economico del Paese, è quello della dispersione scolastica e della forte disomogeneità nell’acquisizione di competenze fra i diversi territori (nord-sud, centro-periferie, ecc).
Basta dare uno sguardo ai paesi che più e meglio di noi hanno risolto questo problema per capire che la chiave sta tutta in una didattica attiva, modulare, laboratoriale, attenta alla qualità della relazione. L’esatto contrario della didattica frontale e trasmissiva, inesorabilmente uguale per tutti, da sempre imperante nelle nostre scuole. Del resto c’è poco di che stupirsi, né più né meno di ciò che, dall’inizio del secolo scorso, hanno sostenuto tutti i pedagogisti più illustri , da John Dewey alla nostra Maria Montessori, fino a  Célestin Freinet che ha, fra l’altro, ispirato quel Movimento di Cooperazione Educativa che ha fortemente contribuito all’unica vera riforma dal basso, la sola possibile, della nostra scuola.

Trasformazione in senso democratico e ugualitario, suggellata ed enfatizzata dalla lettera di Don Milani, ma che ha avuto insormontabili limiti di natura storica e geografica. Ha infatti dato il meglio di sé tra i primi anni ‘60 e la fine degli anni ’70, soprattutto in alcuni comuni del nord decisi a investire in educazione nelle scuole materne, allora non ancora di competenza statale, con esiti di assoluta eccellenza (Reggio Emilia, Torino, Milano, Bologna, per citarne alcuni) e nella scuola elementare, di nuovo principalmente al nord, fino a produrre fondamentali provvedimenti legislativi come la legge 820 sul tempo pieno e la 517 sulla valutazione formativa e l’inserimento dei disabili.

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COME COMPILARE IL PEI A FINE ANNO

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Nel canale Youtube di Gessetti Colorati è disponibile la registrazione dell’incontro svoltosi il 9 giugno 203 con Evelina Chiocca sul tema
COME COMPILARE IL PEI A FINE ANNO
anche alla luce delle ultime precisazioni del Ministero dell’Istruzione

Estate formativa: una iniziativa per i docenti lombardi

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di Emanuele Contu

L’idea di proporre i corsi di “Estate Formativa”, rivolti prioritariamente ai docenti dell’Ambito 26 Lombardia, è nata prima di tutto da una contingenza. I fondi per le attività di formazione quest’anno sono stati assegnati molto tardi alle scuole polo, con il vincolo di concludere comunque le attività di formazione entro il 31 agosto.

Abbiamo pensato allora di proporre dei percorsi agili (quattro incontri online), con la convinzione che le settimane tra metà giugno e metà luglio per gli insegnanti siano non soltanto il periodo della fine di un anno scolastico, con scrutini e per molti anche esami di Stato, ma possano essere anche il tempo per iniziare a ricaricare le batterie facendo il pieno di stimoli e spunti di riflessione da mettere a frutto a partire da settembre.

Nei primi giorni dalla presentazione del catalogo, che comprende 25 percorsi rivolti a docenti di infanzia, primaria e secondaria, abbiamo raccolto oltre 250 iscrizioni, segno che l’attenzione è più elevata di quanto ci aspettassimo. Prevediamo di arrivare a circa 500 adesioni totali, un numero consistente se pensiamo al periodo dell’anno, alla platea ristretta cui ci rivolgiamo (le scuole dell’ambito sono 62) e al concomitante avvio dei percorsi formativi per docenti tutor e orientatori.
Stiamo anche pensando a un secondo tempo, che vorremmo collocare appena prima della ripresa di settembre: una giornata formativa residenziale, da aprire con una colazione condivisa e concludere all’ora dell’aperitivo, nella quale mettere in condivisione pratiche e spunti di riflessione tra docenti e dirigenti dell’Ambito. Provare a creare una cultura professionale comune, almeno in alcuni tratti fondamentali, è una sfida appassionante: per questo anche nella selezione dei formatori abbiamo dato spazio a molti docenti esperti delle scuole del nostro Ambito, cui si affiancano le proposte di alcuni nomi più noti come ad esempio Anna Rita Vizzari, Valeria Pancucci, Clara Alemani e Daniela Di Donato.

Clicca qui per consultare la proposta

Curatela di eventi (e di concetti)

di Marco Guastavigna

Il dibattito sulla cosiddetta intelligenza artificiale è sempre più sciatto e polarizzato: a raffiche di affermazioni apodittiche – improntate al sommo ottimismo o al massimo ottimismo, poco importa! – si affianca un’analisi asfittica.
Una delle sciocchezze più diffuse è l’impiego del termine “strumento”. È davvero stancante dover ripetere che abbiamo invece a che fare con dispositivi: contengono e dispiegano pre-decisioni, regole d’ingaggio, condizioni di impiego (anche economiche e discriminanti), mettono in atto retro-azioni e feedback, monitorano interazioni (non sempre in modo chiaro e trasparente). E così via. Per non parlare dell’appiattimento su ChatGPT, su cui fioriscono corsi e corsetti, webinar gratuiti e a pagamento, manuali che esigono il pagamento di royalties e altre iniziative di sfruttamento dell’approccio tecnocratico.

Nella stragrande maggioranza dei casi, inoltre, si trascura una questione per altro non nuova, ovvero la progressiva e totale privatizzazione della sfera pubblica e della conoscenza, già largamente praticata e accettata prima che l’emergenza del lockdown la rendesse sintassi della vita collettiva e individuale. Questione squisitamente politica, che l’impostazione e la gestione centrale e da parte delle singole unità scolastiche del PNRR moltiplica e rende sempre più drammaticamente risolta a favore degli attori del capitalismo cibernetico, ormai naturalizzati.

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Soldi, soldi, soldi: PNRR e Scuola 4.0 – Ma voi sapete cosa si sta decidendo nella vostra scuola?

di Rodolfo Marchisio

Le scuole sono sovraccariche in questo periodo, a causa della produzione di progetti – cfr. elenco di Stefanel – spesso legati al PNRR; non sembra tutti utili o realizzabili, né, a mio avviso legati ad una strategia esplicita complessiva che sia convincente, che vada aldilà della causalità:
soldi disponibili -> progetto -> soldi erogati.

Poiché almeno 3 filoni di finanziamenti hanno a che fare con la nuova iniezione di tecnologie digitali nella scuola e tutte con la formazione, se non con un modello di scuola, resta da definire qual è l’incastro temporale e funzionale delle varie iniziative in un progetto complessivo.
Per quanto riguarda il cosiddetto “digitale” riprendiamo l’analisi già introdotta e “curiosiamo”.
Almeno all’inizio parrebbe abbastanza chiaro.

Al fine di coordinare le misure di trasformazione digitale, ciascuna istituzione scolastica adotta il documento “Strategia Scuola 4.0, che declina il programma e i processi che la scuola seguirà per tutto il periodo di attuazione del PNRR con la trasformazione degli spazi fisici e virtuali di apprendimento, le dotazioni digitali, le innovazioni della didattica, i traguardi di competenza in coerenza con il quadro di riferimento DigComp 2.2, l’aggiornamento del curricolo e del piano dell’offerta formativa, gli obiettivi e le azioni di educazione civica digitale, la definizione dei ruoli guida interni alla scuola per la gestione della transizione digitale, le misure di accompagnamento dei docenti e la formazione del personale, sulla base di un format comune reso disponibile dall’Unità di missione del PNRR”. Semplice no?
Si tratta di 2,1 miliardi per Scuola 4.0[1] già stanziati in base al numero delle classi (l’elenco completo dei fondi assegnati). Più altri dedicati ai laboratori (Ist. superiori), Labs (elenco completo).
Chi ha meno di 100 mila euro o ha buon senso o fa la figura del poveraccio, mentre gli altri avranno da 125 a 500 mila euro.

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Non lo psicologo ma tanta psicologia per curare le patologie della scuola

di Giovanni Fioravanti

Composizione geometrica di Gabriella Romano

Lo psicologo a scuola c’è ormai da tempo, con un eccesso di certificazioni per ogni disturbo specifico dell’apprendimento, per ogni bisogno educativo speciale.

È la scuola che non è mai ricorsa all’ausilio di uno psicologo per curarsi, eppure è da tempo che si segnalano vere e proprie malattie, crisi di identità, malesseri, sintomi di disadattamento e di sfinimento, addirittura pare che sia la scuola ad essere dannosa a se stessa. Ma non è attraverso il continuo ricorso alla clinica che la scuola può pensare di guarire dalle sue patologie.

La scuola più che di psicologi ha bisogno di psicologia a tutti i livelli.
Nelle professioni di relazione la competenza psicologica è fondamentale. Nella scuola questo vale dall’ultimo dei collaboratori scolastici fino al primo dei dirigenti.

Ma la relazione tra psicologia e scuola nel nostro paese non è mai stata delle più felici.
Ci aveva tentato, all’indomani della Liberazione, Carleton Washburne, pedagogista statunitense, a capo della ricostruzione della scuola italiana, mandando cinque insegnanti della scuola elementare all’Università di Ginevra perché apprendessero le teorie di Piaget. Ma il progetto naufragò perché il governo italiano di allora non aveva i soldi per pagare il viaggio e il soggiorno.


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