È IA? È IA! Ah, là, là…

di Marco Guastavigna

Mi capita sotto gli occhi una proposta di legge di iniziativa dei Deputati Cavo, Bicchielli, Cesa, Romano, Semenzato, Tirelli che mi ha costretto a riflettere.
Il tema, infatti, è quanto mai attuale: la riconoscibilità dei prodotti frutto di sistemi di intelligenza artificiale.

Le formulazioni adottate nella relazione di accompagnamento ingenerano però disperazione – siamo di fronte ai soggetti detentori (si fa per dire) del potere legislativo – per la loro imprecisione: sembrano attingere tutte al peggior senso comune, quello di chi per più di un anno si è accontentato di leggere e/o ascoltare i titoli sensazionalistici dei mass media.

Immagine realizzata con Microsoft Copilot Pro

 

 

 

 

 

 

 

A voler essere precisi, infatti, stiamo parlando di intelligenza artificiale generativa: è questa, infatti, la matrice operativa dei dispositivi in grado di produrre o modificare i contenuti di cui il testo di legge lamenta la non immediata identificabilità. E questo tipo di AI non simula “i processi dell’intelligenza umana”, ma gli esiti.
Ad essere plausibili devono essere i testi, le immagini e quant’altro, non gli sviluppi interni della macchina statistico-predittiva: interessano infatti come risultato, come testimonianza di una prestazione computazionale efficiente.

L’obiettivo individuato e denunciato come “ultimo” – creare [sic! un po’ di misticismo accresce l’allarme, NDR] computer in grado di pensare e agire come esseri umani – testimonia forse appassionata fruizione di romanzi e film di fantascienza, non certo attenzione all’effettivo andamento della realtà che si dovrebbe pretendere da chi ha responsabilità politiche e rappresenta la Nazione.

Il dispositivo normativo prevede una sanzione amministrativa pecuniaria, “da 30.000 euro a 600.000 euro, ovvero fino all’uno per cento del fatturato annuo, quando il valore di tale percentuale è superiore a 600.000 euro del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notifica della contestazione”

  • per i “soggetti responsabili della pubblicazione e della diffusione dei contenuti prodotti mediante sistemi di intelligenza artificiale” che non abbiano fornito “all’inizio e alla fine del contenuto, un’etichetta e un avviso visibili e facilmente comprensibili agli utenti;
  • per i “fornitori dei contenuti editoriali creati tramite l’utilizzo di software di intelligenza artificiale” che non abbiano redatto, “altresì, la documentazione relativa al prodotto prima che lo stesso sia immesso sul mercato”, da consegnarsi, se richiesta, all’autorità nazionale competente, l’AGCOM.

Ad essere davvero intellettualmente onesti, va riconosciuto che immaginare di risolvere un problema etico e deontologico con ammende e con spirito punitivo è assolutamente coerente con il riferimento diretto alla mercificazione dei “contenuti”. Essi sono concepiti infatti come oggetto di compravendita e l’eventuale mancata dichiarazione di autorialità artificiale si traduce in una loro indebita valorizzazione in termini monetari.
La difesa della cultura come patrimonio collettivo, come bene comune, non c’entra nulla.

Del resto, questo aspetto della questione è molto complesso. Nessuna elaborazione culturale – nemmeno la più “creativa” – è priva di rapporti, correlazioni, confronti e così via con altre precedenti e contemporanee. Tanto è vero che vi sono degli strumenti appositi per rendere espliciti e trasparenti questi intrecci: note, citazioni, bibliografie, link. Non è un caso che accanto al classico copyright, che protegge soprattutto i diritti economici degli editori, si siano collocate le Creative Commons Licenses, tutte vincolanti all’indicazione dell’autorialità. Questo obbligo tutela infatti nelle due direzioni, perché la riconoscibilità di chi ha realizzato l’opera culturale garantisce anche i suoi utenti, in termini di attendibilità e di qualità.

Torniamo ora ai dispositivi di intelligenza artificiale generativa: la gran parte si presenta come “assistente”, dichiara la propria fallibilità, invita a fare verifiche sui risultati. Molti degli ambienti text2image, in più, rilasciano le immagini marcando il nome del file in modo da renderne chiara la provenienza.
Vediamo quindi di capire meglio in cosa consiste un eventuale uso truffaldino. Allo stato attuale delle autentiche – ovvero, non di quelle mitizzate ma inesistenti – capacità operative degli assistenti di AI generativa, deve verificarsi da parte umana, mediante omissione, un’auto-attribuzione non solo del prompt (lo stimolo iniziale, senza il quale tendenzialmente non succede nulla) – e della conversazione con il dispositivo (il che è del tutto legittimo da ogni punto di vista, tanto che c’è chi sostiene che il prompt engineering è una competenza della modernità), ma anche dell’esito finale (testo, immagine, video e così via). E questo è un modo di agire intenzionale, frutto di una scelta ben precisa, totalmente ascrivibile, appunto, agli esseri umani.
Ne consegue che ipotizzare che la possibile mancanza di riconoscibilità sia un problema emergente al punto di rendere necessaria una politica repressiva significa estendere a tutte le classi di età la volontà di “copiare” che molti individuano come bussola etica adolescenziale. Siamo sicuri che sia così?

Per approfondire

  1. Aliprandi, L’autore artificiale. Creatività e proprietà intellettuale nell’era dell’AI, Ledizioni, Milano 2023  
  2. Chimienti, Diritto d’autore 4.0. L’intelligenza artificiale crea?, Pacini Editore, Pisa 2020

 

 




Come fronteggiare le insidie della I.A.

di Cinzia Mion

Progettazione a ritroso e comprensione profonda

Nel panorama delle offerte che si incontrano, nelle pubblicazioni specialistiche, di esempi di progettazione di competenze, spicca per originalità la cosiddetta “progettazione a ritroso”.

Quando ho scoperto Wiggins e i suoi testi a dire il vero sono rimasta molto affascinata. Mi sono detta: ”Ecco l’uovo di Colombo”.
Finalmente gli insegnanti finiranno di sperare che le competenze possano scaturire come per magia alla fine del percorso tradizionale delle conoscenze come da programma. Si tratta in parole povere di rendersi conto che le “competenze” non possono scaturire dalla programmazione lineare delle conoscenze e dall’applicazione pedissequa del libro di testo.
Bisogna progettarle prima.

Ora invece posso affermare che questo tipo di progettazione, che pone il suo focus sulla competenza “profonda e duratura”, è l’unica che è in grado, ovviamente fino ad oggi, di poter essere considerata adatta a fronteggiare le insidie della Intelligenza Artificiale.
Con il mio contributo non intendo demonizzare tale dispositivo e tanto meno analizzarlo perché non ne ho le competenze.

Dal punto di vista di persona di scuola intendo però evitare che possa inaridire o minimamente compromettere la facoltà più fulgida che appartiene al genere umano, che dovrebbe connotarci sempre anche se negli ultimi tempi è venuto un po’ meno: il pensiero autonomo e riflessivo.
La competenza individuata come importante da far raggiungere agli alunni dovrà essere focalizzata all’inizio del percorso, dovranno poi essere identificate le conoscenze e i “saperi” ineludibili (fatti, concetti e principi), le abilità indispensabili (processi, strategie e metodi).
Inoltre andranno pianificate esperienze di apprendimento da far vivere direttamente in applicazione dell’aspetto teorico, per rendere attuabile il raggiungimento della competenza in questione. Bisogna però sottolineare che le pubblicazioni di Wiggins fanno riferimento alla “teoria” e alla “pratica” di un percorso didattico per la “comprensione profonda e significativa”.

Strada facendo si chiarirà anche il termine “duratura”, vale a dire inserita nella memoria semantica e non solo episodica, quindi in grado di illuminare di “senso” i contenuti in essa depositati. Un senso che va oltre l’occasionalità ma invece in grado di mettere in connessione altri contenuti successivi anche se apparentemente “sconnessi”.

LE DOMANDE ESSENZIALI

Il docente perciò dovrà farsi delle domande molto pregnanti, acquisendo la mentalità del progettista. Insegnare a partire dalle domande significa chiedere retoricamente “se le conoscenze sono fatte di risposte, allora quali erano le domande che hanno dato vita ai libri di testo o che hanno causato le risposte dell’insegnante e le risposte dei contenuti di queste discipline”?
Oppure le rielaborazioni dell’IA?
Questo tipo di domande è molto diverso da quello che normalmente il docente fa per controllare le conoscenze fattuali, per guidare gli allievi verso le risposte esatte. Dovrà infatti chiedersi innanzitutto: cosa è meritevole e degno di essere compreso in profondità? Si capisce immediatamente che il docente che decide di sperimentare questa interessante progettazione accetta di avere un buon rapporto con la fatica di pensare e con la riflessività che ne consegue. Fa parte di questa intensa riflessività la ricerca all’interno dei vari contenuti di “una grande idea” che dovrà avere un interesse durevole anche oltre l’ambito scolastico.

Se mi chiedessero a bruciapelo quale profilo finale vorrei che la scuola italiana si prefigurasse alla fine del corso di studi dalla scuola dell’infanzia fino all’uscita dalla scuola secondaria, direi subito: vorrei dei ragazzi riflessivi e dei cittadini formati all’etica pubblica. Naturalmente non significa “ignoranti” nelle conoscenze fondamentali delle discipline ma che queste siano state strumentali alla formazione delle caratteristiche suddette.

Vi sembra poco? Ragazzi, e ragazze, naturalmente, in grado di pensare con la propria testa, vale a dire curiosi e “problematizzanti” e desiderosi di autointerrogarsi sulle questioni più vitali del mondo, del futuro, della loro vita e della vita degli altri.
Che hanno sviluppato una intelligenza vivace, fertile, connettiva. Vale a dire ragazzi e ragazze che hanno appreso il valore profondo e duraturo delle idee portanti dei saperi e che inoltre hanno appreso e praticano coerentemente i valori del “cosiddetto Bene Comune”, caposaldo dell’educazione alla cittadinanza, evitando i trabocchetti dati dal famigerato “familismo amorale” che, da moltissimo tempo, contraddistingue il popolo italiano, legittimando i “tornacontismi” e gli incredibili livelli di corruzione e ipocrisia, scambiandoli con “furbizia”, considerata un valore al posto dell’intelligenza.

In altre parole che sono in grado non solo di affrontare con buoni risultati il “problem solving”, su cui può essere di valido aiuto anche l’I.A., ma soprattutto in grado di autointerrogarsi sui dilemmi, le questioni, le difficoltà della realtà, in altre parole l’attitudine al “problem posing”.

COMPRENSIONE PROFONDA E DUREVOLE

Quando Wiggins parla di grande idea il suo riferimento è ad una idea “perno”, essenziale per interpretare la realtà ed essenziale anche per costruire i famosi “compiti di realtà”, funzionali a cogliere quanto la competenza auspicata e realizzata si è incarnata nel repertorio delle acquisizioni degli allievi.
Una volta individuata l’idea perno, risposta desunta da una serie di domande essenziali di “senso”, si procede con il percorso. Una domanda di senso potrebbe essere: quanto questa idea perno può coinvolgere l’alunno dentro al nucleo centrale della competenza e quanto questa idea può essere determinante per fare chiarezza e sciogliere gli equivoci?
Vediamo ora cosa si intende per comprensione profonda. Significa che se una conoscenza o un’abilità non diventa lettura e comprensione della realtà, difficilmente si trasforma in significativa o flessibile o in comprensione profonda. Al contrario è molto probabile che rimanga astratta, disincarnata, scolastica.

I SEI ASPETTI DELLA COMPRENSIONE

Il primo aspetto è “la spiegazione”. L’allievo deve essere in grado di presentare resoconti di fenomeni, fatti e dati. Si tratta di dimostrare di essere in grado di rispondere alle famose cinque domande, tipiche fra l’altro del giornalismo: chi, cosa, dove e quando. Si richiede pertanto non solo la risposta esatta ma la spiegazione, si sollecita il collegamento di fatti specifici e la capacità di sostenere tali collegamenti e le loro conclusioni.

Il secondo aspetto è “l’interpretazione”. Si tratta di affrontare l’argomento attraverso esempi, aneddoti, narrazioni, ecc che possono costituire contenuti di testi, poesie, filmati, ecc. L’allievo deve saper rispondere a domande del tipo: quello che hai letto o scritto cosa significa? Cosa spiega dell’esperienza umana? In che modo ha a che fare con te?(es. i flussi migratori cosa ti rivelano del genere umano?)

Il terzo aspetto è “l’applicazione”. Questa dimensione verifica la possibilità di affrontare i famosi compiti autentici, che , proprio per essere autentici, non devono essere scollegati completamente dalla realtà dell’allievo e dalle sue esperienze, tanto da apparire stravaganti e bizzarri, come qualche volta capita di incontrare. Senz’altro il livello dell’applicazione richiede di usare le conoscenze in nuove situazioni e in vari contesti. Bisognerebbe che l’allievo potesse rispondere alla domanda : In quali modi le persone applicano questa comprensione nel mondo fuori dalla scuola? Come dovrei modificare il mio modo di pensare e il mio agire per rispondere alle esigenze di questa particolare situazione?

Il quarto aspetto è “la prospettiva”. Avere prospettiva prevede la competenza del decentramento e della “lungimiranza” e la capacità di rispondere alla domanda: questo argomento da quale punto di vista è stato affrontato? Capire il punto di vista significa possedere lo spirito critico per riuscire a smascherare assunzioni e conclusioni che non sono state sottoposte a controllo. Le Indicazioni per il curricolo, che hanno sostituito i programmi, chiedono più volte la competenza di essere in grado di cambiare punto di vista, anzi considerano questo obiettivo, in questa società multiculturale e multireligiosa, fondamentale e peculiare dei tempi.
Chissà se l’I.A. è in grado di indurre la flessibilità che richiede il “decentramento del punto di vista” come competenza personale consolidata, non come soluzione ad un quesito del momento. Faccio riferimento alla competenza interculturale e all’assunzione del paradigma della complessità come vera e propria forma mentis.

Il quinto aspetto è “l’empatia”. Questa dimensione viene definita come la capacità di entrare nei sentimenti e nella visione del mondo di un’altra persona. Significa saper mettersi nei panni degli altri, si tratta di sviluppare le intelligenze personali di cui parla Gardner, quella “intrapersonale” ma soprattutto quella “interpersonale”. Oltre che a sviluppare questo importante tipo di intelligenza si tratta anche di correggere la deriva sociale dell’indifferenza o “noncuranza”. L’aspetto più degno di nota dal punto di vista cognitivo è che il mutar d’animo può essere l’inizio del cambiamento di opinione e del superamento di eventuali pregiudizi.
Dubito molto che l’I.A. possa incidere sul “sentire” cosa prova l’altro, avvertirne la portata emotiva, le vibrazioni che ciò comporta. Può essere che io abbia una visione parziale e distorta di questo tipo di intelligenza perché nel mio immaginario la assimilo ad una “macchina pensante” ma non “senziente”!

Il sesto aspetto è “l’autoconoscenza”. Si tratta di riuscire alla fine a cogliere il nostro modo di conoscere, lo stile apprenditivo, quali sono i nostri schemi di pensiero, i nostri meccanismi di difesa che possono compromettere la nostra comprensione. Gli allievi dovrebbero essere in grado di risponder alla domanda “ quali sono i limiti della mia comprensione? Cosa tendo a comprendere erroneamente a causa dei miei pregiudizi, abitudini e stili mentali? “
Ovviamente questo aspetto deve riguardare prima di tutto i docenti sia per quanto attiene la loro “comprensione profonda“ delle conoscenze più significative; dei nuclei fondanti delle discipline che hanno il compito di insegnare, ovviamente dopo averli padroneggiati; del modo più accessibile e chiaro di tradurre tali concetti sostanziali e validati, in una didattica abbordabile e facilitante la comprensione da parte degli allievi. Speriamo così di solleticare la curiosità professionale di molti docenti, stimolati in questo modo all’ “autointerrogazione”: una delle strategie più sane per la Scuola ma anche per la Vita.

E alla fine si tratta di interrogarsi su come utilizzare l’Intelligenza Artificiale, di quali vantaggi può offrire ma soprattutto di quali conseguenze anche negative possono scaturirne e di come poterle minimizzare. Di come, per esempio, riprogettare il proprio lavoro come ho provato a fare io con il presente contributo

 




Ci sono saperi e saperi

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Raimondo Giunta

Ci sono saperi che valgono in sè e sono quelli che danno un orientamento per dare un senso alla propria vita e ci sono saperi che valgono per orientarsi nel mondo del lavoro; l’approccio per competenze come spesso definito, proposto e incentivato questa distinzione tiene a non farla, tant’è che dappertutto si è visto ridurre il peso delle discipline umanistiche e delle stesse discipline teoretiche della scienza.
Che esistano saperi inerti è una favola da Confindustria; che l’inerzia sia congenita a determinate discipline è un’altra fatta propria dagli apostoli delle competenze.
Ogni sapere è vivido e fruttuoso se viene problematizzato; se si fa comprendere che si è costituito come risposta ai problemi che l’uomo ha dovuto affrontare nella sua storia.
E per la storia è opportuno ricordare che nei tecnici e nei professionali si è sempre considerato il rapporto col mondo del lavoro come proprio principio costitutivo.
Contrariamente a quel che viene detto la scuola che non si lascia trascinare nel dogmatismo dell’approccio per competenze è un scuola che dà strumenti di libertà; la scuola che predica la spendibiltà dei saperi predispone all’accettazione servile, all’adeguamento puro e semplice ai dati del mercato del lavoro.
Un matematico che aveva insegnato negli Stati Uniti e in Italia disse che dal punto di vista della produttività intellettuale è meglio insegnare geometria parlando di segmenti piuttosto che di bastoncini; non c’è nulla di più produttivo di un insegnamento teorico serio, rigoroso e profondo.
Un personaggio come M.Crahay, a cui si deve la realizzazione in Belgio di uno dei primi se non del primo curriculum per competenze in Europa dice della competenza che non ha fondamento e che è simile alla caverna di Alì Babà; non posso tralasciare, infine, B.Rey che delle competenze cosiddette trasversali ha mostrato tutta la loro debolezza, se non proprio l’insostenibilità.
P.S. Le competenze senza conoscenze sono vuote; si è competenti perchè si sa e si sa ciò che viene appreso in materie umanistiche, scientifiche e professionali.




Elon Musk, i popoli della Amazzonia e il colonialismo tecnologico

di Rodolfo Marchisio

Musk è chiaramente un personaggio egocentrico, contradditorio, anche nelle sue scelte di campo, tranne che su 2 cose: sul fatto di guadagnare soldi e che si parli di lui.

La iniziativa (di cui all’articolo di M. Guastavigna) è una forma di neo colonialismo tecnologico, razzista che si basa sulla convinzione della superiorità, grazie alle tecnologie (anche da noi discusse in modo critico, soprattutto per l’oligopolio della loro gestione da parte dei Big e per la mancanza di attenzione ai problemi che creano a cittadini, lavoratori ed ecosistema) della cultura occidentale). Diversa la iniziativa di B. Gates anni fa di portare PC a manovella a popolazioni che non avevano la energia elettrica.

C’è una presunzione di superiorità del ruolo delle tecnologie e della nostra cultura che va contro i diritti alla autodeterminazione dei popoli, dei cittadini e dei popoli e delle nazioni indigene[1]
Come quando abbiamo portato l’alcool (e i virus e la “vera” religione) negli altri continenti.
Non parliamo del buon selvaggio felice, ma del fatto che nessuno, né privato, né stato, ha il diritto di sconvolgere la evoluzione di un popolo, arrogandosi il diritto ed il potere di migliorare (deus ex machina) le sue condizioni in base alla presunta superiorità della nostra cultura occidentale esportando non solo tecnologie ma problemi (patologie e dipendenze) da noi irrisolti.
Noi siamo prigionieri delle tecnologie (dei padroni delle tecnologie), che se ci servono, però ci sfruttano come cittadini e consumatori; creano assuefazione ed effetti dannosi dal punto di vista fisico, psicologico, sociale, ci cambiano profondamente. [2]

Ci abbiamo messo secoli per arrivare a questa situazione, abbiamo avuto la possibilità di adattarci in modo critico (anche se non lo abbiamo fatto) e non ne siamo usciti, chiusi tra utilità, necessità, ma anche dominio, sfruttamento e problemi irrisolti.
Un popolo non può essere usato come cavia. Si tratta di un esperimento che usa popoli come cavie, senza tesi da dimostrare, senza preoccuparsi delle conseguenze, per far parlare di sé.
Per questo andrebbero aggiornate alla situazione attuale le varie dichiarazioni dei diritti dell’uomo e dei popoli, compresi i popoli “indigeni”, già ampiamente sfruttati: nel senso della autodeterminazione, del dialogo tra culture, dell’aiuto e della non ingerenza.[3]

Aggiornate ma poi attuate.

 

[1] Dichiarazione Nazioni unite sui Diritti dei popoli indigeni, maggio 2008 https://www.un.org/esa/socdev/unpfii/documents/DRIPS_it.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_dei_diritti_dei_popoli_indigeni
[[2] https://www.youtube.com/watch?v=Giibp5GApVg
[3]https://www.ohchr.org/sites/default/files/UDHR/Documents/UDHR_Translations/itn.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Carta_di_Algeri:_Dichiarazione_Universale_dei_Diritti_dei_Popoli
https://unipd-centrodirittiumani.it/it/attivita/Autodeterminazione-diritti-umani-e-diritti-dei-popoli-diritti-delle-minoranze-territori-transnazionali/187




Da Amazzonici a (potenziali) Amazoniani

cdi Marco Guastavigna

Ne hanno (s)parlato in molti: i satelliti Starlink hanno portato la connessione internet alla comunità Marubo, con la conseguenza di renderne gli appartenenti assimilabili agli “sdraiati”, gli adolescenti descritti qualche anno fa da Michele Serra.

Al di là degli aspetti pruriginosi – accesso alla pornografia digitale – e degli “o tempora o mores!” di rito, l’evento dà l’occasione di riflettere su un tema importante e complesso.

È infatti un classico caso in cui il dominio tecno-capitalista dell’Occidente si traduce non solo in supremazia cognitiva, ma anche in soperchieria morale e comportamentale.

Come se non bastasse, inoltre, questi esiti vengono considerati troppo spesso effetti collaterali di processi definiti con grande leggerezza e perniciosa ostinazione “progresso”, “sviluppo”, “crescita”, a seconda della convenienza politico-lessicale del momento.

Oltre che richiamo dell’epistemicidio denunciato da pensatori e attivisti non subalterni alla cultura europocentrica e fautori della pluralità delle storie, anziché della Storia così come è stata istituzionalizzata, la scelta di Musk è quella di rifiutare una visione della conoscenza come arcipelago di punti di enunciazione a favore dell’universalizzazione dell’immaginario e dell’agire di un segmento (demograficamente minoritario) dell’umanità.

Questa decisione, per altro certamente ponderata sul piano mediatico e aziendale, mi spinge perciò a proporre di insignire l’ imprenditore sudafricano del settimo grado del quadro di riferimento occidentale per le competenze digitali, fino ad ora assegnabile solo a Harry S. Truman: Colono.




Chat-tanooga Choo Choo 4.0

di Marco Guastavigna

Se non fosse una tragedia professionale e culturale, sarebbe divertente.

Da una parte l’accademia giunge alla geniale conclusione che con un dispositivo che simula un dialogo si può praticare nientepopodimeno che la didattica conversazionale.

Dall’altra, sinergicamente, una rete di scuole definisce criteri e parametri per un’introduzione dell’intelligenza artificiale nell’istruzione primaria e secondaria, producendo un documento molto limitato nell’approccio, discutibile nel contenuto e sciatto nella forma. Immediati però complimenti e adesioni, in genere avendo letto solo il titolo e l’annuncio “social”.

In parallelo, i teorici dei massimi sistemi continuano a discutere in termini generali ed estremamente astratti di etica e AI, IA e apprendimento, lavoro e AI, IA e informazione e così via. Il tutto proiettato sul lungo termine, in modo da non dover fare i conti con il presente, dalla disumanizzante robotizzazione dei lavoratori della logistica globale, alla dicotomia tra sud globale, addetto all’addestramento e alla verifica dei dispositivi di intelligenza artificiale mediante prestazioni taskificate e retribuite in modo vergognoso, e nord globale, destinatario dei – forse presunti, certamente discriminanti – vantaggi delle tecnologie emergenti.

Niente di particolarmente nuovo, perché il potere culturale istituzionalizzato reagisce da tempo all’innovazione con un protocollo epistemologico consolidato: occupazioni degli spazi di dibattito e generazione (sic!) di filiere formative. Corredato di mutui riconoscimenti: dagli inviti ai rispettivi convegni alle citazioni incrociate. Puro tecno-feudalesimo.

Questo modo di procedere, per altro, si è sempre rivelato efficace soltanto per definire incarichi, ottenere investimenti, incrementare retribuzioni, millantare propagazioni e così via.

E questa volta è particolarmente grottesco e asfittico: si susseguono infatti novità e annunci e sono presenti sul mercato ambienti decisamente differenti dai capostipiti e dai primi derivati.

ChatGPT – nella versione free – consente ora di collegare all’utente i documenti da questo collocati su Google Drive o su OneDrive di Microsoft. Soprattutto, è disponibile una serie di chatbot così rubricati: “Scopri e crea versioni personalizzate di ChatGPT che riuniscano istruzioni, conoscenze aggiuntive e qualsiasi combinazione di competenze”. Il dispositivo si spoglia della sua (vaga) funzione generalista e assume sempre di più la forma e la struttura di un insieme articolato di assistenti ad attività definite.

Sempre ChatGPT ha appena lanciato la propria versione Edu, descritta – almeno nelle intenzioni – come “Strumento assistito dall’intelligenza artificiale per la creazione di percorsi di apprendimento personalizzati nell’educazione speciale”.

Ricordando che il browser Opera incorpora funzioni di assistenza artificiale nel proprio modulo Aria e aspettando i prossimi colpi di mercato di Google (che ha per altro già annunciato l’integrazione di Gemini nel workspace) e le evoluzioni di Microsoft Copilot, propongo ancora due questioni che mi sembrano importanti.

Alla prima abbiamo già accennato citando MagicSchool: ci sono varie piattaforme – oltre a quella appena citata, per esempio, Poe e Maestra Genia – che propongono un’articolazione (e quindi una sorta di scomposizione) della professionalità docente in una serie di moduli di assistenza operativa, spesso dotati di istruzioni e guide all’uso passo-passo, con un rinforzo delle scelte fatte e la proposta di possibilità di sviluppo della conversazione e dell’attività. Varrebbe la pena – credo – di analizzare e discutere il tutto più da vicino. In momenti di formazione e auto-formazione dialogica degli insegnanti: dovremmo infatti avere la capacità di comprendere quanto siamo ancora lontani da saper prefigurare e progettare un impiego davvero sensato dell’intelligenza artificiale da parte degli studenti, che non sia una verniciata di modernità!

La seconda questione è relativa alle licenze d’uso: molti di questi dispositivi offrono versioni o periodi limitati di utilizzo enza chiedere denaro agli utenti. Gli stessi, però, per un impiego completo e/o duraturo esigono poi il pagamento di un abbonamento o simili. Soprattutto nel caso di scelte collegiali relative all’introduzione intensiva ed estesa dei dispositivi di assistenza artificiale ad attività cognitive, non si può certo immaginare che questi costi ricadano sui singoli docenti.

È bene, insomma, che le scuole comincino a rendersi conto anche del fatto che l’impiego dei dispositivi di IA non solo va valutato con attenzione, ma è tutt’altro che gratuito: oltre all’impatto ambientale, va messo a bilancio, infatti, l’investimento di somme destinate a diventare importanti qualora si dovessero attivare centinaia di utenze.




Perché le IA vengono proposte alle scuole?

Premessa

In teoria dalla dispersione scolastica alle prove Invalsi sono sempre di più e sempre più efficaci, gli strumenti di AI al servizio di docenti e studenti. Ma c’è bisogno di più cultura sul tema ed impegno pubblico.” Sostiene Chiara Panciroli.

R: Sulla mancanza di cultura siamo d’accordo.

La IA non può essere integrata nell’istruzione senza un grande impegno pubblico e le necessarie garanzie e normative da parte dei governi. Azoulay. Unesco. R: Vero.

Per fare cosa?
Il modo più chiacchierato è l’uso di Chat GPT e simili (da parte degli allievi) per “barare” nelle esercitazioni o nei compiti in classe. Poi?

Le varie forme di IA possono aiutare la didattica come si vorrebbe? A quale prezzo?

L’intelligenza artificiale generativa può automatizzare l’elaborazione delle informazioni e la presentazione dei risultati finali attraverso tutte le principali rappresentazioni simboliche del pensiero umano. Consente di consegnare i risultati finali fornendo prodotti di conoscenza semi-lavorati. Liberando gli esseri umani da attività appartenenti a livelli di pensiero di ordine inferiore. Panciroli

R
: quali sono le attività “inferiori” a scuola? Compilare registri e atti? Nelle attuali condizioni di bassa motivazione e ristrettezza dei tempi, non sarebbe utile anche concentrarsi e confrontarsi per valutare un alunno in base non solo a dati, ma a osservazioni, relazioni, episodi, informazioni? Liberare tempo per parlarsi in queste condizioni strutturali e di risorse? Ma per fare questo occorre passare dalle IA?

questa nuova generazione di strumenti d’intelligenza artificiale potrebbe avere profonde implicazioni nella nostra comprensione d’intelligenza umana e apprendimento.

  R: O meglio potrebbe intanto essere un’occasione per riflettere su come funzionano intelligenza umana e apprendimento, e se esiste l’IA e come funzionano le sue varie applicazioni prima di comprarle o di farcele imporre.
Conoscere per capire

Uno dei temi più importanti è quello della cosiddetta explainability, ossia la comprensione e la spiegazione di cos’è e come funziona un’intelligenza artificiale”. Prima addirittura di ipotizzare per cosa usarli, bisogna anzitutto conoscere questi strumenti. Capire come funzionano, quali sono le loro potenzialità e (soprattutto) quali sono i loro limiti.

…è indispensabile comprendere come funzionano i prompt da dare al sistema: con input pessimi si hanno output pessimi, e gli strumenti perdono di utilità”. Panciroli.

Si ipotizzano utilità di sistema (scuola) e utilità didattiche.
Tra le prime abbandono scolastico (“predittivo”?) e la valutazione.
Come? Le presenze a lezione, i tempi di consegna dei compiti e altri parametri, prevedono quando è più probabile che uno studente possa abbandonare gli studi: l’idea è che in questo modo si possa intervenire per tempo, per esempio con un riorientamento rapido o offrendo un piano didattico personalizzato ed evitare l’abbandono.

  R: Questa modalità ha fondamenti pedagogici parziali (di parte) e poco fondati. Ma intanto

a- la logica predittiva può sbagliare e violare diritti (è già stata vietata a livello di polizia dall’IA Act UE)
b- Con che risorse e modalità si approntano soluzioni (i docenti lamentano di non avere spazi di confronto, progettazione e valutazione, fagocitati e silenziati dalla compilazione di un foglio elettronico con arrotondamenti deformanti)?
c- È vero che la individualizzazione del tutoraggio è difficile e costosa, ma il rischio è di non adattare lo strumento al bambino, ma il bambino al modello di chat bot disponibile centrato sulla “logica” – o meglio su una impostazione “statistico-induttiva[1] (Guastavigna) basata sui dati antecedenti, validi o no e quindi sulla raccolta ed il trattamento statistico di dati;  nella incapacità di gestire tutti gli altri aspetti emotivi e relazionali dell’apprendimento.
È una scelta pedagogica
che sta a monte di quello che le applicazioni denominate di IA possono fare, bypassando quelle che chiamano concezioni psicologiche dell’apprendimento individuale e puntando sulla ottimizzazione delle performance cognitive e di abilità. Che sono una parte del problema, ma non il contesto di soluzione.
– d) Allora meglio più risorse per la individualizzazione e l’inclusione, il confronto sul metodo
o meglio più chat bot (uno per allievo)?


Un secondo campo è quello legato al sistema di valutazione delle scuole, l’Invalsi: l’intelligenza artificiale può fare da supporto a questo sistema, per esempio leggendo e comparando in modo integrato tutti i dati raccolti e individuando criticità, punti di forza, lacune. ibidem

R: Sappiamo che la lettura, validità e utilizzo (ora anche individuale non più solo di sistema) dei dati INVALSI è un campo minato. E dopo avere ottimizzato i dati cosa facciamo (quali modelli) e con che risorse? Per quali obiettivi, prima di sistema ora anche individuali, anche se anonimi; con personale formato, rimotivato, pagato? Che è il vero problema.

Utilità didattiche. Valutazione

Questi strumenti consentono di superare la cosiddetta valutazione sommativa (quella tradizionale, ricavata da test, interrogazioni e simili) e passare a una valutazione formativa. Che dia ai docenti feedback ricorsivi con cui comprendere meglio le lacune degli studenti e mettere in campo tempestivamente delle attività di supporto
 
R: La IA ha trovato il modo di superare la valutazione sommativa? In realtà offre solo dati apparentemente più organizzati ai docenti. Il problema sono le risorse (ore docenti e soldi) per intervenire, le scelte politiche e poi metodologiche e l’atteggiamento dei docenti.

Come? Con quali parametri?
“Esaminando la struttura delle frasi scritte dagli studenti, gli errori ricorrenti, il tempo di consegna dei compiti e fornire così al docente un punteggio continuo, semplificando tra l’altro la correzione”

R: L’uovo di Colombo; la valutazione su cui discutiamo da decenni è tutta qui?

Le mappe

Ci sono infine i mediatori visivi che semplificano con mappe (?) le lezioni per i più in difficoltà.
Esistono ancora delle resistenze da parte del sistema educativo rispetto all’adozione di questi strumenti, in parte dovute al fatto che “per definizione la scuola è un luogo conservatore e contrapposto all’innovazione”, e in parte dovute alle paure relative alla privacy. Un tema certamente delicato e importante, ma che secondo l’esperta non va ingigantito: “Quello della privacy” conclude “è (almeno in parte) un falso problema” (?) sostiene Chiara Panciroli .

R: L’impressione è che si cerchi di vendere le applicazioni di IA (in questo caso “povera” e fondata su un modello di apprendimento parziale e discutibile) per risolvere problemi storici della scuola, “razionalizzando” con un metodo induttivo la raccolta dei dati e proponendo tutoraggi automatici individualizzati perché è quello che le IA sanno fare a mala pena ora.
a- È un lavoro integrativo, ma non la soluzione
b- ma a pagamento e tutto da testare ancora, anche perché ogni ragazzo, contesto, paese è diverso dagli altri e non basta ridurre disagio ed abbandono decontestualizzato ad una unica categoria algoritmica.
c- Bypassando la complessità, la diversità, l’intreccio apprendimento/socializzazione/ relazione emotività e clima di classe e scuola.

Non sapendo affrontare la complessità, si standardizzano gli allievi.

Infatti.

“In generale i chat bot, che qualcuno ha definito “motori di plagio” attingono a vaste riserve di informazioni che molto probabilmente sono inquinate dalla disinformazione passata o da materiale parziale e discriminatorio, e forse potrebbero diventare ancora più numerose, così come i contenuti automatizzati inondano il web.”  Singer nel rapporto del NYT.
I sostenitori pensano che i chat bot in classe potrebbero “democratizzare” l’idea del tutoraggio personalizzando automaticamente le risposte agli studenti, consentendo loro di lavorare sulle lezioni al proprio ritmo. I critici avvertono che i robot, addestrati su vasti database di testi, possono fabbricare una disinformazione apparentemente plausibile, rendendoli una scommessa rischiosa per le scuole Ben Williamson [2]

Approfondiamo.

Negli USA si sta cominciando a sperimentare in una scuola quello che in Italia stanno già propagandando ampiamente (al buio). Perché gli attuali esempi di intelligenza artificiale sono intrisi di un tipo di politica che applica soluzioni tecniche e di mercato a tutti i problemi sociali.

  • Nella esperienza dei test Khan migo (dietro cui c’è Bill Gates)gli educatori sembrano prendere parte a un “esperimento sociale”in cui i sistemi codificati di istruzione – pedagogia, curriculum e valutazione – vengono tutti riconfigurati dall’intelligenza artificiale, richiedendo sforzi laboriosi da parte degli educatori per adattare le loro pratiche professionali”. Carlo Perrotta

   R: Siamo disponibili a questi sforzi, a testare ed arricchire gratuitamente la IA a vantaggio degli oligopoli che ce la propongono? Ne abbiamo il tempo e ne vale la pena?

Anche perché l’IA’ può esercitare anche effetti degenerativi sull’apprendimento stesso.
“Più prosaicamente, è probabile che l’intelligenza artificiale riproduca gli aspetti peggiori dell’istruzione scolastica: il saggio standardizzato è già fortemente vincolato dalle esigenze dei regimi di valutazione, e i modelli linguistici tendono a riprodurlo nel formato e nel contenuto.”

La seconda questione è ciò che Perrotta ha descritto in termini di “divisione dell’apprendimento” – citando Shoshana Zuboff – che denota una distinzione tra organizzazioni di intelligenza artificiale con “infrastruttura materiale e capacità intellettuali esperte” per apprendere dai dati e mettere a punto modelli e processi, e gli sforzi non retribuiti degli utenti quotidiani le cui interazioni con i sistemi rifluiscono nel loro sviluppo continuo. Burrell e Fourcade hanno distinto tra “l’élite del coding”, una nuova classe professionale di competenze tecniche, e una forza lavoro recentemente emarginata o non retribuita, il “cybertariat”, da cui estrarre manodopera.” Nel caso Khan migo, gli ingegneri e i dirigenti della Khan Academy sono una nuova élite di sviluppo dell’intelligenza artificiale nel campo dell’istruzione, che sfrutta il lavoro degli insegnanti e degli studenti in classe per “ottimizzare” il loro prodotto.

R: In altre parole I big della IA stanno sfruttando il lavoro di manovalanza dei docenti per mettere a punto un prodotto che dall’anno prossimo sarà a pagamento per le scuole (60 $ a studente)
R: A parte lo sfruttamento del lavoro gratuito dei docenti, con che soldi le scuole, caso mai interessate, potranno pagare questi prodotti? Chi controlla e valida l’esperimento?

Il problema, per i big di IA, è che il tutoraggio individuale è “troppo costoso da sostenere su larga scala per la maggior parte delle società”. “Ma ostacoli finanziari suggeriscono che è improbabile che i chatbot in classe potenziati dall’intelligenza artificiale democratizzino il tutoraggio in tempi brevi.”

 R: Allora si fanno lavorare i docenti per ottimizzare il prodotto e poi rivenderglielo fidelizzando le scuole (come successo con Zoom ed altri prodotti proprietari cui ci siamo assuefatti in tempi di Covid ed in mancanza di iniziative ministeriali) e senza nemmeno puntare ad un tutoraggio individuale democratico.

  • Il dirigente della scuola che sta sperimentando in USA e che ci mette classi e manodopera docente ha affermato: “Il costo a lungo termine dell’intelligenza artificiale è per noi motivo di preoccupazione”.
  • Se le IA richiedono lavoro aggiuntivo non retribuito da parte degli insegnanti e ne estraggono valore, l’intelligenza artificiale e altre tecnologie predittive possono anche, come sostiene Sun-ha Hong, sottrarre potere discrezionale ai professionisti, rimodellando o addirittura diminuendo il loro processo decisionale e la portata del giudizio professionale. Nel caso sperimentale di Khan migo, anche il potere discrezionale dell’insegnante è almeno parzialmente sfruttato, ridotto o quanto meno complicato dalla presenza di un tutorbot.[3]
  • R: Infine, l’intelligenza artificiale nell’istruzione potrebbe influenzare la capacità delle scuole di sostenere altre spese strutturali e di risorse per problemi prioritari.
  • “Potenziali effetti degenerativi.Oltre agli effetti degenerativi che può esercitare sulle condizioni professionali degli insegnanti, sui contenuti didattici e sulla sostenibilità finanziaria delle scuole, l’IA ha anche effetti ambientali degenerativi (Inquinamento NdA) e impatti sulle condizioni di lavoro dei lavoratorinascosti”  che aiutano a formare modelli generativi.”

“La rassegnazione all’intelligenza artificiale come caratteristica inevitabile del futuro dell’istruzione è pericolosa, poiché rischia di bloccare gli istituti di istruzione, il personale e gli studenti in sistemi tecnici che potrebbero esacerbare anziché migliorare i problemi sociali esistenti, come il superlavoro degli insegnanti e il degrado delle opportunità di apprendimento e il sottofinanziamento della scuola”. Dan McQuillan.

[1] https://www.treccani.it/vocabolario/induttivo/
[2] Le citazioni se non attribuite si riferiscono al saggio di Ben Williamson tradotto per Roars.
vedi anche blog autore
https://codeactsineducation.wordpress.com/ .

 

 

[3] https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/20539517231171053