Programmi di storia: ecco quelli del 1945

Nel 1945 vennero approvati i primi Programmi post-fascisti per la scuola elementare.
Per saperne di più sul perché e sul come quei programmi diventarono legge dello Stato si possono leggere due interessantissimi articoli di Franca Da Re
I programmi di 80 anni fa sono modernissimi
I programmi del ’45. Le indicazioni metodologiche

Qui, per contribuire al dibattito di questi giorni sulla questione dell’insegnamento della storia, ci limitiamo a riportare il testo del Programma di storia e geografia

PROGRAMMI SCUOLA ELEMENTARE 1945

La necessità di un’intima connessione tra l’insegnamento della storia e quello della geografia deriva, più che da un semplice e ormai riconosciuto legame di interdipendenza delle due discipline, da una loro profonda concomitanza di fini in rapporto alla vita civile o sociale.
Infatti sia la storia che la geografia – quando la prima non si risolva in una cronologia di guerre e di vicende dinastiche, e la seconda in un’arida nomenclatura – mirano a seguire e a spiegare il cammino della civiltà, considerando la terra come la sede dell’uomo.
Ne consegue che il maestro dovrà costantemente esaminare i fatti storici nella loro intima connessione con quelli geografici, illustrando al fanciullo, sia pure in forma intuitiva elementarissima, i rapporti del mondo umano con quello naturale.
Riuscirà tuttavia vano ogni sforzo per liberare l’insegnamento della storia dal suo groviglio di guerre e di tirannie, di rivalità dinastiche e di sterili combinazioni politiche, se non supereremo, una volta per sempre, la passione nazionalista che nel recente passato riuscì a sviare anche la geografia dall’obiettiva valutazione delle forze economiche mondiali con la concezione delle utopie autarchiche.
L’insegnamento della storia e della geografia, dovrà finalmente diventare un insegnamento morale dopo la tragica esperienza sofferta dall’umanità. Si esalti l’eroismo di coloro che nel corso dei secoli lottarono per la libertà; si illustri la vita dei santi e missionari che fecero opera di civiltà e alleviarono sofferenze, dolori, miserie; si narrino suggestivamente le vicende degli esploratori e degli scienziati che più contribuirono al progresso umano; si descriva l’opera di quanti spesero la vita per conquistare la terra alle forze del lavoro; si susciti l’ammirazione per gli artisti che dettero al lavoro il crisma della bellezza; si riviva, in una parola, la vera, autentica storia della civiltà per giungere a una visione chiara delle attuali condizioni dell’Italia e del mondo. Continua a leggere

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Nuove Indicazioni 2025: quale idea di scuola propongono?

di Simonetta Fasoli

Il documento delle Nuove Indicazioni 2025 è stato appena diffuso con una nota di accompagnamento e un sottotitolo (“Materiali per il dibattito pubblico”) che autorizzano a pensarlo come un testo in sé esaustivo ma “aperto” e dunque passibile di interventi ulteriori, scaturiti appunto dal confronto preannunciato.
Con questa postura mi sono accinta a leggerlo, devo dire con le preoccupazioni che avevano suscitato in me (e non solo in me…) le anticipazioni date sui mezzi di comunicazione in varie forme ed occasioni.

Ciò premesso, devo dire che la natura del testo, il carattere sostanzialmente assertivo delle sue espressioni (anche quelle che si presentano formalmente dialogiche…) ha di molto ridimensionato le legittime aspettative di un’operazione emendabile.
Esco da una prima, e per quanto possibile attenta, lettura con una percezione complessiva di preoccupazione largamente confermata: di più, con una domanda che non è tanto rivolta ad un passato sul quale grava l’intenzione di un sostanziale “punto a capo” (cifra del resto della cultura politica di questo governo) quanto al futuro più o meno immediato.
Verso quale idea di scuola e di educazione ci stanno portando queste Nuove Indicazioni?
Perché – e questa è la mia preliminare considerazione – un’idea c’è, e sembra ben precisa, a una prima ricognizione del testo. Sbaglierebbe, dunque, a mio avviso, chi si rifugiasse nel pensiero consolatorio di poter continuare a fare scuola nella realtà di ogni giorno, nella “ridotta” della propria classe, negli spazi indenni del proprio insegnamento. Continua a leggere

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Indicazioni Nazionali: documento da respingere al mitttente

di Mario Ambel

Sapevamo che la lettura e le valutazioni delle “indicazioni nazionali” avrebbero potuto essere fatte a livelli diversi, tra loro intrecciati, ma anche specifici: istituzionale, culturale, didattico e politico. Ricordo, a mo’ di premessa, che le indicazioni nazionali tali sono, non perché devono rispondere all’idea di Nazione della maggioranza, ma perché riguardano l’intero paese.
Ebbene. Rifacciamo il punto, a testo aperto.

a. In ottica istituzionale lo Stato “ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie”: “m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull’istruzione; e comunque “salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche” ex art. 117 della Costituzione. Ed è invece palese che una parte assai consistente di questo testo deborda da tale limite costituzionale, sia per quanto riguarda l’invasività su terreni che competono alla libertà professionale, all’autonomia delle scuole in quanto organismi istituzionali, dotati di autonomia di ricerca, di sperimentazione, al confronto e alla crescita culturale della e nella scuola, sia per quanto riguarda l’interpretazione e le linee di indirizzo su argomenti specifici, se elaborati con eccessivo ed evidente posizionamento di parte.
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Indicazioni nazionali: incominciamo bene…

di Giancarlo Cavinato
(Gruppo nazionale Lingua MCE)

Sul merito

Sto leggendo e trasecolo.
La maestra Iole nel 1956 ci faceva festeggiare il natale di Roma. Ingenuamente le chiedemmo il perché a Roma il Natale venisse festeggiato in aprile e non in dicembre come nel resto del mondo. Ci rispose che le nostre famiglie non ci preparavano ad essere ‘veri italiani’.

Disturba in particolare che un testo programmatico (perché ‘bisogna dire le cose come si parla: sono programmi’ cfr. Della Loggia, Perla, 2023) prescriva accanto alle cose da fare anche le cose da non fare: ad esempio nella parte di storia si raccomanda di non andare alle fonti e ai documenti in quanto ‘inutile’.

Troviamo nella premessa un accostamento eterogeneo di soggetti sotto l’etichetta ‘BES’ che conferma purtroppo e accentua la tendenza all’ipercategorizzazione e alla definizione di nuovi deficit che ha caratterizzato i recenti provvedimenti dei precedenti governi. Non c’è bisogno di ribadire qui quanto diventi causa di identificazione del soggetto e della famiglia con la carenza e di forme di discriminazione.
Si definisce una macrocategoria comprendente “svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”.

Un’omogeneizzazione di soggetti con provenienze, problematiche, bisogni e sensibilità diverse. Continua a leggere

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Indicazioni Nazionali: un documento reazionario

di Stefano Stefanel

Se non ci fosse l’articolo 117 della Costituzione, quello che ad un certo punto dice che va fattasalva l’autonomia delle istituzioni scolastiche” la scuola italiana tornerebbe ai programmi ministeriali, centralizzati, diretti dal ministero e solo programmati dalle scuole. Come nel caso delle Linee guida sull’Educazione Civica anche la bozza delle nuove Indicazioni Nazionali non parla alla scuola ma all’opinione pubblica, nel tentativo di farle scambiare il sovranismo reazionario per una posizione conservatrice.
In realtà la scuola è da sempre conservatrice, tant’è che tutte le riforme si sono infrante sull’impianto gentiliano del sistema scolastico italiano e hanno prodotto risultati parziali, rispetto agli obiettivi riformatrici programmati (autonomia scolastica di Berlinguer, riordino dei cicli di De Mauro, Riforma Moratti, Riforma Gelmini, Buona Scuola di Renzi e via enumerando).

Queste nuove Indicazioni Nazionali non serviranno a molto come a molto (io dico: purtroppo) non sono servite quelle del 2012, perché la scuola italiana è avvolta nella conservazione dell’identico, scandito da libri di testo e classi di concorso che la fanno da padrone. Continua a leggere

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Indicazioni Nazionali. Perchè si studia la storia

Riportiamo qui il capitolo “Perchè si studia la storia” del testo della Nuove Indicazioni Nazionali in quanto ci appare molto indicativo di scelte culturali e pedagogiche sottese all’intero documento.


Abbiamo chiesto a Notebook una analisi del testo. Ed ecco il risultato
.

L’approccio descritto nei materiali didattici sembra oscillare tra l’intenzione di universalità e una focalizzazione sulla civiltà occidentale, il che solleva interrogativi sulla sua capacità di costruire una capacità critica veramente globale.

Argomenti a favore di un approccio universale e critico: Continua a leggere

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Ibrid-azioni di NotebookLM sulle Indicazioni Nazionali

a cura di Marco Guastavigna

La nostra redazione ha evitato di fibrillare grazie al precedente reclutamento di assistenti digitali, che abbiamo immediatamente invitato a individuare i passaggi più affini alla loro identità professionale. Ecco i risultati, in tempo reale.

Tabella che riassume le ibridazioni tecnologiche per la scuola dell’infanzia, basata sulle nuove Indicazioni Nazionali


Tabella che riassume le ibridazioni tecnologiche per la scuola primaria, basata sulle nuove Indicazioni Nazionali:


Tabella che riassume le indicazioni sulle ibridazioni tecnologiche per la scuola secondaria di primo grado, basata sulle nuove Indicazioni Nazionali

Siamo però andati ben oltre, come testimonia questo documento

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Indicazioni nazionali primo ciclo: pubblicata la bozza

E’ stata pubblicata da poco la bozza delle nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo di istruzione.
Nei prossimi giorni interverremo con articoli e commenti.

 

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L’occasione demografica

di Stefano Stefanel

Il Rettore dell’Università Bocconi di Milano Francesco Billari e l’Ordinaria dell’Università del Molise Cecilia Tomassini hanno pubblicato sul Corriere della sera del 6 marzo 2025 un interessante articolo dal titolo “Scuola, l’occasione demografica”. Nella prima parte dell’articolo vengono evidenziati alcuni problemi strutturali della scuola e dell’università italiana:

  • il 38% degli uomini e il 33% tra le donne non ha ottenuto il diploma di scuola superiore”;
  • “nelle generazioni più giovani questa quota è ormai poco sopra 10%, ma rimaniamo tra i peggiori in Europa”;
  • “l’aumento della proporzione di diplomati al passare del tempo non ha risolto i problemi: quasi un maturando su due non raggiunge livelli soddisfacenti nella capacità di interpretare un testo scritto o non ha basi sufficienti in matematica”;
  • “rimane poi stagnante la proporzione di immatricolati che si iscrive all’università, attorno al 60%, preparando la strada per una quota di laureati che rimane tra le più basse nei paesi sviluppati”.

Poi i due docenti universitari osservano che “meno studenti significa che, a parità di costo complessivo, l’investimento pro-capite può aumentare. Alla minore quantità si potrebbe accompagnare così una maggiore qualità”. Dopo l’analisi viene scritta anche una petitio principii: “Bisogna essere scientifici e non ideologici, partendo dai dati e dalla ricerca sui sistemi scolastici.” I dati che vengono citati sono, ovviamente, corretti, ma la chiusa dell’articolo sembra uno di quei finali molto attesi dove lo spettatore viene però deluso dalla genericità della soluzione: “dobbiamo ripensare la scuola guardando ai modelli degli altri paesi, e trovando una nostra strada. Probabilmente, con una riforma radicale, a cent’anni da quella di Giovanni Gentile, che trasformi i bassi numeri della demografia in una qualità di uscita elevata dalle scuole secondarie e in disuguaglianze ridotte. Con più tempo, più investimenti sugli insegnanti che si mettono in gioco, e una maggiore centralità degli studenti. Guardando ai dati e non alle ideologie per valutare gli esiti.”

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Una svolta importante che apre una nuova prospettiva

di Dario Missaglia

Le Rsu nella scuola hanno preso il via nel 2000.
Le elezioni, previste in un primo tempo per il 1999, furono rinviate di un anno per poter dare inizio all’avvio della stagione dell’autonomia con la nuova figura del Dirigente scolastico ( titolare tra l’altro della contrattazione di istituto) appena istituita con il decreto legislativo n.59 del 1998..
Una scelta giusta e motivata perché con le Rsu non solo i lavoratori nella scuola avrebbero finalmente trovato il modo di autorappresentarsi, tutelarsi, strutturarsi come forza vitale di partecipazione e protagonismo ma avrebbero anche costituito un giusto contrappeso ai nuovi poteri del Dirigente scolastico.
A distanza di 25 anni, una riflessione approfondita su questa esperienza , sarebbe credo di grande utilità per rafforzarla e valorizzarla ulteriormente, nell’interesse di tutte le figure professionali.

Gli insegnanti in particolare, dimostrarono con le loro scelte e una partecipazione al voto molto alta, che il tempo delle vestali della classe media era concluso: Potremmo dire oggi che si affermarono le nuove vestali della scuola della Costituzione: per una scuola democratica, liberatrice, per l’affermazione del diritto all’istruzione per tutti a cominciare dai più deboli.
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