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Archivi autore: redazione

Intelligenza artificiale a scuola: argomento di moda o tema da approfondire?

di Rodolfo  Marchisio

Il tema di gran moda quest’anno è quella della IA. Come se non esistesse già prima. Naturalmente quando c’è un tema alla moda (o un problema purtroppo…) lo si vuole subito associare o meglio iniettare nella scuola. Fioriscono i primi convegni, i molti libri, soprattutto le case editrici non si fanno sfuggire l’occasione di essere tra le prime ad offrire corsi e webinar su questo argomento.

Conoscere per capire

Vorrei chiarire che il mio modo di ragionare da sempre è che di fronte a cose nuove e complesse “non è il caso di dividersi (pro vs contro) ma di conoscere di più per capire meglio”. Le osservazioni che farò spero servano a questo e derivano dalla mia esperienza di docente che si portava negli anni 80 i “computer” (allora ZX 81 o Vic 20 solo poi Spectrum o C 64) da casa e li attaccava alla TV. Che per 25 ha fatto l’”animatore digitale”, organizzato laboratori e ambienti di apprendimento “digitali”. Domandandosi quali competenze di docenti e allievi venivano messe in gioco. Come fare e perché. E che conseguenze avrebbero avuto su di noi come persone e cittadini. Poi come formatore dal 1982 (dal PSTD a Scuola 4.0) ha seguito tutte le costose iniezioni di tecnologie che la scuola ha subito – non richiesto – come mercato di riserva delle tecnologie da ufficio, non progettate secondo le sue esigenze. Una per Ministro, nella colpevole illusione che le tecnologie potessero risolvere i problemi della scuola e sostituire una riforma della stessa. Innovazione al posto di progetto. Tecnologie al posto di idee. Iniezioni mai monitorate, spese mai verificate dal ministero, come ha raccontato Gui e come posso testimoniare. Cercando, come formatore, di mediare tra le paure delle tecnologie prima e poi tra il saper usare e sapere come e perché funziona così verso la necessità di formare competenze di cittadinanza e cultura digitale. Il web nel frattempo è molto cambiato (“Non riconosco più la mia creatura”, dice T.B. Lee). Continua a leggere

Quando l’educazione all’affettività si faceva anche senza Valditara e senza gli influencer

di Nicola Puttilli       

Alcuni giorni fa un’insegnante della scuola che dirigevo a Nichelino, realtà allora particolarmente problematica dell’hinterland torinese, mi ricordava con un messaggio che più di una ventina di anni fa istituimmo nella scuola elementare un laboratorio di educazione all’affettività e alla sessualità, osservando, con una punta di ironia, come già allora fossimo all’avanguardia, anche senza il supporto degli influencer.

Influencer o meno l’avvio del laboratorio fu reso possibile grazie a quel poco di organico funzionale e di risorse aggiuntive (L 440/97) che accompagnò la prima attuazione dell’autonomia scolastica, voluta dall’allora ministro dell’istruzione, recentemente scomparso, Luigi Berlinguer.
Il laboratorio, così come lo stesso tentativo di dare vita a una vera, per quanto iniziale, autonomia, ebbe breve vita. Il ministro che, come non bastasse l’autonomia, si era messo in testa di riformare anche gli ordinamenti scolastici, sostanzialmente risalenti alla riforma Gentile, fu presto trafitto dal fuoco amico e costretto alle dimissioni.

Dal 2001, ministro Letizia Moratti, cominciarono gli anni delle vacche magre: tagli indiscriminati, di finanziaria in finanziaria, fino a praticamente dimezzare in poco più di un ventennio la quota di PIL destinata all’istruzione. Operazione, quest’ultima, in cui si distinse per accanimento e perseveranza la ministra Gelmini. Continua a leggere

Valutazione formativa e voto numerico possono convivere

di Roberto Trinchero

Ringrazio gli amici che mi hanno segnalato alcune posizioni critiche sulla valutazione descrittiva in itinere (da alcuni chiamata “valutazione senza voti”). Vediamole in dettaglio, con relativa replica:

P1: “La valutazione descrittiva e formativa da una parte e i voti numerici dall’altra sono un’alternativa inconciliabile”.
R1: Valutazione descrittiva e voti numerici non sono alternative inconciliabili, semplicemente svolgono funzioni diverse: la valutazione descrittiva è utile in itinere per aiutare l’allievo a capire i punti di forza e i punti di debolezza della sua preparazione e i modi per migliorare. Essa rappresenta uno strumento irrinunciabile per una valutazione che possa dirsi realmente “formativa”.
I voti (ma anche i livelli, nel caso delle certificazioni delle competenze) sono utili per far un bilancio finale di quanto acquisito, quindi sono strumenti adeguati per una valutazione “sommativa”. Ciò che è poco sensato è utilizzare uno strumento adeguato per la valutazione sommativa (i voti numerici) pensando che abbia una funzione “formativa”.

P2: “Abolizione dei voti e abolizione del valore legale del titolo di studio sono due questioni legate tra loro”.
R2: Non si vede proprio come possano esserlo. Nessuno propone di abolire il voto numerico come forma di valutazione sommativa, semplicemente se ne sottolinea l’inadeguatezza in un’ottica di valutazione formativa.

P3: “I voti in itinere dicono chiaramente se la direzione in cui sta lavorando va bene oppure no”
R3: Questa informazione la dà anche la valutazione descrittiva, in maniera molto più efficace.

P4: “Quando i docenti oggi danno un voto lo accompagnano sempre con una spiegazione”
R4: La valutazione descrittiva non fa altro che rendere maggiormente sistematica, e soprattutto resa per iscritto, questa spiegazione. E’ per questo che non dovrebbe essere difficile per i docenti passare alla valutazione descrittiva in itinere, dato che non fa altro che formalizzare una prassi ampiamente consolidata.

P5: “E’ difficile passare da una serie di descrizioni a un voto numerico a fine percorso, senza averne mai dati prima”
R5: No, se è chiara la corrispondenza tra obiettivi di apprendimento raggiunti dallo studente e voto finale assegnato. Ciò che non è sensato è assegnare un voto finale come media delle singole prove: le singole prove insistono su obiettivi differenti, quindi fare la media dei voti implicherebbe il sommare grandezze non omogenee tra di loro (detto volgarmente: “sommare le carote con le pere”). Continua a leggere

Tutta colpa del patriarcato? Forse manca la “cultura del Noi”

di Raimondo Giunta

Si è sperato per qualche giorno che non succedesse l’irreparabile, ma non è stato così. Giulia Cecchettin è stata massacrata dal suo ex ragazzo. Dopo il ritrovamento del suo corpo martoriato un’ondata di indignazione ha scosso la società, colpita dalla crudeltà con cui è stata stroncata la sua vita ad opera di un giovane, che sembrava molto lontano dalla capacità di compiere questo efferato delitto.

Con forza si è riaperto il dibattito politico e culturale sulle responsabilità delle istituzioni, sui rimedi e sugli strumenti ritenuti adatti per contrastare ogni forma di violenza contro le donne e soprattutto i femminicidi, la cui frequenza in tempi di profonde trasformazioni dei costumi è uno scandalo ingiustificabile.
Il problema interpella drammaticamente la coscienza di ognuno di noi ed esige riflessioni e risoluzioni all’altezza della sua gravità.

I ragionamenti che farò rispecchiano i miei attuali e provvisori convincimenti e non hanno alcuna pretesa, se non quella di fare un po’ di chiarezza per me stesso; sono relativi agli strumenti e alle conoscenze in mio possesso.

Il ricorso sempre più frequente all’uccisione delle donne nei conflitti e nei rapporti interpersonali è un fenomeno che va analizzato in tutti i suoi aspetti, senza alcun preconcetto.  In più di un intervento viene richiamata per i crimini contro le donne la violenza che deriva dai cascami della cultura “patriarcale”, ancora operante a parere di tanti nel comportamento e nelle scelte di molti uomini.

Ragionamento questo che non mi risulta del tutto convincente.  Avrebbe piena validità, se ancora l’istituzione familiare avesse quella struttura e quella stabilità che aveva creato la tradizione del capofamiglia, padrone della sorte dei suoi componenti, sempre pronto ad esigere la sottomissione delle donne, della moglie e delle figlie soprattutto. Continua a leggere

Merito e relazione l’ossimoro scolastico

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Giovanni Fioravanti

Non si chiamano materie, neppure discipline, tanto meno aree disciplinari, anche se a volte rivendicano una non ben precisata interdisciplinarità o transdisciplinarità.
Sono le “Educazioni”. Educazione civica, educazione stradale, educazione alimentare, educazione ambientale, educazione alla salute e potremmo proseguire.
Non hanno vita facile, neppure hanno l’imprimatur dei Programmi o delle Indicazioni nazionali  come le loro antenate Educazione domestica e Educazione fisica, tanto da non meritare né una cattedra né un orario, così col tempo finiscono per infrattarsi in qualche ripostiglio scolastico, salvo che non giunga un PTOF a rispolverarle.

È questo il modo in cui a scuola, luogo di apprendimento delle conoscenze e della cultura della propria specie, si esercita l’educabilità, cioè quella disposizione che, pur non essendo esclusiva dell’uomo, costituisce peraltro uno dei caratteri specifici dell’umanità.

Il teorico dell’educazione umanistica, il francese Louis Meylan, definisce l’educazione “come l’attività con la quale gli adulti si sforzano di dare al comportamento, ovvero ai vari modi di pensare, di sentire e di agire del fanciullo e dell’adolescente la forma che ad essi sembri più desiderabile.”[1] Meylan, che scriveva nella prima metà del Novecento, doveva però essere consapevole della crisi che già allora attraversava l’educazione, se un secolo prima l’abate Lambruschini dalla sua tenuta di San Cerbone in Toscana avvertiva: “Ma quel che più merita di essere notato […] è la mancanza di principi direttivi, lincertezza nella quale gli educatori ondeggiano sopra un tenore ben ordinato e costante di condotta verso i fanciulli […]. Un naturale un poco ribelle, un caso straordinario li coglie alla sprovvista; […] e s’abbandonano a quel partito che un propizio, ma ceco, buon senso suggerisce loro; o a quello che consiglia loro l’insipienza, la noia, l’amor proprio ferito. L’indocilità invece della sottomissione, la scioperataggine e la mala grazia invece della  applicatezza e delle composte maniere. […] Cosicché si riducono a dolersi di sé e dei giovani, a non sapere più come condursi e a dare ragione a chi dice che i sistemi moderni di educazione sono inefficaci.[2]

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Niente voti, niente valutazione? Non è così

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di Roberto Trinchero

Mettiamo in chiaro alcune cose:
1 – Non esprimere la valutazione con un voto numerico non significa “Non valutare”
2 – Il voto numerico non è uno stimolo a fare meglio: quando un allievo ha preso il suo “6” può tranquillamente “sedersi sugli allori”
3 – Neanche il “3” è uno stimolo a fare meglio: l’allievo potrebbe semplicemente non sapere cosa fare per poter fare meglio
4 – Dare un “3” a un allievo che avrebbe le potenzialità ma non si impegna, sperando che questo lo convinca a impegnarsi è una chimera: se ha già deciso di non farlo non lo farà, e che il suo andamento scolastico sia pessimo lo ha già capito da solo (ha le potenzialità…)
5 – Non dare il voto sulle singole prove significa dare una valutazione descrittiva, quindi più completa, dettagliata e orientata al miglioramento, quindi non si valuta meno di prima, si valuta PIÙ di prima
6 – Dare un giudizio descrittivo sulla base di criteri precisi e noti fin da subito agli studenti significa avere poi tutti gli elementi per dare un significato al voto finale, nei casi in cui la normativa ne prevede la presenza
7 – Non si vede proprio come si possa dare un voto senza avere criteri precisi di corrispondenza tra voto e obiettivi di apprendimento raggiunti. Ma se è così, perché serve il voto? Non basta una valutazione descrittiva basata su quei criteri?

Maleducazione sentimentale

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di Maurizio Parodi

Rispetto alla richiesta di un maggiore coinvolgimento delle scuole nella formazione anche “emotiva” di studentesse e studenti, molti dirigenti e docenti replicano, sovente indignati, che:
a) la scuola sta già facendo tutto ciò che si può fare, come del resto ha sempre fatto;
b) non spetta alla scuola occuparsi di problemi che non riguardino la didattica;
c) tocca alle famiglia educare i figli;
d) la scuola non può farsi carico di ogni, nuova emergenza sociale.

Trovo penosamente ridicolo ipotizzare l’introduzione di una nuova materia di studio da dedicare all’intelligenza emozionale, con l’inevitabile corollario burodidattico: più lezioni, più compiti, più verifiche…, e concordo pienamente sull’ultimo punto: basta sovraccaricare la scuola e gli studenti di “compiti” impropri.
Sono però convinto che la formazione integrale della persona rientri, invece, nei “compiti” propri della scuola, e non sono certo che a scuola sia sempre e da sempre dedicata la giusta attenzione alla persona, nella sua interezza – basterebbe chiedere agli studenti di un qualsiasi istituto quali siano i “sentimenti” che associa alla scuola e allo studio.

Quanto alla maggiore responsabilità delle famiglie in ordine alla maleducazione sentimentale degli studenti, va detto che non si può presumere o pretendere alcunché, dal momento che le scuole non possono scegliersi né gli studenti né le loro famiglie (e già sulla nozione di “famiglia” ci si dovrebbe interrogare), anche se è capito persino che un liceo vantasse l’assenza, tra gli studenti, di incresciose “diversità.

I genitori non devono possedere un titolo di studio per essere tali, non sono reclutati e retribuiti da un’istituzione pubblica, statale, pertanto può darsi “di tutto e di più” oppure il nulla: l’invadenza vs la latitanza, anche quando ci si impegni, doverosamente, per favorire la più ampia collaborazione – che non significa delegare alla famiglia i propri doveri didattico-educativi o invadere spazi di autonomia non sempre rispettati (talvolta, capita che si faccia l’una e l’altra cosa insieme).
Sono i professionisti dell’istruzione e dell’educazione che devono essere preparati, che devono impegnarsi anche per compensare, nei limiti del possibile, le carenze delle famiglie, soprattutto le più disastrate, o, quanto meno, non aggravare i danni già subiti proprio negli ambienti, anche domestici, dai quali provengano.
A ciascuno il suo!