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Archivi autore: redazione

Il congiuntivo nella Costituzione italiana

di Nicola Bruni

Quando facevo il prof di italiano, talvolta mi avventuravo nell’insegnamento della “grammatica costituzionale”, proponendo come frasi da analizzare articoli della nostra Magna Charta.
Questa mi riusciva particolarmente utile per spiegare il corretto uso del congiuntivo, mentre il congiuntivo mi serviva da pretesto per parlare della Costituzione.
Scorrendo il testo approvato il 27 dicembre 1947 dai Padri costituenti, con le successive modifiche, vi ho contato la presenza di 55 forme verbali al congiuntivo, tutte coniugate al tempo presente, in proposizioni consecutive, ipotetiche dell’eventualità, condizionali, dichiarative, soggettive, oggettive, finali, limitative, eccettuative, temporali.

Alcuni esempi:

RELATIVA IPOTETICA DELL’EVENTUALITA’: “Lo straniero, AL QUALE SIA IMPEDITO nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge” (art. 10, comma 3).
CONDIZIONALE: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma […], PURCHE’ NON SI TRATTI di riti contrari al buon costume” (art. 19).
DICHIARATIVA: “I lavoratori hanno diritto CHE SIANO PREVEDUTI E ASSICURATI mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” (art. 38, c. 2).
SOGGETTIVA: “È condizione per la registrazione CHE gli statuti dei sindacati SANCISCANO un ordinamento interno a base democratica” (art. 39, c. 3).
OGGETTIVA: “Nel processo penale, la legge assicura CHE la persona accusata di un reato SIA, nel più breve tempo possibile, INFORMATA riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico” (art. 111, c. 3). Continua a leggere

Giornata della Memoria, il Ministero teme “iniziative che possano turbare gli studenti”. Ma a cosa si riferisce?

di Mario Maviglia

La direttrice generale dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio ha inviato ai “dirigenti scolastici degli istituti scolastici di ogni ordine e grado del Lazio” una nota “riservata” (talmente “riservata” che la si può tranquillamente trovare sui social) che recita testualmente così: “Oggetto: Svolgimento delle attività didattiche. Nell’approssimarsi della Giornata della Memoria ed alla luce degli scenari internazionali di crisi si raccomanda le SS.LL. di porre la massima attenzione per prevenire iniziative o comportamenti che possano turbare la serenità degli studenti e delle studentesse nonché il regolare funzionamento delle attività scolastiche. Ogni eventuale elemento di novità al riguardo deve essere rappresentato allo scrivente Ufficio con la massima tempestività. Il direttore generale” ecc. ecc.

Non sappiamo se la nota nasce da qualche sollecitazione del Superiore Ministero o se è stata una iniziativa della direttrice regionale; in ogni caso merita qualche osservazione, che (lo anticipiamo) forse non sarà politicamente corretta, ma speriamo eticamente irreprensibile. Innanzi tutto non si comprende quali possano essere quelle “iniziative o comportamenti che possano turbare la serenità degli studenti e delle studentesse.” Utilizzando un approccio ermeneutico-inferenziale abbiamo provato a indicare alcune di queste iniziative potenzialmente “turbanti”:

  • I ragazzi e le ragazze inneggiano alle Brigate Rosse et similia (ma la cosa appare inverosimile in quanto gli studenti odierni non sanno neppure cosa fossero le Brigate Rosse).
  • Gli studenti e le studentesse manifestano pubblicamente a favore delle camere a gas naziste (ma queste manifestazioni sono tipiche di CasaPound et similia e dunque la nota andrebbe rivolta a questi centri di estrema destra, ma in questo caso è competente il Ministero dell’Interno, non il MIM).
  • I giovani manifestano contro la guerra (e questo sarebbe “turbante” per i giovani?).
  • I giovani manifestano a favore della pace (e anche questo sarebbe “turbante” per i giovani?)

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Ma io ho studiato per insegnare la mia disciplina, non per insegnare agli alunni con disabilità

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di Evelina Chiocca

Nelle nostre scuole entra personale che non solo afferma quanto ho scritto nel titolo, ma lo rivendica come “suo sacrosanto diritto”.
Secondo queste persone non è possibile chiedere loro di insegnare “agli alunni con disabilità” iscritti alle loro classi.
Secondo loro gli alunni con disabilità hanno “altri insegnanti”.
Tutto questo non entra nel dibattito.
Sfugge.

 

Tutto questo sembra “ordinario”,  tanto che neppure il Ministro interviene; così come non intervengono altri ministri o ministre che sembrano essere esperti /esperte del tema.
Che cosa significa tutto ciò?
Che quando un docente (il quale afferma di voler insegnare “la sua disciplina”, ma di non voler insegnare ad alunni con disabilità) entra in una classe, allora lo studente con disabilità “esce”, allontanandosi?
Questa è la scuola dell’inclusione?
Questa è la prospettiva che dobbiamo continuare a vedere, senza “battere ciglio”? Senza dire nulla?
Eppure in molti protestano al solo pensiero di “dover insegnare ad alunni con disabilità”.
Forse non hanno letto il loro contratto di lavoro?

E mi chiedo come si possa accettare che la scuola italiana, che vanta di essere leader a livello di inclusione, accetti di far entrare nelle classi personale che dice che “non se la sente di lavorare con gli alunni con disabilità”.
Ricordo una mia collega che una volta mi disse: “Se avessi voluto fare sostegno, mi sarei specializzata. Ma io preferisco insegnare la disciplina agli altri; a lui ci pensi tu”.
Sicuri tutti che a lui ci debba pensare “solo” io, in quanto docente specializzata? Sicuri tutti che il docente con incarico sulla disciplina sia esentato dall’insegnare all’alunno con disabilità? Sicuri tutti che stiamo parlando della scuola italiana che accoglie tutti?
Tutti noi (a ragione) ci scagliamo contro chi paventa il ripristino delle scuole o delle classi speciali; ma perché nessuno dice niente di fronte a color che “le classi speciali le fanno rivivere ogni giorno”?

Professor Galli della Loggia, le racconto cos’era la scuola che lei rimpiange

di Giancarlo Cavinato

Era il 1973, nella scuola a tempo pieno di Torre di Fine Eraclea (Venezia).
Era il secondo anno di avvio del tempo pieno in provincia di Venezia terzo in Italia.
Negli incontri MCE inseguivamo lungo i corridoi Fiorenzo Alfieri e i torinesi avidi di sapere da loro che avevano iniziato per primi il tempo pieno.
Avevo una classe quinta di 24 alunni con diversi pluriripetenti provenienti da pluriclassi chiuse per l’avvio del tempo pieno in un nuovo edificio leggendo i libretti rosa e azzurri che a quei tempi accompagnavano gli alunni dalla prima alla quinta avevo rilevato che alcuni alunni avevano fatto uno o due anni alla scuola speciale di san Donà di Piave perché avevano dei fratelli maggiori già frequentanti la scuola speciale e si era pensato che avessero anche loro analoghe debolezze fisiche e mentali poi accortisi che così non era li avevano ricollocati nella scuola ‘normale’. Perdendo però uno o due anni.
C’era poi in un’altra classe G. bambino distrofico con scarsa speranza di vita. Lui non andava alla scuola speciale perché la famiglia di coloni dipendente dal proprietario terriero padrone delle terre circostanti il paese (un  vero ‘terrateniente’) non poteva lasciare i campi né trasportarlo quotidianamente a San Donà a 20 km. di distanza. Accogliemmo G. in una classe terza contro il parere della direzione didattica (’a vostra responsabilità’) e degli insegnanti locali. G. non leggeva e non scriveva ma faceva dei grandi dipinti di nuvole con un pennello. I suoi compagni lo lodavano per le forme delle nuvole. Continua a leggere

Inclusione, decadenza degli “intellettuali” e crisi della scuola dei diritti

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Rodolfo Marchisio

Io questo pezzo non lo volevo scrivere, perché penso che rispondere a EGdL (quello della “predella per ristabilire autorità del docente”, confondendo autorità con autorevolezza), che non è un esperto di scuola, sia quello che lui cercava, una provocazione per far parlare di sé. Ma invitato e tirato per i capelli da un paio di considerazioni, cerco di essere breve.

Intellettuale o influencer?

  • Propongo di abolire il termine “intellettuale”, parola ombrello (Guastavigna) che all’epoca di social, talk e improbabili influencer, non vuol dire più niente. Sicuramente non ha più un ruolo di punto di riferimento nella babele di web, talk e fake. Se “la rete dà la parola a tutti” (U. Eco ed è un bene teorico nel campo dei diritti), dà però anche la parola “a legioni di imbecilli” (U. Eco) e se in rete “1 vale 1” si pone il problema del rapporto tra la libertà di espressione e la competenza in merito all’argomento; “la mia ignoranza vale come la tua competenza” (Asimov). EGdL è esperto di scuola, didattica, pedagogia, inclusione? Dai 2 articoli direi di no.
  • Credo dovremmo parlare di studiosi, di ricercatori, competenti in un campo, anche se la conoscenza oggi è svalutata, anche grazie all’abuso della rete, rispetto alla opinione che chiunque può avere lecitamente. (Nichols).
    Lo studioso si caratterizza per il metodo e per la citazione di fonti, ricerche, documentazione e per l’argomentare vs affermare (come fanno i social e la politica) che validino il suo discorso e permettano agli altri di verificare se dice il vero.
    Lo fa anche wikipedia, il dizionario (non enciclopedia) su cui studiano i nostri ragazzi: questa pagina non è attendibile perché non riporta le fonti e non ha sito/bibliografia.
    Se no è uno qualunque che esprime la sua.

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La scuola e il “regno della menzogna”

di Pietro Calascibetta

Sulla recensione di Galli della Loggia del volume di Giorgio Ragazzini, “Una scuola esigente”, pubblicata sul CdS del 13/1/23 si è abbattuta una valanga di commenti a volte sarcastici e ironici, a volte molto aspri per usare un eufemismo.
Nel trafiletto di cui parliamo Galli della Loggia si occupa dell’inclusione.
La scelleratezza perpetrata dalla normativa consisterebbe nella scelta di inserire nella stessa classe “unici al mondo” sia i ragazzi con delle difficoltà nella loro completa gamma di situazioni sia quelli che definisce “cosiddetti normali”, diciamo alla Vannucci, con un risultato a suo dire disastroso.
Un’affermazione senz’altro forte e provocatoria.
Non voglio aggiungere nulla, per chiarezza posso dire di condividere pienamente gran parte dei commenti critici che ho letto.
Detto questo vorrei tentare di affrontare invece la polemica che ne è nata toccando un altro aspetto della questione che mi sembra non meno importante dei valori su cui gran parte dei commentatori hanno puntato.

OLTRE AI VALORI C’E’ DELL’ALTRO

Approfittando dell’assist fornito dalla recensione, a me pare che a Galli della Loggia non sia sembrato vero di poter aggiungere un nuovo tassello al suo teorema che la scuola è stata rovinata con le sciagurate riforme fatte per motivi politici e opportunistici dall’allora PCI e dai suoi complici, i fiancheggiatori del compromesso storico e del neoliberismo.
Non è una mia malevola interpretazione, ma è una tesi da lui compendiata addirittura in un saggio per dare supporto scientifico alle sue “opinioni” in merito, espresse a puntate in vari articoli sul Corriere.
Non a caso Galli della Loggia è molto vicino al “benemerito”, come lui lo definisce, “ Gruppo di Firenze” di cui Giorgio Ragazzini è un esponente di spicco da sempre in prima linea su questo fronte.
Sono convinto che Galli della Loggia non sia razzista e non sia Vannacci, ma utilizza l’argomentazione del mondo alla rovescia perché è abbastanza diffusa in quella parte di cittadini convinti come lui che ci sia stata una macchinazione della cosiddetta cultura di sinistra per realizzare una società al contrario, come dimostrano i numerosi lettori dell’ormai famoso generale. Continua a leggere

Macchine che fingono di essere intelligenti

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Stefano Penge

In questi ultimi anni si sta diffondendo un approccio che epistemologicamente e eticamente sembra mettere in discussione tutto quello che abbiamo saputo o creduto di sapere. Un passaggio che vale la pena di evidenziare e di discutere, anche e soprattutto in ambito educativo.

Fino a poco fa, i computer erano al nostro fianco nell’esplorazione dell’universo, più precisi di noi, instancabili, più determinati nel non commettere errori e non trarre conclusioni avventate. Gli affidavamo il calcolo delle traiettorie degli aerei, sulla base della matematica e della fisica che avevamo verificato nel corso due millenni precedenti, perché eravamo certi che avrebbero fatto meno pasticci di noi. Li immaginavamo come servi affidabili e incorruttibili. Un po’ come il primo Terminator impersonato da Arnold Schwartzenegger: magari brutale, ma efficace e soprattutto fedele.

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Invece è arrivata un’altra generazione di Terminator, più sottile, elegante, fluida. Il modello di software intelligente che va di moda oggi è bravo a fare molte cose, ma soprattutto una in particolare: fingere, cioè cambiare aspetto e assumere quello di chiunque altro. Non sa risolvere un problema o creare un minuetto partendo dalla regole della musica occidentale settecentesca, però può produrre degli artefatti che non sembrano artificiali, che assomigliano a qualcosa che avrebbe potuto produrre un essere umano. Di fatto, assomigliano a molte cose che esseri umani hanno prodotto, contemporaneamente. Continua a leggere