Professionisti acritici

Immagine realizzata con Google Bard

di Marco Guastavigna

Il tema della cosiddetta intelligenza artificiale è l’esempio più recente, ma certamente non il solo.

Sono davvero troppi gli insegnanti che, di fronte a qualsiasi accenno di novità si accontentano di esperienze limitate, brevi letture – tendenzialmente mediatiche e con approccio sensazionalista –, rapidi webinar e succinti scambi di opinioni (se non addirittura di slogan) e pensano di aver analizzato, classificato, capito in modo significativo.

E quindi di saper rifiutare o accettare con buona consapevolezza.

Lo scopo strategico, più o meno consapevole, di chi opta per il diniego è tornare serenamente a praticare ciò che si pensa di controllare pienamente, con modi, tempi, tecniche, procedure rassicuranti, perché note, consolidate, convenzionali, condivise da generazioni. Quello di chi fa la scelta opposta è cominciare serenamente a praticare la proposta di cambiamento del momento, con modi, tempi, tecniche, procedure a loro volta rassicuranti, perché innovative, accattivanti, creative, proiettate verso il futuro, spesso foriere di presenze in fiere della didattica ed altre manifestazioni mercatali.

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Come detto, questi processi sono ora in atto per la “questione AI”, ma lo stesso schema e la medesima polarizzazione hanno accompagnato e accompagnano l’impiego generale dei dispositivi digitali (dal Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche a Scuola Futura, dalle lavagne interattive multimediali, ai learning object, agli ebook, al pensiero computazione, fino ai droni).

Per non parlare della madre di tutti i conflitti attuali, quello tra conoscenze e competenze, che investe – sempre in superficie – ideologie, metodologie, canoni culturali.

Oppure delle cicliche contrapposizioni tra voti numerici e formulazione di giudizi, tra inclusione e selezione, promozione e bocciatura, severità e lassismo e così via.
Il tutto è di per sé grottesco, ma assurge a inquietante quando ci si accorge che in tutte le occasioni citate ed in altre simili, i diversi schieramenti sbandierano la medesima intenzione di fondo: lo sviluppo del pensiero critico.




Giornata della sicurezza in rete. Difendersi dalla privatizzazione del web e dalla IA non controllata

di Rodolfo Marchisio

 Tra le varie “giornate” ricorrenti e celebranti c’è quella fondamentale della sicurezza in rete, 6 febbraio. Però quest’anno va integrata, perché non è solo più la giornata della sicurezza necessaria in merito a dipendenza (in un paese in cui 1/3 dei bambini tra i 5 e gli 8 anni ha un profilo social ed uno smartphone con seri danni e nella indifferenza dei “grandi” e 2 adolescenti su 3 usano IA e chat Gpt senza saper come funzionano) e privacy, controllo dati, odio e violenza nel web, violazione di diritti. Temi fondamentali con radici simili.
Ci sono importanti novità; da come difendersi dalla Scuola 4.0 a come difendersi dalla moda e dalla operazione di marketing della IA generale non controllata. Cominciamo da questa, troppo di moda per essere vera. L’IA è un mondo di attività, proposte diverse che andrebbero conosciute ed analizzate separatamente. Con alcune attenzioni comuni. Questa rubrica sta dando conto di questo e fornendo dati, riflessioni, stimoli.

IA ACT. Cos’è.

Sta per essere messo a punto l’atto di regolamentazione sulla IA approvato dalla UE. Gli USA come al solito vanno per i fatti loro, pur avendo le maggiori imprese che si occupano con alterne vicende di IA, secondo le logiche del libero mercato e della libertà di espressione. Interesse individuale contro la responsabilità sociale richiesta ad es. dalla nostra Costituzione.
L’UE, dopo avere cercato con scarsi risultati di far pagare le tasse a costoro, ha provato e sta mettendo a punto, si spera per giugno, una serie di regole nello sviluppo della IA.

1- La strada delle regole

  • Usi proibiti perché pericolosi e lesivi.
  • Tecnologie subliminali per manipolare i comportamenti di una persona; quelli che abusano di persone vulnerabili e fragili; la categorizzazione biometrica che fa riferimento a dati personali sensibili, come il credo religioso, l’orientamento politico o sessuale; la pesca a strascico (scraping) da internet di volti, come fece anni fa la contestata startup Clearview AI; il riconoscimento delle emozioni sul posto di lavoro o a scuola; i sistemi di punteggio o social scoring. Il testo vieta anche la polizia predittiva, ossia usare informazioni come tratti della personalità, nazionalità, situazione familiare o economica, per stabilire la probabilità che una persona compia un reato.
    Tenendo conto che l’IA si nutre di tutto quanto c’è in rete, a partire dai nostri pregiudizi.
    Le donne, i meridionali, i migranti sono tutti…
  • Riconoscimento facciale.
    Come noto sta funzionando male soprattutto per i non bianchi, maschi, caucasici. Crea problemi di identificazione (dai viaggi, alla identificazione di presunti colpevoli).
    Riguarda l’impiego di sistemi di riconoscimento facciale e biometrico in tempo reale. Applicazione proibita, perché può portare “a risultati marcati da pregiudizi e provocare effetti discriminatori“. Salvo in tre “situazioni”, nelle quali il riconoscimento facciale “è necessario per raggiungere un pubblico interesse, la cui importanza supera i rischi”. E i tre casi sono: la ricerca di vittime di reati e di persone scomparse; minacce certe alla vita o alla sicurezza fisica delle persone o di attacco terroristico; localizzazione e identificazione dei presunti autori di una lista di 16 reati. Terrorismo, traffico di armi e Wired

È comunque richiesta l’autorizzazione del magistrato. Come farà l’Italia in cui si stanno “abolendo” anche le intercettazioni? E che sta affidando la regia del controllo sull’IA Act non a Enti di controllo “super partes”, ma ad un fedelissimo del Presidente del Consiglio?

  • Ad alto rischio (c’è anche la scuola ed i suoi sistemi di valutazione).
    Sono considerati ad alto rischio sistemi di identificazione e categorizzazione biometrica
    o per il riconoscimento delle emozioni; applicativi di sicurezza di infrastrutture critiche; software educativi o di formazione, per valutare i risultati di studio, per assegnare corsi o per controllare gli studenti durante gli esami. E poi vi sono gli algoritmi usati sul lavoro, per valutare curriculum o distribuire compiti e impieghi; quelli adoperati dalla pubblica amministrazione o da enti privati per distribuire sussidi, per classificare richieste di emergenza, per smascherare frodi finanziarie o per stabilire il grado di rischio quando si sottoscrive un’assicurazione. Infine algoritmi usati dalle forze dell’ordine, dal potere giudiziario e dalle autorità di frontiera per valutare rischi, scoprire flussi di immigrazione illegale o stabilire pericoli sanitari.
  • Di uso generale
    Il testo regola anche i sistemi di AI per uso generale, in grado di svolgere compiti diversi (come creare un testo o un’immagine) e allenati attraverso un’enorme mole di dati non categorizzati, come GPT-4, alla base del potente chatbot ChatGPT, già sanzionato dal nostro garante della privacy, o LaMDA, dietro Google Bard. Gli sviluppatori devono assicurarsi che i contenuti siano marcati in un sistema leggibile da una macchina e siano riconoscibili come generati da un’AI. Un utente deve sapere se sta interagendo con una chatbot. E i contenuti deepfake devono essere etichettati come tali. Precauzioni che, tuttavia, non è detto siano sufficienti a impedire la diffusione di fake news, che la IA può, e di molto, potenziare e raffinare, violando i diritti alla informazione, alla espressione, al voto libero e informato. Ma anche il diritto alla formazione dell’opinione pubblica, non a caso sempre più orientata a credere a cose non provate. (Nichols).

Unica eccezione: l’impiego di questi sistemi per perseguire reati. Il regolamento fissa una soglia per identificare i sistemi ad alto impatto, che hanno maggiori effetti sulla popolazione e perciò devono rispettare obblighi più stringenti.

  1. La strada della conoscenza e della consapevolezza

Come cerchiamo di dimostrare e documentare in questa rubrica, un’altra strada, quella che più interessa la cittadinanza e le scuole è quella di conoscere di più per capire meglio. In questo senso la introduzione piuttosto superficiale della IA nella formazione dei docenti e delle scuole (sinora superiori) con corsi, seminari e dimostrazioni, resta deviante rispetto al fatto che “nuovo” non è sempre sinonimo di meglio, di definito, di motivato, di provato e utile.
Che “tecnologico” non è automaticamente sinonimo di certo, sicuro, efficace, risolutivo. Di progresso.
Le tecnologie non vanno solo conosciute prima ma vanno compresi i sistemi economici, sociali, politici che ne sono alle spalle (Soro) e che le propongono: perché, a quali condizioni, per quali interessi (in genere guadagnare soldi o scambi col potere politico che non le controlla); le conseguenze sui diritti e sulla educazione che stanno dietro a queste iniezioni forzate di tecnologie, fra “modernismo” e dominio degli oligopoli economici che ce le impongono.

Da dove arrivano, chi le controlla e chi non potrà mai controllarle, quali diritti sono in ballo e prima di tutto quale è la reale influenza sulla formazione dei nostri ragazzi e sulla formazione di una cultura e cittadinanza digitale?
Purtroppo i dati delle ricerche confermano che gli adolescenti sono già dentro la IA, ma in modo superficiale. Se 2 adolescenti su 3 hanno già fatto uso di applicazioni basate sull’intelligenza artificiale “generativa” come ChatGpt, in genere per usare le Ai come assistenti personali per generare testi, non mancano le criticità; se le nuove generazioni di “nativi” sembrano essersi evolute tecnicamente, i rischi esistono. Oltre 8 giovani su 10, infatti, accettano di buon grado che siti web e piattaforme possano influenzare il loro modo di conoscere il mondo con il 44,7% tendenzialmente d’accordo e il 37,8% fortemente d’accordo. Per non parlare dei fake, messi in circolazione grazie all’aiuto dell’AI, che solo avendo imparato si possono smascherare. Un’opera di discernimento che, purtroppo, la stragrande maggioranza dei giovani utenti è impreparata a fare: appena il 27% degli intervistati dice di conoscere il funzionamento del “deep learning” generativo e di saperlo illustrare perlomeno a grandi linee. Skuola.net

 Ma la scuola è solo l’anticamera della industria? La scuola, in particolare dalla Buona Scuola ad oggi, ha delegato la sua ricerca di strade e modelli nuovi e più adatti, fondati pedagogicamente, alla tecnologia ed a quella parte che è in mano ai privati. Di IA e programmazione open, controllabile anche dal basso si parla sempre meno.
La scuola che si intravede è tecnologica, privatizzata, controllata dall’esterno e dall’alto.
Come la sanità.

Se la scuola è la formazione di cittadini, di persone consapevoli, futuri lavoratori (anche nella IA spesso sfruttati e sottopagati, mentre i posti di lavoro come programmatore che la “Buona scuola” aveva ipotizzato si sono rivelati per quello che erano: una bufala) la inerzia di fronte alle mode ed al dominio di 10 ricchi monopolisti tecno/economici (molti dei quali come Zuck e Musk oggi già in crisi) è molto preoccupante. La mentalità, gli atteggiamenti, la consapevolezza che deriva dalla conoscenza e dalla riflessione sono quelli che interessano la scuola come ente formativo in cui le tecnologie entrano non perché di per sé valide (gli studi dimostrano il contrario) ma perché inserite in un progetto di conoscenza, riflessione, consapevolezza del mondo da cui arrivano ed in cui tutti viviamo. Compresi bambini con social e smartphone e adolescenti utenti passivi.

Una osservazione. Nelle proposte della “IA” le iniziative open, libere, gestite dal basso non sono mai citate. Mentre la scuola si abbassa a diventare l’anticamera della industria che la programma. Una industria che sfrutta, controlla, cui ci stiamo assuefacendo. Come nel PNRR Scuola 4.0. Ma di questo, se volete, parliamo altrove.

 




Apprendere ad apprendere. Ma che significa? E per che cosa?

Stefaneldi Raimondo Giunta

Il ritmo inarrestabile dello sviluppo delle conoscenze che bisogna possedere per non restare ai margini dell’attuale società ridisegna i compiti che la scuola deve affrontare.
Un problema di non facile e immediata soluzione. La sua complessità è costituita anche dal fatto che media e internet hanno qualcosa che la scuola non sempre possiede per definire il proprio rapporto con le nuove generazioni: la capacità di seduzione e di coinvolgimento.

Si dice con monotonia sempre più assillante che per inserirsi in una società, segnata dalle continue trasformazioni dei suoi assetti economico-sociali e dalle innovazioni permanenti del patrimonio tecnologico e scientifico, e per essere capaci di dominare l’incertezza che per questi motivi si viene a determinare occorra un considerevole bagaglio di saperi e di competenze e soprattutto che si debba essere capaci di apprendere ad apprendere.
Se ne è fatto uno scopo e anche uno slogan…

Si sa che non si finisce mai di apprendere, che l’apprendimento è inevitabilmente permanente, perché è una condizione esistenziale e coincide con la stessa durata della vita di una persona.
L’apprendimento è un bisogno individuale che si trasforma in intenzione di apprendere, in desiderio di apprendere solo quando se ne fa un fine della propria vita , quando c’è una buona ragione.

Lo si può fare confusamente, lo si può fare con metodo, ma non senza una precisa direzione.

Oggi si dice, invece, che è necessario ed utile apprendere e soprattutto apprendere ad apprendere.
Questa indicazione non può essere ridotta ad una tecnica, ad un metodo, ad una procedura del pensiero.

E’ invece con tutta evidenza un imperativo morale per una persona, centrato sulla sua responsabilità umana nei confronti di se stesso e della società.
Senza vastità di interessi, senza un preciso orientamento di pensiero questo principio diventa un semplice attrezzo del mestiere di vivere, un possibile salvagente per non sparire nei flutti incontrollabili della società della conoscenza, per restare sul mercato.
Preoccupazione legittima, ma che intinge le migliori intenzioni nel consueto veleno dell’impostazione economicistica dei problemi della conoscenza e della formazione.

Bisogna fare emergere nei giovani il desiderio di apprendere e coltivarlo; ma non basta mostrare gli aspetti utili e le convenienze sociali dei saperi.
Il sapere deve avere un “senso” per chi lo deve possedere.
Deve inserirsi, cioè, dentro un sistema di significati personali: quelli che orientano i comportamenti e le scelte delle persone.
Deve innestarsi in una tensione continua all’allargamento del proprio orizzonte, della propria appartenenza; deve scaturire dal piacere di meravigliarsi e di lasciarsi stupire dal mondo e dalle persone; deve rispondere all’incoercibile bisogno di scacciare le paure e di emanciparsi dai pregiudizi.

Sapere aude proclamava Kant!
La capacità di apprendere deve sempre essere funzionale al bisogno di destabilizzare e di ricostruire il proprio sistema di rappresentazioni e di valori per disporre di un mondo alla propria portata e di un sistema di intelligibilità della realtà.

La capacità di apprendere ad apprendere nella persona implica dimensioni cognitive, emotive, sociali senza le quali rimane un’aspirazione vuota, quasi una costrizione.
L’apprendimento di cui si sta discutendo, non è quello naturale, ma quello sociale determinato da un’intenzione di fare apprendere e di volere apprendere al momento giusto e nel modo giusto e per scopi che non possono ridursi al timore di una marginalizzazione in una società che della competizione vuol fare l’unico principio di regolazione dei rapporti umani , che non fa del sapere una risorsa per vivere tutti meglio, ma un mezzo per vivere eventualmente meglio da soli.

Credo che a scuola non si possa e non si debba accettare lo snaturamento di un tratto costitutivo dell’essere umano. “Tutti gli uomini tendono per natura al sapere.”(Aristotile) “L’esercitare la sapienza e il conoscere sono desiderabili per se stessi dagli uomini; non è possibile infatti vivere da uomini senza queste cose ed inoltre sono utili per la vita”(Aristotele).

 




Didattica del prompt

di Stefano Penge

Secondo le opinioni degli insegnanti intervistati dagli autori di ChatGPT [https://openai.com/blog/teaching-with-ai], il prompt si può usare a scuola in tanti modi:

  1. far esercitare gli studenti in un debate
  2. preparare quiz e lezioni
  3. tradurre testi per studenti non perfettamente a loro agio nella lingua dell’insegnante
  4. insegnare agli studenti come usare internet responsabilmente.

Probabilmente a noi europei, più centrati sulla nostra storia delle letteratura che sui problemi linguistici degli immigrati, questi suggerimenti sembrano ingenui e comunque non praticabili nel contesto della didattica quotidiana, a parte il secondo, che attrae irresistibilmente con la sua promessa di far risparmiare tempo al docente.

Il quarto punto (far crescere il senso critico dei ragazzi) è invece interessante. Curiosamente cita internet, e non i servizi intelligenti, come se i rischi fossero legati a cattivi hacker in agguato là nella notte della dark web; ma è interessante proprio perché non è un suggerimento che viene da qualche agenzia culturale luddista e anti-tecnologica, ma da chi spinge per il progresso veloce e inarrestabile a qualunque costo. Sembra un’etichetta di una bevanda alcolica che recita “Bevi responsabilmente” o di un pacchetto di sigarette “Il fumo provoca il cancro”.

Le prime raccomandazioni a non fidarsi troppo delle risposte dei servizi di dialogo artificiali come ChatGPT o Bard vengono infatti dai loro produttori, che sottolineano come ci possano essere “imprecisioni” nelle risposte. Dice Microsoft a proposito del suo motore di ricerca Bing potenziato con Copilot, cioè la sua versione di GPT:
“Bing mira a basare tutte le sue risposte su fonti affidabili, ma l’intelligenza artificiale può commettere errori e i contenuti di terze parti su Internet potrebbero non essere sempre accurati o affidabili. A volte Copilot travisa le informazioni trovate e potresti vedere risposte che sembrano convincenti ma sono incomplete, imprecise o inappropriate. Usa il tuo giudizio e ricontrolla i fatti prima di prendere decisioni o agire in base alle risposte di Copilot.” [https://www.microsoft.com/it-it/bing?#faq ]

Ma qui si tratta di studenti, di ragazzi, che per ipotesi non hanno un giudizio sufficientemente solido da poter controllare i fatti (tant’è che la scuola ha per obiettivo proprio quello di insegnarglielo).  Verrebbe da pensare che il limite dei 13 anni  non è sufficiente per assicurare un uso consapevole di questi strumenti.

Tra i materiali a supporto della formazione  Microsoft suggerisce questi obiettivi (solo in inglese, anglosassone o statunitense):

Gli stessi obiettivi sono declinati nelle slide in formato Power Point scaricabili dallo stesso sito. Le attività proposte mettono in campo Gina, un’appassionata di ecologia, e Alex, un giovane programmatore; viene mostrato come possano usare Bing e Microsoft Copilot ma facendo attenzione ai rischi impliciti nel loro uso.

Personalmente trovo la situazione paradossale: come se si fornissero materiali didattici sull’uso della armi, in cui però si citano i rischi legati ad un uso improprio. “Usa pure il nostro revolver, ma fai attenzione a non spararti sui piedi”. E’ drammatico pensare che probabilmente negli Stati Uniti esiste davvero qualcosa del genere.

D’altra parte, il cambio di direzione repentino che hanno dovuto effettuare le aziende stesse nella presentazione degli obiettivi di sviluppo delle intelligenze generative dovrebbe farci riflettere: da sostituito del motore di ricerca tradizionale (come il Multitask Unified Model promesso da Google nel 2021) sono diventate degli allegri generatori di finti acquerelli impressionisti o di riassunti di romanzi. Si può chiedere a Bing (integrato in Edge ma anche in Skype) di generare menù per una festa di compleanno dei figli, di pianificare un viaggio in Inghilterra oppure di creare una lezione sulla guerra di Secessione: insomma attività a basso rischio. L’educazione non è un contesto critico, almeno nella concezione di Microsoft.

Queste scuse anticipate vengono proposte anche in prima persona singolare, come se ci fosse un soggetto che sa di poter sbagliare, si rende conto che questo è un limite, è capace di provare vergogna, eccetera.
Ad esempio:
”I’m an AI preview, so I’m still learning. Sometimes I might say something weird. Don’t get mad at me, I’m just trying to get better!”

Fa parte delle retorica corrente dell’Intelligenza Artificiale: non viene presentata come un servizio (momentaneamente gratuito) gestito da un’azienda, ma come un soggetto dotato di volontà e fini.
Potremmo invece usare il prompt nella sua funzionalità più ghiotta, cioè la produzione di testi fasulli.
Se chiediamo un testo à la D’Annunzio che parla di una mareggiata autunnale vista da un villaggio della Maremma, poi possiamo confrontarlo con quello originale di Carducci. Così avremmo un esempio pratico della differenza tra le poetiche dei due autori ma applicate ad uno stesso tema. Magari poi potemmo fare il contrario e chiedere un testo à  la Carducci che parla di un’improvviso scroscio di pioggia estiva durante una gita nella pineta in Versilia. In fondo è sempre Toscana.

Dicevamo che il coding è un modo di riflettere su come certe regole applicate a certi dati possano produrre o no il risultato immaginato.

Si può fare fare la stessa cosa con il “prompt” di ChatGPT?
Sì e no.

Sì, perché ovviamente si può provare a vedere cosa succede se si danno indicazioni diverse, in termini di stile o di riferimenti. Si può addirittura creare un piccolissimo dataset di testi di un certo autore, costruire un modello su quella base e vedere cosa viene prodotto.
No,  perché la maniera in cui viene costruito quel modello sulla base di quel dataset e la maniera in cui viene costruito un testo usando quel modello è del tutto opaca, si potrebbe dire sia soggettivamente che oggettivamente.

Soggettivamente: è opaca per chi la fa. Chi fa la richiesta è un utente finale, che potrà magari avere il ruolo di beta-tester ma non ha idea di cosa succeda tra il momento in cui preme il tasto “invio” e il momento in cui appare una risposta scritta sullo schermo.

Ma è anche oggettivamente opaca, cioè è opaca per tutti. La maniera di funzionare di questi software si basa sulla creazioni di ponti tra isole, ispirandosi un po’ alla maniera in cui crediamo funzioni il cervello a livello cellulare. I ponti vengono creati in grande numero e continuamente disfatti e rifatti in base alla valutazione dei risultati che si ottengono. E’ una strategia che non punta all’ottimo ma solo al meglio relativo, che ha senso quando il numero di isole e ponti è veramente grande, come appunto nel caso dei neuroni e delle connessioni.

E’ il principio stesso del machine learning: si basa su una forma di induzione su un grandissimo numero di situazioni, catalogate con un grandissimo numero di parametri; troppi per essere elencati o controllati. E’ il sogno finalmente realizzato degli scienziati inglesi del seicento: smettere di dedurre in maniera ferrea a partire da quattro idee astratte non verificabili ma finalmente costruire generalizzazioni praticamente utilizzabili a partire da dati reali. Naturalmente i vecchi empiristi lo sapevano già, che “utilizzabile” non significa “vero”, e che l’applicazione del loro metodo avrebbe avuto qualche difficoltà pratica. Se si hanno ha disposizione tutti i dati, allora la generalizzazione è perfetta, ma un po’ inutile, perché si limita a dire quello che già si sa. Se non si hanno a disposizione tutti i dati, allora la generalizzazione è utile, ma potrebbe essere sbagliata. Questa consapevolezza è una versione applicata alla costruzione della conoscenza di altri principi regolativi che sono stati accettati da tempo in fisica: “la perfezione non è di questo mondo”. Si può avere una conoscenza imprecisa di tutto o una conoscenza dettagliata di qualcosa. Nella maggior parte dei casi, non è possibile sapere in quale delle due situazioni ci si trovi, e questa è la cosa più scocciante.

Anche qui c’è un obiettivo specificato in termini vaghi, come nell’interazione con Prolog; ma in questo caso l’obiettivo viene fornito all’interprete da qualcuno che non sa come è stato costruito il modello. Non è possibile vedere i dati (perché sono troppi) o le regole (perché non ci sono).

Che cosa si impara con queste simulazioni? Che lo stile di un autore non è niente che non si possa apprendere, a posteriori, a partire dalle sue opere. Che non serve una comprensione profonda per riprodurlo ma bastano un numero sufficiente di esempi. Che il concetto stesso di stile (e quello derivato di storia degli stili, su cui è costruita la nostra storia della letteratura) è probabilmente sopravvalutato.

Che questo sia sufficiente (che è quanto sostiene chi introduce questi strumenti in classe da “utente felice”, che ha diritto di non sapere cosa c’è sotto e dietro) non è detto.
E’ tanto? E’ poco? Probabilmente meno di quello che si imparerebbe scrivendo un programma che produce poesie usando un lessico dannunziano e secondo forme metriche dannunziane. Perché in quel caso saremmo costretti a costruire quel lessico (cosa includiamo, cosa no?) e trovare un modo per rappresentare quelle forme metriche; e poi occuparci delle metafore, delle analogie, dei colori.

Per chiudere questo paragrafo: usare ChatGPT è molto più semplice che scrivere un programma e lo possono fare tutti.
Ma no, non è la stessa cosa.




Intelligenza sindacale

Immagine realizzata con Midjourney

di Marco Guastavigna

Era dai tempi della Didattica a Distanza – sono sincero! – che non provavo emozioni così profonde di fronte a una posizione sindacale in materia di dispositivi digitali e professionalità docente. Mi riferisco alle argomentazioni sull’intelligenza artificiale a scuola recentemente esternate dal Segretario generale Uil Scuola Rua Giuseppe D’Aprile. Già il titolo, che riprende la moda di grammatica libertariana del momento storico (la concordanza tra soggetto e predicale verbale “a muzzo”), dimostra l’attualità del ragionamento: Intelligenza Artificiale, D’Aprile: punto di partenza è fiducia nel lavoro che si fa in classe e libertà di insegnamento. Mi è parso pertanto giusto affiancare al mio commento di essere umano ipercritico le ben più sobrie chiose di alcuni dei più noti accrocchi del settore.

Per prima, la valutazione di Microsoft Copilot:
“In Italia, la questione dell’innovazione nell’istruzione è ancora spesso affrontata con pregiudizi e una certa mancanza di concretezza. Tuttavia, è importante considerarla come un’opportunità, senza lasciarci intimidire. Il modello estone ci offre spunti di riflessione interessanti. L’Estonia si è distinta come uno dei leader europei nella rivoluzione digitale, un risultato notevole considerando il suo passato post-sovietico. Nel 1991, quando ha iniziato a ristrutturare le sue strutture di governance, ha gettato le basi per un approccio innovativo che permea anche il sistema educativo. Il curriculum nazionale estone pone l’accento su obiettivi di competenze generali, che includono non solo le tradizionali abilità accademiche, ma anche competenze sociali e digitali fondamentali. In questo contesto, strumenti avanzati come ChatGPT non sono imposti rigidamente, ma vengono lasciati alla discrezione degli insegnanti.

Questo approccio flessibile si adatta alle diverse esigenze psicologiche e tecnologiche degli studenti, passando dal ruolo diretto dell’insegnante nelle classi più giovani a un approccio più autonomo e di mentoring nelle classi superiori. L’Estonia ha investito molto nella formazione continua degli insegnanti, con un’enfasi particolare sullo sviluppo delle competenze digitali e cognitive. In un mondo sempre più guidato dalla tecnologia, è essenziale che gli insegnanti siano equipaggiati non solo con la conoscenza degli strumenti digitali, ma anche con la capacità di operare efficacemente in tali ambienti. Il sistema educativo estone sta evolvendo, passando dall’enfasi sulle competenze cognitive di base a un focus su abilità superiori, come il pensiero critico, la comunicazione efficace, il pensiero sistemico e la capacità di prendere decisioni etiche. Questo riflette la necessità di preparare gli studenti a un mondo in rapida evoluzione, dove l’adattabilità e l’innovazione sono cruciali. La posizione dell’Estonia serve da modello globale, dimostrando che l’innovazione tecnologica e l’adattabilità possono guidare il successo educativo in un mondo in continua evoluzione. Tuttavia, è importante mantenere l’autonomia a livello nazionale nell’istruzione, come sottolineato dal Segretario generale Uil Scuola Rua Giuseppe D’Aprile. L’autodeterminazione e il libero pensiero degli alunni devono rimanere sempre autonomi e guidare questi processi in modo responsabile e sostenibile attraverso la professionalità e l’esercizio della libertà di insegnamento.”

Origine: conversazione con Bing, 2/2/2024

(1) La scuola più avanzata in Europa? Si trova in Estonia. Il ministro …. https://www.orizzontescuola.it/la-scuola-piu-avanzata-in-europa-si-trova-in-estonia-il-ministro-kallas-docenti-ben-formati-sul-digitale-cosi-si-sviluppano-competenze-cognitive-piu-alte/.
(2) Estonia, le tecnologie al centro (anche) anche dell … – Agenda Digitale. https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/estonia-le-tecnologie-al-centro-anche-anche-delleducation-gli-esempi-da-imitare/.
(3) Ecco come l’Estonia ha messo al centro le competenze digitali. https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/ecco-come-l-estonia-ha-messo-al-centro-le-competenze-digitali/

Più sintetico ChatGPT:

 

“Il testo affronta il tema dell’educazione in Italia e sottolinea la necessità di superare i pregiudizi e adottare un approccio più concreto. Viene citato il caso dell’Estonia come esempio positivo di un sistema educativo che si è concentrato sulla formazione continua degli insegnanti, in particolare sullo sviluppo delle competenze digitali e cognitive. Il Segretario Generale Uil Scuola, Giuseppe D’Aprile, evidenzia l’importanza di equipaggiare gli insegnanti non solo con la conoscenza degli strumenti digitali, ma anche con la capacità di operare efficacemente in ambienti tecnologici. Si sottolinea che il sistema educativo estone si basa su obiettivi di competenze generali, includendo abilità accademiche, competenze sociali e digitali fondamentali. Si fa notare che strumenti avanzati come ChatGPT non vengono imposti rigidamente, ma sono lasciati alla discrezione degli insegnanti, garantendo loro la libertà di scegliere i metodi più adatti per integrare la tecnologia nella didattica. Questo approccio flessibile si adatta alle diverse esigenze degli studenti. Infine, il testo sottolinea che la posizione non è basata sulla paura o la chiusura, ma sulla ricerca di soluzioni per affrontare le nuove sfide in modo responsabile. Viene enfatizzata l’importanza dell’autodeterminazione e del libero pensiero degli studenti, sostenendo che essi devono governare questi processi attraverso la professionalità e l’esercizio della libertà di insegnamento.”

Google Bard si pronuncia per punti fortemente strutturati, esprime una propria opinione in proposito, si sbilancia con dubbi e suggerimenti:

“Introduzione
:
Il testo affronta il tema dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA) nella scuola italiana, con particolare riferimento al modello estone. L’autore evidenzia come in Italia vi siano ancora molti pregiudizi e poca concretezza sull’utilizzo di queste tecnologie, mentre l’Estonia ha già adottato un modello innovativo che pone l’accento sulla formazione continua degli insegnanti e sull’utilizzo di strumenti avanzati come ChatGPT.

Analisi del contenuto:
L’autore sottolinea come l’IA non debba essere vista come una minaccia, ma come un’opportunità per migliorare l’apprendimento degli studenti. In un mondo sempre più guidato dalla tecnologia, è fondamentale che gli insegnanti siano equipaggiati con le competenze necessarie per utilizzare la tecnologia in modo efficace.
Il modello estone si basa su obiettivi di competenze generali, che comprendono non solo le tradizionali abilità accademiche, ma anche competenze sociali e digitali. In questo contesto, strumenti come ChatGPT non sono imposti rigidamente, ma vengono lasciati alla discrezione degli insegnanti, che hanno la libertà di scegliere i metodi più adatti per integrare la tecnologia nella didattica.

Stile e figure retoriche:
Il testo è scritto in uno stile chiaro e conciso, con un linguaggio accessibile anche a chi non ha familiarità con il tema dell’IA. L’autore utilizza alcune figure retoriche, come la metafora (“L’IA non debba essere vista come una minaccia, ma come un’opportunità”) e l’iperbole (“Il sistema educativo estone è un modello innovativo”), per rendere il testo più efficace e coinvolgente.

Contesto storico-letterario:
Il testo si inserisce nel dibattito sull’utilizzo dell’IA nella scuola, un tema di grande attualità che ha acceso un acceso dibattito tra esperti e politici. L’autore si schiera a favore dell’utilizzo dell’IA, citando l’esempio virtuoso dell’Estonia.

Conclusione:
Il testo offre una riflessione interessante e stimolante sull’utilizzo dell’IA nella scuola italiana. L’autore invita a non aver paura di questa tecnologia, ma a coglierne l’opportunità per migliorare l’apprendimento degli studenti. Il modello estone rappresenta un esempio da seguire, con la sua attenzione alla formazione continua degli insegnanti e all’utilizzo flessibile di strumenti avanzati come ChatGPT.

Considerazioni personali:
Concordo con l’autore nel ritenere che l’IA non sia una minaccia per la scuola, ma un’opportunità da cogliere. È importante però che l’utilizzo di questa tecnologia sia accompagnato da una formazione adeguata degli insegnanti e da un’attenta riflessione sulle sue implicazioni pedagogiche.

 Domande e dubbi:

  • Quali sono le strategie che il governo italiano intende adottare per promuovere l’utilizzo dell’IA nella scuola?
  • Come si può garantire che tutti gli insegnanti abbiano le competenze necessarie per utilizzare la tecnologia in modo efficace?
  • Quali sono i rischi e le sfide legate all’utilizzo dell’IA nella scuola?

Suggerimenti:

  • Potrebbe essere utile realizzare un piano nazionale per l’utilizzo dell’IA nella scuola, che includa linee guida per l’utilizzo di questa tecnologia e la formazione degli insegnanti.
  • Sarebbe opportuno coinvolgere le famiglie e gli studenti nel dibattito sull’utilizzo dell’IA nella scuola.
  • È importante monitorare attentamente l’impatto dell’IA sull’apprendimento degli studenti e sulla qualità dell’istruzione.

In conclusione, il testo offre un contributo importante al dibattito sull’utilizzo dell’IA nella scuola italiana. L’autore fornisce una visione equilibrata e realistica di questa tecnologia, sottolineandone i potenziali benefici e le sfide da affrontare.

L’agente umano Marco Guastavigna si conferma pignolo, arrogante e spietato:
“Le solite triviali considerazioni su rischi e opportunità, tra l’altro senza elencare o almeno esemplificare né gli uni né le altre. Gli usuali riferimenti non circostanziati alle competenze [digitali e cognitive], un tutt’uno particolarmente oscuro e totemico, al pari delle esigenze [psicologiche e tecnologiche] degli studenti e delle competenze [sociali e digitali] fondamentali. L’immancabile strafalcione lessicale ed epistemologico banalizzante, ovvero l’attribuzione della complementarità passiva tipica degli strumenti, a dispositivi macchinici che agiscono invece con complementarità attiva, al punto di saper e poter definire e vincolare le situazioni di lavoro di apprendimento e la logistica di conoscenza e istruzione. L’imperdonabile idea secondo cui il “mondo” sarebbe sempre più “guidato dalla tecnologia”, altro insieme nebuloso, concepito come indifferenziato e – temo – neutro. Ovvero la non capacità e/o la non volontà di analizzare il modello a economia di mercato e conseguente supremazia cognitiva e culturale occidentale sottostante. Con un approccio del genere, il riferimento alla libertà di insegnamento costituisce una patetica conclusione di un’analisi e di un ragionamento superficiali, se non vuoti. Insomma: un pessimo e controproducente tentativo di occupazione di uno spazio di sindacalizzazione attualmente libero.”

Per rialzare in chiusura l’umore del lettore, la parola va a Scrittura Magica di Canva; il primo parere è in italiano, il seconda in estone, per porre le basi di un’eventuale esportazione del messaggio di fondo dell’intervento di D’Aprile:
“L’Estonia ha dimostrato che la formazione continua degli insegnanti è fondamentale per garantire che essi siano in grado di fornire un’istruzione efficace ai loro studenti. In particolare, la concentrazione sull’acquisizione di competenze digitali e cognitive si è dimostrata essere essenziale in un mondo sempre più tecnologico. Il sistema educativo estone ha obiettivi di competenze generali, che comprendono anche le competenze sociali e digitali fondamentali. In questo contesto, strumenti avanzati come ChatGPT non sono imposti rigidamente, ma vengono lasciati alla discrezione degli insegnanti, che hanno la libertà di scegliere i metodi più adatti per integrare la tecnologia nella didattica. Tuttavia, l’autodeterminazione e il libero pensiero degli alunni devono rimanere autonomi e quindi governare questi processi in modo responsabile e sostenibile attraverso la professionalità e l’esercizio della libertà di insegnamento. In Italia, invece, molti pregiudizi e poca concretezza ostacolano l’adozione di queste nuove metodologie di insegnamento. Ma non dobbiamo spaventarci: il modello estone ci invita a riflettere su come possiamo affrontare le nuove sfide e gestirle nel migliore dei modi, senza cadere nella paura o nella chiusura mentale.

Eestis on tõestatud pideva õpetajakoolituse olulisus tagamaks, et nad suudavad pakkuda oma õpilastele tõhusat haridust. Eelkõige on tähelepanu pööramine digitaalsete ja kognitiivsete oskuste omandamisele osutunud oluliseks üha tehnoloogilisemaks muutuvas maailmas. Eesti haridussüsteemil on üldoskuste eesmärgid, mis hõlmavad ka olulisi sotsiaalseid ja digioskusi. Selles kontekstis ei ole täiustatud tööriistad, nagu ChatGPT, rangelt peale surutud, vaid jäetud õpetajate otsustada, kellel on vabadus valida kõige sobivamad viisid tehnoloogia õppetöösse integreerimiseks. Õpilaste enesemääramine ja vaba mõtlemine peavad aga jääma autonoomseks ning juhtima neid protsesse seetõttu vastutustundlikult ja jätkusuutlikult läbi professionaalsuse ja õpetamisvabaduse kasutamise. Itaalias aga takistavad paljud eelarvamused ja vähene konkreetsus nende uute õpetamismetoodikate kasutuselevõttu. Kuid me ei tohiks karta: Eesti mudel kutsub meid mõtisklema selle üle, kuidas saaksime uutele väljakutsetele vastu astuda ja nendega parimal võimalikul viisil toime tulla, langemata hirmu või suletusse.

 

 

 

 




L’amore per il sapere e la sua trasmissione esistono ancora

di Monica Barisone

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

Qualche tempo fa ho avuto una bella chiacchierata con Reginaldo Palermo sul fatto che si possa considerare ancora l’insegnamento come il mestiere più bello del mondo, ma anche che le sue evoluzioni storiche e contestuali lo hanno reso estremamente complesso e stressante, talvolta persino estenuante per il carico di responsabilità.
Il tempo che bambini e ragazzi trascorrono negli edifici scolastici e a contatto con personale docente e non docente raggiunge ormai estensioni tali da rendere la vita scolastica più che un’integrazione del contesto esperienziale familiare, quasi un’alternativa. Questo implica enormi potenzialità di influenzamento, orientamento, accompagnamento di piccoli, ragazzi e giovani al domani, verso il futuro che, almeno per qualche tempo, sarà anche il nostro.
La consapevolezza di questa responsabilità può disorientare e disarmare. Eppure, le scuole hanno ripreso a fervere di iniziative e progetti; ci si prova, nonostante le risorse non siano mai abbastanza.
Come ci ricorda Save the children ‘L’istruzione rappresenta la chiave e la possibilità per conoscere e costruire poi una propria idea di mondo e di futuro. È un diritto sancito dalla Carta dei diritti dei bambini (CRC – Convention on the Rights of the Child). Lo è perché è lo strumento più valido per combattere povertà, emarginazione e sfruttamento’ (aprile 1922).

Riflettere su questi temi mi ha riportato alla mente alcuni incontri che ho avuto negli ultimi anni e che ora vedo sotto una luce nuova, quella della trasmissione intergenerazionale di competenze e sapere, ed anche di una sorta di give back, restituzione appunto, alle nuove generazioni.
Può succedere, per esempio, di innamorarsi dell’insegnamento apparentemente per caso, come mi ha raccontato un laureato in fisica matematica, una mente meravigliosa, apparentemente incagliata nel sogno della ricerca per tutta la vita. Qualche incidente di percorso lo ha rimbalzato, durante la fuga dai contesti aziendali, proprio nelle aule degli adulti delle scuole serali. Lì ha scoperto quanto non sia poi così male lavorare come insegnante, stare accanto a chi ha trovato solo tardivamente la motivazione a completare o coronare gli studi, e soprattutto sperimentare l’urgenza di segnalare loro l’irregolarità della stessa matematica. Trascorre gli intervalli a rispondere alle domande dei suoi allievi, domande, come le definisce lui, terribilmente pertinenti.
Questo giovane ha scoperto che ci si può appassionare proprio laddove si temeva di sperimentare la noia mortale e, casomai, ottenere nello stesso periodo un pre-printing della prima pubblicazione che probabilmente potrà fare la differenza nei prossimi concorsi da ricercatore. I paradossi della vita, nella loro straordinarietà, ci colgono a volte proprio quando ci abbandoniamo al suo apparente non senso.

Un altro incontro significativo riguarda invece un giovane professore di matematica che, al mondo accademico, ha preferito la docenza al liceo. Dopo un percorso radioso di dottorato, contrassegnato da esperienze internazionali, nasce l’idea di una virata e la scelta di lavorare per rendere accessibile la sua amata disciplina agli studenti delle classi che gli sarebbero state assegnate.
È stato non solo confortante ma piacevolmente sorprendente ascoltare il racconto della sua cura e dedizione nel correggere i compiti degli allievi; l’analisi speleologica condotta per rintracciare, anche negli elaborati più disperati, tracce di processi logici che consentissero di dare valutazioni, non solo meno severe, ma davvero coerenti con il livello di preparazione dei ragazzi!
Certo non è stato semplice confrontarsi col mondo di ragazzi che si trovano alle superiori quasi per caso, con vissuti e visioni delle relazioni interpersonali quanto meno complesse ed ostiche; con la burocrazia intrecciata, in modo quasi inestricabile, all’insegnamento nella pratica quotidiana.
Nulla di tutto ciò lo ha fermato, ha affrontato altri concorsi e incontrato talvolta incomprensioni verso la sua visione di insegnamento ma ha conquistato il suo posto.

Ho avuto poi l’opportunità di vedere una neolaureata in Sociologia, studiare ore per arrivare preparata e pronta alle sue prime docenze nei suoi primi corsi di formazione aziendale! Assetata nell’apprendere dai colleghi anziani, propositiva nella modernità del suo pensiero avanguardistico, con l’atteggiamento fiero di chi sente fortemente l’urgenza di produrre un vero cambiamento con il proprio lavoro. L’ho sentita, parallelamente, raccontare con gioia, anche se stremata, i piccoli successi nel lavoro apparentemente insolito di aiuto cuoca in un contesto sostenibile, in realtà assolutamente coerente con le sue scelte ambientaliste coniugate con lo sguardo sociologico sulle professioni del futuro.

Più racconto queste storie e più me ne vengono in mente, come quella del ragazzo che è riuscito a portare un allievo non vedente a far canestro! Nel raccontarsi ricostruisce un aneddoto: lui era il bambino che, quando arrivava a scuola la mattina, diceva all’insegnante ‘Cosa facciamo di bello oggi?’. Dopo aver girato il mondo registrando eventi sportivi nazionali ed internazionali, torna alla scuola anche per metter su famiglia. È un po’ in ritardo sui punteggi per le graduatorie, fatica a conquistar supplenze significative, sopravvive in pandemia, riparte andando ad insegnare scienze motorie in un Istituto in cui non c’è neppure la palestra. Porta i ragazzi al parco, scopre sul territorio strutture con cui costruire convenzioni per portarli a correre, giocare, far sport in sicurezza. Stremato riesce a raggiungere la supplenza annuale nel suo Comune nelle scuole elementari dove finalmente, fanalino di coda in Europa, anche in Italia è stato inserito l’insegnante di Educazione motorie.

Se questi vissuti sono il risultato di anni di così grande confusione nel mondo valoriale degli adulti di riferimento, possiamo pensare che, nonostante tutto, dalla vita scolastica e sociale si continui ad apprendere. Ciò che viene trasmesso, come da vero mandato educativo, riguarda allora non solo la sfera dei contenuti, ormai di complessità e ampiezza estrema, ma anche l’area valoriale, ‘passionale’, creativa e produttrice di cambiamento.




Dell’educazione, modernità di Lambruschini

di Giovanni Fioravanti

L’educabilità è quella disposizione che, pur non essendo esclusiva dell’uomo, costituisce peraltro uno dei caratteri specifici dell’umanità. Per Louis Meylan, autore di Educazione Umanistica, pubblicato nel 1951 da La Nuova Italia, l’educazione può definirsi come l’attività con la quale gli adulti si sforzano di dare al comportamento, ovvero ai vari modi di pensare, di sentire e di agire del fanciullo e dell’adolescente la forma che ad essi sembri più desiderabile.
Se questa è l’idea di educazione che si intende perseguire, l’educazione non sarà mai diversa dal modo di pensare di chi l’ha concepita. È un’idea che ha sfidato i secoli fino a approdare tra noi sostanzialmente immutata.

Così capita di leggere una pagina scritta dall’abate Lambruschini verso la seconda metà dell’Ottocento: L’educazione del nostro tempo: Mancanza di principi direttivi, e provare la sensazione che potrebbe essere stata scritta oggi, non tanto e non solo da autori come il generale del Mondo al contrario.

La riporto senza usare né virgolette né corsivo per via del restyling che ho dovuto operare relativamente al lessico datato, che però nulla ha alterato del suo autentico contenuto, ma anche per il sottile piacere che provo all’idea del lettore che nello scorrere queste righe potrebbe essere inquietato dal dubbio circa quanto di queste parole giunge dal passato e quante viene dal presente.

Quello che più merita di essere notato e che ostacola una retta educazione è la mancanza di principi direttivi, l’incertezza nella quale gli educatori, insegnanti, adulti, genitori, ondeggiano nei confronti dei giovani, manca loro la coscienza sicura di quello che fanno e di quello che dicono. Di fronte a un comportamento un poco ribelle, a un caso straordinario sono colti alla sprovvista, non sanno cosa fare. Cedono all’indocilità invece di imporre la sottomissione, favoriscono la scioperataggine e la mala grazia invece di pretendere applicazione e maniere composte. Cosicché gli adulti si riducono a dolersi di sé e dei giovani, a non sapere più come condursi e a dare ragione a chi dice che i sistemi moderni di educazione sono inefficaci.

Oggi nella casa i figli conversano continuamente con i loro genitori e parenti, ricevono carezze e lodi, insegnamenti, ammonizioni da voci e mani che sono loro care.
Ma i figlioli che una volta obbedivano e tremavano innanzi ai genitori, oggi non tremano e non obbediscono, prima erano sottomessi nella famiglia, ora sono padroni. Prima non aprivano bocca, fissavano gli occhi a terra, stavano immobili e composti, ora chiacchierano senza posa, urlano, s’abbracciano, interrompono il discoro altrui, non accettano la correzione se non è addolcita da parole soavi, quasi direi da scuse.

E (mi costa dirlo, ma lo devo dire) le madri hanno in ciò la colpa maggiore. Gustano la dolcezza, le delizie dell’amore materno e ne sono inebriate, si dolgono talvolta, si sdegnano anche per le molestie arrecate dalla baldanza dei loro figlioli, dal loro essere indocili, ma questi stessi sdegni sono segno della loro debolezza.
Quando i figlioli sono tranquilli, allora si abbandonano alla tenerezza, li guardano con ammirazione come idoli, li adorano, prevengono i loro desideri, cedono volonterose a tutte o quasi tutte le loro voglie.
Ma io noto ora l’amore cieco come pernicioso, l’amore debole, l’amore che in luogo di governare si sottomette, l’amore che rende i figlioli arroganti, inquieti, li rende per di più insofferenti d’ogni più lieve disagio.

Ora questa forza di negare ai fanciulli certe delicatezze, di avvezzarli per tempo ad una vita sobria e un poco dura, è rarità miracolosa tra noi.
La nostra gioventù è svagata, non sa piegarsi all’applicazione profonda e costante, a questa svagatezza e svogliatezza, a questo leggero svolazzare dello spirito sopra le più gravi cose conduce in primo luogo l’instabilità del loro animo, la vivacità della loro immaginazione eccitati oggi più di prima dalla maggior confidenza che si dà loro e dal loro vivere più libero e più allegro.[1]

Ne emerge una visione dell’educazione come strumento di direzione e di subordinazione nei confronti di chi ancora non è adulto, di chi è immaturo e ancora sta crescendo. Un’idea di sottomissione del minor al major come condizione dell’età evolutiva.
Ora che si pensi che l’educazione è fallita, e con essa il ruolo degli adulti e delle istituzioni educative, perché non è più quella di ieri, fa sorgere il dubbio che il fallimento non sia dell’educazione ma della società e della sua cultura quando questa convinzione si fa diffusa fino a divenire un luogo comune.

Perché, se tutto per essere corretto e giusto dovesse corrispondere al passato, significherebbe che si vive una vita disancorata, incapaci di riadattarsi ai continui cambiamenti culturali, sociali  e ambientali. Significherebbe essere inanimati, perché la distinzione più notevole tra gli esseri viventi e gli esseri inanimati consiste proprio nel fatto che i primi si mantengono rinnovandosi.

Ma la cecità e l’arroganza culturale che fanno ritenere che educare significhi forgiare l’altro a propria immagine e somiglianza sono di per sé già ciò che impedisce ogni possibile rinnovamento. Portano a non considerare che l’educazione è partecipazione, è coinvolgimento, è relazione, è comunicazione per divenire attivi protagonisti  della vita sociale della propria specie, per dirla con Dewey.

Relazione e comunicazione stanno a significare che venendo al mondo non si è ingranaggi di una macchina e neppure animali da addestrare, ma vite che assumono significato in relazione agli altri, all’ambiente sociale, non attraverso indottrinamenti ma attraverso la comunicazione, che significa possedere insieme, appunto in comune.
Ora il rischio è essere espressione di una generazione di adulti che non sa porre in “relazione” con il proprio ambiente sociale e culturale le giovani generazioni, proprio perché non sa “comunicare”, cioè non è capace di condividere, di porre in comune su un piano di parità tra chi cresce e chi, in quanto adulto, è già cresciuto.

C’è un’autorità che presiede alla formazione di ciascun essere umano che è il processo della vita nel suo insieme, ed è questo processo ad essere educativo. La vera natura della vita è quella di lottare per continuare ad essere.[2] E l’educazione serve ad apprendere come lottare per essere.
Relazione e comunicazione dovrebbero, dunque,  esprimersi nella naturale empatia degli adulti nei confronti dell’infanzia e dei giovani.
La solidarietà e la comprensione verso età che sono state anche le nostre, verso quelle condizioni, quegli stati, che a nostra volta abbiamo vissuto. Questa consapevolezza dovrebbe portare a stare a fianco dei giovani, senza sostituirsi a loro, di modo che ciascuno trovi le vie d’uscita e le soluzioni che gli confanno, come anche a noi è capitato. Essere vicini significa anche essere sempre disposti a dare una mano se richiesti, a porsi in relazione per comunicare, per stare in comunione.

[1] R. Lambruschini, Della Educazione e Della Istruzione, La Nuova Italia, Firenze, 1967, pp. 2-3
[2] J. Dewey, Democrazia e Educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1970, p. 12