Inno a Lagioia

di Mario Maviglia

Antefatto

In data 28/03/20<24 il ministro dell’Istruzione e del Merito, Valditara, pubblica il seguente tweet: “Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l’italiano laddove già non lo conoscano bene, se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l’arte, la musica italiana, se i genitori saranno coinvolti pure loro nell’apprendimento della lingua e della cultura italiana e se non vivranno in comunità separate.”

Lo scrittore Nicola Lagioia critica ironicamente Valditara per le scorrettezze grammaticali che contiene il tweet. Per tutta risposta il ministro querela lo scrittore chiedendo 20 mila euro di risarcimento.
Lagioia commenta così la querela del ministro: “La mia colpa consisterebbe nell’aver criticato mesi fa, alla trasmissione “Che sarà” di Serena Bortone su Rai3, lo stile di un suo tweet, scritto a mio parere molto male sulla limitazione degli stranieri nelle classi italiane. Quel tweet fu attaccato da tantissime persone in quei giorni per la sua nebulosità, con toni ben più aspri del mio. Ma il ministro decide di querelare me. Il ministro si è sentito leso per come l’ho preso in giro in trasmissione, suggerendo che venisse sottoposto lui al test di italiano per stranieri. Nel paese in cui l’ultimo Nobel per la letteratura è andato a chi “nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati” [il riferimento è a Dario Fo, Premio Nobel 1997 per la Letteratura] credevo fosse lecito. Ma forse non siamo più quel paese.”

Qualche riflessione

In un Paese normale un ministro dell’istruzione probabilmente occuperebbe il suo tempo innanzi tutto per cercare di risolvere i tanti problemi che presenta la scuola e la scuola italiana ne presenta non pochi e di non poco conto: il tasso di dispersione scolastica più alto in area UE, uno dei tassi di Neet più alti in Europa, una retribuzione dei docenti al di sotto della media UE, un sistema di reclutamento del personale farraginoso e poco incisivo, un appesantimento burocratico della vita scolastica che irrigidisce e ingessa il sistema, un avvio dell’anno scolastico sempre molto problematico e con frequenti perturbazioni nella vita delle istituzioni scolastiche ecc. ecc.
Insomma ci sarebbe di che rimboccarsi le maniche e darsi da fare, invece che inseguire le critiche (ancora legittime? Cfr art. 21 cost) dello scrittore di turno.
Ma si potrà eccepire che il ministro ha il diritto di difendere la propria onorabilità offesa dallo scrittore. Per la verità in questa vicenda chi è stata profondamente offesa è stata la lingua italiana, strapazzata dal ministro con un utilizzo quanto meno funambolesco del periodare, con l’uso ossessivo dell’anafora (“se… se… se…”), con qualche errore morfologico-sintattico (“se nelle scuole si insegni…”) e con un uso alquanto disinvolto della punteggiatura.
Questo per quanto riguarda la forma. Se si entra nel merito dei contenuti del tweet del Ministro, si può facilmente verificare che finora il responsabile del dicastero non ha trovato alcuna soluzione credibile per far sì che nelle classi la maggioranza degli studenti sia costituita da italiani (almeno nelle aree del Paese più interessate ai processi migratori).
Ma poi la galassia degli studenti “stranieri” è così variegata che la stessa aggettivazione di “straniero” risulta fuorviante: sotto questa etichetta, infatti, vengono ricompresi ragazzi e ragazze appena arrivati in Italia e altri che invece sono nati in Italia da genitori stranieri ma che non sono riconosciuti come cittadini italiani solo perché abbiamo una legislazione retrograda e indegna di un Paese civile, peraltro pervicacemente voluta e tenuta in essere dalla maggioranza politica di cui fa parte lo stesso ministro Valditara.
E d’altro canto, quanto dice il ministro in riferimento agli studenti stranieri sulla necessità di un insegnamento approfondito della “storia, la letteratura, l’arte, la musica italiana”, vale anche per i cittadini italiani se è vero che, da quanto emerge dalla recente indagine OCSE-PIAAC, un adulto italiano su tre è un analfabeta funzionale, ossia sa leggere e scrivere, ma incontra grandi difficoltà a comprendere, assimilare o utilizzare le informazioni lette.

Un’ultima annotazione: queste polemiche sembrano capitare a fagiolo per distogliere l’attenzione dai veri problemi della scuola, problemi che non sono costituiti dai vari Nicola Lagioia, Giulio Cavalli o Christian Raimo. Anzi, in una democrazia matura, la critica verso i responsabili politici è salutare perché sancisce in modo inequivocabile la differenza tra l’essere cittadini ed essere sudditi.




Un “assalto al cielo” lungo mezzo secolo

di Carlo Firmani
dirigente scolastico del Liceo Socrate di Roma

Cari studenti,
come ogni tardo autunno, in alcune scuole “superiori” di Roma si ripetono le “occupazioni”. Stanco rito? Ennesima e ripetitiva puntata di un serial lungo almeno mezzo secolo? Sottrazione di diritti alla grande maggioranza degli studenti che non partecipano all’ “azione”? Secondo me si, come ho sempre ripetuto agli studenti, ma non ci vuole davvero molto per poterlo sostenere, come peraltro condiviso dalla grande maggioranza dei commenti che compaiono sui media o che possiamo ascoltare dai nostri interlocutori. A partire da qui e dalle rivendicazioni opposte dei favorevoli alle occupazioni si alimenta e cresce, anno dopo anno, una contrapposta retorica, la fondatezza delle cui affermazioni non appare utile approfondire ulteriormente, vista la cristallizzazione delle posizioni che ha prodotto e lo stallo cui ha condotto fin qui.

Di converso, al crescendo della rivendicazione delle posizioni fa da controcanto il sostanziale depotenziamento (almeno sul piano simbolico) della natura “trasgressiva” delle occupazioni. Genitori che portano i pasti da casa ai figli nelle scuole la sera, magari pure il maglione più pesante o la maglietta pulita, i “preannunci” senza alcun rischio, sui social, della scuola che di lì a breve sarà “presa” sono solo esempi che evidenziano una normalizzazione “di fatto” di un fenomeno che, in tempi ormai remoti, non poteva contare su tali forme di supporto e conforto.
Quello che mi stupisce è che gli studenti non vedano che dietro questo “conforto” c’è altro: c’è, a mio modo di vedere, l’ulteriore forma di controllo, familiare e sociale, delle loro vite, il divieto di lasciar far loro, prendendosene tutte le responsabilità, le esperienze che scelgono di compiere, consentendo loro di imparare a fare i conti con la vita, comprendendo le implicazioni, previste o meno delle loro scelte. Quanto a voi, cari studenti occupanti, davvero pensate che rinchiudervi in sparute minoranze nei recinti delle scuole sia utile alla vostra causa? E non mi riferisco alle cause particolari che, di volta in volta, in autunno (e però come mai dall’inverno in poi sembrano sparire?) alimentano la vostra indignazione, la vostra rabbia, la vostra sofferenza, ma alla “madre” di tutte le vostre cause: la sottrazione del futuro.
I numeri sono schiaccianti (non lo dico io, ma tutti gli studi seri sulla questione): siete sempre di meno, in un mondo sempre più conflittuale, inospitale, concorrenziale, nel quale il peso delle generazioni più adulte -che vivranno sempre più a lungo- sarà sempre più sulle vostre spalle, e quindi? Pensate davvero che “calare” sulle scuole sia una risposta utile alla vostra causa? Pensate davvero che essere contro questo o quello sia sufficiente a creare un nuovo e migliore orizzonte? Davvero della voglia di dare “l’assalto al cielo” e di “pensare l’impossibile” rimane soltanto la chiusura a riccio, la contrapposizione senza nessuna aspirazione a progettare, o almeno vagheggiare, un modello di vita e di mondo diversi, sul quale sia possibile raccogliere consensi più ampi, condivisioni di obiettivi e di visioni, dare insomma una vostra “pennellata” sul futuro, se non altro costruendo un percorso in una direzione che conduca a mete che possano alimentare, almeno, la possibilità di realizzare quegli ideali che, ne sono certo, sono sinceramente sentiti dalla maggior parte di voi, pure se espressi in forme autoreferenziali e, come dimostra una lunga esperienza, assolutamente incapaci di produrre effetti positivi rispetto a ciò per cui le occupazioni nascono. E anche per questo sarebbe meglio che cessassero. O addirittura che non cominciassero.

Cordialmente,
Carlo




Parlare ai giovani con autorità

di Raimondo Giunta

Da tempo sono in palio il principio di autorità e il significato che può e dovrebbe avere nelle relazioni educative, nelle relazioni familiari e nelle relazioni sociali.
Ogni tempo ne ha dato una particolare interpretazione e a noi compete, ogni giorno, tentarne una nuova senza illudersi che quanto sia stato cancellato sul piano intellettuale e sul piano del costume nelle lotte contro molte espressioni del principio di autorità, possa essere nostalgicamente richiamato in vita.
C’ è stato un cammino secolare verso l’autonomia personale di giudizio e di azione che non può essere interrotto, nè messo in discussione.
L’autorità nei nuclei familiari, nelle istituzioni e a scuola, oggi, deve essere ragionevole, consensuale, accettabile, ma anche confutabile.
Anche se a volte sembra che oggi il problema non siano gli abusi nell’esercizio dell’autorità, ma l’autorità in quanto tale.
Per parlare a scuola con autorità ai giovani, oggi, bisogna sapere esercitare attrazione; bisogna avere prestigio; bisogna possedere sapere. Le fondamenta dell’autorità sono l’esperienza, la competenza, l’apprezzamento dell’impegno per il bene comune, la sollecitudine, l’attenzione, la disponibilità, la persuasione e l’ascolto.
Queste sono le uniche sue possibili armi. Non c’è più spazio per le minacce, per la l’uso coercitivo della forza e delle posizioni di potere.
Servono molto poco le sanzioni, le punizioni.
L’autorità che funziona ha alle sue spalle esperienza e tradizioni, ma deve essere in grado di prospettare e garantire orizzonti ragionevoli per il futuro.
Il rapporto d’autorità resta sempre un rapporto tra persone e tra ruoli, che per essere positivo non può essere sviluppato arbitrariamente, ma dev’essere mediato da regole alle quali deve restare vincolato chi esercita l’autorità e chi la deve accettare o subire.
In un sano rapporto d’autorità ci deve essere il reciproco riconoscimento e il reciproco rispetto dei diritti connaturati alla propria posizione. Il concetto di autorità non si può isolare da quello di comunità, di istituzione e di regole. Alla gerarchia coercitiva deve subentrare la divisione razionale delle funzioni e dei compiti: tutto si tiene se c’è organizzazione, coesione, spirito comunitario e ognuno è tenuto a dare conto del proprio operato. Per gli adulti nella società, a casa e a scuola dovrebbe essere un obbligo esercitare la propria autorità con ragionevolezza, accortezza e saggezza.




Il dono della sintesi…

di Marco Guastavigna

Sono passati quasi 30 anni da quando mi beavo di aver individuato una corrispondenza tra funzioni di word processing e trasformazioni per la sintesi di un testo secondo il modello del linguista Van Dijk.

Bene, oggi ho scoperto per caso che – non so bene da quanto tempo – i computer Apple dispongono di un servizio di riassunto automatico, che ho prontamente utilizzato per sintetizzare un articolo di concetti contrastivi a cui tengo in modo particolare, perché celebra i 20 anni di attivismo di Framasoft.
Questo è il risultato: una riduzione brutale, appunti meccanici, con un approccio tutto interno al testo originale

“Soprattutto, convince la modalità. I contenuti sono raggiungibili da chiunque, senza profilazione e senza richiesta di pagamento alcuno. La politica è politica, in qualche modo attivismo (una volta si diceva militanza).

• molta dell’accademia vive di epistemarketing subordinato alle esigenze e agli interessi delle grandi corporation “digitali”, presentati come gli unici approcci possibili alla dimensione tecnologica;

• altre zone dell’accademia consolidano le proprie recinzioni a proposito di negoziazioni tra istituzioni e famiglia, aventi come obiettivo il fair use da parte degli adolescenti, ma non certo la denuncia etica e civile dell’intenzione strategica che connota i dispositivi digitali, in particolare gli smartphone, ovvero la cattura dell’attenzione di nuovo come estrazione di dati e di valore;

• i valvassori e i vassalli dei diversi feudi universitari e para-universitari diffondono il verbo pedago-algoritmico-conversazionale in mille rivoli mainstream (corsi di formazione costruiti in modo frettoloso sugli slogan coniati dal livello gerarchico superiore);

• non vi è istanza culturale e/o editoriale che non abbia prodotto un corso, un webinar, un libro, una rubrica, un fascicolo, un numero speciale della propria pubblicazione-pilota, una conferenza in presenza, un seminario a distanza in modalità mista,una raccolta di interviste, una diretta Facebook e così via, per cavalcare l’attualità e spremerne valore e visibilità, magari giocandosi anche la carta della reiterazione via Youtube et similia;

• e il caos, puntuale, genera mostri: nella fattispecie centinaia di pubblicazioni tra il divulgativo e il manipolatorio, tra il reflusso culturale e il ricamo intellettualoide: l’importante è partecipare alla sbornia di distruzione creativa.

A pochi – sempre meno – interessa capire e dichiarare non ciò che fa presenza, aderenza, allineamento, mercato per chi lo ammanisce agli altri modulato in diversi container della medesima logistica del dominio, ma ciò che possedere tutti insieme in modo mutualistico e diffuso come patrimonio di cittadinanza consapevole e critica.
Tra questi pochi, si colloca appunto Framasoft, a cui i 20 anni di attività nel campo dei dispositivi conviviali, aperti, cooperativi e anticapitalisti conferiscono credibilità e autorevolezza.”

Ho poi pensato di chiedere la medesima prestazione (“Riassumi”) a un po’ di accrocchi che riposano sull’intelligenza artificiale: TextMaster BX, la funzione riepilogo e l’assistente AI integrati in WordPress, il riassuntore di MagicSchool e quello di Shakespeare per Chrome.

Li presento qui di seguito, volutamente senza precisare le corrispondenze tra assistenti ed elaborazioni, perché questo articolo non è un consiglio per gli acquisti, ma un invito ad abbandonare l’inerzia e a riflettere. In tutti i casi, infatti, balza all’occhio – a fronte di grandi differenze quantitative – che le varie prestazioni erogate dalle diverse macchine linguistico-predittive hanno tutte come perno logico un approccio esterno e quindi una qualche rappresentazione complessiva del flusso e della struttura espositiva del testo.

Riassunto A: Il testo presenta FramamIA come un’iniziativa che mira a demistificare l’intelligenza artificiale (IA) attraverso un approccio conviviale e accessibile a tutti, senza profilazione o costi. Si sottolinea l’importanza di una responsabilità socio-culturale nell’autorialità, criticando la confusione tra diritti d’autore e la condivisione della conoscenza come bene comune. Viene evidenziato come l’accademia spesso si allinei agli interessi delle grandi corporation digitali, perdendo di vista una denuncia etica e civile riguardo all’estrazione di valore dai dispositivi digitali. Si critica la proliferazione di corsi e pubblicazioni che cavalcano l’onda dell’IA, generando confusione e una molteplicità di “esperti” improvvisati. In questo contesto, FramamIA si distingue per il suo impegno verso un patrimonio di cittadinanza consapevole e critica, sostenuto dai 20 anni di attività di Framasoft nel promuovere dispositivi aperti e cooperativi.

Riassunto B: FramamIA si propone di demistificare l’intelligenza artificiale attraverso un approccio aperto e conviviale, promuovendo l’accesso gratuito ai contenuti. L’iniziativa critica la commercializzazione della conoscenza e sottolinea l’importanza di una cittadinanza consapevole e critica, contrastando le logiche di profitto delle grandi aziende e le limitazioni accademiche.

Riassunto C: Capire l’IA per demistificarla: Un’Analisi di FramamIA

FramamIA si propone come un approccio conviviale e aperto all’intelligenza artificiale (IA), enfatizzando che l’IA è sia tecnica sia politica. L’iniziativa si distingue per la sua accessibilità, offrendo contenuti senza profilazione o costi, promuovendo un attivismo che contrasta con le attuali tendenze di privatizzazione e monopolizzazione della conoscenza. In un contesto dove la responsabilità socio-culturale dell’autorialità è spesso confusa con i diritti d’autore e il copyright, FramamIA sottolinea l’importanza della condivisione della conoscenza come bene comune e intergenerazionale. Tuttavia, l’accademia è spesso influenzata dalle esigenze delle grandi corporation digitali, che presentano i loro approcci come unici. Inoltre, alcune aree accademiche si concentrano su negoziazioni limitative riguardanti il fair use, senza affrontare le implicazioni etiche e civili dei dispositivi digitali, come gli smartphone, che mirano a catturare l’attenzione per l’estrazione di dati. Il panorama accademico è affollato da figure che si spacciano per esperti, generando confusione tra corsi, webinar e pubblicazioni che cavalcano l’attualità senza una reale profondità di contenuto.
Questo caos crea una miriade di pubblicazioni che oscillano tra il divulgativo e il manipolatorio, contribuendo a una cultura di distruzione creativa. In questo scenario, pochi si dedicano a comprendere e valorizzare la conoscenza come patrimonio condiviso. Tra questi, Framasoft si distingue per i suoi 20 anni di attività nel promuovere dispositivi conviviali, aperti e cooperativi, guadagnando credibilità e autorevolezza come esempio di un approccio critico e consapevole in un’epoca di crescente digitalizzazione.

Riassunto D: Le macchine predittive mancano di coscienza, e questo porta alla creazione di “mostri”: centinaia di pubblicazioni che oscillano tra divulgazione e manipolazione, tra cultura di massa e sensazionalismo. L’importante sembra essere partecipare alla “sbornia” della distruzione creativa, mentre pochi si interessano a comprendere e dichiarare ciò che può essere posseduto collettivamente come patrimonio di cittadinanza consapevole e critica. Tra questi pochi c’è Framasoft, che con 20 anni di esperienza in dispositivi conviviali, aperti, cooperativi e anticapitalisti, gode di credibilità e autorevolezza.

Riassunto E: Capire l’IA per demistificarla è il messaggio centrale di FramamIA, un approccio conviviale all’intelligenza artificiale. L’iniziativa si distingue per la sua accessibilità, senza profilo o costi, e si pone come un attivismo contro la confusione tra responsabilità socio-culturale e diritti di proprietà.

È ora compito di chi legge erogare una prestazione di altissimo profilo cognitivo, linguistico e professionale: leggere l’articolo originale, realizzarne un proprio riassunto da confrontare con quelli da me forniti. E magari immaginare situazioni in cui ciascuna sintesi può essere la più adatta. Sarebbe poi quasi sovrumano elaborare criteri di confronto tra le diverse prestazioni macchiniche, in modo da andare oltre la semplice impressione, conseguenza “forte” delle differenti dimensioni dei riassunti.




Valutazione del comportamento, quei piccoli dettagli…

di Mario Maviglia

Talvolta si coglie nei piccoli dettagli il senso di un’idea, di un comportamento, di una concezione di vita. Prendiamo l’esempio dell’art. 1 della legg 1 ottobre 2024 n. 150 (Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati) laddove – in riferimento alla scuola secondaria di secondo grado – si stabilisce che nel caso di valutazione del comportamento degli studenti pari a sei decimi, il consiglio di classe assegna “un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale da trattare in sede di colloquio dell’esame conclusivo del secondo ciclo”.
E più avanti si aggiunge che “la mancata presentazione dell’elaborato prima dell’inizio dell’a.s. successivo o la valutazione non sufficiente da parte del consiglio di classe comportano la non ammissione della studentessa e dello studente all’a.s. successivo.”

Ecco, questo passaggio fa capire quale sia la concezione di “ravvedimento” dei nostri attuali legislatori. In sostanza si ritiene che i ragazzi e le ragazze che hanno tenuto un comportamento non del tutto adeguato nel corso dell’anno scolastico (e ciò si inferisce dal voto di sei decimi attribuito loro) potranno ravvedersi ed emendarsi producendo un elaborato critico avente come oggetto la “cittadinanza attiva e solidale”.

Probabilmente i legislatori nostrani hanno interpretato in questi termini lo slogan “l’immaginazione al potere” del Maggio francese (anche se – a dire il vero – il ministro Valditara ci ricorda continuamente che tutti i mali della scuola italiana derivano proprio dal Sessantotto…). Ci vuole comunque molta immaginazione per pensare che un “elaborato critico” possa avere una funzione così fortemente taumaturgica tanto da riuscire ad inculcare nelle giovani menti (finalmente!) le rette regole del vivere civile e dello stare in comunità.

Sfugge a questa sorta di pedagogia popolare (ma più correttamente andrebbe denominata “pedagogia da bar sport”) la complessità della questione. Probabilmente i ragazzi e le ragazze che esibiscono comportamenti non corretti (o comunque non del tutto corretti, tanto da meritare uno striminzito sei) sanno bene di comportarsi male.
Non difetta loro la conoscenza delle tematiche inerenti la “cittadinanza attiva e solidale”.
Quello che manca è la capacità di adottare comportamenti coerenti con tali conoscenze.
E d’altro canto – ma qui il discorso diventa complesso per legislatori abituati a ragionare en gros – il comportamento di una persona è sempre il risultato di risposte personali e di intrecci interpersonali ed ambientali.
Nel caso di ragazze e ragazzi intervengono fattori anche legati alla crescita, alla contrapposizione con l’autorità per affermare una propria identità, all’identificazione con il gruppo. Insomma, dietro il comportamento c’è sempre una relazione con se stessi, con gli altri e con l’ambienti ed è questa matassa di rapporti che va attentamente considerata per interpretare in modo corretto il comportamento del singolo.
Sarebbe interessante, ad esempio, che per ogni ragazzo/a cui è stato attribuito un sei in comportamento, “l’elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale” venisse prodotto anche dai docenti per sapere cosa non ha funzionato adeguatamente nella relazione e cosa il consiglio di classe avrebbe potuto fare di diverso (o di meglio) per ricondurre quei comportamenti ad una dimensione più accettabile.

Invece, come spesso accade, viene assolutizzato il comportamento degli allievi, come se fosse sganciato da ogni dimensione di intrecci relazionali, credendo in questo modo di “tutelare l’autorevolezza del personale scolastico”.
Ma se questa è la preoccupazione dei nostri legislatori (e del ministro dell’istruzione in particolare) forse dovrebbero prima di tutto essi stessi conferire al personale della scuola tale autorevolezza, mettendo in atto politiche scolastiche che vadano nella direzione di valorizzare ed esaltare il prestigio del personale, ad esempio (in riferimento ai docenti) garantendo un livello retributivo non inferiore alla media degli stipendi dei docenti UE, oppure prevedendo una formazione iniziale che vada oltre il bizantinismo dei 24 – 30 – 60 CFU, concepiti essenzialmente per innalzare i profitti delle università on line, o ancora mettendo in atto un sistema di reclutamento che sia in grado di selezionare veramente i migliori candidati all’insegnamento (e in quanto tali ben retribuiti). Tutto ciò richiede una politica di lungo respiro e un investimento serio sulla scuola e sull’istruzione. Ma di questo non c’è traccia nei progetti politici delle forze politiche.
È più facile adottare un approccio che “scolasticizza” i problemi (come quello del comportamento), ossia che lo tratta come una delle tante incombenze burocratiche (la produzione di un elaborato critico).
L’autorevolezza del personale scolastico può attendere.




Intelligenza artificiale. Che modo di pensare?

di Rodolfo Marchisio

L’IA sta creando un nuovo modo di pensare: si chiama “sistema 0”. Ma…

“L’Intelligenza Artificiale sta creando un nuovo modo di pensare: è un processo di pensiero esterno alla nostra mente, battezzato “sistema 0”, che in futuro affiancherà e potenzierà le nostre abilità cognitive. Si tratterà di una vera e propria estensione della mente umana da utilizzare con criterio, nel rispetto della nostra indipendenza”. Rivista “Nature Human Behaviour” dell’Università Cattolica di Milano.

Finora si parlava di due modelli di pensiero umano proposti dal Premio Nobel Daniel Kahneman:

  1. il sistema 1 (il pensiero veloce e intuitivo) e
  2. il sistema 2 (il pensiero lento e analitico).

“Proponiamo, quindi, che i sistemi di IA basati sui dati costituiscano un sistema psicologico distinto che abbiamo chiamato sistema 0 e lo posizioniamo accanto al sistema 1 e al sistema 2”.

Si tratta quindi di un nuovo e diverso modo di pensare; secondo gli autori il “sistema 0” non potrà mai sostituirsi alla nostra capacità di pensiero critico. L’obiettivo sarà quello di aiutarla.
Sin qui niente di troppo nuovo. L’IA può fare, e soprattutto potrà fare, molte cose utili, ma a certe condizioni; talora è usata in modo dannoso. Siamo inoltre ancora in moltissimi campi a livello di sperimentazioni e dibattiti.

“Il “sistema 0” emerge dall’interazione tra utenti e IA, creando un’interfaccia dinamica e personalizzata tra esseri umani e informazioni”. Che è la strada già battuta da Google.
“Il termine sistema 0 è stato scelto deliberatamente per enfatizzare il suo ruolo fondamentale e pervasivo nella cognizione moderna. A differenza del sistema 1 e del sistema 2 (che operano all’interno della mente individuale), il sistema 0 forma uno strato artificiale (non biologico) di intelligenza distribuita, che interagisce e potenzia sia i processi di pensiero intuitivo sia quelli analitici”, sottolinea Riva. Tuttavia, a differenza del pensiero intuitivo o analitico, il “sistema 0” non attribuisce un significato intrinseco alle informazioni che elabora. In altre parole, l’IA può eseguire calcoli, previsioni e generare risposte senza realmente “comprendere” il contenuto dei dati con cui lavora.

Gli esseri umani, quindi, rimangono essenziali per interpretare e dare significato ai risultati prodotti dall’IA. È come avere un assistente che raccoglie, filtra e organizza informazioni in modo efficiente, ma che richiede comunque il nostro intervento per prendere decisioni informate.
“Questo supporto cognitivo fornisce input preziosi e tuttavia il controllo finale deve sempre rimanere nelle mani dell’uomo.” Anche se esistono ricerche per riprodurre attraverso la IA le persone. [1]

Perdiamo qualcosa?

Secondo Riva “una delle preoccupazioni più urgenti è la potenziale erosione delle nostre capacità di pensiero critico e ragionamento. Se ci fidiamo ciecamente dei risultati del “sistema 0”, senza metterli in discussione, rischiamo di perdere la nostra capacità di pensare in modo indipendente e formare i nostri giudizi in modo bilanciato”.

Una delle poche divergenze che io ho avuto con mio figlio, adulto ed esperto nel campo della programmazione, sempre dipendente dal navigatore satellitare – mentre io organizzo prima il percorso, lo studio e caso mai solo se mi perdo chiedo aiuto allo smartphone – è legata al fatto che io, agendo così, mi costruisco, man mano, le mappe mentali dei luoghi che frequento. Lui no, delega e talora dimentica. Lo stesso vale per la successione cronologica degli avvenimenti (le “linee del tempo” delle brave maestre), per l’orientamento temporale. E per molte altre mappe mentali che stiamo rinunciando, per comodità e per pigrizia, a costruirci, che però ci rendevano più autonomi. Ci sono le app!

Riva: “Così come il passaggio dalle mappe stradali cartacee a GoogleMap ha ridotto la nostra capacità di orientamento spaziale, lo stesso potrebbe accadere con la nostra capacità decisionale”. Gli uomini e le donne di domani, dunque, rischiano di soffrire di dipendenza dall’IA (NdA ma anche dalle app dello smartphone) nel risolvere i problemi, di veder ridotte curiosità e creatività, di essere colpiti da pigrizia mentale.” Questo sta già accadendo e viene prima della IA con la gente per strada, a casa, al bar incollata alle sue troppe e talora inutili app ed alle sue troppe e non sempre utili comunicazioni (social, SMS, Whats App, telefono come dipendenze).
Abbiamo già cercato di sottolineare come il web in generale (e con più forza la IA) stiano modificando il nostro modo di informarci, comunicare, pensare, sentire dal punto di vista emotivo e sociale; e quindi ci stiano modificando, rendendo meno autonomo e critico, il nostro modo di agire, scegliere, esprimerci come cittadini.

Qui trovate l’indice e il primo capitolo del nostro ebook Come il WEB ci cambia, di  Rodolfo Marchisio.
Iscrivendoti alla Associazione, con un piccolo contributo aggiuntivo puoi avere in omaggio una serie di ebook su questo e altri temi.
Tutte le info in una pagina dedicata

La forte rinuncia al voto e l’egocentrismo dominante a livello individuale, ma anche a livello politico, sono spie di questi cambiamenti forti che stanno modificando la nostra società ed il mondo; non solo dovuti al web, ma da esso fortemente influenzati.Come il crescente controllo della IA sulle decisioni (non sulla elaborazione di dati, ma sul livello più alto delle decisioni) in campo militare.

Farsi curare dalla IA

O sulla criticità del fornire dati medici personali a questi sistemi (e a chi li controlla e vende).
Come riportato dal sito di notizie TechCruch, stanno aumentando anche le persone che si rivolgono a chatbot per porre domande sulla loro salute e per capire come curarsi, non solo cercando informazioni parziali, ma anche caricando dati sanitari privati.
Chiunque può trovare immagini di questo tipo online. Compresi futuri datori di lavoro e agenzie governative. Anche il “famoso” o “famigerato” proprietario di X, Elon Musk, ha incoraggiato gli utenti del social a caricare le loro radiografie su Grok, una chatbot di intelligenza artificiale. L’obiettivo è che il modello migliori nel tempo, arrivando a interpretare dati medici con precisione maggiore. Il punto però è che sapere chi ha l’accesso ai dati forniti in pasto a Gork (NdA e che uso ne vogliono fare) non è facile. Nell’informativa privacy è infatti dichiarato che X condivide alcune informazioni personali degli utenti con un numero imprecisato di aziende collegate. Stile Musk.
Stiamo prendendo la strada del farci curare dalla IA o meglio dai padroni della IA e non dagli esperti umani (Nichols). Parallelamente allo smantellamento del servizio sanitario pubblico ed all’invito a rivolgersi al privato (anche digitale).[2]

L’etica ai tempi di Musk

E ricaschiamo nella etica. Non solo nella IA etica tout court, ma nella riflessione sulle regole e sui controlli (chi controlla chi?) delle evoluzioni tecnologiche forti, anche se immature.
Il punto è sempre chi ha il controllo, che controllo abbiamo noi, quali alternative ci sono, quale mentalità, passiva e illusoria, sta prevalendo e perché. E quale ruolo il capitalismo “digitale” ha in questi processi di modica, sfruttamento, violazione dei diritti dei cittadini: schiavi del clic.

“Il sistema 0 introduce importanti sfide etiche: fino a che punto possiamo mantenere una vera autonomia, se le informazioni che plasmano le nostre convinzioni e intenzioni sono e saranno sempre più curate dai sistemi di IA? Come possono gli individui essere ritenuti responsabili delle decisioni basate su informazioni condizionate dall’IA?”

FN cambiamenti e decisioni

“Il vantaggio del sistema 0 – sottolinea Riva – riguarda la capacità di vedere scenari non immediatamente visibili all’interno di grandi quantità di dati. Possono aumentare significativamente le nostre capacità di predizione”. Anche se non sempre in modo qualitativo.

Conclusioni ovvie

“Servono persone in grado di valutare l’affidabilità, la trasparenza e i potenziali bias dei sistemi di IA che compongono il “sistema 0”. Bisogna stabilire linee guida per l’uso responsabile ed etico dell’IA nei processi decisionali, promuovere l’alfabetizzazione digitale e le competenze di pensiero critico per aiutare gli individui a orientarsi negli ambienti informativi mediati dall’IA, oltre che incoraggiare la ricerca interdisciplinare sugli effetti cognitivi, psicologici e sociali dell’integrazione umani-IA e favorire un dialogo pubblico sulle implicazioni etiche della cognizione potenziata dall’IA.”
E, non ultimo, dicono gli specialisti, si devono valutare con attenzione i potenziali effetti sull’autonomia umana e sui nostri processi decisionali.

La scuola ha un ruolo?

Certo! Uno dei tanti; ma non nell’usare solo; nel far riflettere su cosa c’è dietro, su come funzionano questi meccanismi politici e sociali, nell’insegnare a non seguire acriticamente le mode.
Non nel costruire inutili e costose cattedrali nel deserto (le tante aule avveniristiche PNRR in scuole che crollano).
In breve nel formare i cittadini digitali e la loro cultura. Legge Ed. civica 92/19 filone 3.

  1. Secondo Park, riuscire a creare repliche fedeli degli esseri umani potrebbe fornire strumenti utili ai decisori politici per testare in modo più realistico l’impatto delle loro proposte sulla popolazione. Ma, ovviamente, ci sono scenari più inquietanti, legati per esempio a uno sfruttamento commerciale della cosa: poter simulare le reazioni delle persone a un particolare prodotto o a una particolare campagna di marketing potrebbe rappresentare una miniera d’oro per i venditori. Al momento (fortunatamente) non sarà possibile: gli sperimentatori hanno sottoscritto un contratto con i partecipanti allo studio che vincola l’uso dei loro dati a “scopi strettamente accademici. In futuro, chissà.
  2. Uno studio Nationals Institutes of Healt rivela come un algoritmo della IA sia bravo a diagnosticare una malattia, ma non sia in grado di spiegare i criteri della sua scelta. Manacorda



Sette regole per una fondare una “educazione buona”

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Raimondo Giunta

1) La scuola è un luogo strano dove chi sa, fa le domande a chi non sa. Non sarebbe meglio il contrario? L’alunno pone le domande e l’insegnante cerca di rispondere.
Sarebbe la scuola ideale: alunni che hanno desiderio di apprendere e di capire e docenti che sanno e vogliono ascoltare.
Ogni lezione dovrebbe essere una risposta ad una domanda (Dewey).

2) “Il professore insegna a tutti la stessa cosa; il maestro annuncia a ciascuno una verità particolare”(B.Rey): l’insegnamento ex-cathedra conosce l’argomento e spesso misconosce la persona che ascolta e che è tenuta ad ascoltare.
Senza conversazione, senza il faccia a faccia, la contiguità emotiva, il rapporto educativo non decolla, intristisce nel reticolo delle procedure e degli obblighi professionali. L’alunno deve sentire la prossimità umana, la passione, la partecipazione dell’insegnante nel suo faticoso percorso di crescita e di apprendimento.
Una scuola a misura di ciascuno non è possibile, ma nobilita tutto l’impegno per farne un dovere professionale.

3) Una scuola non è un azienda: bisogna smetterla di farne un metro di paragone, di assumerne cultura e valori e di farla finita con l’accanimento docimologico e metodologico che ne è derivato.
Gli alunni non si possono programmare come la produzione dei pezzi di ricambio. Per accendere il desiderio di apprendere bisogna recuperare la dimensione esistenziale del crescere nel sapere: “fatti non foste per viver come bruti/ma per seguir vertute e canoscenza”(Dante).
Bisogna fare rientrare la didattica in una condivisibile filosofia dell’educazione, se si vuole dare un senso e un orientamento alla nostra presenza accanto ai giovani.

4) I giovani con la loro “estraneità” ai codici e alle tradizioni del sistema scuola ci sfidano e ci impegnano a trovare le ragioni dell’esistenza e delle finalità del sistema di istruzione e formazione; ci interpellano con i loro problemi, con la loro inquietudine, con la loro avversione, con la loro opacità.
Pongono problemi di senso, di motivazione, di prospettiva: troppo grandi e spesso inafferrabili per la scuola e gli insegnanti, se vengono lasciati soli o peggio ancora se sono fatti oggetto di campagne mediatiche di denigrazione.

5) La motivazione ad apprendere è diventato un problema di prima grandezza nella nostra società. Per dargli una soluzione bisognerebbe che nella società si aprisse una lotta aperta e vigorosa contro la svalorizzazione del sapere, contro gli scandali permanenti degli incompetenti al potere, contro le pratiche diffuse e offensive di nepotismo e di clientelismo nelle assunzioni, contro gli arricchimenti facili e cospicui derivanti da ogni tipo di illegalità, contro il ciarpame di un edonismo volgare promosso dai media ai danni della serietà, dell’impegno e dello spirito di sacrificio.

6) Nel problema della motivazione ci sono anche aspetti didattici e pedagogici. Credo che la soluzione consista nel dare “senso” ai saperi e nel dare spazio al protagonismo dei giovani nei processi di apprendimento.
Bisogna passare da una pedagogia della sottomissione e dell’obbedienza, ad una pedagogia della libertà, dell’autonomia intellettuale; da una pedagogia della risposta ad una pedagogia della domanda.
“La classe dovrebbe essere il luogo dove la verità della parola non è relativa allo status di chi la pronuncia”(B.Rey).

7) L’educazione è fondamentale per lo sviluppo dell’uomo (Kant) e proprio per questo diventa un diritto inalienabile; ma è anche un elemento fondamentale per la costruzione della democrazia.(Dewey)