All’indomani della audizione ufficiale davanti alla Commissione che sta lavorando alla stesura delle Nuove Indicazioni Nazionali, gli storici che si riconoscono nella Società Italiana di Didattica della Storia hanno diramato un interessante documento che qui riproponiamo.
Perché quando sentono che il titolo della rubrica è “Apprendimento per via erotica” mi guardano stupiti o imbarazzati? Penseranno “…eppure sembrava una persona per bene”.
Platone nel IV sec a.C. nel Simposio racconta Eros come il Desiderio, l’unico canale possibile per accedere alla conoscenza del Bene, sia personale che collettivo. Lo spiega con il mito dell’unione tra Poro e Penìa, rispettivamente l’Espediente come capacità di trovare soluzioni e la Mancanza e avvenuta proprio il giorno della nascita di Afrodite.
Ma allora è un triangolo a tutti gli effetti!
MANCANZA che cerca attraverso l’ESPEDIENTE di arrivare alla BELLEZZA.
Inoltre l’etimologia di eros è il verbo greco eramai che vuol dire desiderare, azione che in sé ha uno slancio straordinario verso qualcosa di essenziale, fondamentale ma che non si possiede.
Eros “de-sidera”, dal latino letteralmente “assenti le stelle” con una tensione volta verso qualcosa che va oltre i bisogni sensibili, infatti termina la sua “ricerca” solo quando riconquista “le stelle” ossia la Conoscenza della Bellezza, intesa come Bene, Sapienza e Giustizia.
Per cui la quintessenza della personificazione dell’Eros è il Filosofo, che è colui che ama(filo) la Sapienza(sofia) e proprio perché gli manca, la cerca.
Ma solo se si incarna questo amore, traducendolo in un cambiamento completo della propria esistenza, ci si può definire filosofi, altrimenti si è solamente uno dei tanti intellettuali che ne parla. Continua a leggere→
Con un documento diramato in queste ore, diverse associazioni professionali del mondo della scuola esprimono preoccupazione per la revisione delle Indicazioni nazionali, in particolare per le modalità con cui si sta conducendo il processo di ascolto e partecipazione.
In relazione alla convocazione prevista per il 21 marzo, le associazioni firmatarie (ANDIS, CIDI, Legambiente Scuola e Formazione, MCE, Proteo Fare Sapere) segnalano di essere state audite una sola volta, per pochi minuti, nella fase iniziale di giugno 2024.
La citazione contiene due espressioni molto diffuse, nonostante siano prive di un autentico significato. “Ppt” è infatti l’estensione associata ai file prodotti da Microsoft PowerPoint, mentre “il digitale” contiene un aggettivo protagonista di una straordinaria carriera lessicale: immediatamente sostantivato è diventato un concetto sempre più nebuloso e confuso, capace di sottendere realtà operative, cognitive e culturali molto diverse, anche opposte tra di loro. In particolare, vanno distinti con forza e chiarezza i dispositivi digitali estrattivi, con vocazione a estrazione di valore, profilazione e profitto, pervasivi e condizionanti, ad alto impatto ambientale, da quelli conviviali, finalizzati alla condivisione della conoscenza, aperta, equa, austera nel senso che a questa parola assegna Illich, adeguata alle situazioni, rispettosa dell’autonomia umana e dell’ecosistemi.
Questa classificazione, per altro, non è tecnica, ma civica, etica, ecologica, filosofica, giuridica (per via di copyright, autorialità, creative commons license e così via). E pertanto mette in discussione un’altra parola-ombrello, a sua volta naturalizzata senza che abbia assunto un indirizzo semantico certo e verificabile: innovazione. Anche questo termine è stato protagonista di uno straordinario cursus honorum: da mezzo è diventata fine. Con la grottesca conseguenze che si parla di “ambienti innovativi”, “metodi innovativi”, “didattica innovativa” e così via, senza rendersi conto che in questi casi ed altri andrebbe usato “innovat*”, facendo seguire all’aggettivazione una descrizione precisa di ciò che essa comprende e – più tardi – un’analisi critica e una puntuale verifica di esiti e risultati.
Una scuola e una mentalità impegnate a sopravvivere nella mercificazione universale e nella competizione come abitudine collettiva e quindi a rincorrere quanto il soluzionismo della logistica digitale capitalistica impone loro non hanno tempo – né desiderio – per queste riflessioni.
E quindi – a ostentare emancipazione professionale, disinvoltura operativa e appartenenza alla darwiniana nicchia di coloro che sono “tecnologici” – fioccano pseudo-condivisioni e ambiguità, da “fare un PDF” [perseverare diabolicum], a “intelligenza artificiale”, etichetta attualmente di moda e già azzoppata di “generativa”, storicamente utilizzata per definire intenzioni, approcci, risultati molto diversi tra loro.
Temporum permixtionis exemplum – clic per animazione
Per non parlare della valenza assolutoria di abbreviazioni come “social”, che invisibilizzano i processi di pedinamento, la raccolta di dati per marketing e altre forme di pressione sugli utenti.
Uno degli aspetti che più inquietano dell’universo culturale italiano risuonante negli ultimi giorni è lo spaesamento rispetto ad alcune categorie che ci pareva fossero sufficientemente acquisite.
Più o meno davamo per scontato che sposare ideologie identitarie, fossero esse nazionali, confederali o legate a definizioni come “Occidente”, producesse un arroccamento che azzerava le differenze, buono per andare in guerra, per creare nemici o capri espiatori, per rinforzarsi nella propria immagine lasciandone in ombra gli aspetti meno dignitosi, ma non certo utile per comprendere se stessi e gli altri, per accorgersi di ciò che dei presunti altri è in noi, per costruire relazioni e non scontri.
Negli ultimi giorni vediamo e ascoltiamo interventi che vanno in questa direzione, osserviamo una cultura del “noi” avanzare e affermarsi in modo inedito, attraversando inaspettatamente confini politici e culturali spesso ritenuti (forse a torto) distanti tra loro.
Prendiamo l’intervento di un noto cantautore ex insegnante, Roberto Vecchioni, che alla manifestazione del 15 marzo Una piazza per l’Europa afferma: “Vogliamo parlare di un gruppo di stati che vengono dalle stesse cose, dalle stesse tradizioni, siamo tutti indoeuropei, abbiamo avuto una filologia romanza, parliamo allo stesso modo, ci guardiamo allo stesso modo, abbiamo gli stessi proverbi, modi di dire, pensieri […] abbiamo libertà ovunque, abbiamo la democrazia, ma quella non ce l’hanno tutti, ce l’abbiamo noi. Che è un’invenzione […] dei Greci, che è arrivata fino a noi. Ora, chiudete gli occhi un momento e pensate ai nomi che vi dico: io vi dico Socrate, vi dico Spinoza, Cartesio, vi dico Hegel, Marx e vi dico anche Shakespeare, vi dico Cervantes, vi dico Pirandello, Manzoni, Leopardi. Ma gli altri le hanno queste cose?[…]”
Davvero dobbiamo circoscrivere la nostra identità culturale all’uso delle “nostre tradizioni”, richiamare l’identità “indoeuropea”, sentirci superiori e unici nel mondo per una presunta ubiqua libertà? Davvero possiamo ignorare non solo le tradizioni culturali degli altri continenti ma soprattutto cancellare senza remore l’intenso intreccio che esse hanno creato con quella che viene definita “nostra” cultura? Continua a leggere→
Vogliono annullare il paradigma culturale della complessità, asse portante del testo “Nuove indicazioni” precedenti!!!
A proposito di tale allarme desidero iniziare con un aneddoto.
Correva l’anno 2001 ed era appena successo un fatto molto grave ad opera di due adolescenti di Novi Ligure. Ricordo cosa ebbe a dire Massimo Picozzi, famoso neuropsichiatra interpellato su questi fatti (nei quali due adolescenti, Erika ed Omar, uccisero la madre di lei e il fratellino soltanto perché intralciavano con la loro presenza gli incontri tra loro): “Oggi ne’ la famiglia ne’ la scuola insegnano a pensare pensieri difficili!”
Da allora questa affermazione mi aveva sempre fatto rimuginare e ricordo che più volte avevo sottolineato la necessità che la scuola sollecitasse di più il pensiero critico fino a “predicare” la necessità di dare molto più spazio al “pensiero riflessivo” invece che al semplice pensiero “riflettente”, di pedissequa restituzione della lezione del docente o dello studio del libro di testo.
Avevo già scoperto il fascino della complessità acquistando il saggio “La sfida della complessità” a cura di Ceruti e Bocchi, che mi ha aperto la mente e dato una visione sul mondo molto più adeguata ai tempi. Continua a leggere→
Concordo pienamente con le riflessioni puntuali di Stefano Penge.
Il concetto di “persona” viene usato nel contesto di queste indicazioni (o curricoli come teme qualcuno?) non nel significato dei documenti da te ottimamente citati e analizzati, ma per dare alla intera operazione il supporto ideologico del personalismo cristiano; uno dei miei prof. era Pareyson e conosco bene Mounier (di cui avevo frequentato la fondazione a Parigi) e Maritain. Niente di male, pensatori di tutto rispetto; tranne il fatto che vengono qui strumentalizzati per sorreggere (in presunta polemica con una inesistente “ideologia marxista-leninista” – Valditara) una visione politico ideologica che non dovrebbe entrare in una riflessione e proposta educativa e didattica che deve essere pedagogica e laica.
Ma questo governo non è laico, non perché sia cristiano, come urla la giovine italiana, ma perché si sta inventando una piattaforma ideologica raffazzonata per giustificare quello che fa ed identificarsi attraverso la creazione e demonizzazione di un “nemico”.
Ed abusa del concetto di persona, pur di non usare il termine “cittadino” alla base della nostra Costituzione e della dichiarazione dei diritti che citi, perché la parola “cittadino” ha una connotazione politica democratica che concilia diritti e doveri, attraverso il dovere della solidarietà sociale.
Nella ideologia individualista, nazionalista, al massimo eurocentrica, di questo governo e dei suoi prodotti la solidarietà sociale non deve comparire, ma va privilegiato l’egocentrismo ed il privato sul pubblico e sul sociale. Cfr. riflessioni sulle linee guida Ed civica. In linea col trumpismo imperante ovviamente.
Leggo nella Premessa culturale generale delle Nuove Indicazioni, al paragrafo “PERSONA, SCUOLA, FAMIGLIA”: “Il termine ‘persona’ ha radici storico-culturali occidentali. Esso si ritrova già nel lessico latino ed ha un particolare rilievo nel campo del diritto romano. Persona è anche un termine presente, oltre che negli artt. 2 e 3 della Costituzione italiana, anche in un testo fondamentale del nostro tempo, la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, che definisce la persona come titolare di diritti universali, inviolabili, inalienabili: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona” (art.3)”
Questa premessa serve a dare le basi della concezione di scuola espressa più sotto, che usa il termine ‘persona’ in maniera intensiva:
“Da questi riferimenti si ricava un concetto chiave della formazione scolastica: la persona è una realtà che si costituisce attraverso la possibilità di dire ‘io’. […] Ed è nell’identità personale e culturale di ciascun allievo che si riconosce la sostanza e la dignità della persona, la sua dinamicità perfettibile alla quale la scuola concorre con tutta la ricchezza delle sue sollecitazioni. Tale identità non può essere naturalmente disgiunta dalla relazione. Non si può avere consapevolezza di sé al di fuori della differenza con gli altri io e con il mondo. Ogni identità si oppone necessariamente ad una alterità ma l’incontro fra un io e un tu è un bisogno strutturale. E il privilegio della nostra civiltà è nel confronto. L’altro, infatti, non limita la persona ma è costitutivo del suo svilupparsi e completarsi. Le comunità, la società,i gruppi, le collettività non sostituiscono mai la persona, ma hanno il compito di preparare le condizioni del suo divenire e completarsi, ‘suscitandola’. La persona è, oltre che identità e relazione, anche partecipazione: ossia apertura intenzionale su tutta la realtà, una realtà non scelta, ma all’interno della quale è possibile costruire il proprio progetto di umanità. Di qui la fondamentale azione della scuola nel promuovere l’identità personale, culturale, relazionale e partecipativa della persona umana.” Continua a leggere→
La pedagogia Freinet è nata dall’esperienza del maestro francese Célestin Freinet e di sua moglie Élise. Fin dall’inizio Freinet ha condiviso la sua esperienza pedagogica con i colleghi promuovendo la nascita di un movimento il cui principio di fondo è la cooperazione. La cooperazione non è un semplice aiuto reciproco ma un modo di mettere in relazione l’emancipazione di ciascuno con quella della collettività. Il libro ricostruisce il percorso che, nell’arco di un secolo, ha visto l’evoluzione delle esperienze di Célestin Freinet e del movimento da lui promosso fino alla costruzione di un vero e proprio sistema pedagogico alternativo alla pedagogia tradizionale fondato su un ambiente organizzato (una comunità al servizio del ragazzo e che lui stesso contribuisce a far vivere), sulle tecniche (conversazione/presentazione, testo libero, corrispondenza, giornale, ricerca matematica libera, ricerca d’ambiente, …) e su materiali messi a disposizione per realizzarle. La valutazione, soprattutto formativa, non è segnata da continui controlli collettivi ma è praticata per “unità di valore” (brevetti, capolavori) ed è individualizzata. In un momento storico segnato dall’aumento delle disuguaglianze e dalla crisi del vivere insieme è quanto mai attuale una pedagogia fondata sulla formazione all’autonomia personale e al senso della collettività al fine di costruire un futuro migliore per tutti.
E’ prossimo ad uscire un importante libro di Enrico Bottero sulla pedagogia Freinet.
Qui, per contribuire al dibattito di questi giorni sulla questione dell’insegnamento della storia, ci limitiamo a riportare il testo del Programma di storia e geografia
PROGRAMMI SCUOLA ELEMENTARE 1945
La necessità di un’intima connessione tra l’insegnamento della storia e quello della geografia deriva, più che da un semplice e ormai riconosciuto legame di interdipendenza delle due discipline, da una loro profonda concomitanza di fini in rapporto alla vita civile o sociale.
Infatti sia la storia che la geografia – quando la prima non si risolva in una cronologia di guerre e di vicende dinastiche, e la seconda in un’arida nomenclatura – mirano a seguire e a spiegare il cammino della civiltà, considerando la terra come la sede dell’uomo.
Ne consegue che il maestro dovrà costantemente esaminare i fatti storici nella loro intima connessione con quelli geografici, illustrando al fanciullo, sia pure in forma intuitiva elementarissima, i rapporti del mondo umano con quello naturale.
Riuscirà tuttavia vano ogni sforzo per liberare l’insegnamento della storia dal suo groviglio di guerre e di tirannie, di rivalità dinastiche e di sterili combinazioni politiche, se non supereremo, una volta per sempre, la passione nazionalista che nel recente passato riuscì a sviare anche la geografia dall’obiettiva valutazione delle forze economiche mondiali con la concezione delle utopie autarchiche.
L’insegnamento della storia e della geografia, dovrà finalmente diventare un insegnamento morale dopo la tragica esperienza sofferta dall’umanità. Si esalti l’eroismo di coloro che nel corso dei secoli lottarono per la libertà; si illustri la vita dei santi e missionari che fecero opera di civiltà e alleviarono sofferenze, dolori, miserie; si narrino suggestivamente le vicende degli esploratori e degli scienziati che più contribuirono al progresso umano; si descriva l’opera di quanti spesero la vita per conquistare la terra alle forze del lavoro; si susciti l’ammirazione per gli artisti che dettero al lavoro il crisma della bellezza; si riviva, in una parola, la vera, autentica storia della civiltà per giungere a una visione chiara delle attuali condizioni dell’Italia e del mondo. Continua a leggere→