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A partire dagli anni ‘70 la programmazione didattica ha introdotto nelle relazioni educative il lessico (..e non solo) del mondo aziendale, per sradicare quello di derivazione umanistico-pedagogico, di cui si serviva la quasi totalità del personale insegnante. Scelta fatta con il consenso di parte dell’apparato ministeriale, di parte del sindacato, del mondo accademico e di non poche associazioni professionali per una svolta irreversibile verso la modernità.
Si coltivava (e si continua a coltivare) l’ambizione di replicare a scuola le strategie aziendali di massimizzazione dei risultati anche in presenza e in costanza di scarsità delle risorse disponibili. Le risorse scarse a scuola, oltre a quelle finanziarie come sanno anche le pietre, sono il tempo disponibile e l’attenzione degli alunni, sviata da mille sollecitazioni.
Si dovrebbero fare miracoli sfruttandole al meglio. Ma il meglio non è la fretta e nemmeno l’abbandono di quelli che per diversi motivi non tengono il ritmo e non riescono a farcela.
Solo la tracotanza intellettuale può fare credere che il processo di formazione può essere finalizzato ad ottenere i risultati che si vogliono in un determinato tempo e magari in un solo modo. Formare ed educare giovani, però, è alquanto diverso dal produrre bulloni o pezzi di ricambio, perchè il processo di formazione è diverso da quelli messi in atto in qualsiasi attività aziendale. Appartiene ad un altro pianeta. Continua a leggere
di Marco Guastavigna
Quanto è professionale ricascare ciclicamente nel litigio sulla reintroduzione del latino!
Ci siamo rivolti ai nostri interlocutori più affidabili, perché frutto del senso comune, e abbiamo chiesto il parere di un dispositivo di intelligenza artificiale.
Ecco il risultato, a cui segue una proposta davvero costruttiva.
Prime suggestioni e riflessione sul metodo
L’intervista del Giornale del 15 gennaio 2025 al Ministro Valditara sulle nuove indicazioni nazionali ha generato molto scalpore e molto “dibattito” (e me, personalmente, il morettiano “No! Il dibattito no!!!” del 1976)
Quelle che seguono sono noterelle a margine, e come tali provvisorie e forse persino illusorie, unite ad una riflessione sul metodo.
Indicazioni nazionali o ritorno ai Programmi?
Nella scuola italiana le “indicazioni nazionali” da decenni hanno sostituto i programmi ministeriali (ovvero il preciso elenco degli argomenti da svolgere nel corso delle attività didattiche). Ciò trova il suo punto di avvio nella riforma dell’autonomia scolastica ( DPR 275/1999 e in particolare nell’art. 8 – definizione dei curricoli – e nell’art. 4 – Autonomia organizzativa).
Il dpr 275/99 – che è ancora legge dello stato – ricorda – al citato art. 8 – quali sono i compiti del ministero nella elaborazione delle “indicazioni nazionali”.
Rileggiamo con attenzione Continua a leggere
Il dibattito sulla valutazione scolastica, sui voti e sulla media aritmetica (aritmetica, non matematica) tradisce un ragguardevole livello di fraintendimento dei termini impiegati. Questo fraintendimento, che talvolta riguarda anche gente che nella scuola lavora, è sintomatico del fatto che troppo spesso le pratiche didattiche sono governate da luoghi comuni e stereotipi più che da reali competenze. In poche parole, talvolta a scuola certe cose si fanno così perché “si è sempre fatto così” e tanto basta.
In questi ultimi mesi ho visitato decine di scuole e dialogato con centinaia di docenti, studenti, famiglie. Condivido con voi le domande che mi sono state poste più frequentemente e le risposte da me fornite.
I voti sono obbligatori ?
I voti sono obbligatori sulla scheda. Dalla scuola primaria in su, per ogni ambito disciplinare è obbligatorio un voto (numerico o non numerico) sulle schede di fine bimestre/trimestre/quadrimestre (valutazione periodica) e sulle schede di fine anno (valutazione finale).
Questo perché il voto sin dalla sua nascita ha una funzione rendicontativa/classificatoria. Infatti, il voto è una sintesi ordinale della valutazione: è sintetico e classificatorio. Non dice nulla sull’apprendimento ma consente di posizionare studentesse e studenti entro una graduatoria. Continua a leggere
di Marco Guastavigna
Questa volta Cinefuffa offre al proprio vigile pubblico un clamoroso scoop (fake, of course)
Clicca sul titolo per “goderti” il video
di Alessandra Anzini
“A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Questo scriveva Picasso quando capì che recuperare quella purezza segnica avrebbe significato riattivare ascolto libero, autentico e permeabile al mondo circostante, che gli avrebbe scatenato quella creatività senza limiti, a cui ogni essere umano è votato.
Ma se io docente agisco col gruppo classe, quindi con il mio mondo quotidiano, solo per farmi ascoltare e non per Ascoltare, come posso pensare di risultare attraente all’alunno e permeabile a tutto quello che può offrire? Potremmo recuperare anche noi, come Picasso, la nostra dimensione più autentica, quella prescolare dove non c’era auto giudizio e pregiudizio e si agiva per il puro piacere di scoprire? Potremmo provare a spogliarci delle nostre paure, dei condizionamenti sociali e culturali? Vestire così quell’habitus che ci permetterà di recuperare la nostra capacità di Ascolto, rendendo la nostra quotidianità scolastica fertile perchè pronta ad Accogliere TUTTE le sollecitazioni dei nostri alunni? Alunni che smetteranno così di essere spettatori annoiati o inquieti ed entreranno finalmente nei nostri mondi di cui diventeranno attori, sceneggiatori e compagni di viaggio? Continua a leggere
Sarà stato il 1985 o il 1986 quando il consiglio scolastico provinciale di Torino, che in quegli anni ebbi la ventura di presiedere, decise di procedere alla fusione delle scuole medie “Pavese” e “Casorati”.
Dopo tre decenni di ininterrotta e tumultuosa crescita si trattò della prima soppressione di un istituto scolastico, non a caso nella periferia sud di Torino, case popolari costruite in fretta intorno allo stabilimento di Mirafiori.
Da allora, a parte gli ultimi, ho seguito direttamente tutti i piani di dimensionamento che si sono succeduti nella provincia di Torino, nell’ambito del consiglio scolastico provinciale prima e a livello regionale poi nella consulta regionale per il diritto allo studio, istituita nel 2007.
Con precisione e puntualità tutte sabaude, le istituzioni scolastiche piemontesi sono state costantemente dimensionate secondo i parametri di legge.
Il crescente successo degli istituti comprensivi, nati per contrastare gli effetti derivanti dallo spopolamento nelle aree montane ma effettivamente in grado di rispondere a reali esigenze di continuità, ha inevitabilmente cambiato il quadro di riferimento.
A causa, tuttavia, del già avvenuto dimensionamento, non è risultato semplice, nel contesto urbano torinese in particolare, procedere alla loro formazione che, in effetti, si è realizzata con notevole ritardo rispetto ad altre realtà nazionali, semplicisticamente accorpando scuole medie e direzioni didattiche, raddoppiandone la dimensione. Continua a leggere
La natura del problema
La scuola vive dei suoi rapporti con la società; si alimenta delle sue esigenze, si muove sulla spinta dei suoi problemi. Scuola e società reciprocamente si richiamano; si dovrebbero aiutare, ma più spesso negli ultimi tempi confliggono.
Va da sè che per cogliere frutti buoni, però, è necessaria la loro stretta, solidale collaborazione, nella distinzione dei compiti e dei ruoli e nel rispetto delle funzioni professionali, culturali ed educative che in autonomia la scuola deve svolgere.
Se la scuola non entra in sintonia con i problemi della società e con i temi culturali del proprio tempo, prima o poi perde la propria ragione d’essere.
La riflessione su questo nodo cruciale dell’istruzione deve essere permanente e costituirsi come principio di orientamento nell’azione quotidiana a scuola, per evitare il rischio che si avviti e si impoverisca nella sua solitaria autoreferenzialità. La scuola non può tenere nè porte, nè finestre chiuse.
Operazione assurda e inefficace; ci penserebbero gli alunni e le famiglie eventualmente a portare dentro la scuola il mondo che sta fuori.
Il problema è come la scuola debba pensare e vivere le questioni che agitano la società e questo non è di pacifica e concorde soluzione. C’è un modo proprio della scuola per svolgere questo compito e solo rispettandone stile e natura si possono avere risultati utili. Continua a leggere
di Rodolfo Marchisio
La Educazione Civica o meglio la Educazione alla cittadinanza, rischia di scivolare nell’essere il racconto (sarebbe meglio lo studio, la ricerca) di ciò che non esiste più.
Non solo per la falsa ideologia predicata dal ministro nelle linee guida e nei suoi interventi, ma perché questi non sono che una delle manifestazioni della concordante e strisciante azione ideologica e politica delle forze che governano il nostro paese, in sintonia con uno slittamento mondiale.
Il filone 3, cittadinanza digitale, è coerente con un modo obsoleto e sbagliato di vedere il mondo delle tecnologie attuali: con entusiasmo, assenza di senso critico e di costruzione della cultura digitale, asservite allo sviluppo economico e quindi al saper fare e usare in modo acritico, senza domandarsi come funzionano le tecnologie, perché funzionano così, chi le controlla e che conseguenze hanno ed avranno su di noi, come cittadini e lavoratori. cfr. IA rubrica
Il filone 2 è quello che più si è sviluppato nei progetti delle scuole in questi 4 anni, con ricerche sulla sostenibilità, sui problemi ambientali (e agenda 2030 ONU) come conseguenza di un dissennato depredare l’ambiente ed il mondo da parte dello sviluppo capitalistico (anche digitale) incontrollato ed egocentrico; ma anche sulla educazione alla salute, quella alimentare etc. che la ideologia dominante vorrebbero presentare come responsabilità individuale e non come compito e dovere dello Stato e della società- cfr. parere CSPI – in una colpevole semplificazione: infatti al posto dello studio della situazione ambientale ormai compromessa si è data centralità alla causa principale dei degradi che stiamo pagando: lo sviluppo industriale incontrollato (che vuol dire anche finanziario, assicurativo, previdenziale per il nostro ministro). Il lavoro è bello dice; ma tace sul fatto che lo sviluppo industriale come oggi concepito ha portato non solo alla rovina di buona parte del nostro ambiente (per non parlare di che mondo lasceremo ai nostri figli e nipoti). Ma anche che è bello per chi ce l’ha, per chi non è precario, sottopagato, sfruttato, come vorrebbe la nostra Costituzione che attribuisce alla Repubblica il compito di garantire il lavoro, come la salute e l’istruzione (diritti di 2° generazione secondo N. Bobbio e talora doveri dei cittadini). link art Bobbio
Se questi sono problemi che “dipendono dall’individuo”, come sostiene il ministro, altoparlante della ideologia implicita del governo, l’esecutivo e lo Stato non hanno più responsabilità e possono dedicarsi al ponte sullo stretto, a manovre economiche irresponsabili ed a mancette. Se è questa la realtà della democrazia, già da anni classificata come democrazia di serie B, con problemi con Usa e Giappone in zona promozione (voto tra 7 e l’8, dati in ribasso sull’esecutivo, sui diritti e sulla partecipazione) ed ora in via di svuotamento (cfr. video requisiti minimi democrazia Bobbio) come spiegarla ai ragazzi? Come renderli consapevoli che una cosa è il progetto, un’altra la realtà attuale e lo stato di realizzazione o regressione del progetto Costituzionale?[1]
Piu chiaro è il filone 1 sulla Costituzione. La nostra Carta si regge, come il Presidente della Repubblica non si stanca di ripetere, sull’equilibrio e la collaborazione dei 3 poteri che ci deriva dal ‘700 e dall’Illuminismo. Ma:
L’astensionismo si è detto spesso è il primo partito ed è in forte aumento; più è elevato e minore è la legittimazione dell’intero sistema politico rappresentativo (esecutivo e legislativo)
Un problema comune
In tutto il mondo: dagli USA dove grazie anche ad un sistema elettorale in cui il numero degli eletti non corrisponde al numero dei suffragi, chi vince prende tutto e quindi molti, i perdenti, non sono rappresentati, si sta formando un governo di mostri, caricatura della democrazia; alla crisi dei governi già democratici (Francia, Germania…) all’aumento di governi populisti e alla crescita di formazioni di destra non democratiche in Europa; alla crisi stessa della UE che si regge sinora su una coalizione di forze “democratiche”, ma con la ruota di scorta dei “conservatori” (che la nostra premier aspira a guidare), stiamo assistendo ad uno spostamento in senso populista ed autoritario, non coerente con la nostra Carta; ad uno slittamento verso fautori di posizioni non democratiche e poco compatibili col concetto di democrazia popolare o liberale. Accanto ai dittatori ed ai populisti, compaiono i capitalisti, improvvisati leader politici mondiali non più impliciti che si intromettono nel destino dei nostri paesi .
Infine, questo avviene per molti complessi fattori (con la ingerenza di potenze straniere, Russia in testa, con aiuti, Fake news, pressioni, vedi Georgia, Romania, Moldavia, ora Austria; ma anche per uno spostamento in senso populista e reazionario, non democratico del corpo elettorale residuo; ma anche per la identificazione in certe forze che fanno leva sul vissuto individualista, egocentrico, non responsabile socialmente (Zagrebelsky) degli elettori. Sommato al vuoto ed al disimpegno creatosi in circa metà dell’elettorato.
Il contrario della Costituzione. Che è un progetto, non una realtà, che se non si costruisce insieme (occorre continuare a pedalare diceva Calamandrei, se no si casca dalla bicicletta) resta una promessa tradita. N. Bobbio.
Allora che educazione civica in questo contesto e al netto delle ideologie di Valditara ha senso formare? Quella della legge 92/19 e della Costituzione che non c’è più e viene svuotata e ignorata o quella che analizza cosa sta succedendo, perché e a quali conseguenze andiamo incontro?
La democrazia ed i diritti sono come l ‘aria, che non percepiamo se non quando ci manca o come un palloncino che può essere ormai mezzo sgonfio. Come la nostra democrazia.