E’ possibile razionalizzare l’attività didattica?

di Raimondo Giunta

A partire dagli anni ‘70 la programmazione didattica ha introdotto nelle relazioni educative il lessico (..e non solo) del mondo aziendale, per sradicare quello di derivazione umanistico-pedagogico, di cui si serviva la quasi totalità del personale insegnante. Scelta fatta con il consenso di parte dell’apparato ministeriale, di parte del sindacato, del mondo accademico e di non poche associazioni professionali per una svolta irreversibile verso la modernità.
Si coltivava (e si continua a coltivare) l’ambizione di replicare a scuola le strategie aziendali di massimizzazione dei risultati anche in presenza e in costanza di scarsità delle risorse disponibili. Le risorse scarse a scuola, oltre a quelle finanziarie come sanno anche le pietre, sono il tempo disponibile e l’attenzione degli alunni, sviata da mille sollecitazioni.
Si dovrebbero fare miracoli sfruttandole al meglio. Ma il meglio non è la fretta e nemmeno l’abbandono di quelli che per diversi motivi non tengono il ritmo e non riescono a farcela.
Solo la tracotanza intellettuale può fare credere che il processo di formazione può essere finalizzato ad ottenere i risultati che si vogliono in un determinato tempo e magari in un solo modo. Formare ed educare giovani, però, è alquanto diverso dal produrre bulloni o pezzi di ricambio, perchè il processo di formazione è diverso da quelli messi in atto in qualsiasi attività aziendale. Appartiene ad un altro pianeta. Continua a leggere

Verso le nuove indicazioni nazionali Valditara

di Aluisi Tosolini

Prime suggestioni e riflessione sul metodo

L’intervista del Giornale del 15 gennaio 2025 al Ministro Valditara sulle nuove indicazioni nazionali ha generato molto scalpore e molto “dibattito” (e me, personalmente, il morettiano “No! Il dibattito no!!!” del 1976)

Quelle che seguono sono noterelle a margine, e come tali provvisorie e forse persino illusorie, unite ad una riflessione sul metodo.

Indicazioni nazionali o ritorno ai Programmi?

Nella scuola italiana le “indicazioni nazionali” da decenni hanno sostituto i programmi ministeriali (ovvero il preciso elenco degli argomenti da svolgere nel corso delle attività didattiche). Ciò trova il suo punto di avvio nella riforma dell’autonomia scolastica ( DPR 275/1999 e in particolare nell’art. 8 – definizione dei curricoli – e nell’art. 4 – Autonomia organizzativa).
Il dpr 275/99 – che è ancora legge dello stato – ricorda – al citato art. 8 – quali sono i compiti del ministero nella elaborazione delle “indicazioni nazionali”.
Rileggiamo con attenzione Continua a leggere

Valutazione sommativa e in itinere: funzioni diverse, strumenti diversi

di Cristiano Corsini

 

Il dibattito sulla valutazione scolastica, sui voti e sulla media aritmetica (aritmetica, non matematica) tradisce un ragguardevole livello di fraintendimento dei termini impiegati. Questo fraintendimento, che talvolta riguarda anche gente che nella scuola lavora, è sintomatico del fatto che troppo spesso le pratiche didattiche sono governate da luoghi comuni e stereotipi più che da reali competenze. In poche parole, talvolta a scuola certe cose si fanno così perché “si è sempre fatto così” e tanto basta.
In questi ultimi mesi ho visitato decine di scuole e dialogato con centinaia di docenti, studenti, famiglie. Condivido con voi le domande che mi sono state poste più frequentemente e le risposte da me fornite.

I voti sono obbligatori ?
I voti sono obbligatori sulla scheda. Dalla scuola primaria in su, per ogni ambito disciplinare è obbligatorio un voto (numerico o non numerico) sulle schede di fine bimestre/trimestre/quadrimestre (valutazione periodica) e sulle schede di fine anno (valutazione finale).
Questo perché il voto sin dalla sua nascita ha una funzione rendicontativa/classificatoria. Infatti, il voto è una sintesi ordinale della valutazione: è sintetico e classificatorio. Non dice nulla sull’apprendimento ma consente di posizionare studentesse e studenti entro una graduatoria. Continua a leggere

APPRENDIMENTO PER VIA EROTICA

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ASCOLTO

di Alessandra Anzini

“A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Questo scriveva Picasso quando capì che recuperare quella purezza segnica avrebbe significato riattivare ascolto libero, autentico e permeabile al mondo circostante, che gli avrebbe scatenato quella creatività senza limiti, a cui ogni essere umano è votato.

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Ma se io docente agisco col gruppo classe, quindi con il mio mondo quotidiano, solo per farmi ascoltare e non per Ascoltare, come posso pensare di risultare attraente all’alunno e permeabile a tutto quello che può offrire? Potremmo recuperare anche noi, come Picasso, la nostra dimensione più autentica, quella prescolare dove non c’era auto giudizio e pregiudizio e si agiva per il puro piacere di scoprire? Potremmo provare a spogliarci delle nostre paure, dei condizionamenti sociali e culturali? Vestire così quell’habitus che ci permetterà di recuperare la nostra capacità di Ascolto, rendendo la nostra quotidianità scolastica fertile perchè pronta ad Accogliere TUTTE le sollecitazioni dei nostri alunni? Alunni che smetteranno così di essere spettatori annoiati o inquieti ed entreranno finalmente nei nostri mondi di cui diventeranno attori, sceneggiatori e compagni di viaggio? Continua a leggere

Dirigenti scolastici: sono in Piemonte i più stressati. C’entra forse il dimensionamento?

di Nicola Puttilli

Sarà stato il 1985 o il 1986 quando il consiglio scolastico provinciale di Torino, che in quegli anni ebbi la ventura di presiedere, decise di procedere alla fusione delle scuole medie “Pavese” e “Casorati”.
Dopo tre decenni di ininterrotta e tumultuosa crescita si trattò della prima soppressione di un istituto scolastico, non a caso nella periferia sud di Torino, case popolari costruite in fretta intorno allo stabilimento di Mirafiori.
Da allora, a parte gli ultimi, ho seguito direttamente tutti i piani di dimensionamento che si sono succeduti nella provincia di Torino, nell’ambito del consiglio scolastico provinciale prima e a livello regionale poi nella consulta regionale per il diritto allo studio, istituita nel 2007.

Con precisione e puntualità tutte sabaude, le istituzioni scolastiche piemontesi sono state costantemente dimensionate secondo i parametri di legge.
Il crescente successo degli istituti comprensivi, nati per contrastare gli effetti derivanti dallo spopolamento nelle aree montane ma effettivamente in grado di rispondere a reali esigenze di continuità, ha inevitabilmente cambiato il quadro di riferimento.
A causa, tuttavia, del già avvenuto dimensionamento, non è risultato semplice, nel contesto urbano torinese in particolare, procedere alla loro formazione che, in effetti, si è realizzata con notevole ritardo rispetto ad altre realtà nazionali, semplicisticamente accorpando scuole medie e direzioni didattiche, raddoppiandone la dimensione. Continua a leggere

Scuola e società: come possono dialogare?

di Raimondo Giunta

La natura del problema

La scuola vive dei suoi rapporti con la società; si alimenta delle sue esigenze, si muove sulla spinta dei suoi problemi. Scuola e società reciprocamente si richiamano; si dovrebbero aiutare, ma più spesso negli ultimi tempi confliggono.
Va da sè che per cogliere frutti buoni, però, è necessaria la loro stretta, solidale collaborazione, nella distinzione dei compiti e dei ruoli e nel rispetto delle funzioni professionali, culturali ed educative che in autonomia la scuola deve svolgere.
Se la scuola non entra in sintonia con i problemi della società e con i temi culturali del proprio tempo, prima o poi perde la propria ragione d’essere.

La riflessione su questo nodo cruciale dell’istruzione deve essere permanente e costituirsi come principio di orientamento nell’azione quotidiana a scuola, per evitare il rischio che si avviti e si impoverisca nella sua solitaria autoreferenzialità. La scuola non può tenere nè porte, nè finestre chiuse.
Operazione assurda e inefficace; ci penserebbero gli alunni e le famiglie eventualmente a portare dentro la scuola il mondo che sta fuori.
Il problema è come la scuola debba pensare e vivere le questioni che agitano la società e questo non è di pacifica e concorde soluzione. C’è un modo proprio della scuola per svolgere questo compito e solo rispettandone stile e natura si possono avere risultati utili. Continua a leggere

Educazione civica. Il racconto e la didattica di ciò che non esiste più

di Rodolfo Marchisio  La Educazione Civica, o meglio la Educazione alla cittadinanza, rischia di scivolare nell’essere il racconto (sarebbe meglio lo studio, la ricerca) di ciò che non esiste più. Non solo per la falsa ideologia predicata dal ministro nelle linee guida e nei suoi interventi, ma perché questi non sono che una delle manifestazioni della concordante e strisciante azione ideologica e politica delle forze che governano il nostro paese, in sintonia con uno slittamento mondiale. Il filone 3, cittadinanza digitale, è coerente con un modo obsoleto e sbagliato di vedere il mondo delle tecnologie attuali: con entusiasmo, assenza di senso critico e di costruzione della cultura digitale, asservite allo sviluppo economico e quindi al saper fare e usare in modo acritico, senza domandarsi come funzionano le tecnologie, perché funzionano così, chi le controlla e che conseguenze hanno ed avranno su di noi, come cittadini e lavoratori (cfr. IA rubrica) Continua a leggere