di Marco Guastavigna
“Ho fatto un ppt. È proprio vero che il digitale è accattivante”
(frase diffusa nella docenza del terzo millennio, già in uso nell’ultimo decennio di quello precedente
La citazione contiene due espressioni molto diffuse, nonostante siano prive di un autentico significato. “Ppt” è infatti l’estensione associata ai file prodotti da Microsoft PowerPoint, mentre “il digitale” contiene un aggettivo protagonista di una straordinaria carriera lessicale: immediatamente sostantivato è diventato un concetto sempre più nebuloso e confuso, capace di sottendere realtà operative, cognitive e culturali molto diverse, anche opposte tra di loro. In particolare, vanno distinti con forza e chiarezza i dispositivi digitali estrattivi, con vocazione a estrazione di valore, profilazione e profitto, pervasivi e condizionanti, ad alto impatto ambientale, da quelli conviviali, finalizzati alla condivisione della conoscenza, aperta, equa, austera nel senso che a questa parola assegna Illich, adeguata alle situazioni, rispettosa dell’autonomia umana e dell’ecosistemi.
Questa classificazione, per altro, non è tecnica, ma civica, etica, ecologica, filosofica, giuridica (per via di copyright, autorialità, creative commons license e così via). E pertanto mette in discussione un’altra parola-ombrello, a sua volta naturalizzata senza che abbia assunto un indirizzo semantico certo e verificabile: innovazione. Anche questo termine è stato protagonista di uno straordinario cursus honorum: da mezzo è diventata fine. Con la grottesca conseguenze che si parla di “ambienti innovativi”, “metodi innovativi”, “didattica innovativa” e così via, senza rendersi conto che in questi casi ed altri andrebbe usato “innovat*”, facendo seguire all’aggettivazione una descrizione precisa di ciò che essa comprende e – più tardi – un’analisi critica e una puntuale verifica di esiti e risultati.
Una scuola e una mentalità impegnate a sopravvivere nella mercificazione universale e nella competizione come abitudine collettiva e quindi a rincorrere quanto il soluzionismo della logistica digitale capitalistica impone loro non hanno tempo – né desiderio – per queste riflessioni.
E quindi – a ostentare emancipazione professionale, disinvoltura operativa e appartenenza alla darwiniana nicchia di coloro che sono “tecnologici” – fioccano pseudo-condivisioni e ambiguità, da “fare un PDF” [perseverare diabolicum], a “intelligenza artificiale”, etichetta attualmente di moda e già azzoppata di “generativa”, storicamente utilizzata per definire intenzioni, approcci, risultati molto diversi tra loro.
Per non parlare della valenza assolutoria di abbreviazioni come “social”, che invisibilizzano i processi di pedinamento, la raccolta di dati per marketing e altre forme di pressione sugli utenti.