Indicazioni Nazionali: un documento reazionario

di Stefano Stefanel

Se non ci fosse l’articolo 117 della Costituzione, quello che ad un certo punto dice che va fattasalva l’autonomia delle istituzioni scolastiche” la scuola italiana tornerebbe ai programmi ministeriali, centralizzati, diretti dal ministero e solo programmati dalle scuole. Come nel caso delle Linee guida sull’Educazione Civica anche la bozza delle nuove Indicazioni Nazionali non parla alla scuola ma all’opinione pubblica, nel tentativo di farle scambiare il sovranismo reazionario per una posizione conservatrice.
In realtà la scuola è da sempre conservatrice, tant’è che tutte le riforme si sono infrante sull’impianto gentiliano del sistema scolastico italiano e hanno prodotto risultati parziali, rispetto agli obiettivi riformatrici programmati (autonomia scolastica di Berlinguer, riordino dei cicli di De Mauro, Riforma Moratti, Riforma Gelmini, Buona Scuola di Renzi e via enumerando).

Queste nuove Indicazioni Nazionali non serviranno a molto come a molto (io dico: purtroppo) non sono servite quelle del 2012, perché la scuola italiana è avvolta nella conservazione dell’identico, scandito da libri di testo e classi di concorso che la fanno da padrone.
Così le parole d’ordine che tanto piacciono al Ministro Valditara e al suo consulente principale Ernesto Galli della Loggia (Latino, Bibbia, Corsivo, Corsivo, Narrazione storica e non confronto sui testi alle primarie, ecc.) non sono rivolte alla scuola, ma a all’opinione pubblica nel tentativo di farla diventare sovranista e reazionaria credendo di essere conservatrice.

La vera urgenza è quella della revisione delle Linee guida degli Istituti Tecnici e Professionali, travolti da innovazioni planetarie come l’Intelligenza Artificiale che quindici anni fa (data delle Linee guida in adozione) non esisteva proprio nella scuola italiana. E invece si va su quelle parole d’ordini facili da comprendere che fanno il paio con Patria, Persona umana, Identità nazionale che sono alla base delle Linee guida dell’Educazione Civica.
Non credo si possa dimenticare l’enfasi del Ministero sul 4+2 dei Tecnici e Professionali senza alcuna revisione negli indirizzi didattici (servono nuove Linee guida aggiornate ma si spinge sul 4+2).

Queste nuove Indicazioni Nazionali scateneranno un dibattito sullo stile “Guelfi e Ghibellini” e mostrano un Ministro più interessato alla comunicazione social e giornalista che al cuore del problema.
Con l’autonomia scolastica le Indicazioni e le Linee guida sono indirizzi, qualunque cosa il Ministero scriva sui documenti, ma le scuole non sanno agire per indirizzi e amano agire per ordini imposti dall’alto (per cui Bibbia & Latino passeranno). L’enfasi per un nuovo umanesimo che ci salvi dalla barbarie nei fatti è solo una bandierina piantata nel campo avverso, visto che i miliardi veri sono quelli del digitale che si sono riversati sulla scuola con il PNRR (e prima con i PON e con il Piano Nazionale Scuola Digitale), laddove il Ministero invita contemporaneamente a digitalizzare tutto e a proibire genericamente l’uso dei cellulari (come se le scuole non sapessero vietarne l’uso improprio da sole), invita ad occuparsi di intelligenza artificiale e a scrivere in corsivo (come se si insegnasse a scrivere in altro modo), a conservare il passato che mai è sparito dalle scuole con un’enfasi reazionaria che vuole solo attirare nuovo consenso per la scuola seria/allegra, selettiva/inclusiva, digitale/cartacea, conservatrice/innovatrice con vari testa coda che, per fortuna, gli insegnanti sapranno stoppare con la loro professionalità, comunque dentro una logica di conservazione e non di innovazione.
Il Ministro esterna il suo credo sovranista-reazionario con molta passione e vigore ed Ernesto Galli della Loggia chiede più spazio per i conservatori (in realtà lui è il capo culturale dei reazionari) nel mondo della cultura.
Ma la scuola in tutto questo cosa c’entra? Poco utilizzate le Indicazioni Nazionali del 2012, saranno poco utilizzate anche queste del 2025. Ma solo dopo che fuoco e fiamme avranno acceso i dibattiti culturali dei professori universitari e dei Maître à penser nostrani senza che della scuola reale si voglia sentire realmente il pensiero.

 

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