Manifesto per una educazione linguistica democratica

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EDUCARE ALLA PAROLA
PER COLTIVARE UMANITA’ E COSTRUIRE CULTURA
MANIFESTO PER UNA EDUCAZIONE LINGUISTICA DEMOCRATICA

Proponiamo ai nostri lettori il manifesto con cui il Movimento di Cooperazione vuole ribadire l’importanza di un modello democratico di insegnamento della lingua.
Ma soprattutto chiediamo ai nostri lettori di sottoscriverlo compilando il form disponbile qui.

Il manifesto e il modulo per aderire sono disponibili anche in una apposita pagina del sito del Movimento di Cooperazione Educativa

Il Movimento di Cooperazione Educativa con questo Manifesto si rivolge al mondo della scuola -insegnanti, alunni/e, dirigenti, genitori- al mondo della cultura e della ricerca, a chi ha la responsabilità di predisporre condizioni favorevoli alla crescita culturale nei territori e nella scuola –amministratori, politici, professionisti…-, a tutti i cittadini/e, in particolare a coloro che guardano con inquietudine l’uso violento e discriminatorio del linguaggio che si va diffondendo e le proposte affrettate che invitano a risolvere semplicisticamente con un insegnamento trasmissivo il problema della povertà linguistica diffusa.


1. EDUCARE ALLA PAROLA

Educare alla parola per coltivare umanità e costruire convivenza civile
Crediamo che educare alla parola nelle nostre società multiculturali significhi occuparsi del futuro: avere la visione di una società futura, più solidale e più giusta, che vogliamo costruire, volgere lo sguardo verso un orizzonte di pace in cui la comunità umana intraprenda un cammino di consapevolezza delle diverse storie plurali e accolga la ricchezza di voci e di lingue che abitano il pianeta.

Poiché crediamo nel linguaggio come strumento di costruzione culturale e nella possibilità di resistere a un uso dell’insegnamento della lingua come strumento di divisione, proponiamo un’educazione alla parola che sia la premessa necessaria per sostenere ideali di convivenza civile, atteggiamenti di rispetto, di solidarietà, di ospitalità nei confronti di tutti/e.

Crediamo che la parola, che consente di condividere l’esperienza, di vedere e far vedere l’invisibile che accompagna l’esperienza, i pensieri e le emozioni, la sofferenza e la gioia, abbia un posto centrale nella nostra vita e debba occupare un posto centrale nella scuola.
Crediamo che l’educazione alla parola vada promossa, oggi, affrontando la complessità del presente, senza negare i conflitti che lo caratterizzano e prendendoli in carico, ma senza rinunciare a coltivare umanità e capacità di condivisione di senso e che la democrazia non può che fondarsi sulla parola, nello spirito del dialogo paritario.
Educare alla parola per coltivare il pensiero critico
Poiché esiste un legame inscindibile tra linguaggio e pensiero – la parola sostiene il pensiero, il pensiero non può che appoggiarsi alla parola per esistere ed essere comunicabile – crediamo che la conquista consapevole e generalizzata della parola e dei linguaggi, di tutti i linguaggi da parte di tutti e tutte, sia strumento di emancipazione e costituisca una difesa dagli usi manipolatori e falsificanti della comunicazione.
Poiché il linguaggio contribuisce a comunicare la realtà sociale ma anche a costruirla, crediamo che educare alla parola, ad usare parole diverse da quelle legate a generalizzazioni superficiali e acritiche, a categorizzazioni indebite e ad atteggiamenti etnocentrici sia cruciale per contrastare la semplificazione con cui viene ridotta, spesso, la complessità che ci coinvolge.
Crediamo che educare alla parola possa aiutare a nominare soggetti, situazioni, eventi in riferimento a categorie linguistiche e concettuali costruite sulla base dell’esperienza e della riflessione, esercitando l’analisi e svelando i criteri retrostanti le scelte linguistiche e gli atteggiamenti profondi che ne stanno alla base: timore, empatia o rifiuto, vicinanza o lontananza mentale e relazionale.
Crediamo che educare alla parola possa aiutare a smascherare usi superficiali e tendenziosi del linguaggio che possono indurre a trovare normali molti atteggiamenti – ed espressioni – che stanno prendendo piede: considerare criminali intere categorie di persone a prescindere dal loro operato, pretendere che ci sia qualcuno/a che deve venire prima di altri/e nel godimento di diritti fondamentali, finanche del diritto alla sopravvivenza, pensare che ci sia un diritto al respingimento di chi cerca la salvezza, … Si tratta di smascherare e denunciare l’uso ingannevole della parola e guardare le situazioni quotidiane a prescindere dalla semplificazione dell’abitudine e del linguaggio abituale, si tratta di sbanalizzare l’ovvio assumendo un atteggiamento di straniamento: non a caso riflessioni fondamentali sullo straniamento sono state proposte dalla narratologia, quindi dagli studi sulla lingua.
Per questo crediamo che una scuola che educa il pensiero debba essere una scuola che si prende cura della parola, del suo uso consapevole e responsabile, e della necessità di indagare continuamente sui significati. Si tratta di costruire atteggiamenti liberi da stereotipi e pregiudizi e disponibilità a confrontarsi con diverse letture possibili della realtà, ampliando la percezione. In questo senso l’educazione al pensiero critico, attraverso la parola, diventa pratica di democrazia.
Mettere l’educazione linguistica al centro della scuola
Proponiamo che l’educazione linguistica sia messa al centro della scuola in questo momento in cui i contesti sociali e scolastici sono caratterizzati dalla presenza di culture e lingue diverse, diversi linguaggi e modalità comunicative: educare alla parola è educare all’arte della convivenza.
Sulla base delle ricerche di De Saussure consideriamo la lingua un sistema complesso formato da linguaggi verbali e non verbali. La pratica didattica del MCE, partendo da questa considerazione, cerca di tener presente questo aspetto poliedrico della lingua, le interrelazioni e gli intrecci tra i diversi linguaggi comunicativi/espressivi, la musica, l’arte, l’immagine, il teatro… Crediamo che scegliere questa prospettiva favorisca l’ inclusione, arricchendo e potenziando la proposta educativa, per dare più opportunità a tutti e tutte.
Essendo la lingua trasversale a tutti gli ambiti proponiamo che dell’educazione alla parola si occupino tutti/e gli /le insegnanti, di tutti gli ambiti e di tutte le discipline, possibilmente in un lavoro cooperativo e di ricerca.
Proponiamo che a questo apprendimento sia dedicato tutto il tempo necessario: il giusto tempo per il dialogo, per la lettura come piacere e come costruzione della conoscenza, il giusto tempo per confrontarsi sui significati delle parole e per capire, per elaborare narrazioni e riflessioni, per godere della bellezza delle espressioni artistiche fatte di parole, per esplorare scientificamente il territorio complesso e affascinante dei codici linguistici, non cedendo all’impulso di semplificare e di ridurre l’apprendimento ad addestramento meccanico e alla conoscenza di un unico modello di lingua considerato immutabile e altro da sè.
Proponiamo che sia rispettato il diritto alla lentezza, come condizione per consentire alla mente di svolgere la sua funzione linguistica di interpretare (e trasformare) il mondo. Il tempo del pensiero, così come il tempo del camminare, il tempo della crescita e il tempo del respiro sono tempi che segnano la vita dell’essere umano da sempre, non possono essere accelerati a piacimento. Capire le parole e trovare parole giuste ed efficaci sono operazioni che richiedono la pazienza e l’umiltà del provare- confrontarsi- riprovare, sorretti/e dal desiderio di coniugare la bellezza e l’efficacia.
Proponiamo che a ragazzi/e e adulti accolti/e nel difficile cammino dell’educazione alla parola sia garantito il diritto all’uso e all’apprendimento della lingua in un percorso di ricerca libero dal timore del giudizio, della sanzione, della valutazione negativa.
Sulla base della lunga esperienza e della ricerca di insegnanti, educatori/educatrici e linguisti, rifiutiamo l’affermazione secondo cui l’obiettivo dell’inclusione e del massimo sviluppo possibile delle capacità di tutti/e e l’obiettivo della qualità della proposta educativa e didattica siano inconciliabili.
Crediamo che il cammino verso questi grandi traguardi possa essere intrapreso, nella scuola e nei luoghi che si occupano di educazione linguistica, curando piccoli passi quotidiani: ossia costruendo, con le proposte didattiche di ogni giorno, contesti scolastici cooperativi e usando strumenti di lavoro adeguati.

2. QUALE SCUOLA PER EDUCARE ALLA PAROLA
Una scuola dell’ascolto e del dialogo
Una classe dove si vivono cooperazione e democrazia non può essere una classe in cui vige la regola del silenzio, in cui si ignorano le ragioni delle proprie e altrui diversità, in cui non si mettono a confronto i diversi percorsi di pensiero. Riteniamo perciò fondamentale riconoscere e garantire a tutti/e il diritto di parola e, reciprocamente, il diritto – dovere di ascolto. Il dialogo e il confronto permettono la conoscenza reciproca che genera fiducia e sono alla base della costruzione della conoscenza.
Consideriamo la comunicazione orale un aspetto fondamentale dell’educazione linguistica: non solo presupposto indispensabile per acquisire competenza nella lingua scritta, ma anche competenza fondamentale di per sé, da curare in tutti gli ordini di scuola. Narrare, argomentare, esporre il proprio pensiero, discutere, parlare in pubblico, prendere la parola in assemblea, condividere esperienze ed emozioni sono irrinunciabili nella scuola cooperativa così come sono fondamentali nella vita sociale.
In ogni percorso di conoscenza la discussione sostiene l’articolarsi del pensiero, stimola i processi mentali, permette di interrogare la realtà scoprendone aspetti diversi e costruendo reti di significati che strutturano conoscenze, configurando il bisogno di porsi delle domande oltre che di cercare delle risposte.
Riteniamo, inoltre, la formazione al dialogo e dell’argomentare rigoroso indispensabili per la capacità di valutare e di scegliere, presupposti della partecipazione democratica.
Una scuola della narrazione
Narrare è un’attività relazionale, la comunità è fatta delle storie che condivide. Sono le storie che danno spazio a una pluralità di voci, idee, modi di essere e di vivere che, tutti, ci caratterizzano come umani. La narrazione consente di comporre in un’unitarietà leggibile la frammentarietà delle esperienze senza perderne la ricchezza.
Poter raccontarsi e raccontare, in qualsiasi forma, dà potere alle persone, le rende protagoniste e nello stesso tempo le avvicina agli altri, ascoltare racconti crea relazioni e apre ad altri mondi e ad altre esperienze.
Coltivare il bisogno e il piacere di raccontare, coltivare spazi di racconto, oltre che uno dei fini, è uno dei mezzi importanti per l’educazione linguistica -e non solo- a scuola. Il racconto porta con sé l’esperienza dell’ascolto che abitua a stare in relazione e a pensare in silenzio, a sentir risuonare dentro di noi, come un’eco profonda, immagini e parole che ci attraversano, mondi possibili ed impossibili che possiamo immaginare. Momento di conoscenza e di intreccio di esperienze, è, nello stesso tempo, un evento reale e una testimonianza che porta la memoria di altri luoghi, persone, eventi.
Ogni narrazione può avere cittadinanza nella scuola: le narrazioni della letteratura e del mito, come le narrazioni che ciascuno/a può offrire all’ascolto o incontrare nella lettura. La narrazione che ha per contenuto la quotidianità è fondamentale, aiuta la conoscenza reciproca e rafforza l’identità del gruppo, rivelando come ciascuno/a sia diverso e unico e nello stesso tempo simile a tutti/e gli/le altri/e, condividendone la comune umanità.
E’importante che, in tutti i luoghi in cui si intraprende un cammino di educazione alla parola, ciascuno/a trovi spazio modo e motivo per esprimersi e per desiderare di farlo in modi sempre più complessi e critici, senza sentirsi giudicato/a. Imparando, noi educatori/educatrici, ad esercitare la difficile arte di ascoltare perché si inizi, insieme, ad abbozzare la costruzione di un noi nuovo.
Una scuola in cui si usa la lingua per comunicare
La parola e la scrittura sono mezzi potenti che mettono in contatto gli esseri umani tra loro, ponti che permettono loro di incontrarsi.
Crediamo in una scuola in cui la parola e la scrittura vengano usate per comunicare, in cui la parola abbia spazio e le scritture vengano incoraggiate e accolte, in cui si lavori insieme per cercare di renderle sempre più efficaci, sempre più adeguate allo scopo comunicativo per cui sono nate. Ricercando anche la correttezza formale e l’adeguamento alle regole del codice, ma come un’esigenza che permette di rendere la comunicazione più efficace, non come il solo aspetto importante. Il lungo percorso verso la capacità di usare parole sempre più efficaci non può non prevedere l’errore, tappa inevitabile in ogni percorso di apprendimento, da non enfatizzare, sanzionare, criminalizzare, allontanando così dalla ricerca del piacere di comunicare con le parole.
La pedagogia Freinet e la pratica del MCE ci propongono alcune tecniche di vita che hanno anche un significato simbolico: il testo libero, la corrispondenza, il giornale scolastico, la scrittura collettiva, la messa a punto collettiva, il libro di vita della classe. Al di là dei mille modi diversi in cui possono essere realizzate e riattualizzate ci indicano una strada da seguire: dare spazio alla parola usata per l’espressione e la comunicazione, in situazioni reali, in situazioni di vita. Ci invitano, inoltre, a non dimenticare che le parole, nate perché negoziate da gruppi di umani per scambiarsi pensieri, possono essere apprese solo nello scambio e nel confronto: la competenza di tutti/e cresce e si affina nei confronti e negli scambi che si intrecciano nel gruppo, in una sorta di laboratorio artigianale in cui si ri-costruisce incessantemente una lingua comune in un continuo processo evolutivo.
Una scuola che accoglie le diverse lingue e le diverse competenze linguistiche presenti
Crediamo che in questo momento in cui i contesti sociali e scolastici sono caratterizzati dalla presenza di culture e lingue diverse, diverse modalità comunicative, differenti competenze, educare alla parola significhi educare al rispetto di tutte le lingue e delle diverse competenze presenti nella classe. Del resto, anche per quanto riguarda la nostra realtà, dobbiamo ricordare che essa è il frutto dell’incontro di molte varietà culturali e linguistiche, in parte tuttora presenti: pensiamo anche solo alla molteplicità dei dialetti che caratterizzano l’Italia, che hanno convissuto a lungo e tuttora convivono con un italiano assunto come lingua veicolare.
Ogni persona che arriva in una situazione scolastica, a qualsiasi età, è competente linguisticamente nella lingua madre -la lingua che ci plasma, che connota la nostra vita psicologica, i nostri ricordi, le associazioni, gli schemi mentali – e spesso, soprattutto quando si tratta di migranti, anche in altre lingue. Il rispetto e la tutela di tutte le varietà linguistiche, siano esse idiomi diversi o usi diversi dello stesso idioma, fa sì che nessuna lingua diventi un ghetto, una gabbia che separa, un ostacolo alla parità.
Una responsabilità importante della scuola è anche accogliere la differenza di chi ha una competenza linguistica di partenza meno adeguata. Sappiamo quanto la scarsa competenza linguistica possa pregiudicare tutto il percorso scolastico in modo rilevante creando disagi profondi. Sappiamo anche quanto la competenza linguistica sia legata, per tutti/e, alle condizioni fisiche, all’ambiente familiare e sociale di provenienza, al maggiore o minore benessere psicologico, alla ricchezza o povertà di esperienze, alla possibilità o meno di godere di relazioni significative, al maggiore o minore possesso di capacità concettuali e simboliche: condizioni che preesistono e permangono al di là dell’esperienza scolastica.
Ne deve derivare l’impegno, da una parte, a operare scelte, in campo metodologico e didattico, che aiutino tutti/e a migliorare la competenza comunicativa, dall’altra a rifiutare sia una valutazione sommativa fondata sulla presunta misurazione di risultati standard tramite ‘verifiche’ su segmenti di lingua scorporati dalla realtà della comunicazione, sia la rilevazione di inadeguatezze e carenze da classificare rigidamente in categorie e da trattare individualmente con interventi specialistici.
Crediamo, invece, nella possibilità di favorire la crescita delle competenze linguistiche per tutti/e all’interno di un contesto di lavoro cooperativo.
Crediamo che favorire l’espressione e lo scambio linguistico possa aiutare tutti/e a intraprendere con successo il cammino dell’educazione alla parola e contribuire ad attenuare l’emarginazione che genera sofferenza in chi non ha in partenza strumenti sufficientemente adeguati. Crediamo anche nell’aumento di opportunità che si produce in una scuola in cui sia presente una pluralità di linguaggi, verbali e non verbali e si sperimentino ‘contaminazioni’ fra lingue e linguaggi diversi. La capacità di capire e di comunicare è favorita, in un gruppo, dalla presenza di diverse lingue, la consapevolezza delle strutture della propria lingua emerge più facilmente dal confronto che mette in evidenza somiglianze e differenze tra lingue diverse e aiuta a scoprire potenzialità e vincoli della lingua personale.
Crediamo in una scuola che possa dare legittimità a diversità e differenze permettendo a tutti/e di esprimersi, comunicare, migliorare in competenza e consapevolezza sperimentandosi come cittadini/e attivi/e in grado di produrre cultura e bellezza.
Una scuola che considera ogni lingua un corpo vivo e un possibile oggetto di ricerca
Consideriamo la lingua non come un oggetto statico, un modello da conoscere ma come una realtà complessa e in mutamento in cui e con cui viviamo, e che ci plasma. E’ la casa comune che gli esseri umani costruiscono e adattano di continuo ai loro bisogni. Proponiamo una didattica della lingua non centrata solo sull’apprendimento del codice e di un modello considerato immutabile, ma aperta alla ricerca, che impegni insegnanti e alunni/e nell’esplorazione delle produzioni linguistiche, orali e scritte, che vengono costruite in classe, una didattica volta a indagare le potenzialità degli atti linguistici, le ragioni delle scelte più o meno consapevoli che i parlanti operano all’interno del codice, gli effetti degli atti linguistici considerati come messaggi, le strutture che ne stanno alla base, le regolarità e le trasformazioni.
Crediamo che la complessità della lingua non possa essere affrontata efficacemente con un insegnamento lineare (a partire di singoli elementi –segni, parole, frasi,..- in forma additiva, dal facile al difficile). Riteniamo vada esplorata per approfondimenti successivi dei suoi molteplici aspetti -oralità, pragmatica della comunicazione, semantica, strutture linguistiche delle frasi e dei testi, legami logici instaurati da certe parole…- mettendo al centro la comprensione come costruzione del significato, sfruttando le possibilità del gioco linguistico che fa scoprire l’infinità possibile delle variazioni della forma delle parole e di conseguenza dei significati e gli intrecci tra la lingua parlata, le scritture costruite a scuola, la lingua dei libri. Consideriamo inadeguata una didattica che enfatizzi la grammatica come insegnamento di regole e definizioni avulso dai testi, supportato da esercizi meccanici scarsamente funzionali, spesso solo sulla base delle proposte precostituite e uniformi di un libro di testo. E’ dimostrato, oltretutto, che un insegnamento metodico di questo tipo non influisce positivamente sulla capacità di usare la lingua. Così come conoscere l’anatomia delle gambe non ci fa diventare più veloci nella corsa, come dicevano bene le Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica.
Consideriamo, invece, fondamentale lavorare sui testi e sui significati, stimolare il confronto sui significati attribuiti alle parole e alle espressioni. Nell’ambito di una comunità in cui c’è scambio tra i membri i significati costruiti individualmente vengono messi alla prova, conflittualizzati, ricostruiti e convenzionati continuamente in modi nuovi mettendo in comune le diverse ipotesi in un lavoro paziente di cooperazione interpretativa.
Consideriamo anche importante che sia data la possibilità di sostare sulle parole favorendo e praticando il confronto tra le diverse lingue madri presenti nel gruppo, intimamente conosciute dai parlanti, e la lingua comune. Affrontare la riflessione sulle strutture sintattiche e morfologiche adoperando il più possibile un metodo comparativo su più lingue, anche sui dialetti, in modo da consentire l’emersione della logica interna al sistema di ciascuna lingua permette a ciascuno/a di conoscere meglio la propria.
Una scuola che accompagna con cura il primo apprendimento della lingua scritta
L’incontro con la lingua scritta, uno degli incontri fondamentali della vita, è un momento importante in cui i bambini/e entrano in un mondo comunicativo nuovo, molto diverso da quello dell’oralità: il mondo della distanza, della comunicazione in assenza del destinatario, dei messaggi costruiti in solitudine, invece che in presenza. Incontrano un nuovo, potente mezzo di cui possono apprezzare le potenzialità: scrivere consente di lasciare un segnale durevole e di comunicare superando le distanze spaziali e temporali, leggere può aprire mondi lontani, incredibili, avvincenti, raggiunti grazie alla scoperta di un nuovo, meraviglioso, potere delle parole.
Se vissuto positivamente, l’incontro genera un atteggiamento di curiosità nei riguardi del codice scritto e, per il suo valore simbolico, della cultura tout court, destinato a perdurare nel tempo.
Poiché l’attività spontanea di ricerca ed esplorazione del codice inizia, per tutti/e e in modi diversi per ciascuno/a, ben prima della scuola, e prosegue a lungo, crediamo che un metodo naturale sia l’approccio più corretto: un metodo-non metodo che preveda non un ‘insegnamento’ per tappe successive uguali per tutti/e, ma un accompagnamento dentro un contesto ricco di stimoli che rispetti e favorisca i percorsi individuali e permetta, nel contempo, di intrecciarli e farli interagire nel gruppo.
In un gruppo cooperativo in cui sono favoriti il confronto, la ricerca, l’aiuto reciproco scaturiscono poi, progressivamente, nuove scoperte e consapevolezze che sostengono sia il percorso comune che le ‘esplorazioni’ individuali e in cui ciascuno/a trova e utilizza, come appoggi alla decodifica, dei propri personali punti di riferimento percettivi, affettivi, spaziali, temporali, … Su questa base ognuno/a compie un percorso diverso e con tempi diversi: un percorso di ricerca in cui non possono essere considerati ‘errori’ i tentativi iniziali, le manovre di avvicinamento di chi scopre via via nuovi aspetti del codice e si misura con la possibilità affascinante di sperimentarne l’uso pur padroneggiandolo ancora solo in parte.
Insegnare semplicemente la tecnica della scrittura a tutti/e allo stesso modo e con gli stessi tempi renderebbe chi vi si avvicina per la prima volta (bambino/a ma anche – spesso, in questi tempi di cambiamenti e nuove presenze – adulto/o) solo uno scrivano che riproduce, non uno scrittore che usa il mezzo per i suoi bisogni espressivi, creativi, comunicativi. Fin dall’inizio.
Una scuola che fa incontrare i libri e scoprire la bellezza delle parole
La nostra educazione alla parola sarebbe gravemente carente se non cercasse di offrire occasioni e di elaborare strategie per avvicinare i ragazzi/e ai libri, alla conoscenza e alla bellezza racchiuse nei libri.
Nella scuola devono trovare spazio i libri per la conoscenza, che aprono mondi, offrono tanti diversi punti di vista sulla realtà, suscitano nuovo desiderio di sapere, illuminano e rendono più significativa la nostra stessa esperienza personale del mondo.
Devono trovare spazio i libri da incontrare per il piacere di leggere, per godere della ricchezza offerta, in tutte le culture, dalle opere della narrativa e della poesia, potenti evocatrici di immagini, vissuti, emozioni, pensieri, opere fatte di parole che aprono alla dimensione del ritmo e della musicalità, che avvincono e sorprendono con immagini inattese, che regalano bellezza.
Mettere in mano ai ragazzi/e dei libri veri, attraenti, mediare questo incontro fondamentale crediamo sia il primo e fondamentale compito della scuola.

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QUESTO MANIFESTO

Ci auguriamo che questo Manifesto aiuti tanti/e insegnanti, che già operano o intendono operare secondo i criteri che proponiamo, a riconoscersi parte di un grande gruppo in cammino per una scuola migliore, inclusiva, democratica e per una società meno ingiusta. Crediamo sia legittimo, da parte di ogni insegnante, rivendicare il diritto a costruire proposte pedagogico- didattiche in base a scelte legate a convinzioni maturate sul piano professionale, sociale e politico.
Non possiamo non riconoscere, a questo proposito, il ruolo fondamentale giocato dal contesto territoriale in cui la scuola si colloca, che può frapporre ostacoli o offrire opportunità all’esercizio del diritto alla parola e all’educazione alla parola. Sappiamo quanta importanza rivestono la presenza o l’assenza di offerte culturali, di spazi pubblici pensati per l’incontro, di biblioteche, di sostegni alle attività delle scuole e di tutti i luoghi dell’educazione linguistica, il considerare o meno l’educazione alla parola come fondamentale di per sé, al di là di obiettivi legati a traguardi istituzionali o a parametri giuridici.
Non possiamo non riconoscere, infine, quanto sia importante, per i/le docenti, un contesto lavorativo in cui l’insegnante non si senta isolato/a nella propria funzione, oberato/a dalla necessità di affrontare sempre nuove problematiche e incombenze burocratiche, in difficoltà nel costruire con i colleghi/colleghe situazioni di condivisione, confronto, ricerca.
Difficoltà ulteriori possono essere rappresentate dalla difficoltà di proporre pratiche didattiche diverse da quelle ‘trasmissive’ ancora diffuse (anche se non certo in linea con i contenuti della legislazione scolastica, delle Indicazioni Nazionali in primis) o di essere fatti oggetto di richieste arbitrarie. Crediamo che in questo caso, a fronte di richieste o disposizioni non rispettose dei diritti dei bambini/e – il diritto all’espressione, ad essere consultati/e, a non essere discriminati/e, a partecipare, – sia legittimo rispondere con azioni di disobbedienza civile.