E’ possibile razionalizzare l’attività didattica?

di Raimondo Giunta

A partire dagli anni ‘70 la programmazione didattica ha introdotto nelle relazioni educative il lessico (..e non solo) del mondo aziendale, per sradicare quello di derivazione umanistico-pedagogico, di cui si serviva la quasi totalità del personale insegnante. Scelta fatta con il consenso di parte dell’apparato ministeriale, di parte del sindacato, del mondo accademico e di non poche associazioni professionali per una svolta irreversibile verso la modernità.
Si coltivava (e si continua a coltivare) l’ambizione di replicare a scuola le strategie aziendali di massimizzazione dei risultati anche in presenza e in costanza di scarsità delle risorse disponibili. Le risorse scarse a scuola, oltre a quelle finanziarie come sanno anche le pietre, sono il tempo disponibile e l’attenzione degli alunni, sviata da mille sollecitazioni.
Si dovrebbero fare miracoli sfruttandole al meglio. Ma il meglio non è la fretta e nemmeno l’abbandono di quelli che per diversi motivi non tengono il ritmo e non riescono a farcela.
Solo la tracotanza intellettuale può fare credere che il processo di formazione può essere finalizzato ad ottenere i risultati che si vogliono in un determinato tempo e magari in un solo modo. Formare ed educare giovani, però, è alquanto diverso dal produrre bulloni o pezzi di ricambio, perchè il processo di formazione è diverso da quelli messi in atto in qualsiasi attività aziendale. Appartiene ad un altro pianeta.
Da quegli anni si continuano ancora a mettere in lite le pretese di una rigorosa opera di razionalizzazione dei processi formativi con la passione educativa di chi si ingegna e si ostina a dare rilievo alle finalità educative nell’attività di insegnamento. La prima, a detta dei non pochi suoi fanatici sostenitori, a far la parte dell’efficienza e dell’efficacia, la seconda a trastullarsi con parole senza significato.
E tutto questo a prescindere dai fatti che, come al solito, si prendono la briga di smentire le teorie che vogliono imbrigliare la realtà.
Con i giovani di oggi senza passione morale, civica ed educativa non si va da nessuna parte, anche se si è divorato tutto lo scibile in materia di didattica, di metodologie e di psicologia dell’apprendimento.
Rifuggire dall’algida e ferrea logica degli algoritmi della programmazione, non vuol dire banalizzare il curriculum, ma cercare di dargli un senso.
Un processo formativo al riparo degli inconvenienti non è un’utopia, ma una sciocchezza. Criticarne le pretese non vuol dire rifiutare di pagare i prezzi dovuti per accedere alla razionalità delle procedure di lavoro.
Non si sta facendo il tifo per un’attività didattica senza regole e senza razionalità; perchè non avrebbe senso e non porterebbe da nessuna parte.
Il processo formativo va tenuto sotto controllo per non disperdersi in iniziative inconcludenti e per raggiungere i risultati che si ritengono necessari. E’ chiaro a tutti che se si vuole realizzare un progetto bisogna darsi un ordine e delle scadenze.
L’attività educativa è progettualità in sé e le sue mete non si definiscono alla rinfusa.
I saperi non si apprendono per maturazione spontanea, ma secondo un preciso piano metodico di lavoro.
I contenuti e le sequenze dell’insegnamento non possono essere arbitrari, perché senza sistematicità, non c’è trasmissione dei saperi, non c’è scuola.
Vi è una gerarchia degli apprendimenti, che vanno disposti secondo una linea di pertinenza logica e di successione cronologica.
Con certi saperi non si fanno salti e non si possono omettere contenuti essenziali.
Questo discorso a mio parere vale anche se nell’attività didattica in classe si fa ricorso costante alle tecnologie informatiche, perchè se queste possono migliorare e/o facilitare il processo di apprendimento, non è detto che ne possono mutare la logica.
Tutti sanno, però, che gli insegnanti ogni giorno devono far fronte a diversi casi di emergenza, che possono confliggere con la predisposizione dell’attività didattica e metterla in crisi.
Le varianti intralciano sempre i lavori pubblici e fanno ritardare la consegna dei lavori…
Non è stato solo il dogmatismo a rendere, a lungo andare, insopportabile questa orientamento, ma soprattutto la pretesa di metterlo in alternativa all’affettività, alla creatività, alla valorizzazione delle potenzialità del soggetto in formazione in un mestiere che più umano non c’è al mondo.
Per lavorare bene ci vuole del metodo; ma c’è metodo e metodo.
I metodi devono essere attinenti allo statuto epistemologico di una disciplina, all’età degli alunni e a loro grado di sviluppo intellettuale; coerenti con gli obiettivi formulati, funzionali al clima educativo che si vuole creare.
Devono rispettare alcune condizioni per essere chiamati tali: chiarezza espositiva, coerenza logica tra i vari momenti dell’azione didattica, prevalenza dell’evidenza razionale e dei fatti, spazio per il confronto e per l’iniziativa intellettuale degli alunni.
E’ proprio della razionalità il confronto, la verifica dei punti di vista per arrivare al consenso.
Devono soprattutto essere di facile utilizzazione.
Diceva R.Dottrens:” Se un metodo ha bisogno per essere efficace di un buon professore, non vale nulla”.
Ai talebani della razionalizzazione dei processi formativi sfugge sempre che l’eliminazione dello spazio del confronto cancella il faccia a faccia nelle relazioni educative e trasforma il processo formativo in una pratica asfissiante di addestramento, dove non si fanno prigionieri, perchè se si raggiunge il risultato si resta dentro, altrimenti si viene emarginati.
Alla sequenza terminata se ne deve aggiungere un’altra e poi un’altra ancora perchè la programmazione va rispettata e all’appello finale nessuna unità didattica(modulo/ufc) si può dare per assente…
All’alto livello di complessità della nostra società di necessità dovrebbe rispondere un alto livello di strutturazione dei sistemi formativi e dei processi di formazione, ma è una pia illusione che questo comporti e significhi cancellare la ricchezza umana del rapporto educativo e di imprigionarlo in una sequenza ininterrotta di input e output(giusto per rifarsi al lessico aziendale..).
A scuola docenti e alunni sono messi assieme per vivere nel migliore dei modi l’avventura culturale che porta a chiedersi quale sarà il loro e il nostro futuro e come ci si possa arrivare e non per sbranarsi a vicenda; si ha bisogno di una scuola riflessiva e dialogica e non di una scuola iperattiva, che insegue mete diverse da un mese all’altro.

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