Un “assalto al cielo” lungo mezzo secolo

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di Carlo Firmani
dirigente scolastico del Liceo Socrate di Roma

Cari studenti,
come ogni tardo autunno, in alcune scuole “superiori” di Roma si ripetono le “occupazioni”. Stanco rito? Ennesima e ripetitiva puntata di un serial lungo almeno mezzo secolo? Sottrazione di diritti alla grande maggioranza degli studenti che non partecipano all’ “azione”? Secondo me si, come ho sempre ripetuto agli studenti, ma non ci vuole davvero molto per poterlo sostenere, come peraltro condiviso dalla grande maggioranza dei commenti che compaiono sui media o che possiamo ascoltare dai nostri interlocutori. A partire da qui e dalle rivendicazioni opposte dei favorevoli alle occupazioni si alimenta e cresce, anno dopo anno, una contrapposta retorica, la fondatezza delle cui affermazioni non appare utile approfondire ulteriormente, vista la cristallizzazione delle posizioni che ha prodotto e lo stallo cui ha condotto fin qui.

Di converso, al crescendo della rivendicazione delle posizioni fa da controcanto il sostanziale depotenziamento (almeno sul piano simbolico) della natura “trasgressiva” delle occupazioni. Genitori che portano i pasti da casa ai figli nelle scuole la sera, magari pure il maglione più pesante o la maglietta pulita, i “preannunci” senza alcun rischio, sui social, della scuola che di lì a breve sarà “presa” sono solo esempi che evidenziano una normalizzazione “di fatto” di un fenomeno che, in tempi ormai remoti, non poteva contare su tali forme di supporto e conforto.
Quello che mi stupisce è che gli studenti non vedano che dietro questo “conforto” c’è altro: c’è, a mio modo di vedere, l’ulteriore forma di controllo, familiare e sociale, delle loro vite, il divieto di lasciar far loro, prendendosene tutte le responsabilità, le esperienze che scelgono di compiere, consentendo loro di imparare a fare i conti con la vita, comprendendo le implicazioni, previste o meno delle loro scelte. Quanto a voi, cari studenti occupanti, davvero pensate che rinchiudervi in sparute minoranze nei recinti delle scuole sia utile alla vostra causa? E non mi riferisco alle cause particolari che, di volta in volta, in autunno (e però come mai dall’inverno in poi sembrano sparire?) alimentano la vostra indignazione, la vostra rabbia, la vostra sofferenza, ma alla “madre” di tutte le vostre cause: la sottrazione del futuro.
I numeri sono schiaccianti (non lo dico io, ma tutti gli studi seri sulla questione): siete sempre di meno, in un mondo sempre più conflittuale, inospitale, concorrenziale, nel quale il peso delle generazioni più adulte -che vivranno sempre più a lungo- sarà sempre più sulle vostre spalle, e quindi? Pensate davvero che “calare” sulle scuole sia una risposta utile alla vostra causa? Pensate davvero che essere contro questo o quello sia sufficiente a creare un nuovo e migliore orizzonte? Davvero della voglia di dare “l’assalto al cielo” e di “pensare l’impossibile” rimane soltanto la chiusura a riccio, la contrapposizione senza nessuna aspirazione a progettare, o almeno vagheggiare, un modello di vita e di mondo diversi, sul quale sia possibile raccogliere consensi più ampi, condivisioni di obiettivi e di visioni, dare insomma una vostra “pennellata” sul futuro, se non altro costruendo un percorso in una direzione che conduca a mete che possano alimentare, almeno, la possibilità di realizzare quegli ideali che, ne sono certo, sono sinceramente sentiti dalla maggior parte di voi, pure se espressi in forme autoreferenziali e, come dimostra una lunga esperienza, assolutamente incapaci di produrre effetti positivi rispetto a ciò per cui le occupazioni nascono. E anche per questo sarebbe meglio che cessassero. O addirittura che non cominciassero.

Cordialmente,
Carlo