Valutazione del comportamento, quei piccoli dettagli…

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di Mario Maviglia

Talvolta si coglie nei piccoli dettagli il senso di un’idea, di un comportamento, di una concezione di vita. Prendiamo l’esempio dell’art. 1 della legg 1 ottobre 2024 n. 150 (Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati) laddove – in riferimento alla scuola secondaria di secondo grado – si stabilisce che nel caso di valutazione del comportamento degli studenti pari a sei decimi, il consiglio di classe assegna “un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale da trattare in sede di colloquio dell’esame conclusivo del secondo ciclo”.
E più avanti si aggiunge che “la mancata presentazione dell’elaborato prima dell’inizio dell’a.s. successivo o la valutazione non sufficiente da parte del consiglio di classe comportano la non ammissione della studentessa e dello studente all’a.s. successivo.”

Ecco, questo passaggio fa capire quale sia la concezione di “ravvedimento” dei nostri attuali legislatori. In sostanza si ritiene che i ragazzi e le ragazze che hanno tenuto un comportamento non del tutto adeguato nel corso dell’anno scolastico (e ciò si inferisce dal voto di sei decimi attribuito loro) potranno ravvedersi ed emendarsi producendo un elaborato critico avente come oggetto la “cittadinanza attiva e solidale”.

Probabilmente i legislatori nostrani hanno interpretato in questi termini lo slogan “l’immaginazione al potere” del Maggio francese (anche se – a dire il vero – il ministro Valditara ci ricorda continuamente che tutti i mali della scuola italiana derivano proprio dal Sessantotto…). Ci vuole comunque molta immaginazione per pensare che un “elaborato critico” possa avere una funzione così fortemente taumaturgica tanto da riuscire ad inculcare nelle giovani menti (finalmente!) le rette regole del vivere civile e dello stare in comunità.

Sfugge a questa sorta di pedagogia popolare (ma più correttamente andrebbe denominata “pedagogia da bar sport”) la complessità della questione. Probabilmente i ragazzi e le ragazze che esibiscono comportamenti non corretti (o comunque non del tutto corretti, tanto da meritare uno striminzito sei) sanno bene di comportarsi male.
Non difetta loro la conoscenza delle tematiche inerenti la “cittadinanza attiva e solidale”.
Quello che manca è la capacità di adottare comportamenti coerenti con tali conoscenze.
E d’altro canto – ma qui il discorso diventa complesso per legislatori abituati a ragionare en gros – il comportamento di una persona è sempre il risultato di risposte personali e di intrecci interpersonali ed ambientali.
Nel caso di ragazze e ragazzi intervengono fattori anche legati alla crescita, alla contrapposizione con l’autorità per affermare una propria identità, all’identificazione con il gruppo. Insomma, dietro il comportamento c’è sempre una relazione con se stessi, con gli altri e con l’ambienti ed è questa matassa di rapporti che va attentamente considerata per interpretare in modo corretto il comportamento del singolo.
Sarebbe interessante, ad esempio, che per ogni ragazzo/a cui è stato attribuito un sei in comportamento, “l’elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale” venisse prodotto anche dai docenti per sapere cosa non ha funzionato adeguatamente nella relazione e cosa il consiglio di classe avrebbe potuto fare di diverso (o di meglio) per ricondurre quei comportamenti ad una dimensione più accettabile.

Invece, come spesso accade, viene assolutizzato il comportamento degli allievi, come se fosse sganciato da ogni dimensione di intrecci relazionali, credendo in questo modo di “tutelare l’autorevolezza del personale scolastico”.
Ma se questa è la preoccupazione dei nostri legislatori (e del ministro dell’istruzione in particolare) forse dovrebbero prima di tutto essi stessi conferire al personale della scuola tale autorevolezza, mettendo in atto politiche scolastiche che vadano nella direzione di valorizzare ed esaltare il prestigio del personale, ad esempio (in riferimento ai docenti) garantendo un livello retributivo non inferiore alla media degli stipendi dei docenti UE, oppure prevedendo una formazione iniziale che vada oltre il bizantinismo dei 24 – 30 – 60 CFU, concepiti essenzialmente per innalzare i profitti delle università on line, o ancora mettendo in atto un sistema di reclutamento che sia in grado di selezionare veramente i migliori candidati all’insegnamento (e in quanto tali ben retribuiti). Tutto ciò richiede una politica di lungo respiro e un investimento serio sulla scuola e sull’istruzione. Ma di questo non c’è traccia nei progetti politici delle forze politiche.
È più facile adottare un approccio che “scolasticizza” i problemi (come quello del comportamento), ossia che lo tratta come una delle tante incombenze burocratiche (la produzione di un elaborato critico).
L’autorevolezza del personale scolastico può attendere.