Classi aperte e laboratori

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di Giancarlo Cavinato

una scuola comunità
si può fare…scuola al di fuori della classe

Le finalità educative previste dalle Indicazioni Nazionali  possono essere assorbite e soddisfatte completamente nel chiuso di una classe? Noi riteniamo indispensabile l’apertura, la dinamica del comporsi e ricomporsi di gruppi diversi: per età, per incarichi, per percorsi.

 

Nel convegno di Reggio Emilia del 1976 sulla scuola a tempo pieno Daria Ridolfi scriveva: ‘’Noi vogliamo una scuola piena, articolata, multiforme, capace di accogliere ogni bambino con la sua storia, la sua cultura, i suoi interessi, e di porlo in un rapporto utile e stimolante coi coetanei, con gli insegnanti, con l’ambiente.[1]

La proposta che il Movimento di cooperazione educativa sta portando avanti prevede un’articolazione degli spazi e dei tempi della scuola sul modello delle classi aperte.
L’idea che intendiamo sostenere è la proposta di unità tematiche trasversali che affrontino dal punto di vista di diversi approcci disciplinari aspetti della realtà su cui fare ricerca. Non, quindi, un repertorio o un catalogo di obiettivi come nel caso  delle UDA, che rischiano a volte di  ricalcare  le programmazioni tassonomiche, ma una progettazione in itinere fatta di esperienze basate su interessi e motivazioni e di possibili direzioni di sviluppo. Un tema, un aspetto della realtà, può essere affrontato secondo diverse angolature (‘teatri cognitivi’) e con diversi materiali e strumenti a disposizione: leggendone gli aspetti letterari, artistici, musicali, matematici, scientifici, tecnologici, attraverso il coinvolgimento di tutti i sensi, delle emozioni, del corpo, e conseguentemente consentire di produrre diversi tipi di elaborazione da comunicare ad altri: testi, copioni, filmati, e-book, scenari, canti, danze, esperimenti e strumenti per la rilevazione di dati, ….

Si tratta di mettere in atto procedure che consentono che una scuola, una classe, si organizzino attorno a temi comuni attorno a cui operino dei gruppi mobili. Quindi non una scuola come sommatoria di classi.

Nel contempo è necessario rinforzare l’idea che la classe stessa è in primis un laboratorio; la classe non scompare, ma dev’essere il punto di partenza e di arrivo, di sintesi della progettualità ( piani di lavoro, ricerche tematiche, tecniche, rivisitazione strumenti di base per rinforzo a piccoli gruppi, attività individuali).

Un gruppo di insegnanti che intenda sperimentare questa formula ha bisogno di scandire le attività dell’anno in modo coordinato, condividendo le attività fondamentali e quelle di integrazione e arricchimento: impostando assieme il lavoro da svolgere nell’arco dell’anno. [2]

Ancora Daria Ridolfi: ‘Per condurre un lavoro qualificato e gratificante per otto ore al giorno, per poter avere incontri interclasse di piccoli gruppi di bambini, per poter proporre un’ampia gamma di attività, è necessario un alto numero di insegnanti; probabilmente una media di due per classe è appena sufficiente se si considera che la maggioranza delle classi della scuola dell’obbligo è costituita da non meno di 25 alunni ciascuna. Quel che ci pare interessante è che la titolarità, almeno nella prassi pedagogica-didattica, possa essere superata dalle classi aperte. Nel gruppo delle classi parallele gli insegnanti possono ruotare con compiti specifici diversi anche se l’unitarietà dell’insegnamento deve essere salvaguardata al massimo.
Non si tratta di fare dei maestri degli specialisti (nemmeno i professori della scuola media inferiore vanno incoraggiati ad essere professionalmente per la monocultura), si tratta di far emergere una struttura in cui i pregi e i difetti di ogni insegnante- o meglio, le competenze, gli interessi, il modo di mettersi in rapporto con gli altri-siano distribuiti tra i bambini in una giusta e buona alternanza, in una proficua e corretta compenetrazione. Importantissimo è curare che ogni attività non sia voluta dal caso, ma che si inserisca profondamente nella dinamica della giornata di scuola. […]
La scuola a tempo pieno acquista fisionomia di scuola vera se è riuscita a far sì che ogni insegnante esca dal suo secolare isolamento e si metta a lavorare con i colleghi nella realizzazione di un piano di lavoro che spinga verso l’uso alternativo degli spazi, degli strumenti, del tempo, cioè di dare ad ogni scolaro tutte le occasioni educative per crescere, esprimersi, ricercare, ecc
[3]

[1] D. Ridolfi ‘Finalità e problemi della scuola a tempo pieno’ in MCE  ‘La realizzazione della scuola a tempo pieno’, La linea, Padova, 1977

[2] Un’esemplificazione di un possibile schema di lavoro si trova nel capitolo sulle classi aperte nel fascicolo MCE sui 4 passi. In esso di propone che ciascun gruppo di classi coinvolte realizzino attività di interclasse e di laboratorio con varietà di orari nell’arco di un periodo, procedendo poi a scambiare i gruppi fra di loro. Con attività sia di apprendimento che espressivo-creative, manuali, corporee, scientifiche. Realizzare le attività per classi aperte presuppone la compresenza di più insegnanti. Che possono così lavorare con numeri ridotti di bambini. i bambini possono così fruire nel corso dell’anno di una varietà di attività e fare esperienze significative. i gruppi di ragazzi e i periodi di rotazione sono fissi per far sì che ciascun alunno fruisca di tutte le attività proposte.

[3] D. Ridolfi, op. cit., pp.79-81