La notizia di un nuovo cambiamento nella modalità di valutazione alla Scuola Primaria è arrivata a più riprese negli ultimi mesi e ha trovato, come è naturale, accoglienza diversa a seconda dei colleghi. In generale ho percepito un senso di disorientamento di fronte ad annunci non sempre esaustivi e chiari, soprattutto rispetto al quadro pedagogico d’insieme che ispira le scelte valutative. Chi ha sperimentato con efficacia e si è ritrovato a proprio agio nel descrivere gli apprendimenti di alunne e alunni esprime preoccupazione all’idea di dover “tornare” ad una valutazione sintetica. Chi invece ha un vissuto di maggiore fatica rispetto al cambio di paradigma valutativo richiesto dall’Ordinanza sembra sollevato all’idea di poter tornare ad un sistema di valutazione più familiare.
È certamente vero che, aldilà degli annunci, sarà importante vedere il nuovo testo normativo nella sua interezza: i cambiamenti che si intendono apportare riguarderanno solo la valutazione intermedia e finale oppure incideranno anche sulla valutazione in itinere?
I giudizi sintetici sostituiranno i livelli sulle schede di valutazione oppure dovranno essere utilizzati per la valutazione espressa nella quotidianità in classe? La valutazione continuerà ad essere riferita a diversi obiettivi per ciascuna disciplina oppure tornerà ad essere espressa per la disciplina nel suo insieme?
Per rispondere a queste domande e farsi un’idea chiara occorre attendere.
Sembra che una delle motivazioni che hanno condotto a questa “retromarcia” sia legata alla tesi secondo cui le famiglie non capirebbero questa modalità di valutazione e siano confuse. Fare in modo che le famiglie siano messe nelle condizioni di comprendere la valutazione espressa per i loro figli deve certamente essere una preoccupazione della scuola. Così come dovrebbe esserlo quella di fare in modo che alunne e alunni stessi ne comprendano il significato e la funzione nel loro percorso formativo. Nella mia esperienza è stato fondamentale accompagnare le famiglie nella comprensione prima di tutto del significato della valutazione formativa e poi delle modalità concrete del suo utilizzo. Fondamentale è stato individuare strumenti di comunicazione semplici, chiari e di facile accesso: nel nostro caso è stato realizzato un video esplicativo ed è stato organizzato un incontro aperto a tutti i genitori nel quale sono stati presentati i cambiamenti introdotti dall’OM 172 e sono stati raccolti dubbi o domande. Come per noi docenti, anche per le famiglie è stato poi necessario darsi un tempo per accogliere un poco alla volta la novità: le assemblee di classe o i colloqui periodici sono stati quindi l’occasione per riprendere il tema e, visionando insieme le schede di valutazione, chiarire i dubbi e sostenere le famiglie.
Quello che ho visto accadere è stato il passare da un’iniziale fatica, dovuta al fatto che la valutazione in decimi è effettivamente più familiare per degli adulti abituati nella loro esperienza personale a ricevere voti numerici, ad una progressiva comprensione del valore aggiunto costituito dalle parole dei docenti rispetto alle singole esperienze di apprendimento dei loro figli. Particolarmente utile per le famiglie è stato anche, dal mio punto di vista, il fatto di aver individuato livelli di apprendimento non per un’intera disciplina ma per singoli obiettivi: questo ha reso possibile ai genitori capire quali fossero i punti di forza e quali le criticità del percorso di apprendimento anche dentro ad una stessa materia scolastica. Occorre infine ricordare che l’Ordinanza stessa impone che sulle schede di valutazione sia riportata la legenda dei livelli di apprendimento; legenda che ciascun Istituto aveva anche la possibilità di personalizzare trovando le parole più adatte per una maggiore comprensione da parte dei genitori.
Gli ultimi anni hanno rappresentato per la scuola un’avventura molto appassionante e complessa. Con tutte le fatiche e le resistenze del caso, nelle scuole si è tornati a parlare di didattica, di metodologie, di priorità e scelte nell’individuazione degli obiettivi di apprendimento. Questo ha mobilitato migliaia di insegnanti che hanno avviato riflessioni e confronti, anche accesi, dentro e fuori dai propri Istituti. Sono stati erogati corsi di formazione e avviati percorsi di accompagnamento da parte di enti formativi e Università; scritti testi e articoli da parte di pedagogisti e docimologi; impiegate non so quante ore di elaborazione da parte di commissioni e gruppi di lavoro nelle scuole: penso semplicemente che questo immenso patrimonio di riflessione non possa andare perso.
Ritengo che, dopo questi anni così ricchi, fosse doveroso attivare forme di monitoraggio delle scelte in atto e, anche alla luce delle criticità emerse, aprire un confronto e una riflessione approfondita per fare un bilancio serio della sperimentazione, coinvolgendo esperti e docenti, prima di rimettere mano alla normativa. So bene che anche tra i docenti ci sono diverse voci favorevoli a questo “ritorno ai giudizi”, anche in nome della complessità nella formulazione della valutazione in forma descrittiva e formativa. Va ricordato innanzitutto che ai docenti sono state offerte moltissime opportunità formative gratuite per meglio comprendere l’Ordinanza e per confrontarsi sugli aspetti potenzialmente critici della sua applicazione.
È senz’altro vero che in questi anni, nel normale percorso di prove ed errori che accompagna le novità, sono sicuramente emersi aspetti sui quali sono state riscontrate importanti fatiche. Uno di questi è sicuramente il tema della sostenibilità per il docente di questo processo valutativo. È impegnativo? Sicuramente si. Credo che sia impossibile negare l’impegno richiesto al docente nel monitorare nel tempo i percorsi di apprendimento di ciascun alunno della propria classe attraverso diversi strumenti di valutazione e di documentazione, dall’osservazione alle prove di verifica. È innegabile però che il quadro che ne emerge è incredibilmente più ricco e più rispondente all’unicità di ogni alunna e ogni alunno e alla complessità di quello che accade nelle nostre classi ogni giorno. Io credo che valga la pena affrontare questo impegno, sia per restituire i passi fatti da bambine e bambini, sia per affermare la nostra professionalità di docenti.
Penso anche che, in alcuni casi, la fatica possa essere dipesa anche dal fatto di aver voluto applicare strumenti “nuovi”, come i feedback formativi, a modalità di valutazione a cui eravamo abituati (frequenti verifiche scritte, test, ecc.): da questo punto di vista credo che l’Ordinanza ci invitasse a una modalità di valutazione più qualitativa e meno quantitativa, dove l’oggettività e il rigore sono garantiti non dalla frequenza delle rilevazioni ma dalla qualità della documentazione raccolta a testimonianza del percorso di apprendimento di ognuno. In questo momento siamo in attesa di capire quale sarà il quadro generale che definirà la valutazione alla scuola Primaria e dal quale si comprenderà effettivamente quando e come verrà richiesto l’utilizzo dei “giudizi sintetici”.
Premesso questo e precisato che non sono un docimologo, mi sento di dire che questi giudizi richiamano, proprio come i voti numerici, l’idea che la valutazione significhi collocare, o collocarsi, ad un certo punto di una scala graduata. Nella mia esperienza, questo ha un duplice risvolto: da una parte la sinteticità non permette di cogliere la complessità dei percorsi di apprendimento, per cui a due alunni a cui viene attribuito lo stesso giudizio non corrispondono certo due percorsi identici oppure a medesimi giudizi espressi da docenti diversi non corrispondono le stesse manifestazioni dell’apprendimento; in secondo luogo il fatto di attribuire una valutazione su una scala, che sia numerica o di altro tipo, induce più facilmente al confronto con i pari rispetto ai quali collocarsi al di sopra oppure al di sotto, alimentando dinamiche competitive piuttosto che la riflessione sul proprio apprendimento.
Un’altra obiezione che viene a volte formulata suggerisce l’idea che questo grande lavoro relativo alla valutazione tolga tempo prezioso che potrebbe invece essere impiegato per la progettazione delle attività in classe.
Per quanto mi riguarda, io non sono d’accordo: io credo che sia fondamentale che nelle scuole ci si occupi così tanto di valutazione. Lo credo perché non c’è tema così sensibile come questo, e lo dimostra sia il fatto che nelle scuole ci si divida molto sul senso e sulle modalità per attuarla, sia il fatto che la valutazione rientri così spesso nelle proposte di modifica da parte di chi è chiamato ad amministrare la scuola.
Parlare di valutazione significa confrontarsi sull’idea stessa di scuola e sul ruolo che in essa si ritiene debbano avere alunni e insegnanti. È per questo motivo, secondo me, che parlare di valutazione non significhi affatto non concentrarsi su come insegnare meglio, ma voglia dire esattamente quello. L’OM 172, ad esempio, introducendo le quattro dimensioni come criterio per guidare la valutazione (e quindi la progettazione), ha costretto noi insegnanti a chiederci se le attività che eravamo soliti proporre promuovessero oppure no l’autonomia di alunne e alunni; ci ha chiesto di ripensare la nostra didattica perché mettesse i bambini di fronte sia a situazioni note, quindi routinarie, sia a situazioni non note, quindi di natura concettuale, più complesse e dove fosse contemplato l’uso di diversi codici o l’attivazione di meccanismi metacognitivi; ci ha spronato a riconsiderare il ruolo delle alunne e degli alunni nelle nostre attività, valorizzando esplicitamente le risorse attivate da ciascuno di loro. Questo ha significato, mentre parlavamo di valutazione, concentrarci proprio su cosa e come ritenessimo importante insegnare.
(*) Mario Fratelli è insegnante di scuola primaria dell’Istituto Comprensivo “Mastri Caravaggini” di Caravaggio (Bg). Laureato in Scienze della Formazione Primaria, in seguito all’applicazione dell’OM 172/2020, è stato tra i referenti per il suo Istituto nella formazione territoriale ed è stato selezionato per la formazione nazionale dei formatori prevista dall’Ordinanza.