Temi in classe

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di Stefano Penge

Ma allora cosa si può fare con questa benedetta intelligenza artificiale generativa nell’educazione? Va scansata, ignorata altezzosamente?

Certo che no. Perché al di là della sua forma attuale (il prompt appunto) si tratta di un passaggio importante non solo tecnico, ma culturale e sociale. La frenesia con cui persone che hanno ignorato fino a ieri l’esistenza stessa di software “intelligenti” si sono buttate a creare testi e immagini sulla base di ricette ha una radice che merita di essere studiata e capita.

 

Si potrebbero “importare” alcuni dei temi toccati fin qui all’interno delle materie e delle lezioni tradizionali. Le storie (della filosofia, della letteratura, dell’arte ) sono discipline in cui è facile trovar loro posto.

Per esempio:

  • i prodotti dell’IA generativa sono analitici o sintetici? A priori o a posteriori?
  • il symbolum niceno-costantinopolitano e la differenza tra generazione e creazione;
  • copiare è bello: novità e tradizione tra classicismo e romanticismo;
  • automi nella letteratura, da Esiodo a Čapek;
  • Narciso e l’amore per la propria immagine, da Caravaggio a Freud;

In sostanza si tratterebbe di ricondurre la novità nell’alveo della tradizione. Un procedimento tipico della scuola, che tranquillizza tutti, ma a mio avvisto rischia di non porta a grandi passi avanti.
Forse si può fare qualcosa di più.

Intanto la discussione che precede e segue l’uso del prompt può più essere utile e interessante. Probabilmente questa è la parte più importante di ogni utilizzo didattico di tecnologie non create esplicitamente per l’apprendimento, dai laboratori linguistici alle LIM: ricostruirne la genesi e gli obbiettivi, provare a capirne il funzionamento, valutarne il bilancio guadagni-concessioni.

Una questione centrale per la generazione dei testi è quella del feedback. Le tecnologie usano spesso il feedback, anzi si può dire che la cibernetica (la “nonna” dell’intelligenza artificiale) sia nata proprio da quest’idea di retroazione. Un esempio che conosciamo tutti: il riscaldamento gestito tramite un termostato. Anche i motori di ricerca usano i feedback degli utenti, ma in maniera  trasparente: se un utente clicca su uno dei risultati della lista, il motore suppone che quel risultato sia correlato altamente alla richiesta. Questo ne aumenta la probabilità di essere nuovamente presentato ai primi posti come risultato ad una ricerca uguale o simile. L’uso di un motore di ricerca modifica i risultati delle prossime ricerche, non solo di quell’utente ma di tutti. E’ un po’ come attivare il servizio che riceve di dati dai satelliti GPS e usarlo per le mappe di Google: non ci si limita a ricevere un servizio, ma si contribuisce a costruirne il valore [https://www.stefanopenge.it/wp/mappe-personali/ ].
Con il paradosso noto per cui se migliaia di automobilisti, per evitare un ingorgo sull’autostrada segnalato dal navigatore, prendono l’uscita prima dell’ingorgo, quell’uscita dopo pochi minuti si intasa peggio dell’autostrada stessa; quindi converrebbe non dar retta al navigatore e restare sull’autostrada, ma se nessuno gli dà retta l’ingorgo aumenta, eccetera eccetera.

Anche nel caso dei prompt si presenta una situazione simile. Il modello linguistico che permette di produrre  testi  è oggi addestrato sui testi scritti da umani, come Wikipedia. Ma è talmente facile produrre testi che presto le voci di Wikipedia (tra le altre cose) saranno realizzate tramite servizi di intelligenza generativa. A quel punto  i testi generati automaticamente diventeranno parte dei dati sui quali verranno costruiti i prossimi modelli linguistici. Siccome però la qualità e l’attendibilità attuale dei generatori di testi derivano da quelle della base di dati usata per l’addestramento (cioè dal meccanismo di controllo incrociato degli utenti di Wikipedia), si rischierà un circolo vizioso per cui il servizio di intelligenza generativa impara dai propri errori (nel senso deleterio dell’espressione: gli errori potranno aumentare, invece di diminuire, con l’uso).

State pensando che queste discussioni però  non si fanno sulle altre tecnologie usate a scuola (il mappamondo, il vocabolario, il libro)? Vero, ma si potrebbero fare. Nessuna di queste tecnologie è neutra; ognuna offre vantaggi in termini di velocità, chiarezza e condivisibilità; ognuna nasconde delle impostazioni di default che producono dei bias invisibili, di cui non ci si rende conto (come la proiezione di Mercatore per le mappe).

Ma così si perde tempo e non si finisce il programma? Sicuro. Qui entriamo nel labirinto della libertà di insegnamento e della concezione di ogni docente del significato del termine “educazione”.
Le riflessioni comuni non devono però limitarsi all’oggetto tecnologico in sé. In precedenza abbiamo indicato cinque temi, che certo non nascono con i prompt ma che andrebbero rilette nella luce che i servizi di intelligenza generativa gettano sopra ognuna di essi. Si tratta di temi che vanno oltre le questioni tecniche o didattiche e hanno a che fare con il modello di società che si sta costruendo, più o meno consapevolmente, e in particolare il concetto di lavoro e quello di valore.

In sintesi estrema: la maniera particolare con la quale questi sistemi eseguono il compito per il quale sono stati progettati e realizzati cambia non solo il tempo medio necessario per la loro esecuzione – e quindi il valore di questo tempo – ma anche il valore del prodotto. Questo fenomeno lo abbiamo già visto quando si sono affermati i prodotti industriali al posto di quelli artigianali: di bassa qualità, standardizzati, ma molto più economici e rapidi da produrre. Con due differenze enormi. Nelle rivoluzioni industriali del passato i nuovi prodotti erano oggetti materiali replicati a partire da uno “stampo”, cioè uno schema, un progetto, un modello che veniva seguito esattamente. Lo stampo veniva riempito con materie prime, o magari lavorate, ma comunque fisiche, quindi disponibili in quantità limitata e ad un certo costo.

La rivoluzione informatica è figlia di quella ottocentesca, ma fa a meno della materia fisica (la sostituisce, potremmo dire metaforicamente, con i bit); non fa però a meno dello stampo, che è il programma. Anzi, generalizzando, potremmo dire che anche lo schema di una penna Bic è un programma che viene eseguito ogni volta che viene prodotta una delle penne, esattamente come una newsletter inviata a milioni di destinatari è frutto dell’applicazione di uno schema. Entrambi gli schemi sono deterministici, nel senso che hanno come fine quello di ottenere copie indistinguibili del prodotto; nel secondo caso però queste copie non sono oggetti materiali ma artefatti simbolici.

Neanche i prodotti dei servizi di intelligenza generativa sono oggetti materiali; solo che per questi non è disponibile uno stampo. Non sono riproduzioni; sono produzioni, ogni volta differenti. Il risparmio qui non è calcolabile in termini di forza necessaria, ma di competenza cristallizzata.  E’ come se avessimo riprodotto milioni di artigiani, tutti diversi, tutti capaci di generare prodotti personalizzati a partire da una materia virtuale che è un sistema simbolico (verbale o visivo o sonoro).

Questa differenza non è casuale o secondaria, ma è proprio il fine della “terza” rivoluzione industriale, come viene chiamata quella delle intelligenze artificiali.

Dunque in un contesto educativo (che sia scuola, università, formazione professionale e non formale) si può cercare di guardare un po’ avanti e immaginare cosa potrebbe succedere nei campi del lavoro, della formazione, della produzione.

  1. Che succede al lavoro e ai lavori, in particolare quelli legati alla trasformazione della conoscenza? Questi strumenti si possono ancora usare come un supporto alle persone o sono stati progettati apposta per sostituirle?
  2. Cosa succede alla formazione? Verrà divisa in formazione “alta”, personalizzata, affidata ancora docenti umani e formazione “democratica”, standard, gestita solo tramite tutor artificiali basati su grandi modelli linguistici?
  3. Il costo energetico per la creazione e gestione dei servizi di generazione di opere sarà il limite che ne consentirà l’uso solo nei Paesi ricchi? Sarà riservato alla parte ricca o potente di queste società?
  4. La virtualizzazione delle macchine sarà sempre più diffusa e avrà degli effetti duraturi, ad esempio sulla piccola industria? O addirittura sulla costruzione dell’esperienza nei bambini?
  5. La facilità di generazione automatica di opere a partire da prompt modificherà la maniera di valutarle in generale? Che valore (anche economico) hanno un testo o un’immagine diversi da tutti gli altri ma producibili all’infinito?

La maniera concreta di fare questo esercizio può essere differente in base al contesto (l’età, il tempo a disposizione, la capacità di interagire e far interagire).

Una lezione frontale ricca di riferimenti ed esempi?
Molte diverse ricerche che si traducono in una condivisione dei risultati?
Una discussione orale che mette in gioco i sentimenti e le opinioni?
Una scrittura personale di testi secondo modelli diversi (non necessariamente saggistici: il racconto di fantascienza si presta bene a questo tipo di esercizio)?
Una messa in scena collettiva di questi testi (a teatro, in un video, in un’animazione)?
Alcune di queste attività o tutte insieme?

Probabilmente l’idea stessa di trattare questi argomenti nel chiuso di una classe è sbagliata. Il punto di vista (l’età, la classe sociale, la lingua, la posizione geografica) sono importanti sia come punti di partenza che come punti d’arrivo. Per chi è importante il destino della formazione o il costo energetico in termini di fonti non rinnovabili? Certo non per tutti allo stesso modo.
Allora, se possibile, riuscire a costruire un dialogo mettendo insieme persone che vivono in contesti diversi potrebbe essere l’unico modo per capire l’impatto della rivoluzione del prompt per tutti.