Il ritmo inarrestabile dello sviluppo delle conoscenze che bisogna possedere per non restare ai margini dell’attuale società ridisegna i compiti che la scuola deve affrontare.
Un problema di non facile e immediata soluzione. La sua complessità è costituita anche dal fatto che media e internet hanno qualcosa che la scuola non sempre possiede per definire il proprio rapporto con le nuove generazioni: la capacità di seduzione e di coinvolgimento.
Si dice con monotonia sempre più assillante che per inserirsi in una società, segnata dalle continue trasformazioni dei suoi assetti economico-sociali e dalle innovazioni permanenti del patrimonio tecnologico e scientifico, e per essere capaci di dominare l’incertezza che per questi motivi si viene a determinare occorra un considerevole bagaglio di saperi e di competenze e soprattutto che si debba essere capaci di apprendere ad apprendere.
Se ne è fatto uno scopo e anche uno slogan…
Si sa che non si finisce mai di apprendere, che l’apprendimento è inevitabilmente permanente, perché è una condizione esistenziale e coincide con la stessa durata della vita di una persona.
L’apprendimento è un bisogno individuale che si trasforma in intenzione di apprendere, in desiderio di apprendere solo quando se ne fa un fine della propria vita , quando c’è una buona ragione.
Lo si può fare confusamente, lo si può fare con metodo, ma non senza una precisa direzione.
Oggi si dice, invece, che è necessario ed utile apprendere e soprattutto apprendere ad apprendere.
Questa indicazione non può essere ridotta ad una tecnica, ad un metodo, ad una procedura del pensiero.
E’ invece con tutta evidenza un imperativo morale per una persona, centrato sulla sua responsabilità umana nei confronti di se stesso e della società.
Senza vastità di interessi, senza un preciso orientamento di pensiero questo principio diventa un semplice attrezzo del mestiere di vivere, un possibile salvagente per non sparire nei flutti incontrollabili della società della conoscenza, per restare sul mercato.
Preoccupazione legittima, ma che intinge le migliori intenzioni nel consueto veleno dell’impostazione economicistica dei problemi della conoscenza e della formazione.
Bisogna fare emergere nei giovani il desiderio di apprendere e coltivarlo; ma non basta mostrare gli aspetti utili e le convenienze sociali dei saperi.
Il sapere deve avere un “senso” per chi lo deve possedere.
Deve inserirsi, cioè, dentro un sistema di significati personali: quelli che orientano i comportamenti e le scelte delle persone.
Deve innestarsi in una tensione continua all’allargamento del proprio orizzonte, della propria appartenenza; deve scaturire dal piacere di meravigliarsi e di lasciarsi stupire dal mondo e dalle persone; deve rispondere all’incoercibile bisogno di scacciare le paure e di emanciparsi dai pregiudizi.
Sapere aude proclamava Kant!
La capacità di apprendere deve sempre essere funzionale al bisogno di destabilizzare e di ricostruire il proprio sistema di rappresentazioni e di valori per disporre di un mondo alla propria portata e di un sistema di intelligibilità della realtà.
La capacità di apprendere ad apprendere nella persona implica dimensioni cognitive, emotive, sociali senza le quali rimane un’aspirazione vuota, quasi una costrizione.
L’apprendimento di cui si sta discutendo, non è quello naturale, ma quello sociale determinato da un’intenzione di fare apprendere e di volere apprendere al momento giusto e nel modo giusto e per scopi che non possono ridursi al timore di una marginalizzazione in una società che della competizione vuol fare l’unico principio di regolazione dei rapporti umani , che non fa del sapere una risorsa per vivere tutti meglio, ma un mezzo per vivere eventualmente meglio da soli.
Credo che a scuola non si possa e non si debba accettare lo snaturamento di un tratto costitutivo dell’essere umano. “Tutti gli uomini tendono per natura al sapere.”(Aristotile) “L’esercitare la sapienza e il conoscere sono desiderabili per se stessi dagli uomini; non è possibile infatti vivere da uomini senza queste cose ed inoltre sono utili per la vita”(Aristotele).