Le buone parole della scuola: EFFICACIA ED EFFICIENZA

   Invia l'articolo in formato PDF   
image_pdfimage_print

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Raimondo Giunta

Il modello della scuola efficace ed efficiente è quello che in un certo momento, dopo le riforme che hanno segnato il mondo dell’istruzione a partire dagli anni sessanta fino a tutti quelli degli anni ottanta del secolo passato, ha incominciato a mietere consensi tra i responsabili delle politiche scolastiche.
In poche parole, dandosi per risolto il problema dell’equità con l’irruzione in massa delle nuove generazioni nelle classi dell’istruzione secondaria e nei corsi dell’ università e ritenendo economicamente ingiustificabile un aumento costante delle spese per l’istruzione, si è cominciato a porre il problema di razionalizzare sia la spesa pubblica per l’istruzione, sia l’organizzazione del sistema scolastico e anche le stesse procedure didattiche per avere a parità di costi e di risorse impiegate migliori risultati.
Si è passati da una situazione in cui si pensava che ci fossero solo obblighi di fornire mezzi e risorse alla scuola per espanderla ed arricchirla ad una situazione in cui si è incominciato a pensare che la scuola debba essere obbligata a dare precise risposte in termini di risultati socialmente apprezzabili, su cui commisurare la bontà dei finanziamenti e delle politiche scolastiche.
Raggiungere i risultati sperati e programmati, utilizzando nel modo migliore i mezzi disponibili, dovrebbe far parte del buon senso e della buona amministrazione. La spesa pubblica dell’istruzione deve essere commisurata ai compiti che gli vengono assegnati e alle sue crescenti e nuove responsabilità; sicuramente non dovrebbe essere ridotta, anche se ragionevolmente può essere modificata nella sua composizione.
Una politica scolastica, d’altronde, concentrata solo sulla razionalizzazione dei costi e dell’impiego delle risorse può incidere negativamente sulla portata e sul significato sia dei problemi educativi, sia dei problemi di democrazia e di giustizia a scuola. Rimanendo solo in un ambito di economia dell’istruzione non è difficile perdere di vista le finalità che deve perseguire il sistema di istruzione; è facile dimenticare che l’istruzione è un bene comune che va tutelato e reso disponibile per tutti.
La spesa per l’istruzione non può essere giustificata solo per il contributo che darebbe alla costituzione e allo sviluppo del capitale umano di cui deve alimentarsi una società proiettata nella competizione mondiale dei mercati. Una considerazione del genere può giustificare l’espansione dei costi dell’istruzione, ma può anche alimentare il convincimento della necessità di una stretta subordinazione del sistema d’istruzione e formazione a quello economico. Una tendenza (mai allontanata…) che ridurrebbe il valore della cultura e del sapere e che comporterebbe una strumentalizzazione dei saperi a danno della ricchezza e varietà delle esigenze di sviluppo e di crescita della persona e della società.
In questo intreccio di problemi si nasconde il rischio che la scuola perda la sua vera autonomia, perché perderebbe il controllo del proprio programma culturale, perchè accetterebbe una logica di adeguamento e di condiscendenza che la priverebbe di molte delle sue necessarie funzioni.
Il sistema di istruzione deve procedere, invece, ad una logica di integrazione con la società e con altri centri e agenzie di formazione; fatto che è reso possibile solo se mantiene la capacità di proporre criteri di riferimento per stabilire la gerarchia dei valori e dei saperi e la capacità di dettare codici di comportamento, di organizzazione delle procedure di apprendimento e le regole proprie di comunicazione.
Dal paradigma riformistico dell’efficacia e dell’efficienza sono scaturite alcune scelte delle amministrazioni degli ultimi anni. Vanno citate la riorganizzazione territoriale del servizio scolastico; la ridefinizione del management delle singole scuole, la razionalizzazione degli indirizzi di studio e dei gradi di istruzione, la razionalizzazione degli obiettivi pedagogici, la misurabilità dei risultati scolastici.
Ognuno di questi argomenti meriterebbe una esposizione, adeguata e separata, ma in questa sede ci si limita a delinearli nei tratti essenziali.

AUTONOMIA SCOLASTICA

L’autonomia scolastica è uno dei cardini del paradigma dell’efficacia/efficienza, ma anche il tema delle maggiori preoccupazioni sulle sorti del sistema d’istruzione. Con l’autonomia si crede di risolvere il problema dell’inefficienza di un’organizzazione che non riesce più a dare prestazioni di servizio di qualità a milioni di persone e ad amministrare centinaia di migliaia di dipendenti, ma anche quello di flessibilizzare i curricoli per dare spazio alle problematiche locali
Con l’autonomia scolastica il territorio non dovrebbe essere più un ambito di colonizzazione culturale da parte di uno stato nazionale che vuole determinare valori e saperi per tutti, ma un partner educativo in quanto spazio specifico di conservazione di culture, di valori, di simboli e di saperi che vanno conosciuti e compresi e non più censurati e sviliti come nel passato, anche perchè determinanti ancora nella condizione e nei vissuti degli alunni.
L’autonomia dovrebbe consentire di mediare tra le esigenze nazionali e le emergenze locali, che possono essere di natura sociale, culturale, economica. La scuola si può arricchire, perchè si possono recuperare gli elementi di continuità e di contiguità col mondo circostante; la scuola può diventare luogo di ricostruzione della memoria e delle tradizioni locali, può aiutare a fare emergere negli alunni la consapevolezza della propria appartenenza ad una comunità e della propria identità.
L’autonomia è un’idea che funziona, se funziona il rapporto tra singolo istituto, amministrazione centrale ed enti territoriali (Comune e Regione). Allo stato attuale non sempre si è vicini ai risultati sperati sia per le difficoltà che gli enti locali spesso incontrano nella definizione della propria politica scolastica e culturale e nella formulazione delle esigenze di formazione e di istruzione delle comunità amministrate, sia per le difficoltà che incontrano le scuole, anche quando sono in rete, nel costituirsi come partner credibili non solo degli enti locali ma anche delle realtà economiche, sociali e culturali di un territorio.

DIRIGENZA SCOLASTICA

Ad una scuola autonoma si è fatto corrispondere un dirigente scolastico con più poteri e un regolamento di contabilità più flessibile rispetto a quello del passato per rendere più agevole e rapida la realizzazione di una decisione. L’esiguità dei fondi disponibile si è premurata di ridimensionare le ambizioni di questa scelta. L’incongruenza di queste innovazioni sta tutta nell’avere privilegiato gli aspetti generali e amministrativi della funzione direttiva a danno di quelli specifici di controllo epistemologico e pedagogico del curriculum come avveniva con i “dismessi” presidi di un tempo. Succede allora che per un’autonomia che qualcosa concede in termini di integrazione dell’offerta formativa si prefigura un dirigente che può saper fare tutto e non padroneggiare l’ambito culturale e professionale di un curriculum, dei cui risultati sarebbe tenuto a rendere conto. A questa intrinseca debolezza si affianca il fatto che nella scuola le figure intermedie tra dirigente e corpo docente non abbiano un preciso statuto professionale e dipendano dall’aleatorietà o peggio ancora dall’arbitrarietà delle scelte collegiali o dirigenziali.

RAZIONALIZZAZIONE DEGLI INDIRIZZI DI STUDIO E DEI GRADI DI ISTRUZIONE.

E’ stata un’esigenza diffusa nella società e tra gli operatori della scuola che si procedesse, come è stato fatto con i nuovi regolamenti degli ultimi anni sul riordino dell’istruzione secondaria, ad una semplificazione dell’aggrovigliato panorama di indirizzi e di corsi di studio che si era venuto a creare con il DPR 419/74 sulla sperimentazione. Un certo modo di intendere e di praticare il riformismo a scuola di fatto aveva prodotto una crescita costante di ore di lezioni, di discipline e una proliferazione di curricoli e di proposte formative, che a volte avevano fondamento solo nell’immaginazione dei collegi di docenti.
Permane ancora dopo il riaggiustamento delle superiori il problema del ruolo dell’istruzione professionale, costituitasi nel tempo nel sistema statale d’istruzione quando ancora le regioni non esistevano e mantenuta ancora in esso per l’evidente incapacità nel passato di molte amministrazioni regionali di darle respiro, funzionalità, organizzazione e qualità. Nonostante le modifiche curriculari e l’impegno a darle una forte e distinta fisionomia l’istruzione professionale è ancora relativamente diversa rispetto a quella tecnica; non solo, deve anche verificare sempre in modo corretto e funzionale il rapporto che deve avere con la formazione regionale.
A rigore il sistema duale di istruzione e formazione sarebbe più razionale rispetto a quello che si è venuto a costituire in Italia, ma per l’accettazione di questo modello sorgono le obiezioni fondamentali dell’inerzia e dell’incapacità di un bel numero di regioni e la tradizione seria degli istituti tecnici statali, una specificità del sistema scolastico italiano, che dopo la breve parentesi dell’era morattiana nessuno si sente più di cancellare.
Sempre in funzione di questa esigenza di efficienza e di efficacia si è decisi di dare sistematicità all’istruzione terziaria, nè scolarizzata, nè accademica, istituendo gli istituti tecnici superiori, rimodulando gli IFTS.
La preparazione finale dell’istruzione secondaria nel terzo millennio necessariamente si realizza nel livello della professionalità di base, perchè ragionevolmente si assegna al nuovo segmento dell’istruzione terziaria il compito di mettersi in sintonia con i bisogni di competenze del complessivo sistema economico.
Non è ancora risolto, a mio parere, il rapporto tra scuola primaria e secondaria di primo grado; nei fatti per la riduzione della popolazione scolastica le scuole medie autonome sono in via di sparizione, ma ce ne vuole si strada per un curriculum che sia unitario e si differenzi nello stesso tempo per l’età che va dai sei anni ai tredici.

LA RETE SCOLASTICA

E’ in qualche modo un corollario dell’esigenza di razionalizzazione del sistema dell’istruzione che contestualmente si sia proceduto e si continui a procedere ad un riassetto delle sedi scolastiche per potere garantire investimenti adeguati nelle tecnologie e in dotazioni di alto livello (biblioteche, laboratori, spazi aperti, mense etc) e per disporre di un numero sufficiente di alunni per classe e per sede scolastica. L’eccessiva dispersione eleva il costo d’impianto e di gestione, anche se per certi gradi di istruzione la prossimità della sede garantisce un migliore servizio alla persona e tutela il diritto alla formazione meglio di qualsiasi “ricchezza tecnologica”.
Le modalità scelte per razionalizzare la rete scolastica a volte hanno provocato un deterioramento organizzativo e gestionale della vita scolastica e l ‘abbassamento della qualità dei processi di apprendimento e spesso non hanno avuto altra giustificazione se non quella del raggiungimento del parametro numerico per l’assegnazione o il mantenimento dell’autonomia ad un istituto scolastico.

RAZIONALIZZAZIONE DEGLI OBIETTIVI PEDAGOGICI

A partire dagli anni ’90 è cresciuta nel mondo della scuola un’esigenza di precisione e di efficacia nelle attività formative per potere disporre di risultati d’apprendimento certi e non aleatori. Sia nella pedagogia degli obiettivi che nel più recente approccio per competenze è evidente l’accoglimento della sollecitazione a rendere rigoroso il procedimento di insegnamento, a esplicitare in termini di compiti precisi, accessibili, osservabili i risultati d’apprendimento, a selezionare e a standardizzare gli elementi del sapere congrui con questo scopo e a individuare i modi esatti per valutare la corrispondenza tra ciò che era atteso e ciò che viene accertato. E tutto questo in un quadro rigoroso di contingentamento dei tempi per ogni sequenza d’insegnamento, comunque viene la voglia di nominarla(unità didattica, unità d’apprendimento, modulo, unità formativa capitalizzabile etc.).
Sia la pedagogia per obiettivi, sia l’approccio per competenze delineano un progetto di razionalizzazione dell’organizzazione didattica; la pedagogia degli obiettivi, in particolare, lascia in eredità a qualsiasi altro indirizzo che voglia cimentarsi con il paradigma dell’efficacia e dell’efficienza una teoria generale dell’azione che non propone alcun valore se non quella dell’efficacia operatoria e per questo esalta i valori dell’operazionalità delle mete educative. L’approccio per competenze svolge la sua missione razionalizzatrice ponendosi come funzione di mediazione, come interfaccia tra esigenze del sistema produttivo e istituzioni formative.
Ma è davvero razionale il progetto di potere dominare e controllare l’insieme delle relazioni che si instaurano nel rapporto educativo?
La razionalizzazione completa delle relazioni pedagogiche comporta la cancellazione del faccia a faccia in classe, la disumanizzazione in un mestiere che di più umano non ce n’è. Programmare le azioni educative non è programmare la produzione di un bene industriale; non ci vuol molto a capire che il percorso formativo non è rettilineo, senza scarti e resistenze e che senza questa consapevolezza si rischia di rasentare la follia(D.Hameline).
In pedagogia bisogna rassegnarsi.
“E’ impossibile aprire il registro delle certezze”(Ph.Meirieu).

MISURABILITTA’ DEI RISULTATI SCOLASTICI

Dire qualcosa con certezza sui risultati d’apprendimento è stato l’obiettivo perseguito per decenni dalle varie correnti di docimologia che hanno coltivato il sogno della misura esatta nella valutazione.
Si è cercato di risolvere il giudizio di valore nel giudizio di realtà, ma ridotta a poche o addirittura ad una sola dimensione;si è voluto espellere dalle operazioni di valutazione la dimensione ermeneutica, quantificando ciò che non è assolutamente e sempre ponderabile.
Il raggiungimento di questo obiettivo è ritenuto funzionale per migliorare le decisioni sull’apprendimento degli alunni, per migliorare la qualità dell’insegnamento, per dare garanzie sulla credibilità dei titoli di studio rilasciati. Disporre di valutazioni esatte per potere regolare sia i processi di apprendimento, ma anche per potere regolare il sistema di istruzione nel suo insieme. Un rigoroso e puntuale sistema di accertamento dei risultati di apprendimento viene ritenuto il fondamento necessario di tutte le azioni di politica scolastica; sorregge il bisogno di informazione sul funzionamento del sistema scolastico, ai fini di una considerazione dell’efficacia e dell’efficienza degli investimenti pubblici destinati ad esso. Qualsiasi società non può non chiedersi se un sistema di istruzione funzioni e quale sia il contributo che ha dato e deve dare alla costruzione della società della conoscenza e all’economia della conoscenza. La scuola non è un’azienda, ma senza dubbio è un’organizzazione che deve essere valutata nelle sue procedure e nei suoi risultati.
Con l’autonomia la valutazione delle procedure e dei risultati di ogni singola scuola dovrebbe essere considerata un servizio per tutti: operatori, utenti, istituzioni.
Il modello della scuola efficace ed efficiente viene formalmente condiviso da tutti, ma i costi che comporta non convincono e non vengono accettati da molti.
L’inefficienza, però, del sistema scolastico e formativo con la quale si convive da tempo comporta danni sociali di una certa gravità: costi elevati senza rendimento, modeste opportunità per coltivare e sviluppare le proprie attitudini, incongruenza con le esigenze della società. Bisogna farsene una ragione: l’aggravamento e la durata delle difficoltà e delle inefficienze della scuola rischiano di mettere in discussione l’esistenza dell’istruzione pubblica e rendono incerta la sua difesa e la sua salvaguardia. Evidentemente alla scuola per essere servizio sociale, istituzione pubblica, luogo di trasmissione dei saperi e di formazione della cittadinanza non può bastare l’economia dell’istruzione; ad essa servono idee sul futuro della società e idee sull’umanità che vorremmo per i nostri giovani.
Il fine primario del sistema scolastico, la sua redditività per usare il lessico economico, è la formazione, l’educazione dei giovani nella più ampia e varia accezione del termine.