“La divisione politica si situa tra coloro che affidano alla scuola il compito di trasmettere una somma di saperi tecnici tali da garantire al termine l’impiegabilità del soggetto e coloro per i quali la scuola ha una vocazione culturale che supera la somma delle competenze tecniche che essa permette di acquisire” (Philippe Meirieu)
LA LIBERTA’ DELL’INSEGNANTE
Ciò che dovrebbe fare l’insegnante a scuola in gran parte è stabilito dall’amministrazione dello Stato attraverso i suoi ordinamenti; in gran parte, perché in democrazia qualche voce in capitolo dovrebbero averla genitori e alunni.
In una parola non è lasciato al suo arbitrio ciò che va fatto,
L ‘incidenza delle leggi e delle direttive ministeriali, però, se può svilupparsi sui contenuti del curriculum, non può e non dovrebbe pesare sull’organizzazione dell’attività didattica, che appartiene alla responsabilità professionale dell’insegnante,
L’amministrazione, nell’esercizio dei suoi poteri deve rispettare i principi e i valori sanciti nelle norme costituzionali, che dell’insegnante tutelano la libertà e la dignità,
Se non vuole ridursi ad un semplice operatore tecnico a cui ogni giorno vengono date le istruzioni per lavorare, l’insegnante deve farsi una propria idea di società, di scuola e d’insegnamento, coltivarla e confrontarla con le pratiche che gli vengono richieste,
Solo su questo solido fondamento è possibile difendere il proprio diritto alla libertà di insegnamento,
L’ insegnante deve sapere che la sua libertà a scuola è al riparo dalle ingiunzioni e dai tentativi che la vogliono limitare, se è vasta e indiscutibile la sua cultura e se la sua attività didattica è improntata ad una irreprensibile correttezza professionale e al rispetto dell’autonomia e della dignità dell’alunno,
La società farebbe a meno degli insegnanti liberi, ma alla crescita dei giovani sono utili solo quelli intellettualmente autonomi, ”Nell’educazione l’autonomia è essenzialmente autonomia di decisione; è libertà di interpretazione; è capacità di pensare lontano; è prefigurazione di scenari che per quanto sbagliati possano essere ,lo saranno sempre di meno di quelli sollecitati da un senso comune incapace di progettualità educativa e subalterno a modelli di interpretazione del reale che rispondono a tutt’altre logiche” (B, Vertecchi)
Il lavoro dell’insegnante, oggi, non gode il prestigio sociale di un tempo ed è fatto oggetto spesso di critiche immotivate da parte dei media, delle famiglie e della propria amministrazione e tutto questo nonostante siano cresciuti la complessità dei suoi compiti e il carico degli adempimenti, Sembra a volte che deliberatamente non si voglia riconoscerne la peculiarità, il significato e il valore civico indispensabile per la società, Si trascura il fatto che l’insegnamento solo con la collaborazione e col sostegno dei partner sociali e istituzionali può dare frutti, perché grandi e difficili sono le sfide che deve affrontare e superare,
LE SFIDE DELLA SCUOLA
Il lavoro dell’insegnante è sfidato, messo a dura prova, perché deve svolgersi in ambienti di apprendimento che non hanno più i confini dello spazio-aula, perché deve rivolgersi ad una popolazione scolastica sempre più multietnica e multiculturale, e tenere presente la differenziazione dei bisogni educativi (famiglie disperse, migrazioni etc, ) di una società in cui con l’ampliamento del diritto all’istruzione e alla formazione di fatto si è alzato il livello delle sue ambizioni sociali ,
Su questo fronte un insegnante democratico e aperto, anche se dovesse essere isolato, anche se non viene apprezzato per quello che fa e vale, deve impegnarsi senza cedimenti e compromessi, perché una così grande conquista di civiltà non venga vanificata.
In una scuola che pretende di definirsi come comunità educativa nessuno può essere condannato all’insuccesso e all’esclusione,
Nella trasmissione dei saperi e della cultura né la scuola né gli insegnanti possono darsi come obiettivo l’abbandono di una parte degli alunni. La scuola e gli insegnanti non possono dimenticare che il loro ruolo non può non essere legato ad un progetto di liberazione umana e intellettuale, allo sviluppo dell’umanità di ogni alunno,
Le sfide che si devono affrontare quotidianamente a scuola si riassumono in quella dell’educabilità di ogni alunno e quindi nel suo diritto/dovere ad apprendere. L’educabilità di ogni alunno è un criterio di orientamento a cui ogni docente dovrebbe ispirarsi per difendere il suo insegnamento dalle ingiunzioni del sistema , che nonostante i suoi alti proclami pretende solo risultati, molti dei quali indifferenti alla crescita degli alunni che gli vengono affidati, ”E’ evidente che nell’ambito di concezioni utilitarie l’educazione perde la sua autonomia”(B. Vertecchi).
Piegarsi alla sudditanza di certe prescrizioni dal netto sapore economicistico è un tradimento della funzione educativa.
La cultura del risultato cui soggiace quella della valutazione, soprattutto quando si molestano le scuole con asfissianti e ripetute richieste di reperimento di dati, ha impoverito la vita delle scuole e rende difficile una buona educazione dei giovani,
UNA SCUOLA SENZA SCARTI UMANI
Si promuove e si esalta la centralità degli alunni nel processo educativo, senza fare cenno alle difficoltà che si incontrano in un sistema in cui di fatto, soprattutto con l’accettazione dogmatica dell’’approccio per competenze, al centro sono state messe le esigenze dell’apparato economico.
Non è senza costi lavorare per la crescita degli alunni e questo tra le tante cose significa togliere gli ostacoli al loro apprendimento, apprezzare i loro progressi nel profitto, non colpevolizzare i loro errori, ascoltarli, ma anche metterli alla prova.
Per mettere al centro dei processi formativi gli alunni bisogna battersi contro l’idolatria del risultato immediato; occorre togliere all’insegnamento certe scorie professionistiche che a volte rendono gli insegnanti insensibili alle richieste di confidenza, di aiuto e anche di affetto, perché l’insegnante educa con il comportamento, non solo con le parole della sua disciplina.
A quanti queste indicazioni fanno storcere la bocca si deve ricordare che la gestione delle relazioni umane è cruciale per assicurare un buon clima interno alla classe e che solo su questo solido fondamento possono innestarsi con successo anche le pratiche didattiche che presentano un certo grado di difficoltà.
L’educazione dei giovani è una questione di incontri positivi: ”quello del preside con gli insegnanti, quello degli insegnanti con gli alunni, quello degli alunni con la cultura (Claude Lessard).
Non è un processo direttivo di produzione dal sicuro effetto, dipendente soltanto da rapporto mezzi/fini.
L’insegnamento è un incontro dove non è detto quello che PUÒ SUCCEDERE, Ragion per cui a scuola l’insegnante, che si sente responsabile di parte del futuro dei suoi alunni, deve farsi testimone di un’etica della sollecitudine e della necessità del dialogo e opporsi a qualsiasi suggestione che conduca al lavoro di scarto dei prodotti ritenuti difettosi.
L’insegnante di qualità vuol vedere andare avanti tutta la classe e non ama predicare nel deserto,
Il primo compito dell’insegnante è quello di rendere intellegibile il sapere che deve trasmettere e farlo amare.
Per raggiungere questo risultato deve trovare gli accorgimenti organizzativi e metodologici per diradare l’indifferenza degli alunni che può crearsi intorno ad esso e uno dei più sicuri è quello di dare visibile prova della sua passione per ciò che insegna. Questo è il primo compito, perché la scuola non ha senso, se viene privata o impoverita della funzione imprescindibile della trasmissione del patrimonio di cultura, di tradizioni, di valori, di saperi e di tecniche alle nuove generazioni, se viene occultata o sminuita la sua funzione conoscitiva.
La storia non ricomincia ogni volta da zero; continua e continua per l’azione di conservazione e di trasmissione svolta dalla scuola attraverso i suoi insegnanti,
UNA SCUOLA COME ISTITUZIONE COLLETTIVA
Ad una scuola che non vuole creare scarti si propone come strategia adeguata la personalizzazione e/o l’individualizzazione dei percorsi; una scuola su misura si sarebbe detto in altri tempi. Ci sono tante e reali difficoltà per mettere in atto un modello simile e solo la modularizzazione del curriculum potrebbe essere una soluzione adeguata.
Di fatto se questo dovesse essere il solo rimedio per evitare di creare scarti, la scuola diventerebbe il luogo della giustapposizione di trattamenti individuali e non avrebbe più alcun carattere di istituzione collettiva, centrata sul bene comune; non sarebbe più capace, nell’età che hanno gli alunni che la frequentano, di educarli alla convivenza stabile con un proprio gruppo di riferimento. La scuola diventerebbe una struttura pubblica nelle modalità e nelle pratiche simile ad una casa di cura più che ad un luogo di istruzione e formazione, dove si impara a crescere insieme.
Credo che sfugga a tanti come in questo modo la scuola diventerebbe omologa ad una società che non vuole legami comunitari; ad una società che non vuole essere società.
Con questo modello educativo, tra l’altro, si rende difficile all’insegnante il compito di mobilitare gli alunni su interessi che non siano quelli che già ha e alla fine la scuola si darebbe come vero ed unico obiettivo solo quello di fare riuscire l’alunno in qualche modo, non quello di aiutarlo a crescere, a comprendere e a migliorarsi.
L’alunno sarebbe confermato, bloccato nella propria strategia di apprendimento e l’insegnamento non libererebbe le sue energie, perché si ridurrebbe ad una strategia di adattamento.
L’alunno non uscirebbe mai dai suoi limiti. Non andrebbe mai oltre se stesso. I giovani non hanno bisogno di essere diversificati per curriculum, ma di essere accettati e compresi nella propria diversa identità, nella propria storia personale, nella propria provenienza sociale, religiosa ed etnica.
Hanno bisogno di una pedagogia dell’aiuto reciproco, della cooperazione. Hanno bisogno di essere migliori di se stessi, non migliori degli altri. La verità è che c’è la classe e c’è l’insegnante e non l’insegnante e ogni singolo alunno. L’insegnante deve potere parlare ad ognuno dei suoi alunni, pur indirizzandosi a tutti.
E’ difficile, non impossibile.
CONTRO L’AZIENDALISMO
L’insieme dei ragionamenti fin qui svolti delineano una linea di opposizione al modello della scuola efficace che, oltre ad essere la cornice istituzionale in cui gli insegnanti devono lavorare e alla quale non dovrebbero sottrarsi, è anche la proposta che più facilmente passa nella pubblica opinione, perchè ne intercetta il senso comune e le aspirazioni. Non si è cercato, né voluto elaborare un succinto pro-memoria di sollecitazioni tecnico-metodologiche; si è inteso proporre un appello alla dimensione etico-pedagogica del lavoro dell’insegnante.
Nell’insegnamento c’è una vocazione intrinseca all’umanità che non si può trascurare, né scambiare come un semplice ed eventuale aspetto della professionalità docente. E tutto questo senza prescindere dalle contraddizioni che abitano il lavoro dell’insegnante e dalle sue estese condizioni reali di disagio e di precarietà professionale.
Con quello che si è detto si tende, con i mezzi a disposizione, a dare risalto e dignità civica e valore alle scelte che lo potrebbero sottrarre all’umiliazione quotidiana, con la quale si vuole farne un esecutore servizievole di un’organizzazione che nell’iper-attivismo nasconde la perdita di senso dell’insegnamento.
Si prova a farlo scendere dalla gioiosa macchina delle educazioni per cercare il senso autentico dell’educazione.
Non si è proposto, però, un invito alla solitudine, a disdegnare le giuste alleanze tra i colleghi, senza le quali sarebbe difficile fare della scuola il vero luogo dell’autonomia: quella intellettuale e morale.
Si è voluto scrivere una sollecitazione a ritrovare la capacità di decidere, espropriata da quanti sono interessati a rendere la scuola funzionale soprattutto al sistema produttivo.
La scuola come azienda non ha senso; ce l’ha solo come comunità educante, in cui non si dovrebbero spendere molte parole per mettere in risalto i valori della responsabilità, della collaborazione e del dialogo e in cui non se ne dovrebbero usare per invitare gli insegnanti a non partecipare alle misere corse per premi messi in palio per spingerli alla competizione tra loro. Arrivismo e carrierismo dovrebbero esserne banditi.
Solo insegnanti liberi e generosi possono formare giovani liberi e generosi, dotati di tutti gli strumenti per essere cittadini in grado di partecipare alle scelte della propria comunità e di assumere le responsabilità nel mondo del lavoro per le quali sono stati formati. I compiti della scuola non possono essere riassunti in quello di produzione di capitale umano per la competizione tra sistemi economici.
Bisognerebbe, pertanto, guardare con sospetto ai prestiti culturali della cultura aziendale, resistere alle suggestioni consumistiche che si nascondono dietro il luccichio delle nuove tecnologie e non leggere i dati delle comparazioni internazionali come pagine della nuova buona novella pedagogica.
Dice B. Vertecchi: ”Siamo di fronte a una contrapposizione drammatica fra concezioni educative centrate sui tempi brevi e concezioni che guardano ai tempi lunghi”; la scuola che si cura di tutti e che a tutti ha qualcosa da dire è una scuola che non deve avere fretta e alla quale non si dovrebbe fare fretta. In questo scenario l’insegnante di fatto è costretto a scegliere la propria parte e quella che si suggerisce di prendere è impegnativa e veramente difficile, perchè con molta probabilità lo metterà in contrasto con la propria amministrazione e con le stesse famiglie degli alunni.
A questo proposito va detto con chiarezza che se gli insegnanti non vengono tutelati, se le loro scelte impegnative non hanno alcun sostegno sociale, politico e sindacale, non essendo nessuno obbligato all’eroismo, ma solo alla responsabilità personale, molti come purtroppo avviene svolgeranno il proprio difficile lavoro con l’intendimento di non avere fastidi.
Ma così l’insegnante perderà l’anima e la scuola la sua funzione educativa.
Se la scuola di fronte ai cambiamenti della società è tenuta a rinnovarsi e a ridefinire le proprie funzioni nella società, l’insegnante non può restare fermo alle esperienze maturate; è tenuto a ripensare il proprio ruolo e le modalità di esercizio dei suoi compiti. Non può essergli estranea la consapevolezza di stare esercitando una professione complessa, diversificata, in costante evoluzione che richiede una riflessione continua sulle proprie pratiche e un continuo aggiornamento.
La professionalità del docente non può essere ridotta all’insieme delle competenze tecniche; non può essere pensata priva di responsabilità morale e sociale, né tantomeno di passione educativa.
Se così fosse, sarebbe destinata all’insuccesso.