Il valore educativo del dialogo

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di Raimondo Giunta

La scuola per certi aspetti è un luogo strano, dove chi sa fa le domande e chiede conto e ragione a chi non sa; ma dovrebbe essere il contrario e se lo fosse sarebbe, come affermava molti anni fa Guido Calogero, la scuola ideale, perché avremmo alunni che hanno desiderio di apprendere e di capire e docenti che sanno e vogliono ascoltare.
Diceva Dewey che ogni lezione dovrebbe essere la risposta ad una domanda. E’ proprio questo intreccio di domande e risposte il dialogo; è l’ascolto reciproco la buona educazione.
Si domanda per apprendere, si domanda per insegnare e a nessuno dovrebbe essere vietato di porre domande, se si vuole che la relazione educativa sia una relazione dialogica.
La scuola, come dice B.Rey, dovrebbe essere il luogo dove la verità di una parola non è relativa allo status di chi la pronuncia.
“Le verità non derivano da un’autorità testuale o pedagogica, ma da dimostrazioni, argomentazioni e ricostruzioni. Questo modello di educazione è fondato sulla reciprocità e sulla dialettica” (J.Bruner).
Il riconoscimento del valore della parola dell’alunno è il fondamento dell’educazione autentica e richiede l’attribuzione del potere di pronunciarla; richiede il riconoscimento del suo diritto di partecipare con spirito di iniziativa e responsabilità nel processo educativo.
“Le persone si lasciano convincere più facilmente dalle ragioni che esse stesse hanno scoperto, piuttosto che da quelle scaturite dalla mente altrui”(Pascal).

Ma le domande che hanno senso non si pongono a caso.
Bisogna educare a porre e a porsi domande; a pensare il rigore e la radicalità delle domande: bisogna dare strumenti per potere discutere e dialogare ,per diventare capaci di resistere al sovvertimento delle evidenze con cui quotidianamente si cerca di manipolare le coscienze.
Bisogna educare a problematizzare.
Per non accontentarsi delle prime e rassicuranti risposte e andare oltre, in profondità su ogni questione, su ogni dato, su ogni fatto, su ogni notizia, su ogni nuova conoscenza.
Bisogna allora contrastare con energia la tendenza a insegnare saperi, trascurando di fare capire e conoscere i problemi che li hanno generati.
Senza conversazione, senza il faccia a faccia, la contiguità emotiva, il rapporto educativo non decolla, intristisce nel reticolo delle procedure e degli obblighi professionali.
L’alunno deve sentire la prossimità umana, la passione, la partecipazione dell’insegnante nel suo faticoso percorso di crescita e di apprendimento. La responsabilità educativa si realizza nel riconoscimento e nella valorizzazione dell’alterità dell’alunno come fondamento del dovere di attenzione alla sua soggettività, del dovere di cura del suo sviluppo integrale e armonioso.
“Educare è comunicare profondamente con un giovane per aiutarlo a comunicare con se stesso” (A. De Peretti).
Chiedeva ai suoi uditori di porgli domande; così le sue lezioni erano piuttosto confuse e non mancavano di divagazioni”(Porfirio-Vita di Plotino).
Puo’ succedere che il dialogo sfugga di mano e si crei un po’ di disordine in classe, ma non bisogna averne paura, perché per certi aspetti è vita.
Non esiste una scuola del silenzio che sia anche scuola di partecipazione.
Educare è accettare di discutere e il centro dell’attività didattica non può essere sempre la cattedra; si deve spostare verso il centro dell’aula per fare in modo che la classe diventi una comunità dialogante, di partecipazione.
Il dialogo come mezzo e come fine dell’educazione esige un’etica comunitaria convintamente vissuta da docenti e alunni ;ognuno deve fare la propria parte, mettersi a disposizione dell’altro, sentirsi parte di una comunità, in cui con diverse funzioni, insieme si apprende e si vuole andare avanti. Ma il dialogo non è un metodo, è il modo e non solo a scuola di dare valore e significato morale all’altrui presenza.
Il dialogo è confidenza tra gli allievi e tra gli allievi e gli insegnanti; è piacere di appartenere ad una comunità, che porta avanti insieme il progetto educativo.
Il dialogo non ha fretta; è per le pari opportunità; non esclude, non stigmatizza; non è competitivo, ma cooperativo. Il dialogo non è solo tra i presenti, ma si estende, va fuori dell’aula, incontra la società, incontra il passato.
E con tutti e con tutto invita a discutere, a parlare e ad ascoltare, perché è desiderio di apprendere e di comprendere il mondo.
Il dialogo è l’antidoto per sottrarre la scuola alle seduzioni tecnologiche che la stanno immiserendo e sterilizzando, perché pone la centralità della parola viva nella relazione educativa e perché solo nella parola viva si incontrano le persone che hanno qualcosa da dirsi.
Nel dialogo i giovani imparano a parlare e ad esprimersi, incominciano a gustare il piacere di potere comunicare il mondo delle proprie esperienze, del proprio vissuto.
Il primato del dialogo impedisce alla scuola di essere una caserma, di trasformarsi in una spuria azienda di formazione professionale; invita ad andarvi e a frequentarla senza angoscia, perché scaccia la sofferenza e la noia; allontana la sottomissione e incentiva l’autonomia, combatte l’insuccesso e le gerarchie e non nega cittadinanza all’errore e alle differenze.