La formula “educazione diffusa” è densa di significati e proprio per questo esposta a interpretazioni contrastanti e ad opposte opzioni di natura “politica”.
Dal mio punto di vista, postula alcune premesse:
1) la scuola, titolare della cosiddetta “educazione formale” è l’asse portante di un più vasto processo educativo che vede coinvolti altri attori nel territorio, titolari della cosiddetta “educazione non formale”.
2) In questa sua collocazione, la scuola esercita una funzione strategica, ma al tempo stesso si riconosce non autosufficiente, per la complessità dei processi socioculturali che la interpellano. In tale riconoscimento risiede la radice di una sua sistematica iniziativa di interazione che coinvolge le agenzie educative (o più generalmente culturali) che operano nel territorio.
3) La scuola è NEL territorio in un duplice senso:
A) attesta la presenza dell’istituzione, in questo senso è presidio di diritti sanciti costituzionalmente;
B) progetta e realizza concrete azioni di politica scolastica, con la specificità del suo progetto pedagogico e con gli strumenti giuridici che le sono conferiti dall’autonomia.
4) Le azioni sinergiche della scuola e dei suoi interlocutori nel territorio, istituzionali e non, rendono visibile la cosiddetta “comunità educante”. In questo senso, i confini dell’educazione non coincidono con quelli dell’istituzione-scuola. E ha fondamento l’espressione “educazione diffusa”.
Queste sintetiche premesse, se condivisibili, permettono di segnare una netta linea di demarcazione nei confronti di un’idea di “scuola diffusa” che è, al contrario, problematica, in quanto esposta a derive, a mio parere, molto rischiose.
Sarà necessario, dunque, vigilare attentamente affinché non si verifichino impropri processi di “appalto” della funzione di istruzione/educazione della scuola, che le è assegnata dalla Costituzione, a soggetti esterni. Appalto che si sostanzia, in definitiva, nell’esternalizzazione di quote di curricolo ad agenzie esterne.
Non è difficile prevedere l’esito di questi movimenti: un taglio ulteriore di risorse, materiali e professionali, che sarebbero da destinare in via esclusiva alla scuola. E, corrispettivamente, un allocamento (in forme dirette o indirette) di risorse pubbliche a favore di soggetti del privato sociale. Qualcosa di analogo è accaduto nel settore della Sanità, con le conseguenze che in questi mesi sono emerse in modo drammaticamente evidente.
In sintesi
In un caso, PIÙ SCUOLA. Una scuola rafforzata dalla rete di relazioni nel territorio, dalla sua capacità di interagire ed arricchire con azioni sinergiche la densità educativa di un territorio.
Nell’altro caso: MENO SCUOLA. Meno risorse, meno strumenti di iniziativa istituzionale. Come se si offrisse il lasciapassare a un processo di spoliazione, a favore di interessi che, pur legittimi, non devono essere soddisfatti a spese della scuola.
In un quadro chiaro, sgomberate le ambiguità, saranno evidenti le scelte operate e le conseguenti responsabilità.