Inizierei questo breve intervento sulla valutazione e sulla didattica attraverso una banale annotazione linguistica e politica. Si sta parlando sui social e sui mass media di “6 politico” e trovo la cosa insultante e irritante, tra l’altro l’ennesimo modo per esacerbare gli animi da parte di una certa parte politica, cui però si sono aggregati anche altri soggetti da cui non me lo sarei aspettato.
Il così detto “6 politico” era la richiesta fatta circa 50 anni fa dalla frange più estremiste di sinistra, partita dal movimento studentesco nei confronti dell’Università (in quel caso si parlava di “18 politico”, riferito ai trentesimi).
Era dunque una richiesta così detta “proletaria” che voleva eliminare la “scuola di classe”.
Nel 68 si sono fatte molte cose buone e molte scemenze: questa era una scemenza colossale. Trasferire però quella richiesta dentro una pandemia mi pare solo un avvelenamento dei pozzi. E in questo momento bisogna maneggiare con cura tutte le parole.
Qui stiamo parlando di un “6 pandemico” assegnato agli studenti in difficoltà, deboli, svogliati, poco presenti, poco connessi, poco aiutati dalle famiglie. E questo “6 pandemico” sta dalla parte della Lettera ad una professoressa, non da quella di movimentismo di oltre 50 anni fa. Anche perché molto spesso questa invettiva compare a difesa degli studenti bravi, che vedrebbero i loro voti positivi resi più “ingiusti” dal “6 politico” dato a tutti. Il che vuol dire che se oltre ai bei voti, che questi studenti lodevoli meritano, non viene dato anche “lo scalpo” di quelli che non ce la fanno e degli ultimi ciò che gli viene dato non ha valore.
E invece il valore è quello che deve essere riconosciuto in questo momento: e lo si può e deve fare con i 7, gli 8, i 9 e i 10. Questo è il momento di dare tanti 10, tutti quelli che servono, tutti quelli che gli studenti si meritano. E’ inutile lodarli e poi dargli 7 lamentandosi che bisogna anche dare il 6 a tutti gli altri. Quindi questo è il momento di valutare nel senso etimologico della parola: dare valore a quello che lo merita. E se merita un valore alto bisogna dare un voto alto.
C’è poi l’ultima aberrazione in questo atroce uso di una parola del passato ”6 politico” ed è quella che se non si danno voti e non si danno voti negativi i ragazzi non studiano. E qui c’è un senso di superiore disprezzo per i giovani e le loro motivazioni, che non dovrebbe trovare spazio tra chi li educa, tra chi insegna, tra chi vive con loro. La pochezza di molte didattiche, la trasmissività estenuante, gli insegnamenti obsoleti, la corsa verso interrogazioni e compiti inutili e nozionistici, un tradizionalismo culturale lontano dai tempi: questo tiene lontani gli studenti dallo studio.
In questa fase della scuola italiana la gran parte degli insegnanti cerca di appassionare, interessare, capire, interagire, ricercare, innovare, analizzare, sperimentare. E facendo tutto questo riesce a tenere una generazione di studenti dentro una situazione mai vista prima, in cui in primo luogo viene negato da una pandemia mondiale il diritto basilare allo studio, allo stare insieme, allo stare a scuola, al vivere da studenti. E questo è quello che si deve valutare con i 7, gli 8, i 9 e i 10, dentro un’idea di scuola che è anche un’idea di cultura e di società. Segnalo perché lo condivido l’intervento su questo sito La promozione sicura autorizza a non studiare più?, di Aluisi Tosolini
Inventarsi oggi bocciature o rimandature per poi condizionare il prossimo anno scolastico (lo studente che a novembre non recupera i debiti e a quel punto dove va? Le classi sono fatte sui numeri pollaio, i docenti assegnati, i libri comprati: ma siamo matti?) significa credere di vivere in un mondo che non c’è. Nei quasi due mesi che ci separano dalla fine dell’anno scolastico deve partire la più grande operazione culturale mai tentata e cioè quella di fidelizzare gli studenti alla scuola, alla cultura, al sapere, alla fraternità, allo studio, al civismo, al dovere. Credo che ce la faremo, perché gli insegnanti stanno dimostrando grandi doti e grandi motivazioni. Ma dobbiamo toglierci dalla testa paragoni sbagliati tra un mondo che non c’è più (quello del “6 politico”) e quello che c’è oggi (quello del “6 pandemico” dato a chi è rimasto indietro). Non spenderei tanto tempo attorno al “6”, ma attorno al resto.