di Gianluca Gabrielli
Uno degli aspetti che più inquietano dell’universo culturale italiano risuonante negli ultimi giorni è lo spaesamento rispetto ad alcune categorie che ci pareva fossero sufficientemente acquisite.
Più o meno davamo per scontato che sposare ideologie identitarie, fossero esse nazionali, confederali o legate a definizioni come “Occidente”, producesse un arroccamento che azzerava le differenze, buono per andare in guerra, per creare nemici o capri espiatori, per rinforzarsi nella propria immagine lasciandone in ombra gli aspetti meno dignitosi, ma non certo utile per comprendere se stessi e gli altri, per accorgersi di ciò che dei presunti altri è in noi, per costruire relazioni e non scontri.
Negli ultimi giorni vediamo e ascoltiamo interventi che vanno in questa direzione, osserviamo una cultura del “noi” avanzare e affermarsi in modo inedito, attraversando inaspettatamente confini politici e culturali spesso ritenuti (forse a torto) distanti tra loro.
Prendiamo l’intervento di un noto cantautore ex insegnante, Roberto Vecchioni, che alla manifestazione del 15 marzo Una piazza per l’Europa afferma: “Vogliamo parlare di un gruppo di stati che vengono dalle stesse cose, dalle stesse tradizioni, siamo tutti indoeuropei, abbiamo avuto una filologia romanza, parliamo allo stesso modo, ci guardiamo allo stesso modo, abbiamo gli stessi proverbi, modi di dire, pensieri […] abbiamo libertà ovunque, abbiamo la democrazia, ma quella non ce l’hanno tutti, ce l’abbiamo noi. Che è un’invenzione […] dei Greci, che è arrivata fino a noi. Ora, chiudete gli occhi un momento e pensate ai nomi che vi dico: io vi dico Socrate, vi dico Spinoza, Cartesio, vi dico Hegel, Marx e vi dico anche Shakespeare, vi dico Cervantes, vi dico Pirandello, Manzoni, Leopardi. Ma gli altri le hanno queste cose?[…]”
Davvero dobbiamo circoscrivere la nostra identità culturale all’uso delle “nostre tradizioni”, richiamare l’identità “indoeuropea”, sentirci superiori e unici nel mondo per una presunta ubiqua libertà? Davvero possiamo ignorare non solo le tradizioni culturali degli altri continenti ma soprattutto cancellare senza remore l’intenso intreccio che esse hanno creato con quella che viene definita “nostra” cultura?
Prendiamo ora l’intervento, nella stessa occasione, dello scrittore Antonio Scurati:
“Ci sono giorni nella vita di un uomo in cui ti svegli, ti guardi allo specchio, e ti chiedi “chi sono?”. Secondo me questo è uno di quei giorni per gli europei. La prima cosa che ci viene in mente citando il poeta è quello che non siamo, che non vogliamo essere. Allora noi non siamo gente che invade i Paesi confinanti, noi non siamo gente che bombarda e rade al suolo le città, noi non massacriamo e torturiamo i civili con gusto sadico, noi non sequestriamo i bambini e li deportiamo usandoli come riscatto”.
Qui Igiaba Scego ci aiuta a mettere in discussione questa supponenza culturale che negli ultimi tempi si è trasformata in virulenza bellicista: “Il collega Scurati nel suo discorso di ieri a Piazza del Popolo ha detto tra le altre cose ‘non massacriamo i civili e non deportiamo i bambini e li usiamo come riscatto. Nell’Europa che ha esternalizzato le frontiere, messo in mano terzi la tortura, calpestando il diritto al viaggio delle persone del sud del mondo, tacendo sulle gravi violazioni del diritto internazionale degli ultimi anni, dire questo è diciamo, per usare un eufemismo, qualcosa di molto (ma moooltooo) lontano dalla verità. Nel discorso del collega, che rispetto in quanto collega, ma di cui non condivido le idee, soprattutto quelle esposte nei suoi ultimi articoli e nel discorso di ieri, ho trovato molto pericoloso quel “Noi” che presuppone già nella sua enunciazione esclusione. È un noi molto recintato. Un noi bianco, borghese, elitario, eterosessuale. Un noi che appena è stato enunciato fa sentire esclusi. Io confesso mi sono sentita esclusa da questo discorso. Un noi poi che professa innocenza e candore […]
La cosa che più inquieta però è che sembra che la matrice culturale comune di questi ed altri discorsi che stanno prendendo forza negli ultimi tempi sia la stessa che emerge dalle pagine sulla materia Storia nella bozza delle nuove Nuove indicazioni 2025 per la scuola.
A partire dalla frase di apertura, apodittica, secca, senza ombra di dubbio, orgogliosa: “Solo l’Occidente conosce la Storia”.
La netta gerarchizzazione delle “culture” implicita nell’affermazione emerge evidente nelle frasi che seguono: “Altre culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia, come compilazioni annalistiche di dinastie o di fatti eminenti succedutisi nel tempo; allo stesso modo, per un certo periodo della loro vicenda secolare anche altre civiltà, altre culture, hanno assistito a un inizio di scrittura che possedeva le caratteristiche della scrittura storica. Ma quell’inizio è ben presto rimasto tale, ripiegando su se stesso e non dando vita ad alcuno sviluppo; quindi non segnando in alcun modo la propria cultura così come invece la dimensione della Storia ha segnato la nostra”.
In queste frasi emerge un’idea di “cultura” rigida, impermeabile, che agisce con le “altre culture” solo confliggendo con esse per il dominio, rimanendo pura nella sua essenza. Proseguendo addirittura il discorso si trasforma in una vera e propria esaltazione della superiorità [!] della “cultura occidentale” che le avrebbe permesso di divenire “intellettualmente padrona del mondo”: “È attraverso questa disposizione d’animo e gli strumenti d’indagine da essa prodotti che la cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzi tutto intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e di modellarlo”. Come non leggere queste parole come una rivendicazione orgogliosa della funzionalità della cultura al dominio, come ad esempio è avvenuto nelle vicende del colonialismo?
Quali riferimenti culturali si stanno affermando oggi in Italia? Quali intellettuali trovano spazio negli organi di informazione? Quali stanno cercando di farsi strada nella scuola?
E “noi”, quelli con la “n” minuscola, che non si sentono dentro quel recinto di italocentrismo, Occidente dominante, presuntuoso europeismo bellicista, noi, avremo la forza di difendere i principi di giustizia, uguaglianza, pace come cittadini del mondo?