di Simonetta Fasoli
Il documento delle Nuove Indicazioni 2025 è stato appena diffuso con una nota di accompagnamento e un sottotitolo (“Materiali per il dibattito pubblico”) che autorizzano a pensarlo come un testo in sé esaustivo ma “aperto” e dunque passibile di interventi ulteriori, scaturiti appunto dal confronto preannunciato.
Con questa postura mi sono accinta a leggerlo, devo dire con le preoccupazioni che avevano suscitato in me (e non solo in me…) le anticipazioni date sui mezzi di comunicazione in varie forme ed occasioni.
Ciò premesso, devo dire che la natura del testo, il carattere sostanzialmente assertivo delle sue espressioni (anche quelle che si presentano formalmente dialogiche…) ha di molto ridimensionato le legittime aspettative di un’operazione emendabile.
Esco da una prima, e per quanto possibile attenta, lettura con una percezione complessiva di preoccupazione largamente confermata: di più, con una domanda che non è tanto rivolta ad un passato sul quale grava l’intenzione di un sostanziale “punto a capo” (cifra del resto della cultura politica di questo governo) quanto al futuro più o meno immediato.
Verso quale idea di scuola e di educazione ci stanno portando queste Nuove Indicazioni?
Perché – e questa è la mia preliminare considerazione – un’idea c’è, e sembra ben precisa, a una prima ricognizione del testo. Sbaglierebbe, dunque, a mio avviso, chi si rifugiasse nel pensiero consolatorio di poter continuare a fare scuola nella realtà di ogni giorno, nella “ridotta” della propria classe, negli spazi indenni del proprio insegnamento.
Non ci sono “terre franche” laddove è in atto un processo culturale quale quello prefigurato dall’intervento, che (lo ricordo) avrà comunque uno sbocco normativo e produttore di effetti.
Mentre leggevo le sezioni iniziali del testo (“Premessa culturale generale”, “L’organizzazione del curricolo”) e mi addentravo nell’impianto, mi è sovvenuta una formulazione tratta da mie reminiscenze di appassionata di cinema: “l’invasione degli ultracorpi”.
Sì, come in un vecchio film americano dei primi anni Cinquanta, è come se corpi alieni si siano impadroniti della struttura delle precedenti Indicazioni nazionali (2012 e 2018) per mantenerne in parte l’involucro ma svuotandolo dall’interno, fino a stravolgerne il senso. Sconsiglierei, personalmente, perciò di andare ad esaminare il nuovo testo cercando, per analogia o differenza, le tracce dei documenti precedenti. Qui c’è uno slittamento semantico, o se si vuole una torsione di significato, che cambia ogni prospettiva.
Qualche esempio significativo? Il termine “persona”, che appartiene all’orizzonte culturale entro cui lo ha inteso la nostra Costituzione (sia pure in un’ottica di necessario compromesso con altre culture politiche) qui è piegato alle istanze delle “radici storico-culturali occidentali” (pag. 8 del testo). Con buona pace del costituente Giorgio La Pira, citato in apertura del paragrafo.
Il ricorso all’idea di “Occidente” in più passaggi del documento marca un’intenzione che, nel combinato disposto delle culture politiche preminenti in questo governo, non può che evocare un’idea identitaria/escludente.
Ancora: il richiamo alla “scuola” e alla “famiglia” fin dal paragrafo d’esordio (pag. 😎 che sembrano avviarsi verso un “regime pattizio” fondato non sulle opportune sinergie ma su una spartizione delle sfere di rispettiva pertinenza: “grandi valenze educative e affettive” (la famiglia) e “l’azione sistematica e intenzionale di istruzione” (la scuola).
Qui vedo più di un segnale preoccupante: in primo luogo, la scissione tra “educazione” e “istruzione”, che nell’idea costituzionale di scuola, non meno che nelle migliori visioni pedagogiche, sono fortemente interconnesse.
In secondo luogo, il farsi avanti di un’idea “proprietaria” della funzione genitoriale, che rivendica l’educazione come compito esclusivo, al massimo temporaneamente “appaltato” alla scuola, salvo reclamarlo indietro alla prima manifestazione di contrasto rispetto al codice valoriale famigliare (familismo).
La scissione educazione-istruzione, all’interno dello stesso sistema-scuola vanifica il senso dell’istruzione educante ed è, a mio avviso, una delle ragioni che portano alla perdita del valore formativo delle discipline (cardine pedagogico della Scuola di base) e alla deriva verso il disciplinarismo, che emerge nelle sezioni successive.
Uno dei paragrafi della Premessa si intitola “Scuola e nuovo umanesimo” (pag. 10): anche qui riecheggiano espressioni delle precedenti Indicazioni nazionali, con ripetuti richiami a concetti ben noti alla scuola democratica (articolo 3 comma 2 della Costituzione, l’inclusione, il contrasto alla dispersione…). Ma, a ben guardare nelle pieghe del testo, si veicola un’idea del “principio di autorità”, e un’accezione del “senso del limite” che identifica lo sviluppo dell’etica con l’acquisizione delle “regole”. Qui non ho potuto fare a meno di ripensare alle “esternazioni” del ministro sul valore educativo della coercizione e perfino dell’umiliazione…Per non dire che ho trovato bizzarro l’accostamento del concetto morale di regola alle…”regole tratte dai contenuti e dai metodi delle stesse discipline, come p.e. le regole di grammatica” (sic!). Beh, che dire? Kant ha detto di meglio con “la legge morale dentro di me”…!
La Premessa si snoda attorno ad altri assi portanti, in una ricognizione che consiglio di ripercorrere, a chi fosse interessato, nell’ottica di “parole sporgenti” su cui grava spesso, come ho sottolineato in queste mie riflessioni, una curvatura discutibile, e più di un rischio di ri-semantizzazione a favore dell’operazione politico-culturale che via via emerge. Così, ad esempio, non può sfuggire che a proposito di una “Scuola che sa essere inclusiva” venga citata solo la personalizzazione “come strategia che governa le scelte educative e didattiche”. Dimenticando – si fa per dire…- di correlarla in modo complementare, certo non in opposizione/alternativa, al dispositivo della cosiddetta “individualizzazione”, che tanta parte ha avuto nelle pratiche dell’inclusione a partire dalla L. 517/77 che resta al riguardo una pietra miliare.
La sezione che si intitola “L’ organizzazione del curricolo” (pagg. 18 – 21) è altrettanto significativa, ricca di sollecitazioni nella lettura e per me fonte di preoccupazioni non meno rilevanti. Anche qui, il titolo è addirittura mutuato dai documenti precedenti. Anche in questo caso, le singole affermazioni o i singoli passaggi concettuali sembrano talvolta accettabili, o addirittura ispirati al “pedagogicamente corretto”. Certo, con qualche schematismo che, seppure accreditato in letteratura e nelle pratiche, rischia un eccesso di semplificazione: come l’identificazione tout court dell’istruzione con la “conoscenza teorica e astratta”, e della “formazione” con le “competenze e abilità operative”, mentre all’educazione è ascritta “la costruzione di un’identità etica e relazionale”. Insomma, a mio parere torna qui il fantasma di quella scissione di cui ho detto precedentemente. Nella dinamica della scuola, nelle sue pratiche, le cose sono molto più intrecciate, e complesse…
È questa la sezione del testo che costituisce, a mio parere, una chiave di “lettura” essenziale per l’intero documento e l’operazione sottesa. Non per nulla la struttura si fa in più punti particolarmente didascalica. Si veda il grafico illustrativo (Schema 1 pag. 19).
C’è un passaggio del testo che mi preme particolarmente riportare, per sottolinearne la portata decisiva. Nella prospettiva che qui viene avanti, emerge una delle “novità” di questo testo destinate ad avere più conseguenze, sul piano istituzionale, professionale, culturale.
Vi si parla, infatti, della “necessaria negoziazione […] fra Nuove Indicazioni (ciò che in letteratura chiamasi CURRICOLO FORMALE), ‘curricolo familiare e comunitario’ (ciò che in letteratura chiamasi CURRICOLO NASCOSTO O IMPLICITO) ‘portato in classe dagli studenti, e CURRICOLO DI ISTITUTO (frutto delle scelte della scuola che calibra la sua offerta a seconda dei contesti) […]’.
Ho evidenziato con caratteri cubitali questo passo del testo, perché contiene una tripartizione cruciale, che denota anche il superamento, e l’archiviazione, delle precedenti Indicazioni nazionali. Esse, infatti, erano Indicazioni PER (nuovo mio carattere cubitale) il curricolo, non erano esse stesse il curricolo, come qui invece viene detto esplicitamente delle Indicazioni 2025. Nel quadro istituzionale delineato finora c’erano le “Indicazioni”, da una parte, ad assicurare unitarietà e coerenza al sistema e dall’altra il “Curricolo di istituto”, piena espressione di responsabilità collegiale, esercizio della libertà di insegnamento sancita dalla Costituzione, nel quadro normativo dell’autonomia scolastica. Tutto questo nella scuola di Valditara e del governo di cui è esponente, è superato.
Se il “curricolo formale” è quello delle Indicazioni, edizione 2025, siamo di fronte a qualcosa di più della “pedagogia di stato”: siamo alla “didattica di stato”, e perfino ai “suggerimenti metodologici” che, in questo contesto, assumono tratti inquietanti. Non per nulla il documento è sistematicamente caratterizzato da riferimenti all’una ed agli altri.
La dovizia di dettagli nei “contenuti” a proposito delle discipline fa da corollario agli aspetti strutturali che ho appena evidenziato. E a questo punto è perfino secondario (per quanto dirimente…si veda la sezione sul LEL, acronimo che sta per “latino per l’educazione linguistica”) dibattere su “quali” contenuti: il problema è “che ci siano” contenuti.
La mia lettura si è spinta anche sulle discipline che appartengono alla mia esperienza di insegnante, trovando ulteriori motivi di inquietudine, o di forte dissenso sul piano pedagogico, didattico, culturale. Sono sicura che analoghi itinerari di lettura potranno essere significativi per i colleghi e le colleghe della Scuola dell’infanzia e del Primo ciclo.
Resto, comunque, convinta che solo un’azione di conoscenza, interpretazione e analisi condivisa può far fronte a quello che mi sembra un attacco di inedite dimensioni alla scuola e alla funzione che la Costituzione le assegna.
Bisognerà fare scuola “nonostante” le Indicazioni 2025. Apprendere e costruire insieme le “istruzioni per il dis-uso”.