Una svolta importante che apre una nuova prospettiva

di Dario Missaglia

Le Rsu nella scuola hanno preso il via nel 2000.
Le elezioni, previste in un primo tempo per il 1999, furono rinviate di un anno per poter dare inizio all’avvio della stagione dell’autonomia con la nuova figura del Dirigente scolastico ( titolare tra l’altro della contrattazione di istituto) appena istituita con il decreto legislativo n.59 del 1998..
Una scelta giusta e motivata perché con le Rsu non solo i lavoratori nella scuola avrebbero finalmente trovato il modo di autorappresentarsi, tutelarsi, strutturarsi come forza vitale di partecipazione e protagonismo ma avrebbero anche costituito un giusto contrappeso ai nuovi poteri del Dirigente scolastico.
A distanza di 25 anni, una riflessione approfondita su questa esperienza , sarebbe credo di grande utilità per rafforzarla e valorizzarla ulteriormente, nell’interesse di tutte le figure professionali.

Gli insegnanti in particolare, dimostrarono con le loro scelte e una partecipazione al voto molto alta, che il tempo delle vestali della classe media era concluso: Potremmo dire oggi che si affermarono le nuove vestali della scuola della Costituzione: per una scuola democratica, liberatrice, per l’affermazione del diritto all’istruzione per tutti a cominciare dai più deboli.
Mancava certo la terza gamba di quel nuovo sistema, che pure veniva riconosciuta da tutti. . Era infatti del tutto evidente che i nuovi poteri attribuiti al Dirigente dell’istituzione scolastica autonoma, avrebbero dovuto trovare il giusto contrappeso nelle RSU certo, ma anche nella coerente modifica degli organi collegiali. Se la scuola dell’autonomia era il punto più alto della stagione delle lotte degli anni 70, gli organi collegiali , figli quella stagione, non avrebbero potuto essere esclusi dal processo di rinnovamento.
Sappiamo bene, a distanza di 25 anni, che quel processo non ebbe alcun esito per le tante ragioni ricordate da ultimo nell’importante convegno promosso da Flc-cgil e Proteo Fare Sapere, il 19 febbraio a Roma..
Il quadro generale infatti era profondamente cambiato.

Ricordo che nel 97, in una conferenza a Roma, Jacques Delors e Bruno Trentin mettevano in guardia dal nuovo ciclo che si stava aprendo nel passaggio da una economia di mercato alla società di mercato. Una politica economica aggressiva, globale e armata di una nuova potenza comunicativa grazie alla rivoluzione tecnologica, dichiarava concluso il patto tra capitale e lavoro degli anni 70. A questo capitalismo non interessava più il patto con i produttori ma la affermazione del mito dei consumatori. Consumare sempre e tutto (l’ambiente, il territorio, la salute e non solo le merci di ogni tipo), ad ogni costo, generando senza interruzione desideri di affermazione di sé attraverso i consumi. La forza lavoro, nel mondo oramai globale, non era più un problema, garantito dalle masse disperate della emigrazione, dalla facile delocalizzazione produttiva, dalla circolazione senza barriere di capitali e rendite. Il precariato presentato come “flessibilità”, in realtà nuova forma di sfruttamento del lavoratore, schiacciato in una condizione di vista sospesa in cui avrebbe dovuto solo pensare a difendersi, chiuso nel suo rancore e nell’isolamento che uccide la solidarietà. Si apriva così una fase in cui conquistare il diritto alla conoscenza per tutti significava strappare al capitale la chiave per riprendersi il controllo del proprio lavoro, della propria vita, della stessa sopravvivenza del sindacato confederale. Trentin ne fece l’oggetto di una storica conferenza di programma, nel 1998 a Chianciano.
Quel nuovo ciclo del capitalismo, non fu da tutti compreso con quella lucidità. Il neo liberismo, come oggi spesso di dice, abbagliò non poco una sinistra smarrita e incerta. I valori dell’individualismo, della competizione, del merito, del successo, sono dilagati nella società senza trovare ostacoli culturali solidi, anzi trovando alleanze impensabili. Anche nella scuola, la nuova figura del Ds si trovò esposta alla campagna acquisti : facile propagandare in un mondo ingessato e burocratico, la figura di un dirigente manager che assume su di sè tutti i poteri e spazia su tutta l’organizzazione del lavoro: dall’ambito giuridico ed economico a quello istituzionale e pedagogico…
Accarezzando il senso di onnipotenza che è in ciascuno di noi, quella propaganda ha avuto un certo successo nel mondo dei nuovi dirigenti. Basta leggere la copiosa produzione editoriale di quel tempo e l’offensiva in atto di tanti, non disinteressati, enti di formazione. Certo non mancò chi tentò, con generosità ed impegno, di orientare la figura verso un modello di leadership partecipata, diffusa, capace di promuovere la crescita di tutte le professionalità della scuola. Quello della Flcgil è stato uno sforzo apprezzabile e prezioso per contrastare quell’offensiva. Ma oramai la questione della dirigenza aveva conquistato il centro del campo, lasciando ai margini la questione degli insegnanti.
Quali nuove responsabilità e poteri avrebbero dovuto essere riconosciuti ai docenti a fronte della nuova figura del dirigente e della introduzione delle Rsu? Questa domanda non è mai stata posta e non ha mai avuto risposta.

Si iniziò, è vero, a ragionare di nuove figure: il tutor, il formatore, l’orientatore, lo psicopedagogista ed altro ancora. Una nuova riflessione sui docenti?
No, come ebbe a notare Alberto Alberti, In fondo quelle figure non erano altro che una esternalizzazione di alcune funzioni della dirigenza che iniziava a rendersi conto di non farcela da sola a fare i conti con la realtà. Ma sempre di una riflessione sulla dirigenza si trattava.
Prova ne sia che questa riflessione oggi vuole assumere la forma del “middle management”, ossia la scorciatoia, autoritaria, di una semplificazione dell’organizzazione del lavoro. Un gruppo che dirige agli ordini del Dirigente-capo e tutti gli altri confinati nella loro pratica esecutiva individuale. L’esatto opposto delle gestione della complessità proposta da E.Morin,
L’esatto opposto di una idea di comunità professionale. Una proposta che, non se ne sono accorti i promotori, non interessa più neanche il mondo dell’impresa che è andato ben oltre la cultura del management e addirittura si misura con le nuove esperienze della “Bossless” (letteralmente” senza capo”) come nuova suggestione del capitale digitale.

Resta ad ogni modo, fuori da ogni attenzione la gran massa degli insegnanti che ogni mattina fanno scuola, con i loro studenti. E’ il cosiddetto “lavoro d’aula”. Per loro quella autonomia non aveva significato un bel nulla, chiusi un modello organizzativo in cui il primato indiscusso della didattica trasmissiva, confina i docenti in una condizione individuale senza sbocchi.
Il governo di destra ha cavalcato questa dinamica regressiva. Non solo per i segni autoritari che non ha risparmiato verso i docenti “indisciplinati”, verso i Dirigenti riottosi alle direttive ministeriali, verso gli studenti colpevoli di protestare.
Soprattutto ciò che emerge dalla gestione politico-ideologica del Ministero del Merito è l’affermarsi di un modello di organizzazione del lavoro autoritario. Un modello in cui al docente che insegna non resta più alcun margine di autonomia, costretto dentro una gabbia sfibrante di incombenze burocratiche, documenti e carte da scrivere ad ogni passo, il registro elettronico, le relazioni e la burocrazia per gestire le varie categorie di Bes, Dsa, disabilità diverse e marginalità sociale.
E ancora, una normativa sulla valutazione che con disprezzo della ricerca e della sperimentazione condotta da migliaia di insegnanti, finisce per affermare il solo “merito” come criterio esclusivo di valutazione: selettiva, cioè escludente.

La condizione di stanchezza, sfiducia, disillusione, di tanti docenti è dovuta alla percezione di questa condizione di subalternità a un autoritarismo che oramai è parte strutturale della propria condizione di lavoro. Ed è la morte dell’autonomia, il confinamento in una pura condizione esecutiva.
Lo hanno compreso anche i Dirigenti scolastici più accorti che la trappola di un centralismo interno alla singola scuola, è una scorciatoia autoritaria che forse assicura, apparentemente, il controllo ma uccide la partecipazione dei lavoratori e quindi la qualità dell’insegnamento.
Il rischio di una rivoluzione passiva di lungo periodo è dietro l’angolo, Per questo, ed è la vera novità molto importante del convegno del 19 febbraio, si impone una scelta nuova, rimettendo al centro della riflessione la condizione professionale e il ruolo sociale degli insegnanti in Italia, come ha afferrato con chiarezza Massimo Baldacci, Presidente di Proteo. Come hanno riconosciuto e condiviso tutte le associazioni professionali presenti al convegno.
Novità che ora deve trovare conferma nel prossimo periodo (a partire dalle elezioni delle Rsu) : per riprendersi in mano il proprio lavoro, riconquistare l’autonomia professionale, iniziare a definire con chiarezza come ridare protagonismo ai docenti dentro quegli organi collegiali, a partire dal collegio docenti, che loro hanno conquistato oltre cinquant’anni fa. Perché non c’è futuro democratico per la scuola se non come comunità professionale in cui tutti lavorano, riconosciuti nella loro specificità, in un quadro di regole condivise e in un progetto costruito nella solidarietà.
La ricerca di nuove strade è già iniziata. ed è in questa ricerca che troverà risposta la domanda mai fatta sui nuovi diritti e responsabilità che vanno riconosciuti ai docenti della scuola italiana.

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