Verso le nuove indicazioni nazionali Valditara

di Aluisi Tosolini

Prime suggestioni e riflessione sul metodo

L’intervista del Giornale del 15 gennaio 2025 al Ministro Valditara sulle nuove indicazioni nazionali ha generato molto scalpore e molto “dibattito” (e me, personalmente, il morettiano “No! Il dibattito no!!!” del 1976)

Quelle che seguono sono noterelle a margine, e come tali provvisorie e forse persino illusorie, unite ad una riflessione sul metodo.

Indicazioni nazionali o ritorno ai Programmi?

Nella scuola italiana le “indicazioni nazionali” da decenni hanno sostituto i programmi ministeriali (ovvero il preciso elenco degli argomenti da svolgere nel corso delle attività didattiche). Ciò trova il suo punto di avvio nella riforma dell’autonomia scolastica ( DPR 275/1999 e in particolare nell’art. 8 – definizione dei curricoli – e nell’art. 4 – Autonomia organizzativa).
Il dpr 275/99 – che è ancora legge dello stato – ricorda – al citato art. 8 – quali sono i compiti del ministero nella elaborazione delle “indicazioni nazionali”.
Rileggiamo con attenzione

Il Ministro della pubblica istruzione, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari sulle linee e sugli indirizzi generali, definisce a norma dell’articolo 205 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, per i diversi tipi e indirizzi di studio:
a) gli obiettivi generali del processo formativo;
b) gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni;
c) le discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale;
d) l’orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche;
e) i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e attività della quota nazionale del curricolo;
f) gli standard relativi alla qualità del servizio;
g) gli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni, il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi;
h) i criteri generali per l’organizzazione dei percorsi formativi finalizzati all’educazione permanente degli adulti, anche a distanza, da attuare nel sistema integrato di istruzione, formazione, lavoro, sentita la Conferenza unificata.

Come si può notare nulla a che vedere con il concetto di programma come elenco di contenuti da sapere, argomenti da svolgere, “cose da fare”. Quindi, potremmo dire, di che cosa stiamo parlando quando ragioniamo attorno all’intervista di Valditara?

Del resto, e lo dico per esperienza pluridecennale, nella scuola reale nessuno o quasi ricorda che cosa c’è davvero scritto nelle indicazioni nazionali per il primo ciclo (e men che meno nelle molto più prolisse indicazioni nazionali per i licei). Forse qualcuno ricorda la premessa, ovvero il documento “Cultura, Scuola, Persona” che – come ho già segnalato – è ancora in vigore pur sostenendo l’esatto contrario di quanto viene ultimamente pubblicato dal MIM (ad esempio le nuove linee guida per l’educazione civica).

Insomma, l’intervista del ministro Valditara al Giornale dove anticipa i “contenuti” delle future indicazioni nazionali per il primo ciclo pare tanto un sasso gettato nello stagno per avviare la discussione o la gazzarra, generare il dibattito, occupare il tempo e le menti.

E infatti, leggendo la rassegna stampa del 16 gennaio 2025, non si può non sorridere al quasi pavloviano insieme di reazioni (sia a favore che contrarie) che l’intervista ha generato (e, anzi, che voleva generare !)
Comunque sia, se mai davvero tutto quello che il ministro ha detto diventasse roba concreta farà la fine delle attuali indicazioni nazionali di cui, in sostanza, nessuno a scuola si cura.
In questo concordo con Massimo Gramellini che oggi sul Corriere della sera inizia il suo pezzo intitolato Dio Patria e Latino ricordando “l’inutilità pratica di questo dibattito, dal momento che in Italia qualunque riforma scolastica, umanistica o scientifica, conservatrice o progressista, è destinata a scontrarsi con le disfunzioni di un sistema soffocato dalla burocrazia e affidato alla buona volontà di insegnanti sottopagati”.

Certo, se tutto andrà in porto si faranno pacchi di corsi di formazione sulle nuove indicazioni (così come si sono fatti corsi di formazione sulla nuova valutazione e poi, in questi mesi e da qui in avanti, sul suo contrario) ma tutto ciò, a mio parere, senza che avvengano reali e diffusi cambiamenti.

Contenuti e competenze

A leggere l’intervista (e le reazioni) non si può poi che restare impressionati dalla massiccia confusione esistente nei confronti di due diversi termini: contenuti e competenze. Da persone di scuola (o che governano la scuola) ci si attenderebbe, in verità, maggiore precisione nel linguaggio specifico. Comunque sia la domanda è la seguente: le parole del ministro si riferiscono a contenuti o a competenze?

Se si riferissero soprattutto ai contenuti si potrebbe dire senza problemi: “chi se ne frega, non sono questi che contano”.
Ma in realtà, poi, i contenuti si portano dietro una visione del mondo, l’ideologia di Valditara e del Governo Meloni (lo so che la parola ideologia riferita a Valditara non è da lui gradita ma pur sempre di ideologia si tratta). E questo sì che ci interessa !

Tecnicamente non ho nulla contro la Bibbia a scuola: ho persino scritto dei libri per proporre esattamente la lettura della Bibbia a scuola.
Il problema, ovviamente, non sta nella Bibbia ma nel cosa si fa della e con la Bibbia. Così come non ho nulla contro l’Eneide a scuola, persino alle elementari. Ma anche in questo caso il problema, ovviamente, non sta nell’Eneide o nell’Odissea o nella mitologia nordica ma nel cosa si fa di tutto ciò.

I problemi, in sintesi, mi paiono due:

  1. i contenuti citati a che competenze sono connessi?
  2. i contenuti citati a che visione del mondo rimandano?

L’ossessione dell’Occidente

Partiamo dal secondo aspetto. La visione del mondo cui rimandano le affermazioni / anticipazioni di Valditara è facilmente riassumibile nei concetti di “occidente” e civiltà occidentale. Ho già scritto – commentando le nuove linee guida sull’educazione civica – che a mio parere il concetto di “occidente” (come quello di Patria) utilizzato dal ministro è frutto di un riduzionismo ideologico che Bauman avrebbe definito retrotopia.
In particolare mi impressiona il fatto che “occidente” sia usato sempre al singolare e mai al plurale, dimenticando che proprio la pluralità delle esperienze, delle lingue, dei vissuti, degli stili, delle religioni è la caratteristica chiave di quello che chiamiamo “occidente”. In sostanza: la forza dell’occidente è stata l’apertura al mondo e alle differenze, non la chiusura nei confronti del mondo e delle differenze.

Eliminare la geostoria e tornare alla storia, in particolare dei popoli italici, è solo una boutade propagandistica che alle prime verifiche si smonta da sola: i popoli italici altro non sono che un mix variegato di storie e in fin dei conti la stessa esaltante storia di Roma prende avvio da un profugo – Enea – arrivato transfuga via mare come profugo fuggito da Troia, città dell’Ellesponto (attuale Turchia).
Enea come prototipo dei naufraghi che in questi anni sono annegati nel Mediterraneo trasformatosi in cimitero e fossa comune del “sogno dell’occidente”. E potremmo continuare, ma per carità di Patria ci fermiamo qui, prendendo atto che l’occidente pare essere più una ossessione retrotopica che un riferimento significativo per il futuro cui di per sé ogni processo educativo dovrebbe guardare.

Il caso del latino

La prima questione (contenuti vs competenze) può invece ben essere ripresa analizzando il caso del latino che, dice il ministro, tornerà a fare capolino dalla seconda media in poi.
E qui è il caso di andare a leggere le parole di Paola Mastrocola che intervistata dal Corriere della sera di Torino dice: “Se non serve nell’immediato per comprare il pane o fare un investimento, il latino rappresenta invece uno strumento fondamentale per la nostra capacità di pensiero, discernimento ed espressione. Abbiamo dovuto attendere un governo di destra per accendere una luce sul latino. Spero bene che anche la sinistra se ne riappropri. E così del greco, ma poi non vorrei esagerare….”
E continua sostenendo che il latino dovrebbe essere studiato anche dai migranti: Sicuro, anzi soprattutto, perché sono quelli che vanno aiutati di più nell’apprendimento non basilare della lingua italiana. Se vogliamo che il migrante non sia un paria della società dobbiamo fornirgli sin da giovanissima età i mezzi per ragionare nella nostra lingua. Il latino fa proprio questo”.

Come si può vedere, Mastrocola batte il tasto della competenza piuttosto che quello del contenuto. Cioè: il latino sviluppa competenze linguistiche (logiche, relazionali e chi più ne ha più ne metta) assolutamente fondamentali.
Ora, che questo sia vero, è tutto da dimostrare. Del resto se così fosse non si capirebbe come scienziati, nobel, ricercatori, letterati, artisti di tutto il mondo siano tali pur non conoscendo il latino.
E’ ovvio che il latino aiuti a sviluppare competenze di comunicazione ma di certo nessuno potrà mai sostenere che si tratta dell’unico e fondamentale strumento capace di tale miracolo. E se non è l’unico tutto si ridimensiona e si torna alla dimensione “ideologica” dei contenuti e della visione del mondo ad essi connessa.
Sia chiaro, non ho in odio il latino ed anzi ricordo un ottimo 30elode in Lingua e Letteratura latina (con tanto di esame scritto di grammatica e traduzione oltre all’orale con lettura integrale di moltissimi testi poetici di Orazio a partire dalla Epistula ad Pisones).

Per chiudere in bellezza Mastrocola sostiene anche che il latino è il vero antidoto a ChatGPT e all’intelligenza artificiale generativa. E qui davvero non si sa se ridere o piangere. Siamo alla meta_retrotopia.

Opzionale? Ovvero?

Sempre parlando del latino il ministro ha sottolineato che il suo inserimento sarebbe opzionale e a partire dalla seconda media. Mi sfugge cosa voglia davvero dire opzionale: prelude a due diversi percorsi nella scuola media “unica” (uno con latino e uno senza) oppure opzionale significa che verrà insegnato fuori orario diventando una delle tantissime proposte opzionali presenti nella scuola?
Ricordo che dalla nascita della scuola media e fino al 1977 il latino fu disciplina opzionale nella scuola media italiana mentre oggi è presente al liceo classico, al liceo scientifico ordinamentale (ma non allo scientifico tecnologico), in alcuni percorsi del liceo delle scienze umane e poche ore nel biennio del linguistico.
A dire il vero mi sfugge come mai il latino (così come la filosofia) sia sparito dal quadro orario del Liceo del Made in Italy ! La cosa ha del ridicolo, a ben pensarci: in fondo il latino è made in Italy !

Sul metodo

L’intervista al ministro ha generato ed avviato il mitico dibattito. Il gioco delle parti vuole che ci sia chi attacca e chi difende, chi accusa e chi controaccusa. Insomma una baruffa tutta ideologica che sonda il terreno, saggia come stanno le cose, frulla le opinioni in un indistinto vociare che alla fin fine permetterà di attutire il colpo quando davvero si arriverà in fondo al lavoro e le indicazioni nazionali saranno definitivamente pubblicate.
Una tecnica ripresa dalla medicina e che è alla base delle vaccinazioni che inoculano virus depotenziati per immunizzare il corpo. E questa sì che è una grande competenza !