E’ tornato di grande attualità oggi il tema dell’inclusività della scuola collegato alla formazione di “tutti” i docenti, fino all’ipotesi della cosiddetta “cattedra inclusiva”, che tante polemiche sta suscitando. Molto importante e chiarificatore appare l’individuazione da parte dell’INVALSI degli indicatori di “inclusione” della scuola: condivisione, spinte al cambiamento, senso di appartenenza ad una comunità inclusiva fondata sul sostegno reciproco, sulla solidarietà e il sentire comune.
Proviamo ad addentrarci nella tematica.
Un manifesto della scuola inclusiva non può non partire dall’articolo 3 della Costituzione che, come tutti sanno, parla di uguaglianza…
Compito della scuola, Istituzione della Repubblica, è quello di rimuovere l’ignoranza che impedisce ai suoi cittadini la completa realizzazione e partecipazione in un Paese democratico. Questo è riferito ai soggetti che frequentano la scuola, ovviamente appare speculare l’impegno dei docenti. O meglio dovrebbe apparire!
Il contesto
Il contesto su cui ci troviamo a condurre delle riflessioni sulla scuola inclusiva ha delle caratteristiche particolari che vanno esplicitate. Descrivere il contesto significa non soltanto far riferimento semplicemente al territorio di appartenenza, sia pur indispensabile. Significa in modo più pregnante focalizzare il contesto socioculturale che può avere attinenza con l’operazione di includere o escludere. Significa allora fare un’analisi seria sui messaggi di intolleranza, di ideologica esclusione, per non dire di razzismo, che hanno attraversato e continuano ad attraversare la nostra società negli ultimi tempi, con grande preoccupazione per il livello di inciviltà raggiunto, nella più completa impudicizia degli acclamanti o nella indifferenza della massa. Una specie di “bullismo sociale” spesso gravemente agito da figure istituzionali. I bambini e i ragazzi ci guardano ed imparano.
Noi a scuola poi facciamo i corsi contro il bullismo, meravigliandoci che non sortiscano l’effetto sperato…
Inclusione vs integrazione
All’inizio la L.517/77 parlava di “inserimento” di tutti gli alunni “in situazione di handicap” di frequentare la scuola dell’obbligo.
Poi la L.104/1992 ha usato il termine di “integrazione” attribuendo con tale modifica un grande valore agli interventi dei docenti, compreso quello di sostegno, contitolare della classe. Oggi il termine di “integrazione” è stato sostituito dal temine “inclusione”. L’integrazione ha un aspetto infatti compensatorio e si riferisce all’ambito soprattutto educativo- istruttivo. Interviene prima sul singolo e poi sul contesto. Il termine “inclusione” invece consiste in un processo e si riferisce alla globalità delle sfere educativa, sociale e politica. Interviene sul contesto e poi sul singolo soggetto.
La differenza però più notevole è che la prima utilizza una risposta specialistica, la seconda invece sollecita una risposta ordinaria. Questa affermazione prevede che alla scuola inclusiva siano preparati professionalmente “tutti” i docenti: aspetto che gli specialisti della tematica auspicano da tempo. Naturalmente viene implicata la formazione iniziale di tutti i docenti ( e quella successiva in servizio) con arricchimento ineludibile della formazione psicopedagogica, carente oggi soprattutto per i docenti della scuola secondaria, ma utile o meglio indispensabile per tutti i soggetti a scuola, non solo per i più “bisognosi”.
Urge inoltre una formazione significativa per tutti alla relazionalità. Sappiamo che questa comporta aspetti riguardanti anche il linguaggio del corpo che parla attraverso chiusure, tensioni, ritrosie oppure aggressività, malesseri. Il corpo parla ma deve trovare qualcuno che sa ascoltarlo. L’incontro con i bambini e gli adolescenti, con la disabilità o il disagio di non apprendere, con la diversità in genere, ha risonanze affettive nell’adulto che deve saper mettersi in contatto con il proprio mondo interno e imparare a leggere e controllare le emozioni che lo abitano, per renderle congruenti con il compito educativo.
Individualizzazione e personalizzazione.(Baldacci)
Ritornando al tema dell’inclusione scolastica, e alle sue nobili finalità, teniamo però presente che ogni soggetto è diverso dall’altro e che ognuno ha diritto non solo all’individualizzazione dell’insegnamento ma anche alla personalizzazione. La didattica che si ispira alla prima funzione ha il compito di riempire le lacune e le smagliature che impediscono il processo di apprendimento e consiste in strategie alternative al metodo fino a quel momento utilizzato. Soffermiamoci un po’ di più su questa didattica che dovrebbe intervenire sempre all’interno della scuola dell’obbligo, quindi anche da parte dei docenti della scuola secondaria di primo grado, non appena il docente attraverso la cosiddetta “VALUTAZIONE FORMATIVA” (B. Vertecchi), si rende conto che determinate competenze di base riguardanti l’alfabetizzazione strumentale del curricolo (leggere, scrivere e far di conto!) non sono padroneggiate compiutamente. Si tratta della diversificazione dei percorsi di insegnamento: più operativi, laboratoriali, attraverso l’utilizzazione di sussidi da poter ancora manipolare come suggeriscono gli stili apprenditivi dei soggetti più fragili.
La seconda invece presuppone che l’allineamento con l’apprendimento sia avvenuto ma si prende in debita considerazione la soggettività degli eventuali talenti ed attitudini, ai fini soprattutto dell’orientamento.
Contrasto alla dispersione scolastica
La dispersone scolastica segnala troppi soggetti che “cadono” fuori dal contenitore scuola senza far rumore, spesso nell’indifferenza di chi li ha già “dimessi mentalmente”. La scuola non può essere come un ospedale che “accoglie i sani e respinge i malati” diceva don Milani. Diventa perciò essenziale conoscere e saper applicare molti strumenti didattici, metodi, strategie alternative, modi di lavorare, di allestire laboratori e modalità tipiche dell’apprendistato cognitivo, e soprattutto conoscere e insegnare i processi cognitivi e metacognitivi soggiacenti alle procedure e alle competenze. Bisogna essere a conoscenza e saper insegnare schemi di mobilitazione delle conoscenze utili al problem solving, altrimenti queste rimangono piatte ed inerti e vissute dai più deboli come astratte, disincarnate ed inutili. Di fondamentale importanza ed urgenza risulta poi l’applicazione della valutazione formativa. Tutti questi accorgimenti servono a rendere la scuola più inclusiva ed adatta alle capacità di ciascuno. Per tutti questi motivi tutti i docenti devono essere formati alla “INCLUSIONE”.
Conclusioni.
E torniamo allora alla proposta realizzata da poco da alcuni noti studiosi della materia: la cattedra inclusiva! Proposta senz’altro interessante su cui riflettere e da aggiustare anche sull’onda delle osservazioni che sono emerse. Non di sicuro da scartare “in toto” attraverso una demonizzazione aprioristica e pregiudizievole. Questa innovazione, che in fondo si farebbe carico della formazione iniziale di tutti i docenti, formazione riconosciuta oggi essere carente anche dai docenti universitari onesti e seri che la stanno portando avanti, fa acqua da tutte le parti. Mi riferisco soprattutto a quella fornita ai docenti della secondaria che, da quando è stata soppressa la SSIS, non hanno più ricevuto nessun “input” di psicopedagogia e metodologia-didattica.
Le lauree prettamente disciplinari ovviamente forniscono “saperi” ma non “saper insegnare” a meno che non si vogliano riesumare dettati gentiliani. Con i tempi che corrono non sarebbe da meravigliarsi. Faccio appello però ai docenti stessi che si ritrovano scaraventati nel ruolo e non possono fare altro che ripetere ciò che i loro insegnanti hanno fatto con loro. E’ d’obbligo qui allora citare ancora una volta i Neuroni specchio! Ricominciamo perciò con umiltà a cercare di scandagliare cosa significa realizzare una scuola inclusiva, all’interno della quale però le PREDICHE corrispondano alle PRATICHE, e vi accorgerete che la tematica della cattedra inclusiva, su cui però vi invito a informarvi ( FaceBook infatti ha i suoi limiti) ) indica un percorso ed un obiettivo utilizzabili ed interessanti, senz’altro migliorabili, ma soprattutto da realizzare per migliorare la scuola stessa non soltanto per le persone con disabilità ma anche per tutti gli altri.
Non è trascurabile l’obiettivo di ottimizzare così la professionalità di tutti i docenti per dare loro la forza di richiedere un maggiore riconoscimento economico e sociale. Ne sentiamo tutti il bisogno. PROPOSITO DI “CATTEDRA INCLUSIVA”.