Sette regole per una fondare una “educazione buona”
di Raimondo Giunta
1) La scuola è un luogo strano dove chi sa, fa le domande a chi non sa. Non sarebbe meglio il contrario? L’alunno pone le domande e l’insegnante cerca di rispondere.
Sarebbe la scuola ideale: alunni che hanno desiderio di apprendere e di capire e docenti che sanno e vogliono ascoltare.
Ogni lezione dovrebbe essere una risposta ad una domanda (Dewey).
2) “Il professore insegna a tutti la stessa cosa; il maestro annuncia a ciascuno una verità particolare”(B.Rey): l’insegnamento ex-cathedra conosce l’argomento e spesso misconosce la persona che ascolta e che è tenuta ad ascoltare.
Senza conversazione, senza il faccia a faccia, la contiguità emotiva, il rapporto educativo non decolla, intristisce nel reticolo delle procedure e degli obblighi professionali. L’alunno deve sentire la prossimità umana, la passione, la partecipazione dell’insegnante nel suo faticoso percorso di crescita e di apprendimento.
Una scuola a misura di ciascuno non è possibile, ma nobilita tutto l’impegno per farne un dovere professionale.
3) Una scuola non è un azienda: bisogna smetterla di farne un metro di paragone, di assumerne cultura e valori e di farla finita con l’accanimento docimologico e metodologico che ne è derivato.
Gli alunni non si possono programmare come la produzione dei pezzi di ricambio. Per accendere il desiderio di apprendere bisogna recuperare la dimensione esistenziale del crescere nel sapere: “fatti non foste per viver come bruti/ma per seguir vertute e canoscenza”(Dante).
Bisogna fare rientrare la didattica in una condivisibile filosofia dell’educazione, se si vuole dare un senso e un orientamento alla nostra presenza accanto ai giovani.
4) I giovani con la loro “estraneità” ai codici e alle tradizioni del sistema scuola ci sfidano e ci impegnano a trovare le ragioni dell’esistenza e delle finalità del sistema di istruzione e formazione; ci interpellano con i loro problemi, con la loro inquietudine, con la loro avversione, con la loro opacità.
Pongono problemi di senso, di motivazione, di prospettiva: troppo grandi e spesso inafferrabili per la scuola e gli insegnanti, se vengono lasciati soli o peggio ancora se sono fatti oggetto di campagne mediatiche di denigrazione.
5) La motivazione ad apprendere è diventato un problema di prima grandezza nella nostra società. Per dargli una soluzione bisognerebbe che nella società si aprisse una lotta aperta e vigorosa contro la svalorizzazione del sapere, contro gli scandali permanenti degli incompetenti al potere, contro le pratiche diffuse e offensive di nepotismo e di clientelismo nelle assunzioni, contro gli arricchimenti facili e cospicui derivanti da ogni tipo di illegalità, contro il ciarpame di un edonismo volgare promosso dai media ai danni della serietà, dell’impegno e dello spirito di sacrificio.
6) Nel problema della motivazione ci sono anche aspetti didattici e pedagogici. Credo che la soluzione consista nel dare “senso” ai saperi e nel dare spazio al protagonismo dei giovani nei processi di apprendimento.
Bisogna passare da una pedagogia della sottomissione e dell’obbedienza, ad una pedagogia della libertà, dell’autonomia intellettuale; da una pedagogia della risposta ad una pedagogia della domanda.
“La classe dovrebbe essere il luogo dove la verità della parola non è relativa allo status di chi la pronuncia”(B.Rey).
7) L’educazione è fondamentale per lo sviluppo dell’uomo (Kant) e proprio per questo diventa un diritto inalienabile; ma è anche un elemento fondamentale per la costruzione della democrazia.(Dewey)