Valutazione alunni primaria: una prima analisi dell’ordinanza ministeriale

   Invia l'articolo in formato PDF   
image_pdfimage_print

di Simonetta Fasoli

Ho letto con l’opportuna attenzione il testo dell’O.M. (in BOZZA) che disciplina le modalità di valutazione periodica e finale degli apprendimenti nella Scuola primaria e quelle del comportamento nella Secondaria di primo grado.

Al netto del format, in Bozza, con cui il documento è stato diffuso, che consiglia come al solito una certa cautela nei commenti, alcune osservazioni si possono già fare. Anzitutto, trattandosi di un provvedimento applicativo della norma primaria (Legge 1° ottobre 2024, n. 150) non ci si aspettavano novità eclatanti, che avrebbero esondato dai limiti e dai vincoli imposti dalla legge. Infatti, non ce ne sono. Vanno semmai evidenziate alcune sottolineature che, in fase applicativa, assumono un certo significato e aprono spazi di agibilità per le scuole.

Per cominciare, attenzione all’articolo 3, commi 4 e 5.
Il primo ribadisce che la nuova (??) modalità di valutazione mantiene nella piena disponibilità delle scuole la VALUTAZIONE IN ITINERE.
Infatti: “La valutazione in itinere resta espressa nelle forme che il docente ritiene opportune e che restituiscano agli alunni, in modo pienamente comprensibile, il livello di padronanza dei contenuti verificati.”
Il secondo valorizza il ruolo dell’istituzione scolastica autonoma e dell’attività collegiale che vi si esplica. Come troviamo scritto: “Le istituzioni scolastiche, nell’ambito dell’AUTONOMIA DIDATTICA di cui all’articolo 4, comma 4 del D.P.R. n. 275/99, elaborano i criteri di valutazione, da inserire nel Piano triennale dell’offerta formativa, declinando, altresì, per ciascun anno di corso e per ogni disciplina del curricolo la descrizione dei livelli di apprendimento correlati ai giudizi sintetici riportati nell’Allegato A alla presente ordinanza.”Come era già evidente nella norma primaria, la valutazione in itinere, che per sua collocazione e natura sostanzia il carattere formativo dei processi valutativi ancorati alla progettazione didattica, consente agli insegnanti, nel loro concreto agire professionale, di utilizzare strumenti qualitativo-descrittivi coerenti. C’è da augurarsi che questa possibilità sia pienamente colta e trovi un terreno culturale favorevole e pratiche didattiche consolidate tali da contrastare strategicamente gli effetti perversi delle nuove disposizioni e del ritorno surrettizio del “voto” in forma di giudizio sintetico. Dunque, chi dice che nella scuola primaria sono tornati i voti fa un’affermazione parziale e cede ad una semplificazione che non aiuta il lavoro e il confronto sulle questioni che il tema presenta.
Altrettanto rilevante mi sembra il successivo comma qui riportato. In questo caso il riferimento esplicito all’autonomia didattica (come nel comma precedente, non per caso ho usato i caratteri cubitali) è qualcosa di più di un passaggio rituale.
Mentre il dispositivo precedente valorizza la dimensione professionale individuale, in cui emerge tutta la carica culturale della libertà di insegnamento sancita dall’articolo 33 della nostra Costituzione, questo mette in primo piano l’altra dimensione, ugualmente rilevante, della natura cooperativa della funzione docente, connotazione inseparabile dalla prima. Come sappiamo, e come amo sottolineare nei contesti formativi in cui intervengo, la collegialità – lungi dall’essere un inutile orpello burocratico – è la forma istituzionale che assume questo connotato.

Sul punto, conviene fare qualche affondo…Il testo del provvedimento è chiaro: l’individuazione dei “criteri di valutazione” è atto di esclusiva competenza del Collegio dei docenti, quale organo tecnico-professionale, e rientra a pieno titolo nell’elaborazione del Piano triennale dell’offerta formativa, sintesi della progettualità della scuola. In questa forma, già in sé stessa compiuta, il Piano passa alla delibera di adozione del Consiglio di istituto e costituisce il documento fondamentale con cui la scuola si propone al territorio ed ai suoi interlocutori, a cominciare dalle famiglie degli alunni e delle alunne.
Semmai, il dispositivo, nelle seconda parte del periodo, fa esplicito riferimento (lo ripeto) alla “descrizione dei livelli di apprendimento correlati ai giudizi sintetici riportati nell’Allegato A alla presente ordinanza”.
Qui si innesta qualche problema…Come si compone il richiamo all’autonomia didattica e ai criteri di valutazione di competenza collegiale con la puntuale descrizione dell’allegato che, lo sottolineo, non sembra essere un semplice “modello di riferimento”, ma un documento prescrittivo? Più esattamente: possiamo ipotizzare che le scuole, nella loro autonomia, traducano i “criteri” elaborati in schemi operativi in cui, fermi restando i livelli, i corrispettivi descrittori siano frutto di una documentata e contestualizzata ricerca pedagogico-didattica?

Personalmente, sarei favorevole a questa ipotesi, per due ordini di ragioni.
Primo, perchè credo che potrebbe valorizzare il lavoro sul campo che tante scuole hanno realizzato in questi anni di sperimentazione e di messa a regime dell’O.M. 4 dicembre 2020, n. 172 (che ha impartito indicazioni applicative per l’introduzione della valutazione descritivo-qualitativa nella Primaria, con Linee guida puntuali e il prezioso supporto del gruppo di lavoro insediato al ministero).
In secondo luogo, perchè nello scorrere in dettaglio i descrittori dell’Allegato non ho potuto fare a meno di rilevare qualche rigidità nella graduazione dei livelli, spesso perseguita con la semplice taratura degli aggettivi e degli avverbi che vorrebbero segnalare la specificità dei corrispondenti giudizi. Penso, a questo riguardo, che le scuole possano rappresentare un valore aggiunto rispetto all’allegato ministeriale, con la duttilità che caratterizza la quotidianità del lavoro dei docenti. Creatività, infatti, non significa improvvisazione, ma al contrario capacità di stare in un sistema di regole condivise con rigore e al tempo stesso con la necessaria e generativa attenzione ai contesti.

Il testo del provvedimento, all’articolo 7, stabilisce che “in via transitoria […] le disposizioni della presente ordinanaza si applicano a partire dall’ultimo periodo in cui è suddiviso l’anno scolastico, in base a quanto stabilito dalle istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 74, comma 4, decreto leg.vo 16.4.1994, n. 297.”

Disposizione di buon senso, che tiene conto della tempistica reale in cui si muove la programmazione delle scuole. Ma perchè non utilizzare questo tempo per lavorare sugli spazi di manovra e sui varchi concreti che la norma lascia aperti? Senza improvvisazioni, certo, ma con la capacità di muoversi tra percorsi di valutazione in itinere, criteri (collegiali) e modelli ministeriali tale da contrastare strategicamente l’operazione culturale regressiva sottesa alle nuove norme e salvaguardare il lavoro sostanziale che le scuole hanno perseguito e realizzato.
Perchè è vero che, come recita l’ordinanza al comma successivo, “a partire dall’ultimo periodo stabilito da ciascuna istituzione scolastica, cessano di produrre effetti le disposizioni dell’odinanza ministeriale 4 dicembre 2020, n. 172”, ma per fortuna (in questo caso, per fortuna…) gli effetti culturali possono avere un’efficacia ed una durata ben superiore a quella degli effetti giuridici. E la politica governativa del “punto a capo”, anche con le migliori intenzioni (e non è questo il caso…) non è mai stata foriera di cose buone.