Giocare alla guerra o educare alla pace?

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Stefaneldi Mario Maviglia

Nella recente Fiera del Levate di Bari l’Esercito Italiano ha allestito uno stand significativamente attrattivo, sotto lo slogan L’Esercito 4.0. Proiettati nel futuro con lo sguardo nel passato.
Particolarmente suggestive (a detta della stampa) sono apparse le attrazioni pensate per i bambini e i giovani. Gli organizzatori parlano di oltre 100 mila persone che hanno visitato lo stand. Lo scopo di questa iniziativa era evidentemente quello di promuovere l’arruolamento dei giovani, anche come prospettiva di lavoro per i ragazzi e le ragazze del Mezzogiorno.
Eppure queste manifestazioni appaiono quanto meno inopportune se si considera che in tante parti del mondo, anche a noi vicine, vi è una recrudescenza dei conflitti bellici e il ricorso alle armi sembra aver soppiantato la diplomazia e il dialogo quali strumenti per risolvere le controversie tra i Paesi.
Il fatto che a subirne le conseguenze mortali di queste contese giocate sul piano militare siano soprattutto i civili (e in modo particolare quelli delle classi popolari), rende ancor più odiosa questa deriva bellicista e guerrafondaia.
Naturalmente chi trae i maggiori vantaggi dalle imprese belliche sono i mercanti d’armi (i profitti delle aziende che producono armi sono sempre molto redditizi) e il loro interesse è quello di far sì che le guerre continuino sine die per vendere più armi e per provarne di nuove, sempre più sofisticate, sempre più micidiali (per i civili).
Lo ha ribadito più volte Papa Francesco, anche recentemente, inascoltato, affermando che “la guerra è ignobile perché è il trionfo della menzogna, della falsità”.
A fronte di questa glorificazione della guerra e di esaltazione del militarismo di marinettiana memoria, come sembra fare l’Esercito Italiano, forse è il caso di proporre invece percorsi e modelli di pace, partendo proprio dalla scuola, la quale può far maturare nelle giovani generazioni quel “ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, richiamato dall’art. 11 della nostra Costituzione.
Vi sono vari modi per “insegnare” a bambini e ragazzi come adottare concezioni e comportamenti ispirati alla pace, iniziando fin dalla scuola dell’infanzia. L’organizzazione della classe come comunità, con proprie regole e forme di responsabilità diffusa, è il presupposto per far sperimentare agli studenti il senso dello stare insieme.
Si tratta di concepire la classe (ma più in generale la scuola) come un organismo che si struttura in modo democratico attraverso il coinvolgimento attivo di studenti e docenti, con propri organi di partecipazione e di regolamentazione condivisa della vita della classe.
Se non si è assillati dall’ansia di sviluppare il programma, un approccio di questo tipo può essere molto più incisivo di tante lezioni sulla conoscenza della Costituzione.
In fondo tutto il movimento delle scuole attive e della cooperazione educativa (che si ispirava ai principi della pedagogia popolare e dell’attivismo di John Dewey e Célestin Freinet) si basava su questi presupposti per formare cittadini democratici, liberi e solidali.
Gli ordinari episodi di conflitto che sorgono tra i compagni in classe possono sollecitare l’esigenza di trovare forme accettabili per affrontare e risolvere i contrasti.
Non servono le prediche o le lezioni; è più utile analizzare insieme le ragioni del conflitto e trovare delle possibili soluzioni per risolvere e magari darsi delle regole procedurali condivise per affrontare anche nel futuro queste situazioni. Vi sono inoltre delle strategie didattiche (il Debate è una di queste) che pongono gli studenti in una particolare posizione che consiste nel difendere idee che non si condividono per convincere altri studenti che a loro volta giocano il medesimo ruolo.
Sono interessanti forme di decentramento cognitivo e relazionale che mirano a far sperimentare e consolidare forme di empatia verso gli altri, a comprendere le loro motivazioni, a ricercare modalità condivise di convivenza democratica.
Altre proposte vanno nella direzione di sviluppare la solidarietà e il senso di comunità. La strategia del Service learning, ad esempio, coinvolge gli studenti in progetti di aiuto nei confronti della comunità, sotto forma di “compiti autentici”, ossia la realizzazione di progetti che, promuovendo la partecipazione attiva degli studenti, si configurano come un servizio di solidarietà che mira a soddisfare bisogni veri della comunità.
La pace va costruita giorno per giorno non in modo astratto e teorico, ma attraverso un tirocinio attivo di conoscenza dell’altro, di confronto, di dialogo e convivenza.
D’altro canto questo è stato l’insegnamento che ci hanno lasciato i grandi pacifisti del nostro tempo (Martin Luther King, Mahatma Gandhi, Nelson Mandela, Danilo Dolci, Don Lorenzo Milani, Mario Lodi, Maria Montessori, Aldo Capitini, Gino Strada, Bertrand Russell, Desmond Tutu, Albert Schweitzer, Giuseppe Gozzini, per citarne solo alcuni) che con la loro azione e il loro esempio (in alcuni casi pagato anche con la vita) hanno indicato possibili vie per raggiungere risultati significativi senza ricorrere alla violenza, ma praticando la difficile e incisiva arte del dialogo e dell’ascolto.
Ecco, vorremmo suggerire quanto segue all’Esercito Italiano: nelle prossime edizioni della Fiera del Levante lasci stare le armi e proponga ai giovani di tutte le età esempi di servizio civile. Non mancano esperienze in questo campo: dalla cura dell’ambiente, alla cura degli animali, dal rendersi utile verso chi ha difficoltà a cercare di inserire nella comunità chi è diverso o isolato. Organizzi inoltre dei momenti di conoscenza e approfondimento delle personalità che si sono distinte per il loro impegno per la pace e il dialogo tra le persone e i popoli (come quelle citate sopra a titolo esemplificativo).
E alle scuole proponiamo di organizzare ogni anno un appuntamento simbolico dal titolo “guerra alla guerra”: in uno spazio pubblico della città o del paese (con le dovute autorizzazioni, non sia mai …) gli studenti preparano un falò con armi-giocattolo bellici di tutte le fogge di cartone, precedentemente costruiti in classe o a casa. L’esecuzione di canti contro la guerra (scelti dagli studenti) potrebbe costituire un degno abbellimento dell’evento.
Il 4 novembre potrebbe essere, simbolicamente, la data più indicata per questa festa della pace, ossia la festa della vita contro la cultura della morte, di cui la guerra è l’emblema.