L’Intelligenza artificiale secondo Valditara
di Mario Maviglia
(già docente a contratto di Metodi e Strumenti per la Sperimentazione Educativa, Università Cattolica di Brescia)
Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara ha annunciato nei giorni scorsi l’avvio di una sperimentazione della durata di due anni che coinvolgerà quindici classi di quattro regioni italiane (Lombardia, Toscana, Lazio e Calabria) e che avrà come focus l’affiancamento di un assistente virtuale (IA) alle attività di insegnamento.
La sperimentazione prevedere l’utilizzo di un software installato su Google Workspace, inizialmente operante sulle cosiddette materie STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e sulle lingue straniere. Per quel che è dato sapere, sembra che le classi coinvolte siano state selezionate dagli Uffici Scolastici Regionali di competenza e si è in attesa del parere dei dirigenti scolastici e dei docenti.
Il progetto mira a personalizzare la didattica e a migliorare il livello di istruzione di ogni studente. L’assistente virtuale, con la supervisione dei docenti, rivestirà un’importanza significativa nel differenziare i percorsi di apprendimento di ogni allievo, proponendo le esperienze più adatte e adeguate ai ritmi di apprendimento e alle caratteristiche di ognuno.
Il Ministro Valditara ha affermato che questa sperimentazione si ispira, tra le altre cose, al pensiero di Benjamin Bloom, l’autore della famosa tassonomia degli obiettivi educativi e del mastery learning.
In effetti, tra i vari strumenti a disposizione del docente per favorire l’apprendimento per la padronanza, Bloom aveva indicato anche il tutor, anche se si riferiva a un supporto individuale costante mirato all’istruzione individualizzata.
Ma qui vogliamo puntare l’attenzione sul concetto stesso di “sperimentazione” utilizzato dal Ministro per definire questo progetto. Come si sa, tecnicamente, la sperimentazione consiste nell’introduzione, in un determinato contesto, di variazioni controllate di un fattore (variabile dipendente) per studiare gli effetti su un altro fattore (variabile indipendente), neutralizzando gli effetti secondari di altri fattori. La variabile dipendente rappresenta quindi l’oggetto sul quale si rilevano e si misurano sperimentalmente gli effetti delle variazioni provocate dalla variabile indipendente.
Pertanto i cambiamenti di questa variabile dipendono dalle manipolazioni che sperimentalmente vengono operate sulla variabile indipendente. Detto in altre parole, la variabile indipendente è la variabile che viene manipolata o controllata dal ricercatore, mentre la variabile dipendente è quella che subisce gli effetti dei cambiamenti effettuati sulla variabile indipendente[1].
Sotto questo profilo una vera sperimentazione è possibile solo in una situazione fortemente controllata (es. in un laboratorio) in cui si possono effettivamente studiare le relazioni tra le due variabili principali e annullare l’effetto delle altre.
In campo scolastico la realizzazione di una sperimentazione è estremamente difficile proprio perché non è possibile avere un controllo adeguato delle variabili, e per altre ragioni che vedremo.
Peraltro l’avvio e la gestione di una sperimentazione richiede un apparato concettuale e organizzativo decisamente impegnativo, e una procedura realizzativa rigorosa e continuamente tenuta sotto controllo, oltre che risorse professionali e strumentali (anche finanziarie) adeguate.
Questi sono i motivi per cui nella cultura scolastica sono pressoché ignoti i cosiddetti disegni sperimentali[2], su cu si basa la ricerca educativa controllata in senso sperimentale. Ecco perché qualche autore afferma che in campo scolastico sia preferibile parlare di esperienze controllate, più che di sperimentazione, ossia di un sapere che “riflette, organizza in modi peculiari, funge da selettore si azioni e intenti formativi”[3].
Da quel che si è fin qui detto e da quel che si sa della proposta lanciata dal Ministro appare improbabile che essa possa essere qualificata “sperimentale”, a meno che non si voglia mettere in discussione il paradigma sperimentale finora accettato dalla comunità scientifica.
Ma vi sono altri motivi che rendono, sul piano sperimentale, molto debole la proposta.
Il Ministro parla del coinvolgimento totale di 15 classi su tutto il territorio nazionale, scelte tra quattro diverse regioni, come detto sopra. Nell’a.s. 2023/2024 hanno funzionato (dati ufficiali MIM) complessivamente 76.656 classi di scuola secondaria di primo grado e 124.871 di scuola secondaria di secondo grado; se – come sembra di capire – il progetto riguarda le classi seconde di scuola secondaria di primo grado e le classi prime e quarte delle scuole secondarie di secondo grado (sempre tenendo conto di 15 classi come campione nazionale), approssimando il totale nazionale delle classi seconde della secondaria di primo grado e il totale nazionale delle classi prime e quarte della secondaria di secondo grado, abbiamo un campione che dai numeri forniti dal Ministero è così quantificato: classi prime di secondaria di primo grado 0,05% rispetto alla popolazione; classi prime e quarte di secondaria di secondo grado 0,03% rispetto alla popolazione.
Da un punto di vista tecnico il problema più delicato in questo caso è quello della rappresentatività del campione rispetto alla popolazione considerata. Detto in altre parole, e sempre in senso tecnico, il numero di scuole prescelte (campione) “dovrebbe rappresentare adeguatamente la popolazione [di riferimento], nel senso che l’informazione ottenuta esaminando [il campione] dovrebbe possedere lo stesso grado di accuratezza di quella che avremmo ottenuto esaminando l’intera popolazione”[4].
Altrimenti, se la dimensione del campione non è adeguata, osserva Bailey, “il ricercatore ha un campione, ma un campione di che cosa?”[5]
Il progetto “sperimentale” del Ministro Valditara presenta proprio questa pecca, o meglio non è dato sapere quanto le 15 classi siano rappresentative delle classi italiane e se il principio di rappresentatività non viene soddisfatto viene meno anche la possibilità di generalizzare i risultati, ossia di estenderli a tutta la popolazione di riferimento.
I medesimi problemi riguardano la scelta del gruppo di controllo, ossia il gruppo che presenta le medesime caratteristiche del gruppo sperimentale ma che non viene sottoposto a sperimentazione e che funziona da termine di confronto rispetto al gruppo sperimentale: con quale criterio viene individuato? Da quanto detto dal Ministro non è dato sapere; anzi, non se ne fa alcun cenno. Viene solo detto che se dopo i due anni di sperimentazione, dal confronto dei risultati delle 15 classi “sperimentali” con quelli delle altre classi (genericamente intese), misurati sulla base degli esiti Invalsi, questi risultati dovessero risultare positivi, l’utilizzo dell’IA verrà esteso a tutte le classi a partire dal 2026.
Ma chi garantisce che i risultati positivi siano da ascrivere all’assistente virtuale e non ad altri fattori non tenuti sotto controllo dalla procedura sperimentale ma che possono esplicare effetti più significativi rispetto all’IA? Ad esempio, la non rappresentatività del campione (e del correlativo gruppo di controllo) può portare a scegliere unità di analisi[6] (i singoli individui del campione) che per le loro condizioni di partenza e le loro caratteristiche potrebbero ottenere risultati comunque sovra o sottodimensionati con la conseguente impossibilità di fare alcuna generalizzazione.
Non è un caso che nel campo della letteratura scientifica si affermi esplicitamente che “non è facile condurre bene una ricerca sperimentale”[7]. Dubbi, questi, che non sembrano sfiorare il Ministro.
Si possono, conclusivamente, fare due considerazioni:
- sconcerta la disinvoltura con cui vengono utilizzati termini (come sperimentazione) che nel campo della ricerca educativa, e non solo, rimandano a protocolli e procedure rigorosi e fortemente controllati;
- è facile immaginare che l’impostazione così smaccatamente ideologica più che tecnico-scientifica di questa “sperimentazione” porterà sicuramente – da qui a due anni – a risultati inconfutabilmente positivi e tali da giustificare l’introduzione generalizzata dell’IA in tutte le classi. Ma se questo è l’obiettivo finale (e non può che essere questo data l’assenza di ogni traccia di disegno sperimentale) tanto vale introdurre da subito l’IA nelle classi in quanto scelta politica (come di fatto sembra essere), senza nascondersi dietro improbabili paraventi “sperimentali”. E senza scomodare Benjamin Bloom, il cui rigore metodologico viene incautamente accostato a un progetto che – allo stato dei fatti e per quel che si sa – appare tanto rigoroso quanto i ragionamenti deliranti e sconclusionati di Lars Hertervig, il protagonista del romanzo di Jon Fosse, Melancholia, Premio Nobel per la Letteratura 2023.
[1] R. Viganò, Pedagogia e sperimentazione. Metodi e strumenti per la ricerca educativa, Vita e Pensiero, Milano, 2002
[2] L. Calonghi, I disegni sperimentali nella ricerca scolastica, in E. Becchi, B. Vertecchi (a cura di), Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Franco Angeli Editore, Milano, 1988
[3] E. Becchi, Disegni sperimentali e esperienze controllate, in M. Maviglia (a cura di), La sperimentazione nella scuola dell’infanzia, Edizioni Junior, Bergamo, 1995, p 13; E. Becchi, Sperimentare nella scuola, La Nuova Italia, Firenze, 1997.
[4] K.D. Bailey, Metodi della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 7
[5] Ibidem
[6] Ibidem
[7] E. Gattico, S. Mantovani (a cura di), La ricerca sul campo in educazione. I metodi quantitativi, Bruno Mondadori Editore, Milano, 1998, p. 64