Il Censis indaga sui compiti a casa
di Maurizio Parodi
Molto opportunamente, il CENSIS ha inviato ai dirigenti scolastici un questionario che ha lo scopo di acquisire elementi di valutazione sugli effetti dei “compiti a casa”.
L’indagine muove da una drammatica constatazione:
Le prove invalsi 2004 ribadiscono il quadro di una scuola delle disuguaglianze (territoriali, per genere, ecc.)”, evidenziando come i compiti a casa possano esserne una concausa: “i compiti a casa possono essere particolarmente gravosi per gli studenti svantaggiati. Potrebbero non avere un posto tranquillo dove studiare a casa o tanto tempo per fare i compiti a causa delle responsabilità familiari e lavorative; i loro genitori potrebbero non essere in grado di guidare, motivare e sostenere i propri figli mentre fanno i compiti a causa di obblighi lavorativi, mancanza di risorse e altri fattori, I compiti a casa potrebbero quindi avere la conseguenza involontaria di ampliare il divario prestazionale tra studenti provenienti da contesti socioeconomici diversi.
Dalle indagini internazionali inoltre emerge che a un numero più elevato di ore dedicate allo studio a casa non è associato un rendimento migliore: non si fa riferimento in questo ai “troppi” compiti a casa, ma al fatto che gli studenti in difficoltà e che, magari, non sono aiutati dai genitori, impiegano un numero di ore eccessivo per fare i compiti loro assegnati. Fattore che può causare stress e frustrazione.
Già la premessa risulta oltremodo significativa per più ragioni.
Primo spunto
Si ipotizza che i compiti a casa siano particolarmente gravosi per gli “studenti svantaggiati” e che possano “ampliare il divario prestazionale tra studenti provenienti da contesti socioeconomici diversi”.
Invero è facile constare come il giorno dopo i compiti chi sia svantaggiato lo sarà un po’ di più, perché non ha gli strumenti per poterli affrontare, in caso di deficit cognitivo, perché non ha energie sufficienti per sostenere un impegno insopportabilmente gravoso e deprimente, se necessita di più tempo per svolgerli o se impegnat* in attività familiari e lavorative (problema, questo, che non si pone per chi sia avvantaggiat*, nelle famiglie benestanti o agiate), perché non ha un luogo adatto che permetta di concentrarsi, se la famiglia è indigente e magari bisognosa anche del suo contributo: non solo “stress e frustrazione”, ma dolore, pianto, rigetto.
Dal manifesto “Basta compiti!
I compiti a casa sono dannosi: procurano disagi, sofferenze soprattutto agli studenti già in difficoltà, suscitando odio per la scuola e repulsione per la cultura, oltre alla certezza, per molti studenti “diversamente dotati”, della propria «naturale» inabilità allo studio.
Secondo spunto
Si riconosce che i “genitori potrebbero non essere in grado di guidare, motivare e sostenere i propri figli”.
Ciò significa che lo svolgimento dei compiti richiede “guida, motivazione e sostegno” esterno, cioè un compito (un altro) del tutto impropriamente assegnato alle famiglie che si finge di presumere siano formate da genitori colti, presenti, solleciti (stile “Mulino Bianco”), ma che così non sono quasi mai, e dalle quali non si può pretendere alcun tipo di “supplenza”rispetto a compiti (altri ancora) cui deve attendere la scuola giovandosi della competenza professionale dei tecnici dell’istruzione, i docenti, appunto; senza contare la tendenza, molto diffusa ad appaltare parti sempre più consistenti del curricolo (il programma rispetto al quale si è sempre “indietro”) allo studio personale, ovvero al singolo e alla sua famiglia.
Dal manifesto “Basta compiti!
I compiti a casa sono impropri: costringono i genitori a sostituire i docenti; senza averne le competenze professionali, nel compito più importante, quello di insegnare a imparare (spesso devono sostituire anche i figli, facendo loro i compiti a casa).
Terzo spunto
“Dalle indagini internazionali inoltre emerge che a un numero più elevato di ore dedicate allo studio a casa non è associato un rendimento migliore”
Vi sono scuole di eccellenza, come quella finlandese, dove i compiti, nel “primo ciclo di istruzione” non di danno proprio, e, fino a 7 anni, bambine e bambini, a scuola, giocano, quando nelle nostre scuola dell’infanzia si fa uso sempre più abbondante di “schede” (pre-scrittura, pre-lettura, pre-calcolo). Se la quantità di compiti assegnati fosse garanzia di risultato, non avremmo, in Italia, che eccelle, invece per la mole spropositata di “lavoro domestico” di studentesse e studenti, il livello, indecente, di analfabetismo funzionale che si registra a ogni rilevazione tra gli stessi diplomati.
Dal manifesto “Basta compiti!
I compiti a casa sono inutili: le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate a comando nel corso di interrogazioni e verifiche, hanno durata brevissima; non “insegnano”, non lasciano il “segno”, si tratta di un sapere usa e getta: dopo pochi mesi restano solo labili tracce della faticosa applicazione.
Alcune cose che al CENSIS non sanno.
- Ogni docente assegna i propri compiti come fossero i soli da svolgere; i docenti non si coordinano, non si preoccupano del carico cognitivo complessivo imposto ai loro studenti e alle loro studentesse; ignorano il problema o non se ne curano.
- Questa sorta di persecuzione inizia fin dai primi anni di scolarità: la sciagurata secondarizzazione della scuola primaria, con la parcellizzazione precoce e insensata dei saperi e la corrispondente proliferazione dei docenti “disciplinari”, ha determinato l’esplosione del fenomeno.
- Si danno compiti anche nelle scuole a tempo pieno, a bambini e bambine di 6-10, dopo otto ore di immobilità forzata in ambienti chiusi, non sempre confortevoli, di rado gioiosi e giocosi, tutti i giorni, nei fine settimana e per le vacanze (accanimento morboso che rasenta la crudeltà mentale).
- Si danno, appunto, i “compiti per le vacanze”, ossimoro logico e pedagogico, e si nega il diritto al gioco e al tempo libero, cui si dovrebbero dedicare le vacanze che non sono dei e delle docenti, loro hanno le ferie; altro paradosso: i soli a godere delle vacanze di bambini/e e ragazzi/e sono coloro che ne impediscono il godimento a chi ne ha diritto.
Al CENSIS non lo sanno, i dirigenti scolastici dovrebbero averne contezza: si vedrà.